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SUCCESSIONI FRA ENTI PUBBLICI:
LE PIURILEVANTI IMPOSTAZIONI DOTTRINALI
del dott. Raffaele Vairo
patrocinatore legale del foro di San Remo e
direttore della rivista giuridica on line "Diritti e Doveri"
Questa opera rappresenta il frutto di
un intenso lavoro di ricerca.
E' vietata la riproduzione in assenza dell'autorizzazione
dell'Autore.
(a.s.g.)
In tutti i casi in cui, a seguito della modificazione o dellestinzione di un ente, le sue attribuzioni vengano ad essere parzialmente o interamente assorbite da un altro (ente subentrante), sia questo di nuova costituzione o preesistente, sorge il problema della sorte dei rapporti personali e patrimoniali facenti capo al primo, o a quel particolare settore della struttura del primo, delle cui attribuzioni si tratti.
Tale questione viene in relazione ai singoli casi, o a singole serie di casi, risolta espressamente dal legislatore, il quale talvolta prevede addirittura il passaggio allente sottentrante delle stesse strutture organizzative (uffici, competenze, personale, ecc.) dellente di provenienza: così ad esempio i decreti legislativi nn. 1-11 del Gennaio 1972, che hanno regolato il passaggio alle Regioni delle attribuzioni amministrative già statali e ad esse trasferite, hanno disciplinato anche il passaggio del personale, il regolamento delle procedure in corso e la ripartizione dei fondi stanziati nel bilancio statale per le materie oggetto del trasferimento. E invece quando manchino disposizioni specifiche che emergono gli aspetti più complessi e dibattuti del fenomeno "successione fra enti pubblici".
Questultima è, dunque la qualificazione che oggi viene comunemente ed unanimemente attribuita alle vicende giuridiche inerenti la modificazione o lestinzione di un ente. Sennonché, a fronte delle problematiche odierne, non può essere sottaciuto il lavoro degli studiosi che si sono adoperati in passato affinché si realizzasse un inquadramento nello schema successorio del fenomeno in questione.
§ I primi approcci sistematici al fenomeno della successione fra enti pubblici. Linfluenza della dottrina internazionalistica.
Nel diritto pubblico, parallelamente a quanto si è verificato in vari altri settori di tale disciplina, le indagini degli studiosi si sono svolte, allinizio, ispirandosi ai risultati della elaborazione che la dottrina privatistica aveva dato sul tema successorio in generale, sulla base a sua volta delle precedenti esperienze dei pandettisti e del diritto romano.
Ciò si è reso possibile, preliminarmente, accogliendo lidea di un certo avvicinamento tra successioni ereditarie interessanti le persone fisiche e trapassi successori a titolo universale, nei confronti delle persone giuridiche: nelluno e nellaltro caso si assisterebbe, infatti, ad un subingresso di un nuovo soggetto nella titolarità di un complesso di rapporti e situazioni già facenti capo alla persona estinta ed ordinati unitariamente.
Mentre però per quanto concerne leredità delle persone fisiche, tale organizzazione unitaria non va oltre i limiti di una semplice e temporanea coordinazione di elementi patrimoniali, per quanto concerne invece le persone giuridiche, essa si eleva a fenomeno istituzionale vero e proprio acquistando veste e dignità di ordinamento giuridico, che, in un certo senso, si mantiene e perpetua anche dopo il verificarsi del trapasso e del relativo assorbimento da parte del successore, per lo meno sino ad una graduale trasformazione ed assimilazione, ad iniziativa eventuale di questultimo.
Il primo approccio dottrinale allistituto in discorso avvenne, quindi, attraverso la mutuazione di principi e concetti già dalla stessa dottrina privatistica fissati per le tipiche successioni mortis causa, pur entro i limiti ontologici in cui tali criteri potevano trovare applicazione nel settore, assai diverso, dei trapassi tra persone giuridiche.
Solo in un secondo momento si avvertì lesigenza di una costruzione dogmatica autonoma nelle materie successorie interessanti il diritto pubblico.
Gli studiosi del diritto internazionale furono i primi a tentare un approfondimento organico della problematica in oggetto.
Facilmente comprensibili ne sono le ragioni: la successione tra Stati rivestiva e riveste unimportanza del tutto particolare e la sua soluzione richiedeva, con speciale urgenza, la ricerca di metodi e principi quanto più possibile svincolati dagli schemi del diritto interindividuale.
Le proposte e i parametri elaborati dalla dottrina internazionalistica in questo senso si sono talora fondate sullesistenza di norme consuetudinarie di diritto internazionale, tal altra sullelemento del subingresso da parte dello Stato nuovo nellordinamento giuridico del predecessore, tal altra ancora sul rapporto di stretta aderenza delle situazioni giuridiche interessanti la successione, con il territorio trasferito sotto la giurisdizione del soggetto subentrante, mentre qualche altra volta, il fenomeno della successione fra Stati ha trovato addirittura un disconoscimento in radice.
E di tutta evidenza quindi, come nonostante una priorità di studi e di ricerche che la dottrina internazionalistica può vantare sullargomento, il problema della successione fra Stati non abbia trovato una sua pacifica ed univoca soluzione.
Sul fenomeno in discorso si passa infatti dalle posizioni più temperate di autori come il Gabba o il Ronzitti che sostengono la validità del principio successorio, sia pure con gli inevitabili temperamenti dovuti alla particolare esistenza di situazioni di volta in volta intrasmissibili (ad es. il Ronzitti considera tali gli obblighi assunti da uno Stato a causa di obblighi corrispondenti assunti da un altro, mentre trasmissibili sarebbero i vincoli che gravano solo sul territorio, senza che il soggetto od i soggetti, nel cui interesse tali vincoli sono predisposti, siano costretti, mediante lassunzione di obblighi corrispondenti, a limitare il proprio diritto di sovranità territoriale) agli iperbolici atteggiamenti di coloro che, come lArangio-Ruiz, non solo destituiscono di fondamento la validità del principio successorio, ma si spingono a negare addirittura la giuridicità, ai fini dellordinamento internazionale, degli avvenimenti concernenti la nascita, modificazione ed estinzione degli Stati.
Una parziale giustificazione di questo estremo divario di opinioni, che trova peraltro qualche punto di coesione solo ed inevitabilmente in campo applicativo (per es. laddove si tratta di ammettere il subingresso del nuovo Stato nei rapporti e nelle ragioni già esercitate dal predecessore, nellambito strettamente locale di territori ceduti) può rintracciarsi nel fatto dellinesistenza, nel diritto internazionale, a differenza che nel diritto interno, di norme positive disciplinanti, con efficacia generale il fenomeno successorio. Inoltre, nello stesso diritto consuetudinario non hanno potuto formarsi sicure ed univoche norme in proposito, in vista della grande varietà di soluzioni seguite nella prassi internazionale e nelle regolamentazioni convenzionali adottate, volta per volta, dai singoli Stati.
Nonostante ciò, è tuttaltro che irrilevante linfluenza esercitata dalle soluzioni internazionalistiche, intorno al problema della successione tra Stati, ai fini delle analoghe indagini nel campo del diritto pubblico interno, specie per quanto concerne gli enti pubblici territoriali, dove molte situazioni relative al trapasso di rapporti giuridici, in quanto collegati con le strutture territoriali e con lordinamento giuridico dei gruppi sociali organizzati che vi insistono, presentano, non di rado, notevole affinità tra di loro. Similitudini queste ultime che, da gran parte della dottrina, sono peraltro elevate a cardine di un prospettato principio di unitarietà del fenomeno successorio nelle varie branchie del diritto.
Ben presto, quindi, proprio sulla scia delle esperienze maturate in campo internazionalistico, gli studiosi del diritto statuale e amministrativo recepiranno e perfezioneranno il metodo dogmatico, affinando gli strumenti di ricerca ed offrendo in tal modo notevoli contributi allapprofondimento del fenomeno successorio tra enti pubblici.
In tale ordine di ricerche la successione universale tra persone giuridiche costituì liniziale punto danalisi degli studiosi: fu considerata come laspetto più complesso del fenomeno in discorso, e contrapposta a quella a titolo particolare così come una regola sta alleccezione.
§ Santi Romano e lelaborazione dei principi-cardine della successione fra enti pubblci. Gli studi del Gierke. Il Miele e lo sviluppo delle tesi del Romano.
Uno dei primi studiosi che affrontò la questione nel diritto pubblico interno, con carattere di metodologia sistematica, fu il Santi Romano, a cui si deve riconoscere una priorità nellindagine del fenomeno successorio a livello di enti autarchici territoriali, con possibilità peraltro estensive anche alle vicende degli altri enti pubblici in genere.
La teoria dell aderenza costituì il primo tentativo dellAutore volto alla spiegazione del fenomeno successorio fra i Comuni: in base ad essa i rapporti giuridici attivi e passivi, facenti capo allente originario, dovrebbero concepirsi quali pertinenze ed accessori (per ciò il Romano parla di aderenza) degli elementi basilari dellente stesso (territorio, popolazione, uffici) con la conseguenza che la trasmissione dei secondi provocherebbe automaticamente anche il trapasso dei primi.
Lo stesso studioso ben presto si accorse della fallacità di detta teoria soprattutto nella parte in cui difficoltosamente e parsimoniosamente spiegava come, dalla semplice acquisizione da parte dell ente di elementi materiali, disgregati ed inanimati, potesse conseguirsi automaticamente la ricomposizione dei rapporti giuridici cd. accessori in quella "universitas organizzata ad unità" che caratterizza la successione a titolo universale.
Così, sulla scorta delle nuove esperienze maturate attraverso gli studi sullistituzione e sullordinamento giuridico, ritenne di dover integrare loriginario indirizzo; lo fece elaborando due principi che costituiranno dei veri e propri parametri di riferimento per la dottrina successiva e che ancor oggi assurgono a cardine nellesame del fenomeno successorio interessante gli enti pubblici.
La permanenza del complesso istituzionale anche oltre il momento estintivo della persona giuridica e la trasfusione, conseguente, di tale complesso nellordinamento giuridico del nuovo ente sarebbero da considerarsi, secondo il Romano, i due indici rivelatori dellavvenuta successione (in universum jus) tra Comuni; due preposizioni per un postulato che ben presto gli studiosi sganceranno dalla realtà comunale per far sì che possa investire lintero settore riguardante gli enti pubblici.
Una posizione che prima facie può ricordare quella del Romano, seppur ispirandosi ad una impostazione eccessivamente organicistica dellordinamento caduto in successione, è quella occupata in Germania, già ancora in precedenza dal Gierke.
Questi, partendo da una concezione di persona giuridica quale corpo sociale organizzato, riteneva che solo unestinzione sic et sempliciter dellente avrebbe potuto far perdere la fisionomia unitaria di quellaggregato di individui e di beni che formano il sostrato della persona giuridica.
Ma poiché tali strutture, organizzate unitariamente secondo principi organici (i cd. "complessi istituzionali" del Romano) sarebbero dotati di una certa permanenza e stabilità, lestinzione pura e semplice dellente dovrebbe considerarsi, secondo lAutore, come un caso eccezionale. Diversamente avremmo una sopravvivenza del sostrato della persona giuridica estinta, che raccogliendosi nel nuovo centro di vita, rappresentato dal nuovo ente, lo impegnerebbe a perpetuare i propri fini e a ricevere le proprie strutture materiali.
In questa nuova fase della sua esistenza il gruppo sociale non verrebbe però assorbito nel nuovo ordinamento giuridico dellente successore, bensì manterrebbe una sua propria autonomia , giustificata, secondo il Gierke, dalla persistente presenza di residui della personalità dellente originario e delle norme che ne reggevano ab origine la vita ed il funzionamento.
Tale teoria, nonostante il forte interesse suscitato allinizio, ha incontrato non poche critiche provenienti da varie parti della dottrina.
Il punto che ha destato le maggiori perplessità è dato dalla artificiosa concezione dei rapporti caduti in successione come elementi ancora legati alla originaria personalità estinta, senza, peraltro, neppur prospettare unassimilazione dellistituzione originaria nellordinamento dellente successore.
Sullargomento il Romano, ad esempio, sottolinea come soltanto in rare ipotesi, positivamente contemplate e regolate dal legislatore, si renda possibile il ricorso alla anomala configurazione di una personalità giuridica che permanga, sia pure a titolo provvisorio, anche oltre lavvenuta verificazione di cause estintive di un determinato soggetto (paradigmatico in tal senso è listituto della eredità giacente).
Alla luce di oggi, inoltre, non si può non riconoscere come quel carattere di eccezionalità, rilevato dal Gierke, nellestinzione sic et sempliciter degli enti, si sia fortemente affievolito se non addirittura tramutato in regola: emblematici di questa "metamorfosi" i non pochi interventi legislativi in questa direzione e le susseguenti procedure liquidatorie.
Tra laltro, nota per es. il Vignocchi, neanche può giustificarsi, in forza della teoria del Gierke, il principio, in seguito pacificamente riconosciuto, come si vedrà, della intrasmissibilità dei rapporti e delle attribuzioni già facenti capo allente estinto, con carattere personalistico, e della sostituzione automatica degli attributi dellimperium del nuovo ente, nei confronti di quello già esercitato dal precedente.
Per tutte queste ragioni gli studi del Gierke, pur rappresentando uno dei primi sforzi qualificativi del fenomeno in discorso, vanno interpretati alla luce delle esperienze successive come la più limpida dimostrazione di quanto ed in che modo le idee fossero confuse sino alla elaborazione, da parte del Romano, dei due principi cardine, di cui sopra, nel fenomeno successorio interessante gli enti pubblici.
Saranno proprio le tesi di questultimo a trovare eco e sviluppo nel Miele, a cui la dottrina, appunto, riconosce il notevole merito di aver portato con severa consequenzialità, ai loro naturali sviluppi, gli indirizzi e gli spunti indicati dallo stesso Romano.
Indagando sulla successione tra persone giuridiche pubbliche, e limitatamente ancora allo schema successorio in universum jus, il Miele riconobbe una forma di trapasso di ordinamento giuridico senza soluzioni di continuità, da un soggetto ad un altro, precisando però, differentemente da quanto affermava il Gierke, che il complesso dei rapporti e delle norme in questo modo trasmesse, doveva considerarsi automaticamente ricollegato alla personalità del nuovo soggetto subentrante, surrogandosi ipso iure al posto dellantico, nella titolarità dei rapporti stessi.
Una costruzione, questa, assolutamente persuasiva e che peraltro si concilia perfettamente con i non pochi aspetti pratici del problema successorio nel diritto pubblico, nei confronti dei quali mal si rapportava, invece, la tesi del Gierke.
Lunica osservazione che si può muovere alloperato del Miele è data dal fatto che egli, interessandosi prettamente di enti autarchici territoriali, nel cui ambito consegue generalmente, a seguito dellestinzione della persona giuridica, il trapasso successorio a titolo universale, non si sia adoperato nella ricerca di criteri guida in grado di distinguere i casi di successione in universum jus da quelli a titolo particolare.
§ I primi studi discretivi tra successione in universum jus e successione particolare. La teoria dello scopo dellAlessi. Il ritorno allo studio globale del fenomeno: Cannada-Bartoli e la teoria della successione tra persone giuridiche come trasferimenti coattivi.
Ad affrontare per primo questo particolare e determinante aspetto del fenomeno in parola sarà lAlessi.
Losservazione in base alla quale il dato teleologico sarebbe da ritenersi come lelemento vitale della persona giuridica, in funzione del quale tutta lesistenza e lorganizzazione dellente si orienta e si giustifica, costituisce il primo tassello della sua indagine.
Questa sorta di "vocazione" dellente verrà ad acquisire una nuova identità con gli studi dellAlessi, che consacrando lo scopo come parametro discretivo fra i due tipi di successione nel settore degli enti pubblici, andrà così ad arricchire il panorama degli effetti comunemente ricollegati allo stesso dato finalistico: utilizzato, infatti, fino ad allora, soprattutto per distinguere tra enti pubblici e privati.
Quindi, a fronte del principio generale operante in materia di estinzione di persone fisiche (successione universale), per le persone giuridiche lordinamento offrirebbe, alternativamente, le due possibili soluzioni della successione in universum jus e del trapasso di singoli beni e diritti a seguito della procedura liquidatoria, "a seconda che lestinzione consegua o si accompagni ad una estinzione o soppressione anche dello scopo, ovvero consegua semplicemente ad una cessazione della destinazione dellente a quel determinato scopo, con conseguente trasmissione ad altro ente del compito della realizzazione dello scopo stesso".
La critica più ricorrente, nella dottrina contemporanea ai primi scritti dellAlessi, fu quella che lamentò linefficacia dellassolutezza di un tale criterio, soprattutto a fronte di provvedimenti legislativi apertamente contrastanti con lastratto principio in parola: lelemento finalistico doveva intendersi, per la maggior parte degli studiosi, come fattore non unico, ma concorrente con altri elementi e criteri, sintetizzabili, per il momento, nellinterpretazione singulatim del dato positivo, alla determinazione del tipo di successione.
Non mancò poi chi, come il Ferrara, rilevò come già le norme del codice civile, ed in specie lart. 31 c.c., in tema di estinzione e liquidazione di persone giuridiche si preoccupino di stabilire, che la devoluzione dei beni avvenga in modo da assicurare la perpetuazione dello scopo dellente in estinzione, attuandosi in conformità dellatto costitutivo e dello statuto, o, diversamente, a favore di persone giuridiche che abbiano fini analoghi: ciò significherebbe che non sempre allipotesi destinzione di un ente corrisponde la cessazione automatica dello scopo già da esso perseguito.
Forse proprio sulla scia di queste considerazioni lAlessi, nel 1971, tornerà sullargomento ribadendolo, ma depurandolo da quelle conclusioni che furono maggiormente avversate.
La prima preoccupazione fu, infatti, quella di affermare sì limportanza dello scopo come elemento unificatore del complesso dei rapporti che vengono a costituire il patrimonio dellente, ma anche di avvertire come non si debba giungere alleccesso di considerare la persona giuridica nientaltro che un patrimonio per uno scopo.
Come che sia, dice però lAutore, cessato questultimo non vè più alcuna ragione atta a giustificare la permanenza della coesione unitaria del patrimonio dellente, onde se è giusto e logico che i beni dellente debbano pur andare a qualche altro soggetto, si tratti di persone fisiche o altri enti giuridici, una siffatta trasmissione avverrà soltanto rispetto a singoli rapporti e diritti (residui attivi della liquidazione) e non già rispetto ad un complesso unitario di rapporti quale era il patrimonio dellente estinto: successione particolare, pertanto, e non già successione universale.
Viceversa, continua lo studioso, è pure del tutto logico, in base alle stesse considerazioni, che in caso di estinzione dellente a seguito semplicemente della trasmissione, per così dire, dello scopo ad un ente diverso, la coesione unitaria del patrimonio dellente estinto sia mantenuta, poiché in questo caso lelemento unificatore del complesso, lo stesso scopo, non viene meno ma deve continuare ad essere attuato, sia pure da un ente diverso: in considerazione di ciò risulta altresì logico che a questaltro soggetto non vadano singoli diritti e rapporti staccati, residuo di uneventuale liquidazione, ma tutto il complesso, unitariamente considerato, così come precedentemente predisposto per lattuazione dello scopo di cui trattasi.
Ci troviamo, quindi, dinanzi ad una teoria rivisitata dallo stesso Autore a distanza, dalla sua prima elaborazione, di quasi trenta anni, la quale comunque continua a destare perplessità tra gli studiosi, che, guardando con più fiducia al dato positivo offerto dalle leggi speciali in questa materia, sottolineano come i trapassi tra persone giuridiche siano in concreto regolati sulla base di criteri del tutto eteronomi e diversi, predisponendo talora il meccanismo liquidatorio, dove si verifica una continuità degli scopi e una permanenza delle funzioni già esercitate dallente originario, caduto però completamente in estinzione.
Nonostante ciò, lanalisi fatta dallAlessi costituisce un passaggio fondamentale dellindagine sul fenomeno in discorso, proprio perché rappresenta il primo tentativo di diversificazione tra successione particolare ed universale nel diritto pubblico interno, in un momento in cui, peraltro, la maggior parte della dottrina focalizza la propria attenzione sulla globalità dellistituto successione fra enti pubblici.
Proprio in questa direzione si mosse il pensiero del Cannada-Bartoli, il quale portò avanti un indagine volta alla ricerca del fondamento della successione interessante le persone giuridiche in genere e quelle pubbliche autarchiche in specie.
LAutore ritenne di poterlo rinvenire inquadrando entrambe gli schemi successori, cioè sia quello in universum jus che quello a titolo particolare, nella speciale categoria dei trasferimenti coattivi.
La natura derivativa dellacquisto da parte degli aventi causa sarebbe lelemento portante di questa qualificazione, a dir il vero, molto singolare (del resto loriginalità dello studioso emergerà anche in seguito, nellosservare come, contrariamente alle tesi dottrinali più accreditate e ad una giurisprudenza pressoché costante, individuerà una successione a titolo universale nel trapasso a seguito di liquidazione delle persone giuridiche).
Le argomentazioni addotte dal Cannada-Bartoli richiamano gli schemi elaborati da una autorevole dottrina privatistica facente capo al Pugliatti, il quale trattando dei trasferimenti coattivi in generale riconobbe come unica causa della perdita e dellacquisto del diritto, la necessità giuridico-economica di realizzare il trapasso del diritto stesso, attraverso un provvedimento di imperio dellautorità amministrativa, che così si sostituirebbe alla volontà dei singoli, esercitando un potere eccezionalmente attribuitole dalla legge.
Valutato ciò, e preso in considerazione il dato offerto dallart. 27, terzo comma, del codice civile, che prevede unapposita dichiarazione dellautorità governativa (su istanza di qualunque interessato o anche dufficio) per lestinzione della persona giuridica, il Cannada-Bartoli approda alla suddetta qualificazione del fenomeno successorio inteso come trasferimento coattivo.
Una conclusione questa, che, pressoché unanimemente, viene definita come fallace, o quanto meno eccessiva, poiché affetta da un travisamento dei dati che ne costituiscono il fondamento.
In tal senso molto lucida è la critica mossa dal Vignocchi, il quale esordisce sottolineando innanzi tutto come la natura derivativa costituisca non più di unaffinità fra trasferimenti coattivi e trapassi successori riguardante le persone giuridiche.
Nullaltro in comune, continua lAutore, può rinvenirsi tra gli istituti in questione, essendo diversa la giustificazione mortis causa, assente il requisito della onerosità nellestinzione della persona giuridica, che invece rappresenta una caratteristica generalmente ricorrente nelle varie ipotesi di trasferimenti coattivi, ma soprattutto perché, in questi ultimi la ragione giustificatrice risiede nella necessità, avvertita dallordinamento giuridico in vista di particolari esigenze di ordine economico-sociale, di provocare il trasferimento di diritti , indipendentemente ed anzi contro la volontà del titolare che pur rimane presente e perdurante con la sua personalità e soggettività giuridica.
Niente di tutto ciò, invece, si rinverrebbe nella successione tra enti, dove lorigine del trapasso, anche qualora si riconnettesse ad un provvedimento dellautorità governativa, non è comunque da ricercarsi in un fenomeno di vera e propria coartazione di poteri e di volontà di soggetti subordinati, ma nel fatto dellavvenuta estinzione o parziale modificazione della persona giuridica, e nella opportunità, conseguentemente, di attribuire i beni e rapporti giuridici, già facenti capo a tali soggetti, ad altri titolari che siano in grado di proseguirne lattività e gli scopi: attribuzione automatica nella successione universale o mediante liquidazione nella particolare.
§ Nuovi parametri per una dicotomia del fenomeno successorio interessante gli enti pubblici. Il Vignocchi e il discrimen della cosiddetta "previa liquidazione". Le critiche del Giannini e la "teoria degli enti esponenziali". Limportanza del dato positivo in Treves.
Queste puntuali considerazioni non possono che introdurre ad unaltra figura della dottrina, il Vignocchi appunto, che con maggiore organicità approfondirà la problematica della successione tra enti pubblici.
Con il suddetto Autore si ritornerà ad una analisi differenziata del fenomeno in parola, mirante a ricercare i parametri propri delle due diverse modalità di trapasso giuridico.
Entrambe, innanzi tutto, trovano applicazione nel settore delle persone giuridiche pubbliche poiché, dice il Vignocchi, esiste una sorta di "minimo comune denominatore" del fenomeno successorio in genere, consistente nellesistenza di due identiche situazioni giuridiche che si succedono nel tempo e che si differenziano per il solo elemento soggettivo.
Il problema della determinazione del particolare schema successorio applicabile nelle ipotesi di estinzione di enti pubblici, continua lo studioso, non può risolversi unicamente sulla base di criteri di ordine sociologico e metagiuridico (per es. guardando alla causa della successione o alle finalità delle persone giuridiche), ma è invece strettamente condizionato anche allindividuazione pregiudiziale del modo di estinzione degli enti originari.
In considerazione di ciò, la successione a titolo universale si manifesterebbe, sostanzialmente, in due distinte fattispecie: la prima, sarebbe ravvisabile nell ipotesi della fruizione degli scopi tipici dellente soppresso da parte del soggetto suo sostituto, mediante un trasferimento del munus contestuale alla dissoluzione generale dellorganizzazione dellente estinto; la seconda nel caso del trapasso del munus e del pedissequo utilizzo degli apparati strutturali da parte dellente successore, senza fratture od interruzioni di continuità e pertanto in carenza di procedure liquidatorie.
Conseguentemente, si verserà nellipotesi di successione a titolo particolare, previo espletamento di procedure liquidatorie, nel caso di estinzione sic et sempliciter della persona giuridica primitiva; mentre, nel caso di una estinzione del soggetto originario con connesso trasferimento di strutture organizzative (sotto forma di fusioni, incorporazioni, smembramenti ecc..) si avrà una successione in universum jus.
In tal modo, viene data la giusta priorità al fenomeno organizzatorio, rispetto a quello di ordine successorio: ciò si rende ancor più palese laddove, lo stesso Autore, evidenzia a chiare lettere come i problemi del secondo tipo siano condizionati dalle soluzioni offerte esplicitamente dal legislatore, in ordine ai preliminari momenti delle modificazioni strutturali ricollegate agli eventi estintivi.
Le tesi elaborate dal Vignocchi non possono che considerarsi illuminanti nel confuso dibattito dottrinale intorno al problema della successione fra enti pubblici. Le sue lucide intuizioni, ed in seguito ciò non mancherà di essere sottolineato, costituiranno un po il leitmotiv degli approcci sia dottrinali che giurisprudenziali allistituto in discorso.
Né può essere sottaciuto, vista la data dei primi scritti, che uno degli aspetti più rilevanti della sua indagine, dato dalla consacrazione della cosiddetta "previa liquidazione" quale discrimen fra i due aspetti della morfologia successoria, lo suggelli, in un certo senso, come precursore della legge 1404 del 1956 (di cui in seguito ci occuperemo), che trattando della liquidazione degli enti, sembra proprio riaccostare questa procedura alle ipotesi di estinzione sic et sempliciter degli stessi.
Uno sguardo, però, va anche dato al retro della medaglia, se mi si permette lespressione: laffermazione dello studioso in base alla quale il fondamento delle successioni a titolo universale risiederebbe in una successione nellordinamento presterà infatti il destro alle critiche del Giannini, il quale opporrà a tale impostazione la teoria dei cosiddetti "enti esponenziali".
Lordinamento giuridico, secondo lAutore, costituisce lambiente di diritto in cui opera un soggetto, pertanto non può riconoscersi ad esso una autonoma personalità: nel Comune, esemplifica lo studioso, è la collettività municipale che costituisce lordinamento, mentre il Comune stesso non è che lesponente dellordinamento entificato, ossia qualificato come soggetto, da una norma autonoma o eteronoma, a seconda dei tempi o dei luoghi; similmente per lo Stato lordinamento è la comunità generale che si organizza nellapparato statale.
In forza di ciò, la successione tra i Comuni e la successione fra Stati rivelerebbero una successione tra enti (esponenziali) e non tra ordinamenti.
Lo studioso, quindi, lamenta una confusione di fondo tra i concetti di ordinamento giuridico ed ente esponenziale dellordinamento stesso, e, per altro verso, tra ordinamento ed organizzazione.
Lordinamento giuridico, spiega, postula lesistenza di un gruppo con propria normazione e propria organizzazione permanente; conseguentemente laddove ad un ente pubblico nessun gruppo sottostà, "di ordinamento giuridico non ricorre neppure lombra": quindi la grandissima maggioranza degli enti pubblici non sarebbero enti esponenziali di ordinamento.
Similmente se è vero che ogni ordinamento deve avere una organizzazione, non è vero affatto che ad ogni organizzazione corrisponda un ordinamento: anche qui, continua il Giannini, gli enti pubblici hanno (e non possono non avere in quanto sono "enti", prima di essere pubblici) organizzazioni, ma ad esse non corrisponde alcun ordinamento.
Queste precisazioni dovrebbero servire, secondo lAutore, a mostrare come, supposto che possa parlarsi di successioni nellordinamento, questo non sarebbe un problema proprio di tutte le successioni tra enti pubblici, ma solo di quelli tra essi che siano enti esponenziali di ordinamenti. E poiché, in sostanza, enti pubblici esponenziali di ordinamenti sono gli enti territoriali e pochi altri, è ad essi che lipotetico problema andrebbe circoscritto: significativo di questa limitazione di campo sarebbe il fatto che proprio due categorie tipiche di enti territoriali, quali gli Stati ed i Comuni abbiano costituito i primi centri dindagine in proposito.
Ne segue che, esclusi gli enti esponenziali di ordinamenti, per tutti gli altri enti la vicenda successoria si presenterebbe nei termini generali di ogni vicenda successoria tra persone giuridiche, salvo per quanto attiene al munus.
Proprio questultimo elemento caratterizzerebbe qualsiasi ente in quanto pubblico, essendo poi indifferente che, a seconda delle teorie, sintraveda in esso un fine, una funzione, il contenuto di un rapporto di servizio, la causa dellestinzione dellente e così via.
Sarà quindi, ed entriamo nel nodo centrale del pensiero del Giannini, la sorte del munus ad assumere rilievo primario ai fini delle vicende successorie interessanti lente estinto.
Se, infatti, il munus publicum scomparisse, cioè venisse espunto dallordinamento, lente perderebbe la qualità di pubblico con effetto immediato, o meglio: dal momento in cui latto amministrativo che lo sopprime acquista efficacia, o dal momento eventualmente stabilito dalla norma di legge. Il procedimento di liquidazione, a cui si darebbe seguito in questa eventualità, riguarderebbe, quindi, non un ente pubblico, ma un ente di diritto comune, ossia privato, e sarebbe regolato secondo le norme comuni (art. 31 ss. c.c.), ove mancassero norme speciali.
Tutto ciò a supporto della tesi in base alla quale, eliminato dallordinamento il munus publicum affidato ad un ente (pubblico), non sarebbero più possibili, nei confronti dellente medesimo, che figure di successioni particolari di diritto comune.
Differentemente, nellipotesi inversa, vale a dire qualora il munus publicum, totalmente o con modifiche di quantità o di qualità, fosse mantenuto nellordinamento giuridico, il semplice passaggio dello stesso da un ente allaltro non dovrebbe per ciò solo far pensare di essere al cospetto di una successione universale: semmai, dice il Giannini, è lavvenuto trapasso in universum jus che dovrebbe far considerare come avvenuta anche la translatio del munus.
Più precisamente, continua lAutore, chi si trovasse dinanzi ad una norma la quale, in occasione della soppressione di un ente pubblico, disponesse il trasferimento ad altro ente delle strutture organizzative, non potrebbe, esclusivamente in forza di ciò, ritenere che il nuovo ente sia successore a titolo universale del primo: la norma dovrebbe, invece, essere intesa come una conferma o come una riprova della successione universale, costituendo, peraltro, nei casi dubbi una forte presunzione a favore della stessa.
Potrebbe, però, anche essere intesa come disposizione relativa ad una successione particolare, ove, per esempio, nullaltro delle strutture organizzative del vecchio ente trapassasse al nuovo.
Sintetizzando il pensiero del Giannini, si può osservare, quindi, come lo studioso abbia capovolto le più tradizionali costruzioni dogmatiche finora esaminate, ritenendo il trasferimento delle strutture e dei munera non la causa, bensì leffetto del fenomeno successorio. Il punto di partenza delle sue elaborazioni, come si è notato, trovò terreno fertile nelle affermazioni di quella dottrina, facente capo al Vignocchi, che andava affermando lautomatica applicazione del principio della successione universale (salvo espliciti precetti a contrario del legislatore) nelle ipotesi di trapasso integrale, fra enti, dellapparato organizzativo e del complesso istituzionale.
Proprio queste argomentazioni, diedero lo spunto allAutore per distinguere fra avvicendamento di ordinamenti giuridici e successione nellordinamento giuridico. Questultima, non rispondendo lordinamento giuridico ad una figura soggettiva, sarebbe sostenibile, al limite, come "vicenda, per cui un gruppo costituente ordinamento giuridico muta il proprio ente esponenziale, fondendosi, scindendosi, o mantenendosi unitario, ma modificando in radice la natura dellente esponenziale": mutamento che rappresenterebbe un avvicendamento di ordinamenti e non una successione tra enti poiché il nuovo ente esponenziale così costituito non succederebbe a nessuno; solo qualora allavvicendamento tra ordinamenti si accompagnasse anche quello tra enti esponenziali necessari si avvererebbero anche vicende successorie, sia nei munera, che nei rapporti patrimoniali.
Il ragionamento del Giannini si ribalta con il Treves, secondo il quale nellipotesi di formazione di un nuovo ente, nuovo è da considerarsi anche lordinamento, pur se di fatto si tratta della persistenza prevalente delle norme regolatrici dellente che ha assorbito gli altri.
La vita degli enti pubblici, secondo lAutore, risulta disciplinata dalla Costituzione, dalla legislazione, dagli atti costitutivi, dagli statuti e dai regolamenti, con prescrizioni spesso a contenuto promiscuo. Come che sia, i loro mutamenti non possono non conformarsi alle direttive di questi atti, osservanza a cui lamministrazione è tenuta, fino a che non vengano modificati.
Lattenzione dello studioso è poi fortemente attirata dalle disposizioni normative concernenti gli enti territoriali, soprattutto per il fatto che la sfera di competenza di questi ultimi è dotata di forti punti di coincidenza con quella di importanti organi periferici dello Stato. Poiché lintero territorio nazionale, dice il Treves, risulta ormai interessato dai singoli poteri locali, la modifica di ciascun ambito coinvolge necessariamente anche quello degli enti contigui. Così, in tema di variazione degli ambiti comunali, possono annoverarsi le ipotesi della fusione o riunione, del distacco da parte di un ente e la sua aggregazione o annessione ad altro, la disgregazione e lincorporazione, con estinzione dellente originario ed incremento di quello beneficiario.
Secondo lAutore, le modificazioni e lestinzione degli enti pubblici non pongono, però, sempre problemi di successione, perché spesso interviene il subentro per legge di un ente ad un altro (comprensivo del trasferimento di attività e passività, nonché dei rapporti impiegatizi). Quindi, il principio, in base al quale i diritti e gli obblighi dellente estinto sono trasferiti al successore, subirebbe alterazioni di varia portata e natura, a seconda che la disposta successione abbia o meno scopo di assicurare la continuità dei rapporti fra i due enti e pertanto dei fini e dei mezzi nellente successore, escludendone o meno il titolo universale, ma non di certo, e in ciò consiste la differenza rispetto al pensiero del Giannini, la qualificazione successoria.
Si allude ovviamente ad una successione a titolo particolare, e proprio a tal proposito il Treves, affrontando il tema della liquidazione, avverte della possibilità di fattispecie liquidatorie "speciali" che ex lege sarebbero in grado di provvedere alla distribuzione degli eventuali utili residui contestualmente alla forzosa cessazione dei rapporti dimpiego, tema questultimo fortemente dibattuto e sul quale non mancherò in seguito di soffermarmi.
§ Falso problema: vicende successorie e decentramento. Roversi Monaco: organizzazione e personalità giuridica. Conclusioni.
Laspetto che si è voluto mettere in risalto, nel passare in rassegna la dottrina, è quello di un travagliato ed insidioso percorso volto al riconoscimento di una qualificazione successoria delle fenomenologie giuridiche inerenti alla modificazione o allestinzione di un ente pubblico. Detto ciò mi sembra opportuno sgombrare il campo da un eventuale equivoco nel quale si potrebbe incorrere nellosservare i soli effetti di quelle che oggi, alla luce di quanto detto sopra, possono definirsi vicende successorie di diritto pubblico.
Mi riferisco alla eventuale assimilazione dellistituto successorio a quello del decentramento, o viceversa. Il Roversi, Autore che indirettamente si occupa del problema, rintraccia lelemento caratteristico del decentramento amministrativo nelle funzioni che ne costituiscono loggetto. Deve trattarsi, aggiunge, del trasferimento di funzioni amministrative, concretantisi nella possibilità di emanare provvedimenti amministrativi (con tutte le conseguenze che tale capacità pubblicistica comporta), o nella possibilità di svolgere una complessa attività, avente nel suo insieme un rilievo pubblicistico e, per ciò stesso, funzionalizzata: il trasferimento di una attività decisoria e non meramente esecutiva è, dunque, alla base del decentramento.
Il punto di partenza del discorso dello studioso è quindi dato dalla attinenza del decentramento allorganizzazione che è cosa ben diversa dalla personalità: "anzi", aggiunge, "le linee di sviluppo dellorganizzazione sembrano essere attualmente nel senso del trasferimento delle relazioni di diritto pubblico su un piano diverso da quello delle tradizionali relazioni intersoggettive, con conseguente tendenziale svalutazione della personalità giuridica". Questa considerazione, secondo il Roversi, si pone a cardine di una netta distinzione tra il concetto di decentramento e quello di deconcentrazione, fenomeno questultimo che indicherebbe quella particolare specie di decentramento caratterizzata dalla nascita di un nuovo soggetto di diritto a cui affidare competenze amministrative: negare ciò sarebbe come assegnare alla personalità giuridica un ruolo che questa non può avere.
Sennonché oggetto di analisi della dottrina, passata in rassegna nelle pagine precedenti, è costituito da una fenomenologia che capovolge il ragionamento fatto per il decentramento, laddove non si pone a base dellistituto il trasferimento di attività decisorie, ma la modificazione o lestinzione di un ente pubblico a seguito della quale ci si chiede quale sia la sorte il più delle volte dellintera gamma di rapporti facenti capo allente modificato o estinto.
E evidente quindi che il momento organizzativo risulti solo indirettamente coinvolto in un dibattito che affonda le sue radici sul ruolo e la sorte della personalità giuridica: proprio centralizzando lelemento soggettivo la dottrina ha potuto parlare di successione tra enti pubblici.
In base a queste considerazioni, ad esempio, possiamo affermare che di deconcentrazione non si possa parlare nel caso in cui il nuovo soggetto giuridico, anziché limitarsi a recepire competenze amministrative per cui ad hoc viene istituito, nasca dalle ceneri dellente originario: lestinzione e la eventuale trasmissione dei rapporti attivi e passivi facenti capo a questultimo non possono che rivelarsi sinonimo di una vicenda successoria.
Le problematiche che tale qualificazione porta con sé sono quindi di triplice ordine.
In primo luogo si tratta di inquadrare il fenomeno della successione tra enti pubblici nellambito più largo degli eventi successori in genere: il che presuppone lindividuazione degli elementi essenziali e degli aspetti caratteristici collegati alle varie forme che esso, volta per volta, può rivestire (particolarmente in relazione alla successione attraverso procedure liquidatorie o alla successione generale per assorbimento).
In secondo luogo occorre stabilire se lordinamento positivo offra o meno dei principi in grado di indicare i sistemi di trapasso successorio da applicarsi al caso concreto nelle ipotesi di silentio legis, cioè nelle fattispecie non regolate in modo esplicito dal legislatore.
Infine, ma non per questo aspetto di minor importanza, è necessario precisare con quali modalità specifiche di ordine giuridico e tecnico avvengano i trapassi successori tra enti pubblici distinguendo ovviamente tra successione in universum jus e successione a titolo particolare nei residui di una eventuale procedura liquidatoria.
NOTE