TRIBUNALE CIVILE DI TERNI

OGGETTO: domanda di risarcimento di danni.

CONCLUSIONI: come a verbale del 23 Marzo del 2004.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione per l’udienza del 10 Gennaio del 2001 Marisa Belli esponeva:

1]che il 3.2.1999 alle ore 20.15 circa si trovava a bordo di un’autovettura condotta dalla proprietaria Fabrizia Caterini ed assicurata con la Lavoro e Sicurtà S.p.A.;

2]che mentre percorreva la strada statale Flaminia con direzione Terni-Narni, in prossimità del kilometro 89+300, aveva trovato la carreggiata occupata da un autocarro condotto dalla proprietaria Piera Pallozzi ed assicurata con la Levante Norditalia S.p.A.;

3]che aveva inutilmente tentato di evitare l’impatto, ma che, da dietro, era stata investita da un’altra automobile condotta dalla proprietaria Catia Isidori, assicurata con la R.A.S. Assicurazioni S.p.A., che l’aveva spinta contro l’autocarro;

4]che era rimasta incastrata nelle lamiere vario tempo e quindi sottoposta a due interventi chirurgici, con una degenza ospedaliera protrattasi sino al 6.3.1999;

5]che aveva iniziato a soffrire di osteoporosi con conseguenti trattamenti farmacologici;

6]che era stata sottoposta ad un terzo intervento chirurgico ma che era rimasta irrimediabilmente lesa agli arti superiore ed inferiore destro, impedita nei movimenti e costretta a deambulare con bastoni canadesi e a ricevere, per le necessità quotidiane della propria persona, assistenza domiciliare;

7]che aveva dovuto lasciare le proprie attività di Presidente del Circolo Bridge di Terni e docente della Università della Terza Età, per i continui spostamenti che erano a quei fini necessari.

E, premesso che aveva subito un danno fisico, morale e alla propria vita di relazione, ne domandava l’integrale risarcimento per un totale indicato in lire 895.000.000 detratto l’acconto della R.A.S. di lire 25.000.000.

Si costituivano in giudizio Catia Isidori e la R.A.S. Assicurazioni S.p.A., anche quale successore della Lavoro e Sicurtà, controdeducendo:

1]che l’unica responsabile dell’occorso era Piera Pallozzi che stava tentando, in ora notturna, di effettuare una manovra di retromarcia per poi immettersi nuovamente nella circolazione senza dare la precedenza;

2]che il mezzo della Pallozzi era provi di luci e segnalazioni e che, per ciò, era stato impossibile per la Isidori, nonostante la frenata, evitare l’impatto con il mezzo della Fabrizi che lo precedeva;

3]che non vi era pertanto alcun nesso causale che poteva imputarsi al mezzo della Isidori;

4]che il quantum richiesto era esagerato perché contenente duplicazioni risarcitorie.

Ciò posto, domandavano il rigetto della pretesa.

Si costituivano in giudizio la Levante Norditalia Assicurazioni S.p.A., e Piera Pallozzi controdeducendo:

1]che la Pallozzi era ferma sul bordo destro della carreggiata, in un’area laterale posta al di fuori della strada percorribile, determinata da una via privata, in attesa di immettersi nel flusso della circolazione;

2]che il mezzo della Fabrizi era andato a collidere con il suo e, contestualmente, il mezzo della Isidori aveva tamponato quello della prima;

3]che l’auto della Fabrizi aveva ruotato su sé stessa di 180 gradi, mentre quello della Isidori si era arrestato dieci metri più oltre;

4]che, evidentemente, la velocità di quei mezzi non era commisurata ai luoghi e al tempo;

5]che il quantum preteso era sproporzionato.

Ciò posto, domandavano il rigetto della domanda e in subordine la liquidazione in proporzione delle colpe.

Nessuno si costituiva in giudizio per Caterina Fabrizi che era dunque dichiarata contumace.

L’istruttoria era documentale, orale e peritale.

La causa, sulla scorta delle conclusioni precisate, era trattenuta in decisione all’esito del richiesto, disposto, atteso ed effettuato scambio delle memorie finali.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.La domanda attorea è fondata e va accolta per quanto di ragione.

2.In rito, si ribadisce che non era necessaria alcuna notifica ex art.292, c.p.c., alla Fabrizi, poiché verso la stessa non vi è domanda, tale non essendo, logicamente, la richiesta di accertare la misura della colpa, operata dalla Levante e dalla Pallozzi, ai soli fini di vedersi condannate, in tesi, nei limiti del giusto.

Ancora in rito, sono documentate le raccomandate ex art.22 della legge n.990 del 1969 (docc.10 dell’attrice).

3.Nel merito vale quanto segue.

3.1.Sull’an.

Nulla di diverso dalle proprie posizioni è emerso dagli interrogatori formali delle tre conducenti coinvolte (udienze del 9.3.2001, 12.10.2001, 5.2.2002).

Dall’esame del rapporto dei Carabinieri intervenuti (doc.1 della attrice) e da quello dei danni effettuato dal Consulente tecnico incaricato dall’Ufficio (relazione depositata il 21.10.2003), nonché dalla deposizione dell’appuntato dell’Arma Gianni Lattanzi (udienza del 12.10.2001) e da quella della trasportata risarcita Adele Moretti (udienza del 5.2.2002), emerge che il furgone della Pallozzi aveva fatto retromarcia nella strada laterale presente su quel tratto della Flaminia (come confermato soprattutto dalle tracce rinvenute sull’erba dalla polizia giudiziaria), e stava per immettersi nel flusso della circolazione, senza che i suoi fari risultassero agevolmente visibili attesa la sua posizione trasversale (come suggerisce di ragionare il tecnico, a pag.7) ove accesi (come nega la teste Moretti, che si è detta, si ripete, trasportata, incidentata e risarcita, ma di cui va valutato con prudenza il rigore della memoria dato il coinvolgimento nel brusco e violento sinistro).

Di certo il mezzo stava invertendo la marcia senza, alla reimmissione, dare la precedenza dovuta alle macchine circolanti. Il tutto di notte, in una strada a doppio senso di marcia e priva di illuminazione pubblica (rapporto dei CC e relazione del C.T.U., pag.4).

Non sono emerse tracce di frenata dei mezzi della Fabrizi e della Isidori (teste Lattanzi, rapporto dei CC e relazione della C.T.U. dinamica a pag.7).

Il fatto che con i proiettori anabbaglianti la visibilità, ad una velocità nei limiti vigenti a 60km/h, fosse di 16ml (pag.8 della C.T.U. menzionata, sul punto incontestata), non toglie che:

1]non è stato provato il rispetto del limite di velocità da parte della Isidori e della Fabrizi;

2]non è stato né dedotto né provato l’uso dei proiettori abbaglianti che, nelle strade prive di illuminazione come quella in oggetto, sono doverosi per generale regola di prudenza e agli specifici sensi di cui all’art.153 del codice stradale.

L’entità dei danni alle cose (segnalata in tal senso dal C.T.U.), l’assenza di tracce di frenata, e la rotazione e protrazione della corsa dei mezzi (rispettivamente) della Fabrizi e della Isidori (ricostruite dal C.T.U. e, a ben vedere, pacifiche), sono indici di una condotta di queste ultime, per velocità e controllo delle condizioni stradali, non immuni da colpe.

Infine, la carenza di prova in ordine all’aver fatto tutto il possibile per evitare o ridurre il danno ai sensi della generale presunzione di cui all’art.2054, c.c. (cfr., ad esempio, Cass., n.3667 del 1981, Cass., n.6797 del 1987, Cass., n.1384 del 1997, Cass., n.12692 del 1998, Cass., n.5671 del 2000, Cass., n.15847 del 2000, Cass., n.4639 del 2002, e così via), inducono ad assegnare un pari concorso di colpa alla Fabrizi ed alla Isidori, di un 15% per ciascuna, con il residuo 70% a carico della Pallozzi.

È condivisibile – stante l’assenza di limitazioni legali espresse e di deroghe in tal senso all’art.18 della legge n.990 del 1969 – l’orientamento di legittimità, che si è di recente stabilizzato, secondo il quale la presunzione contenuta nell’art.2054 del codice civile è invocabile anche dal trasportato (cfr., sin  da Cass., n.10629 del 1998, e poi, ad esempio, Cass., n.681 del 2000, Cass., n.4022 del 2001).

Venendo alle voci di risarcimento, nella citazione, non emendata ex art.183, comma 5°, c.p.c., l’attrice ha domandato il danno patrimoniale per gli esborsi conseguenti l’illecito, ed inerenti la conduzione domestica e l’acquisito di presidi e prestazioni mediche, il danno biologico, morale e alla vita di relazione.

Come anticipato con l’ordinanza ammissiva delle prove del 5.6.2001, le spese per l’installazione dell’ascensore non sono state oggetto di tempestiva domanda e non sono pertanto delibabili per diversità di petitum.

In conclusioni la difesa della Belli, nel quadro del tema da decidere cristallizzato, ribadisce l’istanza, in particolare, nell’ambito patrimoniale per il danno da amministrazione ed assistenza domiciliare, e, nell’ambito non patrimoniale, per il danno cosiddetto esistenziale: il primo, ritenuto provato per il valore delle prestazioni che la stessa è stata ed è fisicamente impedita a svolgere e quindi costretta a pagare perché siano effettuate da terzi, nonché per l’aiuto materiale ad attendere alle sue ordinarie occupazioni personali; il secondo, da commisurare alla perdita delle attività realizzatrici della persona prima svolte, ed in specie quale giocatrice di bridge e Presidente dell’Associazione della città e, inoltre, quale docente, della medesima disciplina, della Università della Terza Età, e tenendo conto, anche al riguardo, della perdita della sua autonomia quotidiana.

Quanto al primo è stata fornita la prova del maggior esborso attraverso i costi per la collaboratrice familiare, con la deposizione e la dichiarazione scritta di Maria Lucarelli (udienza del 4.6.2002 e doc.1 memoria ex art.184, c.p.c., incontestato) (Cass., n.10923 del 1997).

Sono stati quindi forniti al giudice gli elementi utili per rendere la determinazione giudiziale, di natura presuntiva, non sostitutiva degli oneri di parte e, cioè, non arbitraria (cfr., di recente, i principi di Cass., n.17429 del 2003). E questo giudice, sulla base probatoria offerta, ha accertato, a mezzo di Consulenza officiosa (relazione integrativa del medico-legale depositata il 27.1.2003), la necessità anche futura della spesa assistenziale in esame (per la cui quantificazione complessiva si rimanda al paragrafo 3.2.)

Quanto al danno esistenziale deve osservarsi che questa terminologia, significativamente, non era stata utilizzata in citazione, quando la parte si era riferita agli stessi, concreti profili di pregiudizio, qualificati come danno alla vita di relazione.

È noto che la più recente espressione nomofilattica ha rapidamente consolidato una rilettura del sistema della responsabilità aquiliana nel senso di una bipolarità tra danno patrimoniale e non, inserendo quest’ultimo nell’art.2059, c.c., a sua volta liberato dalle forche caudine della riserva di legge in senso stretto, e costituzionalmente ristrutturato con la sua estensione ad ogni ipotesi di lesione di situazioni giuridiche soggettive il cui rango sia rinvenibile nei principi fondamentali versati nella Carta su cui regge l’ordinamento statale, a cominciare da quella del diritto alla salute (Cass. civ., sez.3, 31.5.2003, n.8827, Pres. Carbone, Rel. Amatucci, e Cass., 31.5.2003, n.8828, Pres. Carbone, Relatore Preden, ratificate da Corte Cost. n.233 del 2003, la quale, sola, parla di “danno esistenziale”, recependo, con minori preoccupazioni, la terminologia di una nota dottrina e di una sempre più ampia giurisprudenza di merito, quale proprio quella impugnata con i ricorsi che hanno innescato le pronunce gemelle della Corte romana).

Questa riorganizzazione del sistema della responsabilità civile – letto dagli analisti economici del diritto come criterio di redistribuzione del rischio sociale, sia per la ripartizione degli oneri soggettivi, sia per l’applicazione dell’istituto assicurativo che comporta e promuove –, è stata criticata, e da coloro che sostengono l’affermazione della figura del danno esistenziale da perdita dei facere qualificanti la persona, e da coloro che lo osteggiano come “diritto alla felicità” non previsto nell’ordinamento italiano: i primi segnalano che si tratta semplicemente di tradurre il principio della monetizzazione dei danni non direttamente patrimoniali in conseguenze non sfuggenti ma coerenti con l’organica unitarietà del danno alla persona, e i secondi replicano che non si tratta di diverse voci di danno ma di nuove e non codificate forme di illecito, e che la ricerca della felicità se è inalienabile non vuol dire che sia un diritto, spettando all’individuo provvedervi e alle norme civili il compito di non mortificarne l’aspirazione, pena, nella confusione, lo “psicodramma” dei giuristi posti di fronte ad un tema per il quale non disporrebbero di strumenti appropriati.

Partendo proprio dalla fattispecie che occupa l’odierna decisione, non sembra inutile ricordare come il danno alla vita di relazione è stato dalla stessa, precedente Corte di Cassazione, valutato come un aspetto del danno biologico, quando si riteneva questo risarcibile non ex art.2059, c.c., e 32 Cost., ma ex art.2043, c.c, e 32 Cost. (Cass., n.7101 del 1990, come, di recente, Cass., n.3266 del 2003). Senza che si paventassero pericoli di sorta, se non quello della duplicazione di risarcimenti attraverso voci sovrapponibili.

Già questo rende ragione di come possa invece sostenersi che la clausola aperta data dalla responsabilità aquiliana non abbia bisogno di ulteriori tipizzazioni che anche l’ipertrofia normativa dei paesi di civil law non ha pensato di raggiungere.

Mettere a punto sistemi di più precisa liquidazione del danno alla persona, apprezzando giuridicamente tutte le sue componenti, non significa imporre nuove fattispecie di illecito né voler surrogare, com’è stato detto, l’essere del soggetto con il denaro, ma, cercando di risolvere più che di evitare la complessità, ricondurre ad un’articolata unità i profili di danno, in maniera da comporre la loro rifusione in modo bilanciato, così da consentirne la verifica logica invece che la sotterranea liquidazione attraverso insondabili maggiorazioni delle voci tradizionali in cui quelli si sono assestati e, infine, nascosti.

Nel caso di specie, è evidente che il danno esistenziale, da perdita di attività realizzatrici della persona, non è altro che la qualificazione di quello che con l’atto introduttivo la Belli indicava come alla sua vita di relazione, il quale, a sua volta, non può essere confuso con quello alla integrità biofisica, non perché il primo non sia giuridico, come mai è stato messo in dubbio, ma per il semplice motivo che sono conseguenze diverse.

Nell’ottica del precedente n.8828 del 2003, il filtro che presidia la soglia di rilevanza del risarcibile, è costituito dal vaglio di attribuzione del rango costituzionale al profilo non patrimoniale allegato e provato, che svincola l’art.2059, c.c., dall’art.185, c.p., ed evita, a ben vedere, la necessità di affermare il peraltro condivisibile principio secondo cui la presunzione di colpa versata nell’art.2054, c.c., è applicabile anche quando, nella sede civile retta dalle sue proprie regole, si valuti sussistente un’ipotesi “astratta” di reato (come dice l’arresto costituzionale n.233 del 2003), al fine di individuare la previsione di legge che legittima il risarcimento del pregiudizio arrecato al patrimonio morale. (Cass, n.7281 del 2003 e Cass., n.7282 del 2003).

Nulla quaestio sul danno alla salute a mente dell’art.32 della Costituzione.

Ma la Belli ha inoltre provato di aver prima praticato e poi dovuto smettere, a causa dell’incidente (com’è confermato dalle risultanze della perizia medico-legale), la sua attività di Presidente dell’Associazione Bridge cittadina, e così pure la sua partecipazione al gare nazionali e la sua attività di docente di Bridge nella Università della Terza Età, oltre che rifiutare la Presidenza del Consiglio Regionale della Federazione Bridge aderente al CONI (testimoni Adele Moretti, Maria Tani, Fernando Martinelli, udienza del 5.2.2002, Patrizio Di Patrizi, udienza del 4.6.2002).

Si ritiene che le attività descritte siano tra quelle che esprimono la partecipazione dell’individuo alle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità, attenendo la prima ad una disciplina sportiva e la seconda ad un lavoro – al di là della sua eventuale retribuzione di cui in causa non si è discusso –, ed entrambe alla partecipazione ad attività associative culturali.

Sono pertanto concretizzazioni dei diritti della personalità, alla cui tipizzazione sociale prima che normativa è aperto l’art.2 della Costituzione, oltre che espressioni, nel secondo caso, dell’esercizio del diritto al lavoro tutelato dall’art.4 della Costituzione, comma 1°.

La conclusione sollecita l’analisi di coloro che hanno sottolineato come, per salvare dalla censura di incostituzionalità l’art.2059, c.c., si è svuotato di senso il rapporto di eccezione alla regola stabilito dall’articolo per il danno non patrimoniale. Alcuni per sostenere, in ottica aperta alla nuova frontiera di risarcimenti proposta, l’erroneità del salvataggio; altri, in opposta prospettiva, per argomentare il pericolo di indeterminata propagazione del danno risarcibile che esso ha determinato.

Ma l’osservazione, almeno allo stato della riflessione, in ambo i sensi vuol provare troppo, posto che l’ortopedia ermeneutica in esame risponde con gradualità ad un’evoluzione storica nell’interpretazione della responsabilità civile (si pensi alla tutela aquiliana del credito o alla risarcibilità delle situazioni giuridiche di fatto o degli interessi legittimi), che, a sua volta, esprime la consapevolezza culturale del più alto stadio di protezione giuridica accordabile alla persona, e, in ultima analisi, la volontà di una più estesa redistribuzione dei costi dati dalle effettive diminuzioni cagionate dalle lesioni, anche, cioè, determinando l’incremento dei prezzi assicurativi preventivabile con la maggior esposizione dei garanti in relazione ai medesimi fatti coperti dai contratti.

Più semplicemente, si è di fronte alla presa d’atto, giustificata dalla dinamica storica degli assetti economici complessivamente emergente, che i benefici della lettura restrittiva del danno risarcibile, in termini di capacità sociale di sostenerne il peso, sono stati superati dai costi implicati dalla sua mancata compensazione (per usare la terminologica giuridica anglosassone).

L’esame storico esemplificato dall’arresto 8828/03 dimostra che sia il legislatore sia la giurisprudenza hanno rotto sempre più consapevolmente quel rapporto di regola ed eccezione, confermando la ricostruzione appena esposta (dal danno per la privazione della libertà personale ex legge n.117 del 1988, al danno da illecito trattamento dei dati personali ex legge n.675 del 1996, al danno da irragionevole durata dei processi ex legge n.89 del 2001, per fare degli esempi; e nell’esperienza giudiziale, dal danno alla salute avviato da Corte Cost. n.184 del 1986, al danno da impossibilità di avere rapporti sessuali in sé considerato da Cass., n.6607 del 1986, a quello del coniuge e dei figli dell’infortunato per i diritti riflessi di cui sono portatori ex artt.143 e 147, c.c., di cui parla Cass., n.8305 del 1996).

Se, allora, si tratta di allontanarsi dalla volontà legislativa sottesa all’originaria formulazione dell’art.2059, c.c., in un sistema che mantiene l’esigenza formale di bilanciare la creatività del giudice con la sua funzione di bocca della legge, e che non può dichiarare di affidarsi allo stare decisis, è sistematicamente corretto proporre la cornice costituzionale quale criterio selettivo dei nuovi confini della responsabilità e dei suoi costi.

È vero che collegare l’art.2059, c.c., alla clausola dell’art.2 della Carta, intesa come direttamente ed autonomamente precettiva in proposito, significa sfumare molto questi confini. E prova ne sia che le decisioni di revirement hanno sentito la pressoché istintiva necessità di affermare, per il danno esistenziale da perdita della relazione parentale, che le norme di riferimento non sono solo gli artt.29 e 30, ma anche l’art.2, e viceversa.

Ma è anche vero che il richiamo alla osmosi gerarchica tra letture casistiche e valori di base fatti propri dalla norma giuridica fondamentale, costituisce una linea guida irrinunciabile, tanto più dal giudice nomofilattico.

Non sarà risarcibile l’irascibilità o più in generale il disagio, anche diffuso, cagionato da un illecito (contra, Trib. di Milano, 30.9.2003, n.13355, che, richiamando la medesima giurisprudenza cassazionale, riconosce il danno non patrimoniale alla vita di relazione subito dai proprietari di un appartamento danneggiato da infiltrazioni, sino alla riparazione, per l’aver vissuto nell’immobile rovinato e non aver potuto usufruire della propria abitazione: altro è il danno patrimoniale alla cosa e, in questa ottica, la tutela costituzionale della proprietà, altro il danno alla persona anche se determinato per il tramite di quella).

Ma lo sarà la impossibilità o la concreta lesione della propria esplicazione nell’esercizio del diritto a partecipare compiutamente alla vita sportiva e culturale così come nell’attuazione del diritto a vedersi realizzati lavorando, non ipotetici ma specificamente allegati e provati.

Nel nostro caso, non è risarcibile, e non se n’è tenuto conto nella liquidazione, un autonomo danno da “perdita dell’autonomia e dell’equilibrio esistenziali quotidiani” della Belli, riconducibile solo, in ambito non patrimoniale, al pregiudizio alla salute, mentre è risarcibile, ed è stato per ciò liquidato, quello appena discusso positivamente.

3.2.Sul quantum.

Si va ad esporre il percorso logico argomentativo che ha indotto chi scrive a determinare la somma, necessariamente equitativa, riportata in dispositivo (cfr., da ultimo, Cass., n.3399 del 2004).

Il danno biologico è stato congruamente e motivatamente accertato dal Consulente medico (docc.2-8 dell’attrice e relazione depositata il 31.1.2002) nel 45% di danno permanente, 150 giorni di invalidità temporanea assoluta e 90 giorni di relativa al 50%.

Si applicano, come da recenti precedenti dell’Ufficio, le tabelle del Tribunale di Roma, non risultando adeguato aggiornamento di quelle perugine e per contiguità geografica (maggiore rispetto a quelle, molto diffuse, relative all’area milanese), da ritenere, in generale, adeguato parametro per la liquidazione del danno alla salute, sia perché tengono conto dei precedenti giudiziari, sia perché combinano, con gradualità, i criteri dell’età del soggetto e dell’entità della lesione.

Il tutto tenendo conto che non esiste una normativa nazionale di riferimento, non essendo applicabili quelle di cui al d.lgs.n.38 del 2000 e alla legge n.57 del 2001.

Ne consegue che questo danno (alla integrità biofisica), valutata l’età del soggetto al momento dell’incidente, ed espresso il risultato in moneta attuale (Giuda al diritto, Giugno 2004), è di:

1]€89.820,00 per il danno permanente;

2]€5.850,00 per l’invalidità temporanea assoluta (€39,00 per giorno);

3]€1.755,00 per l’invalidità temporanea relativa (€19,50 per giorno).

Per totali €97.425,00.

Tenuto conto di tutti gli aspetti del caso concreto e alla luce dei precedenti dell’Ufficio e tabellari del Tribunale di Roma, il danno morale da dolore può essere – sempre equitativamente – liquidato nella misura di poco meno che la metà rispetto a quello alla salute: in €40.000,00.

Il danno esistenziale sopra individuato va bilanciato nel senso di non rapportarlo in alcun modo alla momentanea sofferenza psichica (danno morale soggettivo), ma di ragguagliarlo alla oggettiva perdita di realizzazione che il danneggiato subisce per non poter più sviluppare la sua persona nei rilevanti modi resi impossibili dalla lesione maturata sulla sua  integrità biopsichica.

Questo pregiudizio può essere liquidato, tenuto conto di tutti gli aspetti specifici e della distinzione con le altre voci prese in considerazione, in circa un quarto del danno biologico, con €25.000,00, in moneta odierna volta a tradurre la concretizzazione temporalmente dinamica del pregiudizio.

Trattandosi, per quanto appena ribadito, di profili distinti, essi sono cumulabili, come, va rammentato, recentemente il giudice di legittimità è tornato a ripetere (Cass., n.12124 del 2003, e Cass., n.16946 del 2003).

Ad oggi il totale è di €162.425,00.

Deve poi liquidarsi il danno da ritardata percezione di questa somma, essendo la mora aquiliana di natura reale ex art.1219, n.1, c.c., tenuto conto che anche il danno esistenziale, seppure in itinere, si materializza sin dal primo momento in cui il fatto ha inibito il facere, per cui la liquidazione ad oggi non comprende il lucro dismesso su di essa.

Questo danno si aggiunge alle somme tempo per tempo rivalutate, previa devalutazione delle stesse al momento del fatto, altrimenti assegnandosi al creditore un maggior valore che, logicamente, non avrebbe potuto conseguire (Cass., S.U. n.1712 del 1995).

Utilizzando gli indici I.S.T.A.T. – il cui paniere è un completo ed oggettivo strumento per misurare il mutamento del potere di acquisto della moneta, vale a dire del suo effettivo valore – si ottiene l’importo di €142.791,20 (indice 1,1375 di Giugno 2004, reperibile all’indirizzo pubblico di rete internet dell’Istituto).

La media delle somme mano a mano rivalutate è per ciò di €152.608,10, arrotondabile equitativamente in €153.000,00.

Il criterio di liquidazione del lucro cessante adottato da questo giudice è una media ponderata tra i tassi di interesse legale vigenti nei periodi interessati (art.1285, c.c.: 2,% nel 1999-2000, 3,5 nel 2001, 3 nel 2002-2003, 2,5 nel primo semestre del 2004 considerato) e quelli dei Buoni Ordinari del Tesoro (reperibili anch’essi all’indirizzo di rete internet della Banca d’Italia: 3,12 medio annuale nel 1999, 4,67 nel 2000, 4 nel 2001, 3,36 nel 2002, 2,21 nel 2003, 2,11 nel primo semestre 2004): il tasso risultante è di 3,12% annuale e quindi 0.26% mensile che, per 5 anni e 5 mesi (da Febbraio 1999 a Giugno 2004) producono una maggior somma di €25.587,00.

Gli addendi sintetizzano €188.282,00, arrotondate equitativamente all’attualità in €190.000,00.

Le spese mediche sono state documentate per circa €21.000,00, ma sono state ritenute necessarie dal C.T.U. medico legale per circa €11.400,00.

Non è stata contestata la valutazione del C.T.U., ribadendosi in discussione solamente che si è trattato di spese sono riferibili alle conseguenze del sinistro.

È vero che il danneggiato ha diritto di scegliere strutture e modalità di sua fiducia e che le conseguenti spese debbono essere rimborsate ove in nesso causale con il fatto illecito (Cass., n.16073 del 2002, in un caso in cui si è escluso, in questo senso, l’obbligo di avvalersi del servizio sanitario nazionale), ma è anche vero che, dovendosi affermare il principio generale che sono risarcibili solo le spese necessarie e non quelle attinenti ma evitabili (arg. ex art.1227, comma 2°, c.c., richiamato dall’art.2056, comma 1°, c.c.), non sarà da rifondere la misura superflua degli esborsi provati.

Con aggiornamento equitativo all’attualità dei valori indicati dal C.T.U. – secondo gli stessi criteri indicati per la liquidazione del danno da ritardata percezione delle somme assegnate – si avrà l’importo di €13.000,00.

Quanto alle spese per assistenza domiciliare, ossia per gli esborsi non medici ma, sebbene implicati alle necessità determinate dai danni fisici, dovuti alla collaborazione domestica, si tratta di spese passate e future.

Per le spese trascorse vi è, innanzi tutto, l’indicazione emergente dalla deposizione e dalla scrittura della Lucarelli, menzionate discutendo dell’an (e a ben vedere in linea con quella emergente dal documento allegato al verbale dell’udienza di precisazione delle conclusioni dalla difesa istante, a formazione successiva ma tardivo perché reperibile in precedenza, anche se contenente valutazioni oggetto, sulla scorta delle acquisizioni probatorie di parte, di una possibile ed ulteriore indagine tecnica d’Ufficio che, d’altra parte, non si è disposta per la sufficienza degli elementi a disposizione).

La deponente ha riferito di un aumento della sua attività da circa 9 ore settimanali a circa 36 ore settimanali, vale a dire per tre quarti, al prezzo di lire 11.000 l’ora (questa somma è stata quella precisata in udienza a differenza di quella sottoscritta nella dichiarazione allegata documentalmente, di poco superiore), per una cifra complessivamente quantificabile in lire 1.200.000 mensili.

Per i tre anni e mezzo, dall’incidente alla verifica del C.T.U. in ordine al futuro periodo – dal Settembre del 2002 sino al 2014, anno, quest’ultimo, individuato in base alla età media di sopravvivenza delle donne italiane (pag.3) –, con aggiornamento all’attualità equitativo – effettuato sempre con criteri analoghi a quelli utilizzati per il danno da lucro cessante –, si ottengono €30.000,00.

Per le spese future, sulla base delle somme riferite come percepite dalla Lucarelli, si può individuare una somma media di €25,00 al giorno, che per 7 giorni, 4 settimane, 12 mesi e 12 anni, danno il risultato di €101.000,00, con lievissimo arrotondamento equitativo.

Complessivamente si arriva dunque, ad oggi, ad €334.000,00. Su cui potranno decorrere interessi legali sino al saldo, essendo il debito diventato di valuta (Cass., m.83 del 1996).

La Levante e la Pallozzi rispondono, al 70%, per €233.800,00, da cui debbono essere sottratti €50.000,00 versati (udienza del 23.3.2004) nel Gennaio 2004 (con valore quindi attualizzato), e quindi devono corrispondere in solido ancora €183.800,00.

La RAS e la Isidori e la RAS e la Fabrizi, rispondono, ciascuna, al 15%, per €50.100,00, da cui debbono essere sottratti i versamenti di €64.557,10, da imputare al 50%, essendo comune l’ente assicurativo, per €32.278,55.

Questi acconti devono essere attualizzati – (o se si vuole bisogna defalcare il minor incremento sulle somme liquidate all’attualità, posto che i pagamenti parziali in materia extracontrattuale non sono soggetti all’art.1194, c.c.: Cass., n.2115 del 1996 e Cass., n.5707 del 1997) –, risalendo al Dicembre 1999 e al Maggio 2001, con criteri analoghi a quelli utilizzati nella presente decisione, giungendo a defalcare €35.700,00 per ciascuno dei due rispondenti, che saranno obbligati ognuno ad €14.400,00.

Le spese legali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, includendovi quelle per la C.T.P. attorea, essendo esborsi per allegazioni difensive (Cass., n.968 del 1949, Cass., n.3716 del 1980, Cass., n.6056 del 1990).

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando nella causa civile n.2253 del 2000 del Tribunale di Terni, ogni altra domanda, eccezione od istanza disattese, così provvede:

1.condanna le convenute Caterina Fabrizi e la R.A.S. Assicurazioni S.p.A., in solido tra loro, al pagamento, in favore della attrice Marisa Belli, della somma di €14.400,00, ulteriore rispetto a quanto versato in acconto, oltre ad interessi legali dal deposito della sentenza al saldo;

2.condanna le convenute Catia Isidori e la R.A.S. Assicurazioni S.p.A., in solido tra loro, al pagamento, in favore dell’attrice Marisa Belli, della somma di €14.400,00, ulteriore rispetto a quanto versato in acconto, oltre ad interessi legali dal deposito della sentenza al saldo;

3.condanna le convenute Piera Pallozzi e la Levante Norditalia Assicurazioni S.p.A., in solido tra loro, al pagamento, in favore dell’attrice Marisa Belli, della somma di €183.800,00, ulteriore rispetto a quanto versato in acconto, oltre ad interessi legali dal deposito della sentenza al saldo;

4.condanna le convenute, in solido tra loro ed in proporzione delle rispettive responsabilità nei sensi di cui in motivazione, quanto al 70% a carico della Piera Pallozzi e della Levante Norditalia Assicurazioni S.p.A., e quanto al 15% ciascuna a carico delle convenute sub1 e sub2 del presente dispositivo, alla rifusione delle spese processuali dell’attrice Marisa Belli liquidate in €1.324,45 per effettive non imponibili, €3.615,00 per competenze, €15.000,00 per onorari, oltre a forfettario ed accessori, con distrazione in favore dell’Avvocato Francesca Tiberini del Foro di Perugia;

5.condanna le convenute, in solido tra loro ed in proporzione delle rispettive responsabilità nei sensi di cui al punto n.4 del presente dispositivo, al pagamento delle spese delle C.T.U. liquidate in corso di causa.

Si comunichi.

Terni, 24.7.2004.                                                                            Il Giudice

 

 

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