Sospensione del processo contabile per
pregiudizialità del procedimento penale

Inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche
e ambientali nei procedimenti extrapenali

 

Con nota di commento
dell'avv. Carlo Alberto Zaina e del dott. Marco Tonti

 

La sentenza
della Corte dei Conti - Seconda Sezione Giurisdizionale Centrale
emessa il 1 giugno 2000 e depositata il 2 agosto 2000.

 

In nome del Popolo Italiano

La CORTE DEI CONTI

Sezione seconda giurisdizionale centrale

SENTENZA

sui sottoindicati atti d’appello avverso la sentenza n. 8/99/EL emessa dalla Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la regione Emilia Romagna il 29 ottobre 1998 e depositata il 18 gennaio1999:

  • Visti gli atti e documenti tutti di causa;

    Uditi alla pubblica udienza del 1 giugno 2000, il relatore, gli avvocati di parte, il P.M.

    FATTO

  • Con l’impugnata sentenza gli appellanti sono stati condannati a pagare al Comune di R. la somma di lire tot, divisa fra loro in parti uguali, più interessi rivalutazione e spese del giudizio, a ristoro del danno recatogli per avere reso impossibile l’espletamento di un concorso con l’accordarsi, il primo quale presidente della commissione aggiudicatrice e il secondo quale amministratore comunale, per fare conoscere preventivamente ad alcuni candidati il contenuto di alcune domande facenti parte della prova selettiva d’esame.

    L’appellante B. impugna per i seguenti motivi:

    Il B. chiede conclusivamente in via principale l’annullamento della sentenza, in via subordinata la sospensione del giudizio in attesa della definizione dei procedimenti penali; in via ulteriormente subordinata la disposizione di istruttoria in relazione agli altri responsabili e alla quantificazione del danno.

    L’appellante A. impugna per i seguenti motivi:

    Chiede conclusivamente l’A. l’assoluzione da ogni pretesa risarcitoria.

    Nelle conclusionali scritte, il Procuratore Generale confuta i motivi d’appello e chiede la conferma dell’impugnata sentenza, con condanna alle spese del doppio grado. La difesa del B. ha prodotto documentata memoria di replica.

    In apertura dell’udienza, l’avv. k ha comunicato che in sede di processo penale è imminente la chiusura delle indagini preliminari ed è prossima la fissazione dell’udienza; ha invocato pertanto la sospensione del giudizio contabile, che- anche se non obbligatoria- è opportuna, dato che in esso ci sono altri imputati oltre al suo difeso, e il danno eventuale andrebbe ripartito fra tutti; ha riaffermato il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti in ordine al suo difeso e ha ribadito le altre deduzioni esposte nell’atto d’appello. L’avv. x ha eccepito la tardività della citazione, avvenuta dopo che era scaduto l’apposito termine di 120 giorni di cui all’art.1, comma 3 bis, della legge 20.12.96 n. 639, il che inficerebbe l’azione del Procuratore regionale di inammissibilità rilevabile d’ufficio; ha lamentato la mancata istruttoria sugli altri responsabili del danno, ha asserito che la sospensione delle prove concorsuali ad opera del Sindaco integra una violazione degli artt. 22 e 31 dell’apposito regolamento comunale, che ha depositato; ha richiamato le altre deduzioni di cui all’atto di appello e alla successiva memoria scritta.

    Il rappresentante della Procura generale in udienza ha innanzitutto eccepito l’inammissibilità dell’eccezione di tardività dell’azione del Procuratore regionale, formulata solo in udienza e non rilevabile d’ufficio; ha confermato la giurisdizione della Corte dei Conti anche in ordine all’A., che era assessore al personale quando è stato bandito il concorso: ha rilevato che a tutt’oggi nessun giudice ha dichiarato l’illegittimità delle intercettazioni telefoniche e ambientali, la cui improponibilità in processo diverso da quello per cui furono autorizzate è dettata con riferimento all’ambito penale; ha evidenziato comunque che gli appellanti insistono a sollevare la questione della inutilizzabilità delle intercettazioni, ma non negano i fatti: il che è certamente un comportamento concludente da valutare a sensi dell’art. 116 c.p.c; ha ribadito infine le altre osservazioni contenute nelle conclusioni scritte.

    DIRITTO

    1.  
    2. Essendo gli appelli proposti avverso la stessa sentenza, i giudizi vanno riuniti a sensi dell’art. 335 del codice di procedura civile.
    3.  
    4. La Sezione affronta prioritariamente l’eccezione di giurisdizione avanzata dalla difesa degli appellanti. Per quanto concerne il B., l’eccezione è fondata sulla considerazione che nella specie egli non avrebbe violato uno specifico obbligo di servizio che era tenuto ad osservare in quanto pubblico dipendente, ma piuttosto il diritto alla par condicio di tutti i candidati, diritto che tutti sono tenuti a rispettare, indipendentemente dalla qualità di pubblici dipendenti; si tratterebbe, in altre parole, di una responsabiltà basata per tutti sulla violazione del principio del neminem laedere, tutelato dall’art. 2043 c.c.; come tale, essa ricadrebbe naturalmente nell’ambito di giurisdizione del giudice ordinario.
    5. L’eccezione è palesemente infondata, in quanto il B., proprio in quanto presidente della Commissione giudicatrice, aveva ricevuto dal Comune di R., del quale tra l’altro era dipendente, l’espresso compito di scegliere i candidati migliori e più preparati: assicurare questo risultato era quindi la finalità specifica del suo obbligo di servizio, sicchè l’avere tradito questo incarico integra - oltre che la generica violazione di un dovere di neminem laedere verso i candidati da lui sfavoriti – una puntuale violazione di un dovere specifico verso l’Amministrazione che gli aveva attribuito quell’incarico. Di questa violazione di obbligo di servizio è giudice naturale la Corte dei conti.

      Per quanto riguarda l’A., il difetto di giurisdizione della Corte dei conti è eccepito in relazione a due circostanze: a) più in generale, la asserita mancanza di un rapporto di servizio col Comune; b) particolarmente, nella vicenda di che trattasi, il non aver egli agito in espletamento di compiti d’ufficio, ma alla stregua di un qualunque soggetto interessato a favorire alcuni candidati.

      Ora, la prima circostanza non è veritiera, giacché – qualunque siano le recenti modificazioni del sistema di scelta degli assessori comunali, è certo che l’assessore, una volta nominato, diventa organo del Comune, ad esso legato da un rapporto di servizio (anche se non d’impiego). In quanto tale, egli è destinatario non solo dell’obbligo di fedeltà cui tutti i cittadini sono tenuti a mente del primo comma dell’art. 53 della Costituzione, ma nel particolare obbligo di cui al secondo comma dello stesso articolo, secondo cui "i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onere, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge". Nessuna rilevanza ha, al riguardo, la circostanza – enfatizzata dalla difesa dell’appellante- che gli assessori non siano tenuti al giuramento, in quanto la citata norma costituzionale impone a tutti i cittadini cui siano affidate funzioni pubbliche il dovere di adempierle con onore, pur lasciando al legislatore ordinario di stabilire i casi in cui si debba prestare giuramento. L’argomentazione, del resto, proverebbe davvero troppo: che solo chi presta giuramento avrebbe il dovere di servire con fedeltà e onere; mentre chi non presta giuramento potrebbe anche lecitamente prescinderne. In realtà l’A. – se sono veri i fatti per cui è stato condannato in primo grado- non solo è stato enormemente avvantaggiato nel compierli dalla sua posizione pregressa e attuale nell’amministrazione comunale (giacché continuava ad essere Assessore comunale, anche se non più al personale), ma è venuto meno, compiendoli, a uno specifico obbligo di fedeltà e onore cui era tenuto verso l’amministrazione di cui era organo proprio in forza del rapporto organico e di servizio. E tanto basta per incardinare, anche nei suoi confronti, la giurisdizione della Corte dei conti.

    6. Devesi, successivamente, esaminare l’eccezione di inammissibilità dell’azione di responsabilità, sollevata in udienza dalla difesa dell’appellante B. sulla base dell’art. 1, comma 3-bis, della legge 20 dicembre 1996, n. 639, secondo cui "il procuratore regionale emette l’atto di citazione in giudizio entro centoventi giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle deduzioni da parte del presunto responsabile del danno". Nella specie, il termine di trenta giorni fissato per la presentazione delle deduzioni con invito a dedurre, notificato il 2 aprile 1996, scadeva il 1 maggio successivo, e il termine di 120 giorni per la citazione scadeva nell’agosto 1996; l’atto di citazione fu notificato al B. il 3 marzo 1997.
    7. L’eccezione, in quanto non avanzata nella prima fase del giudizio, costituisce novum in appello, e non riferendosi a nullità rilevabile d’ufficio, posto che nessuna norma di legge dispone in tal senso, va dichiarata inammissibile (art. 345 c.p.c).
    8. La Sezione passa ad esaminare le domande, proposte da entrambi gli appellanti, di sospensione del giudizio d’appello in attesa della conclusione dei processi penali instaurati per gli stessi fatti, sia al fine di vagliare la legittimità delle intercettazioni telefoniche e ambientali poste a base della condanna contabile, sia per accertare l’esistenza di altri responsabili, anch’essi imputati nel processo penale, con conseguente necessità di una diversa ripartizione del danno eventuale. La chiesta sospensione, benché non obbligatoria a sensi dell’art. 3 c.p.p, sarebbe sommamente opportuna, posto che gli esiti dei procedimenti penali hanno rilevanza nel giudizio amministrativo-contabile. Il Procuratore generale si oppone alla sospensione del giudizio, rilevando che ogni questione di utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche e ambientali in procedimenti diversi da quelli per cui furono autorizzate concerne i diversi processi celebrati sempre in sede penale; rileva poi che le dette intercettazioni conservano tutto il loro valore di prova in quanto fatti esistenti sul piano naturalistico, tanto più che i fatti emersi dalle intercettazioni non sono stati negati dagli appellanti.
    9. Il problema dei rapporti fra il processo penale e il giudizio contabile si pone quando sia l’azione penale che quella di responsabilità amministrativa si fondano, sostanzialmente, sugli stessi fatti. In genere viene escluso che da questa situazione possano derivare conseguenze in termini di pregiudizialità, in virtù del principio della separatezza dei giudizi al quale si ispira il nuovo codice di procedura penale. Tuttavia, non è nemmeno accettabile la tesi di una totale indifferenza del giudizio penale nel giudizio contabile-amministrativo, giacchè, se così fosse, verrebbe disattesa l’esigenza che l’ordinamento abbia l’attitudine a dare risposte univoche in termini di certezza, ammettendosi che di un medesimo fatto naturale ordini giudiziari diversi possano accertare in maniera difforme la verità.

      Questa sezione, già altre volte (21 maggio 1996, n.23; 3 febbraio 1998, n.27; 23 settembre 1998, nn.196 e 197) ha preso posizione contro l’opinione che il legislatore, dettando l’asserito nuovo sistema della "separatezza" dei giudizi, avrebbe inteso privilegiare la rapidità dei singoli processi anche correndo il rischio della contraddittorietà dei giudicati: questo rischio l’ordinamento giuridico non può correrlo se non vuole smentirsi come ordinamento. La contraddittorietà dei giudicati, cioè la riaffermazione dell’incertezza dell’ordinamento da parte della giurisdizione, che dovrebbe garantire la certezza, equivarrebbe in realtà alla rinuncia dell’ordinamento ad essere e valere in quanto tale.

      Ciò non vuol dire che nella vita dell’ordinamento non possano verificarsi delle antinomie, ma che, quando esse si verifichino, l’ordinamento deve possedere al suo interno la potenzialità di risolverle. Un mezzo idoneo a tal fine è quello della sospensione di un giudizio nell’attesa che venga definito l’altro: sospensione che – quando trattisi di rapporti fra giudizio penale e giudizio civile o contabile- si riconnette a quanto disposto negli artt. 651 e 652 c.p.p. in tema di efficacia della sentenza penale nel giudizio civile o "amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno", il quale ultimo altro non è che il giudizio davanti alla Corte dei conti.

      La Sezione non ignora che la giurisprudenza contabile è divisa circa la possibilità della sospensione del giudizio di responsabilità amministrativa in pendenza di quello penale, sospensione che se talora è ritenuta necessaria (Sez. reg. siciliana 13 aprile 1992 n. 64/R) e talaltra facoltativa ( Sez. 2, ord. n. 20 del 20 aprile 1994, Sez. Molise 27 maggio 1997, n. 276), altre volte ancora è ritenuta del tutto inammissibile (Sez. 1, 27 Marzo 1991 n. 113; 15 aprile 1991 n. 138; 15 luglio 1991, n. 240; Sez. 3, 23 ottobre 1998, n. 272), essenzialmente perchè dal nuovo testo dell’art. 295 c.p.p., introdotto con l’art. 35 della legge 26 novembre 1990, n. 353, è stato espunto il riferimento all’art. 3 del vecchio codice di procedura penale. Ora, questo mancato riferimento è del tutto ovvio dato che l’art.3 predetto, che affermava il principio dell’assoluta pregiudizialità penale, non è più in vigore; ma l’art. 295 c.p.c. continua a prevedere la sospensione del processo ogni volta che debba essere risolta una controversia dalla cui definizione dipenda la decisione della causa. E’ insomma generalmente riconosciuto che, pur avendo il nuovo codice di procedura penale ripudiato il principio della sospensione necessaria, non ne consegue automaticamente l’antitetico principio della prosecuzione necessaria, per cui il giudice contabile può valutare, caso per caso, e disporre a suo insindacabile giudizio la sospensione o meno del giudizio amministrativo-contabile in presenza di un connesso procedimento penale, ogni qual volta ravvisi tra i due procedimenti un rapporto di pregiudizialità, o perché vi è identità dei fatti devoluti alla cognizione del giudice contabile e quelli in via di accertamento nel processo penale, o perché l’esito del giudizio penale sia determinante ai fini della decisione del giudice contabile, o perché i fatti da accertare nel giudizio penale costituiscano, in tutto o in parte, antecedenti logico-giuridici nel giudizio contabile.

      Nella specie, non v’è dubbio che se dal processo penale dovesse risultare la responsabilità di altre persone, oltre agli appellanti, ciò si ripercuoterebbe sulla quantificazione della parte di danno da porre eventualmente a carico degli stessi. Ma soprattutto occorre considerare che le sole prove su cui si basa la pretesa risarcitoria del Procuratore regionale attore sono le intercettazioni telefoniche e ambientali, i cui "risultati non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in fragranza" (art. 270 c.p.p.).

      Al riguardo non condivide questo Collegio l’avviso del Procuratore generale secondo cui questo divieto opererebbe solo fra procedimenti penali, giacché è da ritenere che, se il legislatore ha posto quel divieto in procedimenti penali –cioè in procedimenti nei quali si assumono violati valori tutelati con quella che è in assoluto la maggior forma di tutela (la sanzione penale) – a fortiori quel divieto dovrà valere nei procedimenti risarcitori, sia civili che contabili. Nè può aver pregio l’argomentazione della esistenza delle intercettazioni come fatto naturalistico, indipendentemente dal loro valore giuridico, in quanto ciò equivarrebbe a togliere ogni significato al divieto di utilizzazione in diversi procedimenti, che è imposto –non si dimentichi- a tutela del diritto alla riservatezza garantito dall’art. 15 della Costituzione. Questo diritto è considerato dal legislatore di tale rilievo, che la sua tutela prevale su quella di altri interessi tutelati penalmente, salvo che vengano in considerazione i delitti gravissimi per cui è obbligatorio l’arresto in flagranza. Al di fuori del processo penale nel quale sono state disposte, le intercettazioni sono dunque da considerare tamquam non essent.

      Come dire che la pretesa attorea è nel presente giudizio sprovvista di prove, a parte eventualmente quella di cui all’art. 116 c.p.p. fondata sul comportamento degli appellanti. Ove, però, il processo penale che vede gli appellanti in veste di imputati dovesse concludersi con l’accertamento delle loro responsabilità, la sentenza penale avrebbe valore di giudicato per quanto attiene ai fatti materiali, e l’accertamento di responsabilità operato dal giudice penale ben potrebbe essere posto a base della condanna contabile. La sospensione del presente giudizio appare dunque estremamente opportuna in attesa della definizione del giudizio penale, perchè da questa definizione dipende in larghissima misura la decisione della causa (art. 295 c.p.c.).

    10. La liquidazione delle spese va rinviata alla decisione definitiva.
  • PER QUESTI MOTIVI

    LA CORTE DEI CONTI

  • Seconda Sezione Giurisdizionale Centrale

    Visto il d.l. 15 novembre 1993, n. 453, convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19;

    Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20;

    Visto il d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito con modificazioni con la legge 20 Dicembre 1996, n. 639;

    Visti gli artt. 26 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, e 295 c.p.c.;

    Spese al definitivo

    Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 1 giugno 2000.

     

     

    Nota di commento

     

    La sentenza pronunciata dalla seconda Sezione giurisdizionale Centrale della Corte dei conti in data 1 giugno 2000 e depositata il 2 agosto 2000 ripropone la vexata e mai risolta questione riguardante i rapporti che legano il processo penale a quello contabile.

    Essa si inserisce in un sempre più deciso e cospicuo orientamento giurisprudenziale che si è fatto interprete dell’esigenza di rivalutare l’istituto della pregiudizialità del rito penale rispetto a quello amministrativo ed a quello civile, rendendolo di maggiore efficacia ed applicazione in concreto.

    L’abrogazione, ad opera del nuovo codice penale di rito del 1988, del dettato dell’art. 3 del c.p.p. previgente, che statuiva la necessaria pregiudizialità del processo penale qualora la cognizione del reato influisse sulla decisione della controversia civile, e la consequenziale modifica dell’art. 295 c.p.c. per opera della legge n.353 del 1990, sembravano imporre (ed ad oggi hanno purtroppo imposto) una nuova concezione nei rapporti fra giudizi di genere diverso.

    La ratio degli interventi legislativi, ad una prima restrittiva lettura ed interpretazione, si pone, infatti, nel senso della autonomia e della indipendenza reciproca fra i processi penale, civile e amministrativo, e di una patente ininfluenza della decisione penale.

    In tale direzione, del resto, si è reiteratamente pronunciata la giurisprudenza nella fase immediatamente successiva alla entrata in vigore del nuovo codice penale di rito 1).

    Sennonché, ad un esame più attento dello dato codicistico, si scoprono eccezioni e principi di segno opposto a quelli appena menzionati.

    L’art. 75 c.p.p., se da una parte introduce una radicale innovazione nei rapporti tra l’azione civile di danno e il processo penale, poiché consente al danneggiato di esperire un’autonoma azione in sede civile senza che il giudizio debba essere sospeso fino alla definizione del processo penale e senza che possa essere pregiudicato da un eventuale pronuncia penale assolutoria, prevede, d’altra parte al comma 3 quale ipotesi eccezionale, la sospensione del giudizio civile quando il danneggiato si sia già costituito parte civile oppure quando abbia proposto l’azione civile dopo la sentenza penale di primo grado 2).

    Per inciso, bisogna puntualizzare che, seppur non esplicitamente menzionato, l’art. 75 c.p.p. si riferisce indifferentemente all’azione risarcitoria del privato così come all’azione risarcitoria della pubblica amministrazione, per cui, le ipotesi di sospensione del giudizio di cui al comma 3 esplicano efficacia anche nel giudizio contabile 3).

    L’efficacia del giudicato penale negli altri giudizi, disciplinata agli artt. 651 ss. c.p.p., se appare sotto vari aspetti ridimensionata rispetto al passato (nel vecchio codice si parlava non a caso di autorità di cosa giudicata), continua sicuramente ad esercitare un certo peso a favore della pregiudizialità della definizione delle vertenze penali sui medesimi fatti.

    Infatti, se nelle ipotesi di prosecuzione autonoma del giudizio civile non è riconosciuta alcuna efficacia alla sentenza assolutoria, una simile correlazione non è contemplata dall’art. 651 per le sentenze di condanna, le quali pertanto, ove divengano irrevocabili prima della decisione civile, esplicheranno indiscriminatamente l’efficacia di giudicato ivi sancita 4).

    I fantasmi del codice Rocco riaffiorano all’art. 211 delle norme di coordinamento al codice del 1988, ove si parla di sospensione necessaria del processo civile o amministrativo quando il processo penale possa dar luogo ad una sentenza che abbia efficacia di giudicato ( sentenza irrevocabile di condanna o di assoluzione emessa in seguito a dibattimento o a giudizio abbreviato -artt. 651 e 652 c.p.p.-) e sia già stata esercitata l’azione penale.

    L’art. 211 è palesemente ispirato alla finalità di prevenire la contraddittorietà dei giudicati, finalità che deve comunque essere perseguita nell’intento di non svuotare della sua portata quello che era e rimane un principio cardine del nostro ordinamento 5).

    La norma de quo rimanda all’art. 295 c.p.c. che, pur non contenendo alcun riferimento all’espunto art. 3 c.p.p. previgente, ha mantenuto lo stesso titolo di rubrica "sospensione necessaria" ed è stato adattato per prevedere la pregiudizialità della definizione di una controversia penale quando da questa dipenda la decisione della causa civile.

    Che il dettato di tale articolo costituisca un quid pluris rispetto a quanto previsto dall’abolito art. 3 c.p.p., che prevedeva la necessità della sospensione tutte le volte che la cognizione del reato avesse influito sulla decisione della controversia civile, non è affatto desumibile dal semplice tenore letterale delle norme.

    Invero, anche la giurisprudenza, inizialmente abbacinata dal nuovo principio della separatezza e autonomia dei giudizi civile, amministrativo e penale, con il tempo, sta prendendo atto della illusorietà della riforma codicistica, avendo già intrapreso un lento cammino all’indietro.

    Sia la Cassazione civile che la Corte dei conti hanno cercato di stabilire, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 75 c.p.p., la soglia oltre la quale la sospensione diviene necessaria, indicandola di volta in volta nella pregiudizialità della questione, nella sua antecedenza logico-giuridica 6), nell’identità soggettiva 7).

    Parallelamente, la Corte dei conti si più volte pronunciata per la facoltatività della sospensione del processo amministrativo-contabile di risarcimento danni, sospensione disposta "quando esistano particolari necessità istruttorie" 8) oppure ove possa derivare un’indubbia utilità dall’individuazione dei fatti in sede penale 9). Nello stesso senso è intervenuta autorevolmente la Corte dei conti a sezioni riunite in data 15 febbraio 1999, n. 3/A.

    Da ultimo, non resta che concludere richiamando il recente intervento della sezione giurisdizionale centrale della Corte dei conti.

    Il Collegio, sempre riconoscendosi le prerogative di una valutazione sull’opportunità nonché sulla convenienza di una decisione sospensiva, ha esplicitamente affermato la pregiudizialità della definizione del fatto in sede penale qualora ricorrano determinate correlazioni fra i due giudizi.

    Secondo la Corte, il giudice contabile può valutare a suo insindacabile giudizio la necessità di una sospensione del giudizio amministrativo-contabile "ogni qual volta ravvisi tra i due procedimenti un rapporto di pregiudizialità, o perché vi è identità dei fatti devoluti alla cognizione del giudice contabile e quelli in via di accertamento nel processo penale, o perché l’esito del processo penale sia determinante ai fini della decisione del giudizio contabile, o perché i fatti da accertare nel giudizio contabile costituiscano, in tutto o in parte, antecedenti logico-giuridici nel giudizio contabile".

    Pur pronunciandosi, in conformità con le sezioni riunite, per la facoltatività del giudizio sospensivo, vista l’abrogazione dell’art. 3 c.p.p. previgente, la Corte non si è esentata dall’elencare dettagliatamente la tipologia delle possibili pregiudizialità penali.

    Entrando nel merito del giudizio de quo, la pregiudizialità penale scaturiva dalla necessità di vagliare gli stessi identici fatti, il cui unico mezzo di prova consisteva nelle intercettazioni telefoniche e ambientali disposte in sede di indagini preliminari dal pubblico ministero su autorizzazione del G.I.P.

    Anche su questo tema i giudici contabili hanno formulato un preciso, quanto importante principio giurisprudenziale.

    Va, infatti, ricordato che, l’art. 270 c.p.p. vieta l’utilizzazione dei risultati delle intercettazioni (sia ambientali che telefoniche) in procedimenti diversi da quelli nei quali esse sono state disposte; l’unica eccezione riguarda i procedimenti per quei delitti nei quali è obbligatorio l’arresto in flagranza.

    La necessità di salvaguardare quel fondamentale principio del processo penale che è la formazione della prova nel contraddittorio delle parti, impedisce di dare alla norma una interpretazione estensiva 10) ammettendo, quindi, l’utilizzabilità di detti mezzi di ricerca della prova entro limiti che appaiono invalicalicabili.

    Atteso il principio espresso, si deve, semmai, discutere della possibilità di poter fare ricorso processuale a tali fonti in un giudizio totalmente diverso per genere rispetto a quello penale.

    La Corte dei Conti, ricorrendo ad un chiaro richiamo alla Costituzione, il cui art. 15 sancisce l’indefettibile diritto alla riservatezza del cittadino, ne nega l’utilizzo in qualsiasi forma (anche volendo riconoscere alle intercettazioni un mero valore naturalistico).

    A questo punto, il processo contabile si trova sprovvisto di una qualsiasi prova atta a fondare l’accusa, per cui si rende necessaria la previa definizione dei fatti in sede penale, unico luogo deputato all’accertamento della prova della eventuale responsabilità dell’imputato, per il tramite delle intercettazioni, non prima del previo loro giudizio di legittimità.

    La delicatezza della questione concernente le fonti di prove ha, pertanto, risolto i giudici della Corte a pronunciare la sospensione addirittura in mancanza di una azione penale avviata.

    Ciò in apparente contrasto con il dettato dell’art. 211 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, che prevede come requisito indefettibile della sospensione necessaria l’avvenuto esercizio dell’azione penale oltre che alla possibilità di addivenire ad una sentenza con efficacia di giudicato nell’altro processo (artt. 651 ss. c.p.p.).

    In realtà, la Corte dei Conti si è venuta a pronunziare su una ipotesi di sospensione, che come dai giudici preventivamente chiarito, è stata ritenuta, peraltro, rientrante nell’ambito della facoltatività.

    E’, quindi, evidentemente che la sospensione facoltativa può essere disposta al di fuori dell’ambito prescritto dall’art. 211.

    Le ipotesi di sospensione necessaria del processo civile e amministrativo per pregiudizialità del processo penale, ben lungi dal limitarsi al ruolo eccezionale di cui all’art. 75 comma 3, occupano ancora un posto di tutta evidenza all’interno del nostro sistema processualistico.

    La giurisprudenza, pur negando la permanenza di ipotesi di sospensione necessaria, ne va progressivamente delineando i confini; a volte addirittura a contrario, come nella pronuncia di cui sopra, che prevede l’esercizio della sospensione facoltativa quando nel procedimento penale non sia stata ancora esercitata l’azione penale.

    Come, purtroppo, spesso avviene i giudici sono chiamati a colmare le lacune di un legislatore troppo distratto, nella sua ricostruzione casistica sia sotto il profilo processuale che sostanziale.

    Chiunque può notare agevolmente che sul piano codicistico e normativo non esista una espressa previsione che regoli in modo chiaro la sospensione facoltativa.

    Si tratta, quindi, more solito, di una lacuna, che ad oggi ha creato non pochi problemi, favorendo una interpretazione oltremodo restrittiva, tale da impedire che il giudizio contabile potesse alimentarsi in modo completo delle risultanze di quello penale, spesso e volentieri suo naturale presupposto di fatto e diritto.

    E’ ben vero che, fatta salva la previsione di cui al co. 2° dell’art. 75 cpp, una assoluzione in sede penalistica può attenere a fatti e circostanze che non escludono di per sé una diversa tipologia di responsabilità, ad esempio laddove si concluda il giudizio con la formula che il fatto non costituisce reato, o attraverso il ricorso al co. 2° dell’art. 530 cpp, e per tale ragione non risultare preclusiva dell’azione contabile.

    Ed è confermativo di quanto si va sostenendo il contenuto dell’art. 652 co. 1 e 2° cpp, che fa espresso riferimento alle formule, ritenute rilevanti ai fini che ci interessano, con le quali il giudice penale escluda la responsabilità dell’imputato rispetto al reato ascrittogli, e che richiama, a propria volta, l’art. 75.co. 2° cpp.

    De jure condendo, non resta che auspicare un celere intervento chiarificatore da parte del Legislatore che, se vuole mantenere in vita un’ampia tipologia di ipotesi sospensive necessitate, deve almeno provvedere a disciplinarle dettagliatamente nonché a differenziarle rispetto alle ipotesi di sospensione facoltativa.

     

    Note

    1) Tra tutte va ricordata la seguente massima: "E' da escludere la necessita' di sospendere il giudizio di responsabilita' amministrativo - contabile, fino alla conclusione in sede penale della vicenda , atteso che, nell'assetto normativo conseguente all'entrata in vigore (24 ottobre 1989) del nuovo c.p.p., basato sulla autonomia e separazione dei giudizi, non trovano applicazione nel giudizio di responsabilita' ne' la sospensione ex art. 75 comma 3 c.p.c. (da considerare rimedio eccezionale in due casi attinenti, peraltro, il processo civile) ne' alcuna ipotesi di sospensione, obbligatoria o facoltativa di cui all'art. 295 c.p.c." - C.Conti reg. Puglia sez. giurisd., 20 gennaio 1998, n. 2 Proc. reg. c. Buttiglione Riv. corte conti 1998, fasc. 1, 152 (s.m.)

    2) Ghiara, art. 75 c.p.p., in Commentario al nuovo Codice di Procedura Penale, M. Chiavario, pag 366 ss.

    3) Corte dei Conti sez. 2, 21 maggio 1996, n. 23/A

    4) Ghiara, art. 651 c.p.p., in Commentario al nuovo Codice di Procedura Penale, M. Chiavario, vol. pag. 442 ss.

    5) Cassazione civile sez. 1, 21 settembre 1998, n. 9440

    6) Cassazione civile sez. 1, 26 maggio 1999, n. 5083; Corte dei Conti reg. Umbria sez. giur., 13 marzo 1995, n. 77

    7) Cassazione civile sez. 1, 21 maggio 1999, n. 4952

    8) Corte dei conti reg. Molise sez. giur., 27 maggio 1997, n. 276

    9) Corte dei conti sez. 2, 20 Aprile 1994, ord. n. 20

    10) Cassazione penale sez. 3, 3 luglio 1991

     

    Avv. Carlo Alberto Zaina

    Dott. Marco Tonti

     

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