Commento alla sentenza n. 283/2000
della Corte Costituzionale

a cura dell'avv. Carlo Alberto Zaina del foro di Rimini

 

La sentenza della Corte Costituzionale n. 283 viene a cadere in un momento di apparente "normalizzazione garantista" del processo penale.

Certamente si inserisce, in modo autorevole, in quel sentiero legislativo e giurisprudenziale, che nell’ultimo anno ha, seppur con molte contraddizioni e modificazioni, portato ad una rivisitazione critica del processo penale,che dovrebbe divenire "il giusto processo".

Questa evoluzione ha, sino ad oggi, coinvolto principalmente la fase del dibattimento; si pensi solo al grande interesse che ha coinvolto l’art. 513 cpp, l’art. 210 cpp soprattutto per la loro relazione con il nuovo art. 11 della costituzione.

La fase delle indagini preliminari è, purtroppo, rimasta coinvolta in modo estremamente limitato; segno di un errore di prospettiva del legislatore.

La sentenza che si commenta, come si avrà modo di rilevare in seguito, trascende - per le tematiche che ne possono conseguire - il problema devoluto alla Corte, in senso stretto, e cioè la mancata previsione da parte dell’art. 37 cpp, di una ipotesi di ricusazione specifica.

Il reale thema che sottende al provvedimento in esame è quello del raggiungimento della massima imparzialità del giudice nel processo penale, quindi, in un qualunque fase, stato e grado del processo, anche prima del dibattimento.

Tensione, questa, fatta propria dai giudici costituzionali, che dimostra e conferma, quindi, che le lamentele che da più parti dell’avvocatura salivano (e venivano interpretate come gratuiti attacchi al potere giudiziario), avevano una loro concreta fondatezza e non erano espressioni di un interesse politico settoriale, connesso a schieramenti partitocratici.

Il principio sancito dalla Corte è inequivoco: viene riconosciuta come contraria all’art. 3 Costituzione, "l'ingiustificata e irragionevole disparità del trattamento riservato all'imputato nel caso in cui il giudice abbia legittimamente espresso il suo convincimento in un diverso procedimento - situazione in cui il diritto dell'imputato ad un giudice terzo e imparziale riceve tutela solo in quanto il giudice ritenga di astenersi - rispetto alle identiche situazioni di pregiudizio per il principio di imparzialità, previste dalla legge come casi di ricusazione, nelle ipotesi in cui il giudice abbia manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie ovvero abbia indebitamente manifestato il proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione nell'esercizio delle funzioni".

Or bene, senza dimenticare che il giudice delle leggi verifica, pure, un ulteriore profilo di contrasto con l’art. 24 Cost., pare a chi scrive che la questione sopra riportata sia quella di maggior rilievo.

Si deve, infatti, ribadire, immediatamente, come la necessità di una imparzialità non solo formale, ma concreta e tangibile, sia divenuta, ormai, non solo richiesta della parte privata (indagato, difensore o persona offesa), ma proprio elemento catalizzante l’essenza del processo penale.

Si va, quindi, a superare quello stato emergenziale, quantomeno in sede processualpenalistica, che ha connotato l’ultimo decennio, contraddistinto, sine dubio, da una rilevante omologazione di posizioni (e di interpretazioni) fra magistratura inquirente e requirente.

Come si è già sottolineato, la forza dirompente e propulsiva della pronunzia, va di gran lunga al di là dell’effetto caducante una norma, nella fattispecie l’art. 37 co. 1 cpp, che d’ora in poi prevederà una nuova ipotesi di ricusazione.

Il vero significato dell’intervento dei giudici costituzionali si può comprendere laddove il concetto di imparzialità, viene, una volta per tutte, ripreso e delineato come ben diverso da quello più angusto di incompatibilità di cui all’art. 34 cpp, in quanto di portata e riferimento più ampio di quest’ultimo.

E’, pertanto, indubbio che l’incompatibilità altro non che è una specie del più ampio concetto di imparzialità, all’interno del quale viene ricompresa.

Il sistema delle incompatibilità del giudice, venutosi ad evolvere negli anni ’90, attraverso una progressiva rifondazione, rilettura e riscrittura dell’art. 34, operata in modo sistematico, prima, dalla Corte Costituzionale e, successivamente, (con il solito ritardo) dal legislatore, soprattutto con il D.L.vo 19.2.1998 n. 51 e con la L. 22.7.1999 n. 234, ha sempre avuto riguardo esclusivamente al medesimo ambito processuale, cioè a dinamiche riguardante lo stesso processo o procedimento.

In pratica sono state mutate le regole di partecipazione del giudice allo stesso procedimento (o processo) penale, in virtù del compimento di determinati atti.

Nonostante tutto il complesso intervento modificatorio, sia giurisprudenziale, che legislativo, sin qui ricordato, il problema di giungere alla completa imparzialità del giudice, con riaffermazione della di lui terzietà, restava sostanzialmente insoluto, non prevedendosi, a livello codicistico, forme di incompatibilità diverse e più ampie rispetto a quelle previste dall’art. 34 cpp.

Or bene soprattutto l’ordinanza di remissione alla Corte Costituzione, emessa della Corte di Appello di Napoli, l’8.3.2000, focalizza il problema in esame, rilevando, nel caso di specie: "…inoltre che un giudice è stato ricusato anche per aver esercitato funzioni giudicanti in altro procedimento penale; in particolare per avere, nella sentenza conclusiva di tale procedimento, affermato la responsabilità dell'imputato per il reato di tentato omicidio aggravato dall'essere il fatto commesso al fine di agevolare un'associazione camorrista, accertando, sia pure incidentalmente e ai soli fini dell’aggravante contestata, l'esistenza della associazione criminosa oggetto di valutazione a carico del medesimo soggetto nel successivo giudizio penale."

La tematica riportata appare ancor più pregnante, sol che si pensi al fatto che i giudici emittenti manifestano fondata preoccupazione anche in relazione a :"..situazioni pregiudicanti riferite a rapporti processuali che non investono lo stesso procedimento"., così, focalizzato l’aspetto soggettivo del problema, e cioè la necessità che l’inquisito non venga sottoposto ad un giudizio che possa venir celebrato da un giudice, che già in passato abbia potuto esprimersi, non tanto o non solo in relazione alla colpevolezza od innocenza dell’interessato, quanto piuttosto abbia già manifestato valutazioni che possano risultare, comunque, condizionanti in successivi giudizi.

Si potrà discutere sulla necessità di una evoluzione che porti ad una sorta di tipizzazione indicativa di quelli che possano essere ritenuti "giudizi condizionanti", anche se come giustamente la Corte ricorda, in precedenza indicazioni di massima in tal senso sono state fatte.

Il quesito che ci si deve porre è quello di verificare il campo di applicazione dello strumento della ricusazione.

Ci si deve domandare, cioè, se l’istituto in parola, a questo punto, al di là della sua potenziale applicazione in modo costante, in qualsiasi stato e grado del procedimento penale, come appare, in effetti, da una lettura piuttosto ovvia della norma, possa venir trovare spazio anche nel caso in cui si il giudice si sia espresso in tema di misure cautelari, seppur in altro processo o procedimento.

Se è vero che il giudice delle leggi afferma che "…questa Corte ha già avuto occasione di affermare che il pregiudizio per l'imparzialità-neutralità del giudicante può verificarsi anche nei rapporti tra il procedimento penale e quello di prevenzione, sia quando la valutazione pregiudicante sia stata espressa nel primo in sede di accertamento dei gravi indizi di colpevolezza, quale condizione di applicabilità delle misure cautelari (sentenza n. 306 del 1997)", sorge il dubbio in ordine alla circostanza, che la condizione di pregiudizio, ricordata, possa nascere e venire ravvisata anche nella valutazione del rapporto che può intercorrere tra due procedimenti di cognizione penale, seppur diversi, aventi il medesimo inquisito (od i medesimi inquisiti), che siano assegnati, in epoche diverse, al medesimo giudice.

D’altronde, come si è detto, e non pare potervi esser dubbio, il presupposto dal quale muove la Corte, (al di là dell’istituto della ricusazione, che è mero casus belli - rectius strumento od occasione che dir si voglia - nel caso di specie), è quello della riaffermazione dei principi del giusto processo e della terzietà del giudice.

Appare, quindi, doveroso per l’esegeta porsi la questione relativa alla esatta determinazione della portata del principio in esame e la sua concreta applicazione a fattispecie tipiche.

Ci si deve, quindi, domandare, ad esempio, se un G.I.P. che abbia espresso, in un procedimento penale, valutazioni di sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, o di sussistenza di esigenze cautelari di natura soggettiva (la pericolosità recidivante di cui alla lett. c dell’art. 274 cpp) a fini di applicazione di misure cautelari, in capo un ad un soggetto, trovandosi in analoga situazione, concernente simile imputazione e medesimo indagato, possa esser ritenuto condizionato dal pregresso giudizio.

Ed ancora un giudice che abbia valutato in precedenza, pronunziando sentenza, un imputato, e abbia ovviamente motivato scelte operate a suo carico (es. la reiezione delle attenuanti generiche, valutando l’imputato negativamente sul piano personale e prognostico), trovandosi a giudicare lo stesso soggetto, per un fatto naturalisticamente e temporalmente diverso, ma identico per definizione giuridica della condotta, potrà essere tacciato ex lege di condizionamento, ed essere suscettibile di ricusazione, in assenza di astensione?

Questi sono probabilmente i casi più eclatanti, solo per citarne alcuni, che nella pratica quotidiana possono porsi e che allo stato devono ancora subire un vaglio giurisprudenziale.

Pur dovendo procrastinare alla fase della quotidiana pratica giudiziaria, talune risposte, certamente allo stato si può affermare che:

1) la Corte pur avendo ben presente che il dovere di imparzialità del giudice non si esaurisce e si riferisce alla sola fase del dibattimento, non ha forse valutato e potuto prevedere le ulteriori conseguenze che possono derivare e che deriveranno dall’applicazione dei principi stabiliti;

2) come si è, infatti, affermato, le indagini preliminari presentano numerose situazioni - quali quelle sopra descritte - che porteranno, nel solco del provvedimento sin qui esaminato, a dover valutare doglianze di parte che prospettino situazioni di assenza di imparzialità o di presenza di condizionamenti del giudice;

3) solo un intervento interpretativo della stessa Corte, od un provvedimento legislativo potranno chiarire la vicenda;

4) ci si scontrerà, inevitabilmente, laddove si ponesse la questione, con un problema pratico riguardante le carenze di organico della magistratura.

E’ chiaro, quindi, che nei termini della sentenza in esame pare che, in qualunque fase processuale, ivi comprese quelle indicate esemplificativamente, si debba preliminarmente porre il problema di quanto incida sulla decisione del giudice, l’aver precedentemente giudicato l’inquisito.

Questo aspetto, teoricamente, si può acuire laddove il giudice, abbia svolto in altri processi anche altre funzioni, pensiamo ad un G.U.P. che sia stato P.M., in precedenza, e si trovi a giudicare imputati, dei quali in altri procedimenti abbia chiesto cattura, rinvio a giudizio o condanna, esprimendo valutazioni su condotte e su aspetti della personalità degli stessi.

Se è vero che l’art. 36 lett. h) cpp prevede, come causa di astensione, l’indeterminata categoria delle gravi ragioni di convenienza, tale previsione pecca, nel caso che ci occupa. di assoluta genericità.

Essa non trova, altresì, riscontro nel successivo art. 37 cpp.

Chi mai ammetterà, salvo rare eccezioni, di affrontare in modo del tutto asettico e scevro dal minimo pregiudizio, il compito di rigiudicare a qualsiasi titolo una persona già oggetto di giudizio in altro (e magari simile) pregresso processo?

Non può non rilevarsi che, comunque, la sentenza che si richiama è ulteriore dimostrazione della scarsa previdenza e lungimiranza del legislatore, che pare, nelle proprie scelte, chiuso in una torre d’avorio, priva di contatti con la "misera" realtà giudiziaria di tutti i giorni.

Siffatto rischio, che è sotto gli occhi di tutti, inutile nasconderselo, è quello che una rigorosa e corretta applicazione del meccanismo dell’astensione o della ricusazione, porti a dover fronteggiare improvvisamente un serie di problemi pratici, già manifestatisi, in relazione all’art. 34 cpp.

Vi è da porre sul piatto della bilancia la conseguenza, esclusivamente morale, sarebbe quella di permettere di dare voce a quei giustizialisti che hanno sempre osteggiato una evoluzione intelligente del processo penale.

Non vi è dubbio che ci possa essere chi, in tale situazione, evocherebbe in maniera strumentale una possibile paralisi della giustizia, che porti, poi, a valutare negativamente e disattendere, in concreto, le timide crepe garantistiche che si sono aperte nell’ordinamento processualpenalistico.

E’ fuor di dubbio che la necessità di riaffermare la terzietà ed imparzialità del giudice, non possa, peraltro, prescindere, da interventi più complessivi, qualunque sia il prezzo da pagare e che essa non possa trovare suo fondamento solo in situazioni che hanno il carattere della specificità e casualità.

Lo strumento della ricusazione in ordinamento processuale, deve essere un istituto di carattere eccezionale; ciò postula che, senza cadere in pedantezze sistematiche, si debba prevedere una serie di meccanismi di garanzia, per ovviare alle situazioni esaminate.

Questo intervento, chiunque, lo intenda portare avanti non è comunque procrastinabile; siamo già in ritardo ed il nostro codice di rito è ormai molto simile al gruviera.

 

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