IL DIRITTO D'AUTORE E INTERNET
Il Software in Rete
di
Andrea Sirotti Gaudenzi*
-articolo tratto da Diritto e
Diritti-
1. La tutala del diritto d'autore in rete: cenni generali - 2. La tutela del software ed Internet: premessa - 3. La giurisprudenza nazionale in tema di programmi per elaboratore - 4. Le recenti modifiche alla l.d.a. e la tutela del software
1.
La tutela del diritto d'autore in rete: cenni generali
Lart. 1 della legge italiana sul
diritto dautore n. 633 del 22 aprile 1941 (l.d.a.)
tutela le opere dell'ingegno di carattere creativo che
appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative,
all'architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne
sia il modo o la forma di espressione. Inoltre, sono protetti i
programmi per elaboratore ai sensi della Convenzione di Berna
sulla protezione delle opere letterarie ed artistiche
(ratificata e resa esecutiva con legge 20 giugno 1978, n. 399),
nonché le banche di dati che -per la scelta o la disposizione
del materiale- costituiscono una creazione intellettuale
dell'autore.
La norma offre tutela alle opere dellingegno umano, a
condizione che sia presente il carattere della
creatività, vale a dire un apporto personale
dellautore che per quanto piccolo- consenta
allopera di presentare un quid novi rispetto alle
opere preesistenti[1]. Il concetto di "creatività",
quindi, non coincide con quello di novità assoluta, ma va
individuato in un grado di originalità che, seppur minimo, sia
idoneo a distinguere un'opera dalle altre[2].
La normativa italiana in tema di proprietà intellettuale riconosce allautore i diritti patrimoniali ed i diritti morali sullopera realizzata. Mentre i primi hanno durata temporale limitata e sono alienabili, la caratteristica dei diritti morali è quella di non essere soggetti a termini di durata e di essere inalienabili. Il primo comma dellart. 20 della l.d.a., infatti, stabilisce che indipendentemente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica dell'opera ( ) ed anche dopo la cessione dei diritti stessi, l'autore conserva il diritto di rivendicare la paternità dell'opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell'opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione.
In varie occasioni, le istituzioni comunitarie si sono occupate del problema della globalizzazione telematica imposta da Internet ed hanno preso in considerazione il tema della proprietà intellettuale in rete. Nel novembre del 1988, quando Internet era ancora una realtà cui avevano accesso poche centinaia di unità in tutta Europa, la Commissione Europea realizzò il c.d. libro verde Il diritto dautore e le sfide tecnologiche per indicare le linee guida per giungere ad unarmonizzazione sul tema fra le legislazioni dei vari Paesi membri della Comunità[3].
Secondo alcune autorevoli voci, la struttura di Internet, la "globalizzazione", fenomeni quali il "no copyright", l'open source e le cyber arts rappresenterebbero la morte del diritto d'autore o -rectius- l'inizio dell'agonia della tutela che la legge offre all'autore
In effetti, non si può dire che le opere riprodotte in rete possano godere di tutela giuridica effettiva al pari delle opere su supporto tradizionale[4]. Al contempo, è necessario evidenziare che nellera delle new economy, nellepoca in cui gradualmente si giunge alla smaterializzazione del supporto di informazione, non sono i beni materiali ad avere valore, ma le idee, i concetti, le immagini: nel c.d. ciberspazio la proprietà del capitale fisico retaggio della civiltà industriale- diventa sempre meno rilevante, a differenza di ciò che accade ai beni immateriali.
Internet, quindi, non sancisce affatto la
fine del copyright, ma obbliga i giuristi a dover
affrontare nuove sfide per reperire gli strumenti più adatti
alla tutela dellopera intellettuale presente in rete[5].
2. La tutela del software ed Internet: premessa
Il software è un'opera dingegno e,
pertanto, un bene immateriale. Nel 1986, durante la Conferenza
intitolata Regolamento e protezione del software in relazione
alle esigenze delle softwarehouse e degli utenti nei Pesi CEE[6], Salvatore Pastore ha recuperato la definizione
di software suggerita dall'OMPI nel 1984:
"espressione di un insieme organizzato e strutturato di
istruzioni (o simboli) contenuti in qualsiasi forma o supporto
(nastro, disco, film, circuito), capace direttamente o
indirettamente di far eseguire o far ottenere una funzione, un
compito o un risultato particolare per mezzo di un sistema di
elaborazione elettronica dell'informazione".
E stato efficacemente
sintetizzato che il valore del software, anche sotto il
profilo giuridico, non sta nel supporto su cui è registrato, ma
nel suo contenuto ideativo e il pericolo che corre il suo autore
non è tanto che gli sia sottratto quel supporto, ma che sia
plagiato indebitamente da altri quel contenuto[7].
Da questa riflessione si evince che Internet è l'ambiente in cui
il software viene esposto maggiormente a rischi
Il primo ordinamento che ha riconosciuto al softaware
dignità di "opera intellettuale", diponendo in suo
favore la tutela nellambito del diritto dautore è
stato quello statunitense, grazie al Computer Software
Amendment Act del 1980, che ha fortemente condizionato altre
normative nazionali. Anche la Comunità Europea ha deciso di
fornire ai programmi la protezione che si riconosce alle altre
opere d'autore attraverso l'emanazione della direttiva
91/250/CEE, recepita nel nostro ordinamento giuridico con il
D.Lgs. 518 emanato il 29 dicembre 1992, che ha novellato la legge
sul diritto dautore n. 633/41[8].
In particolare, la novella del 1992 ha aggiunto al Capo III della
l.d.a. la sezione VI (Programmi per elaboratore) che si
apre con l'art. 64-bis che recita testualmente: "
i
diritti esclusivi conferiti dalla presente legge sui programmi
per elaboratore comprendono il diritto di effettuare o
autorizzare:
a) la riproduzione, permanente o temporanea, totale o parziale,
del programma per elaboratore con qualsiasi mezzo o in qualsiasi
forma. Nella misura in cui operazioni quli il caricamento, la
visualizzazione, l'esecuzione, la trasmissione o la
memorizzazione del programma per elaboratore richiedono una
riproduzione, anche tali operazioni sono soggette
all'autorizzazione del titolare dei diritti;
b) la traduzione, l'adattamento, la trasformazione e ogni
altra modificazione del programma per elaboratore, nonché la
riproduzione dell'opera che ne risulti, senza pregiudizio dei
diritti di chi modifica il programma;
c) qualsiasi forma di distrubuzione al pubblico, compresa la
locazione, del programma per elaboratore originale o di copie
dello stesso. La prima vendita di una copia nella Comunità
Economica Europea da parte del titolare dei diritti, o con il suo
consenso, esaurisce il diritto di distribuzione di detta copia
all'interno della Comunità, ad eccezione del diritto di
controllare l'ulteriore locazione del programma o di una copia
dello stesso."
Gli artt. 64 ter e 64 quater stabiliscono quattro
casi in cui non si può impedire all'utilizzatore del programma
di realizzare copia dell'opera, anche in assenza
dell'autorizzazione del titolare del programma:
- copia necessaria all'uso del programma;
- copia efettuata per lo studio del programma;
- copia di riserva;
- copia per decompilare il programma per ottenere
l'interoperabilità con altri programmi.
Infine, per accordare una forte protezione al software, il DPCM n. 244 del 3 febbraio 1994 ha indicato le modalità di tenuta del Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, il cui compito è quello di dare pubblicità legale al software.
Il software viene distribuito in
varie forme sia in Internet, che sulla c.d. terra
ferma.
Tra i vari tipi di software
diffusi in rete, alcuni meritano di essere analizzati in modo
dettagliato. Tra questi, si segnalano l'open source,
il freeware, il shareware e i programmi di pubblico
dominio[9].
a. L'open source
Questo tipo di programma per elaboratore
è caratterizzato dal fatto di essere una sorta di sistema
aperto che, quindi, chiunque può implementare attraverso
il proprio contributo.
Uno dei casi più noti è
rappresentato da Linux, un sistema operativo ideato nel
1991 da uno studente universitario, che si è sviluppato grazie
allapporto di programmatori di tutto il mondo. Lopen
source pone interessanti problemi sotto laspetto della
proprietà intellettuale, anche se sembra ormai consolidata la
teoria in virtù della quale, dato lapporto costante
fornito da più soggetti, questo particolare software
andrebbe inquadrato nella categoria delle opere collettive e, in
quanto tale, tutelabile ai sensi dellart. 10 l.d.a.
b. Il freeware
Il freeware rappresenta uno dei tipi di software maggiormente presenti in rete. Può essere copiato ed utilizzato gratuitamente, ma il codice sorgente non può essere utilizzato in assenza del consenso dellautore (in capo al quale -ovviamente- devono riconoscersi i diritti derivanti dalla proprietà intellettuale). A questa categoria di programmi appartiene il diffuso cardware, che può essere copiato ed utilizzato da chiunque, a condizione che venga inviato allautore una comunicazione, nonché una somma simbolica a compenso della propria fatica. Anche in questo caso, lautore non si spoglia dei diritti derivanti dalla paternità dellopera.
c. Il shareware
Altra categoria di software per
elaboratore è quella del shareware: i programmi circolano
liberamente sulla rete e possono essere copiati ed utilizzati, ma
entro certi limiti (indicati dalla licenza). Possono essere
previsti:
- lutilizzo entro un certo termine;
- lutilizzo di una sola parte del programma;
- lutilizzo del programma in forma
disturbata (il c.d. nagware)
d. I programmi di pubblico dominio
I programmi sotto regime di public
domain sono quelli per i quali lautore si spoglia
completamente di ogni diritto riconosciutogli dalle norme in tema
di proprietà intellettuale: chiunque può copiare ed utilizzare
il programma, assemblandolo ad altri o modificandolo (tali
programmi sono frequentemente accompagnati dall'indicazione no
copyright).
3. La giurisprudenza
nazionale in tema di programmi per elaboratore
Le prime pronunzie di merito occupatesi di programmi per elaboratore negarono al software "la titolarità dei un diritto d'autore[10]".
Nel 1983, il Tribunale di Torino[11] ritenne applicabile ad alcuni videogiochi la disciplina dettata per le opere cinematografiche. Secondo linterpretazione dei giudici torinesi, non dovevano ritenersi opere cinematografiche solo i film, ma anche le altre forme di rappresentazione indipendentemente dalla tecnica utilizzata e dalla forma despressione[12] Gradualmente, si affermò nella giurisprudenza del nostro Paese il convincimento che i programmi per computer fossero opere di ingegno per loriginalità che presentavano e che anche al software dovesse applicarsi la tutela prevista dal diritto dautore[13].
Il 24 novembre 1986, la Cassazione riconobbe espressamente la possibilità di estendere ai programmi per elaboratore la normativa in tema di diritto d'autore "in quanto opere dell'ingegno che appartengono alle scienze e si esprimono in linguaggio tecnico-convenzionale concettualmente parificato all'alfabeto o alle sette note"[14]. L'anno successivo, la Corte di cassazione precisò che i programmi per elaboratore potevano essere ritenuti opere dingegno tutelabili in sede giudiziale, solo quando fossero il risultato di uno sforzo creativo caratterizzato da un apporto nuovo nel campo informatico o quando avesse espresso soluzioni originali ai problemi di elaborazione dei dati (Cass. 6 febbraio 1987, n. 1956).
Con il d. l. 518/1992 è stata recepita nel nostro Paese la direttiva 91/250/CEE, dedicata alla tutela giuridica del software ai sensi della Convenzione di Berna sulla protezione delle opere letterarie ed artistiche, attraverso cui è stata modificata la legge sul diritto dautore e si è fornita una specifica protezione al software in ambito penale.
Particolarmente interessante è
lesame compiuto dalla giurisprudenza di merito in ordine
allelemento psicologico del reato previsto dalla vecchia
formulazione dellart. 171 bis l.d.a. nel caso di
duplicazione non autorizzata di vari porogrammi software,
che puniva chiunque abusivamente duplicasse a fini di lucro,
programmi per elaboratore, o, ai medesimi fini e sapendo o avendo
motivo di sapere che si trattasse di copie non autorizzate,
importasse, distribuisse, vendesse, detienesse a scopo
commerciale, o concedesse in locazione i medesimi programmi.
Al riguardo la
giurisprudenza ha fornito due interpretazioni della terminologia scopo
di lucro utilizzata dal legislatore nell'articolo 171 bis:
secondo un orientamento il "lucro" sarebbe stato
rappresentato dall'accrescimento positivo del patrimonio a
differenza del "profitto", più ampio concetto, che
avrebbe incluso tanto l'accrescimento diretto del patrimonio
quanto quello indiretto, verificatosi attraverso una mancata
perdita patrimoniale (Pretura Cagliari, 26.11.1996); secondo
l'altra interpretazione il fine di lucro avrebbe compreso anche
il profitto derivante dal risparmio di costi (Tribunale Torino,
20.04.2000).
Con pronunzia del Tribunale di Torino
datata 13 luglio 2000, è stato rilevato che "il legislatore
con l'articolo 10 del decreto legislativo 29 dicembre '92 518 ha
introdotto, in seno alla legge di protezione del diritto
d'autore, l'articolo 171 bis, così configurando una fattispecie
dolo specifico; il legislatore ha cioè richiesto l'elemento
intenzionale del fine di lucro per l'integrazione del reato. Tale
innesto normativo è del tutto razionale e in armonia con altre
norme (di natura civilistica) previste dalla stessa legge di
protezione del diritto d'autore, quali l'articolo 64 ter comma
secondo (che prevede, in particolari condizioni, la liceità
della formazione di una copia di riserva del programma
informatico) e l'articolo 68 comma primo della stessa legge (che
consente la libera riproduzione di opere per uso personale),
dalle quali si ricava che il solo fatto della duplicazione non
costituisce condotta illecita"[15].
Con la stessa sentenza, il
giudice di merito ha avuto modo di pronunciarsi sulla
configurabilità del reato di ricettazione con riferimento al software.
Nel caso de quo, limputato giustificava la condotta
tenuta, facendo leva sulla propria passione per l'informatica,
sostenendo di avere "scaricato" alcuni programmi da
Internet, di avere acquistato altri programmi unitamente a
riviste specializzate vendute in edicola, di avere acquistato
taluni programmi "in originale" e di averli poi
duplicati a fine di conservazione e uso personale, talvolta
gettando via il software originale perché usurato [16].
4. Le recenti
modifiche alla l.d.a. e la tutela del software
Le interpretazioni giurisprudenziali dellart. 171 bis l.d.a, che prendevano le mosse dalla necessità di distinguere i casi in cui fosse presente lo scopo di lucro da quelli in cui fosse assente tale atteggiamento psicologico, possono ritenersi ampiamente superate alla luce delle recenti modifiche apportate alla l.d.a. attraverso la legge 248/2000, che rende penalmente sanzionabile la duplicazione di software non solo quando viene duplicato ai fini della vendita con conseguente profitto da parte del duplicatore.
Il novellato art. 171 bis, infatti, punisce chiunque abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore o ai medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Società italiana degli autori ed editori (SIAE)".
Prima della riforma, la norma richiedeva il dolo di lucro, non quello di profitto e, pertanto, il semplice risparmio di spesa non costituiva reato. Oggi, invece, la duplicazione di software, se posta in essere ai fini di risparmio integra gli estremi dellillecito penale, con conseguente estensione a macchia dolio dellapplicabilità della fattispecie[17].
Destinata a far discutere è la formulazione del nuovo art. 181 bis che prevede lapposizione da parte della SIAE di un contrassegno su ogni supporto contenente programmi per elaboratore o multimediali nonchè su ogni supporto contenente suoni, voci o immagini in movimento, che reca la fissazione di opere o di parti di opere tra quelle indicate nellarticolo 1, primo comma, destinati ad essere posti comunque in commercio o ceduti in uso a qualunque titolo a fine di lucro. Il legislatore precisa che analogo sistema tecnico per il controllo delle riproduzioni di cui allarticolo 68 potrà essere adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sulla base di accordi tra la SIAE e le associazioni delle categorie interessate.
Il legislatore stabilisce che il
contrassegno può non essere apposto sui supporti
contenenti programmi per elaboratore disciplinati dal decreto
legislativo 29 dicembre 1992, n. 518, utilizzati esclusivamente
mediante elaboratore elettronico, sempre che tali programmi non
contengano suoni, voci o sequenze di immagini in movimento tali
da costituire opere fonografiche, cinematografiche o audiovisive
intere, non realizzate espressamente per il programma per
elaboratore, ovvero loro brani o parti eccedenti il cinquanta per
cento dellopera intera da cui sono tratti, che diano luogo
a concorrenza allutilizzazione economica delle opere
medesime. In tali ipotesi la legittimità dei prodotti, anche ai
fini della tutela penale di cui allarticolo 171-bis, è
comprovata da apposite dichiarazioni identificative che
produttori e importatori preventivamente rendono alla SIAE
(art. 181 bis, comma III l.d.a.)[18].
Dal tenore letterale del testo normativo risulta evidente
che lapposizione del contrassegno sui supporti contenenti semplice
software di utilità non sarà affatto obbligatorio[19].
Neppure ha senso dire che la
riforma (seppur dettata da esigenze ben note) "uccida"
l'open source, come Linux, per la necessità di
apporre il contrassegno. Infatti, anche volendo ignorare la
portata del comma III dell'art. 181 bis, è il comma I dello
stesso articolo a indicare tassativamente programmi su cui
apporre il contrassegno SIAE:
1) quelli destinati ad essere posti in commercio;
2) quelli ceduti in uso a qualunque titolo a fine di lucro.
Pertanto, è evidente che -in ogni caso- né l'open source, né i programmi contrassegnati dal no copyright potranno essere soggetti alla necessaria apposizione del "bollino" SIAE, oggi al centro di un dibattito molto acceso.
Note
* Avvocato in Cesena. Dirige il Notiziario Giuridico Telematico ed è membro del comitato scientifico di Diritto e Diritti.
[1] Cass., 2 dicembre 1993, n. 11953.
[2] Corte App. Perugia, 23 febbraio 1995.
[3] Sul punto, si veda: L. Chimienti, Lineamenti
del nuovo diritto dautore. Direttive comunitarie e
normativa interna, Milano, 1996; G. De Santis La tutela
giuridica del software tra brevetto e diritto dautore,
Milano, 2000.
[4] S. Stabile, Internet e diritto
dautore: il cyberspace e la mondializzazione delle opere,
ne Il Diritto Industriale, n. 1/99: "La
digitalizzazione, propria del mezzo Internet, ha comportato una
straordinaria trasformazione strutturale delle opere
dellingegno create o trasportate in rete, consistente nella
determaterializzazione del loro supporto e nella sostituzione
dellelemento virtuale allelemento fisico-materiale.
Alla dematerializzazione dellopera e alla sua traduzione in
bit si accompagna poi la globalizzazione
degli scambi comunicazionali, stante il carattere universale
delle trasmissioni attuate via Internet.
[5] Sul punto si veda A. Sirotti Gaudenzi, Il
Web cerca più tutela della proprietà intelletuale, su
Italia Oggi del 15 gennaio 2001 e, più autorevolmente, O.
Torrani e S. Parise, Internet e diritto, Milano, 1997,
pag. 51.
[6] La conferenza si è svolta a Roma il 13
ottobre 1986.
[7] R. Borruso, La tutela
giuridica del software. Diritto dautore e brevettabilità,
Milano, 1999, pag. 3.
[8] La Commissione, nella relazione
presentata a Bruxelles il 10 aprile 2000 (COM-2000-199), ha
rilevato come -sulla base di uno studio comparato effettuato
nelle varie realtà nazionali dell'Unione- sia diminuito il
fenomeno della pirateria. Peraltro, presso le istituzioni europee
è attualmente dibattuto il problema della brevettabilità del software.
Per una panoramica, si consiglia: Study "The Economic
Impact of Patentability of Computer Programs"- Report to the
European Commission by Robert Hart (Independent Consultant),
Peter Holmes (School of European Studies, University of Sussex)
and John Reid (IP Institute) on behalf of Intellectual Property
Institute, London, consultabile in "Europa", il
server dell'Unione Europea: http://europa.eu.int/comm/internal_market/en/intprop/indprop/studyintro.htm
Sugli orientamenti che hanno
caratterizzato la disputa tra i fautori della brevettabilità del
software e gli oppositori di questa teoria, si veda: G. De
Santis, La tutala giuridica del software tra brevetto e
diritto d'autore, Milano, 2000, pagg. 10 e ss.
[9] Per
un'analisi dettagliata si veda A. Massimini, Cyberdiritto
d'autore, Napoli, 1999.
[10]
Pret. Torino, 25 maggio 1982. La sentenza definì i videogiochi
"aggeggi nati per sollevare dalla noia gente
sfaccendata".
[11] Si
veda: Trib. Torino, 15 luglio 1983.
[12]
Dello stesso tenore Pret. Ravenna, 21.10.1983; contra
Pret. Pordenone, 15.12.1983.
[13]
Trib. Lucca, 19 gennaio 1987; Trib. Milano, 13 marzo 1987; Pret.
Monza, 8 febbraio 1988; contra Trib. Milano, 20 giugno
1988.
[14] 14
Cass., 24 novembre 1986.
[15]
Tribunale Torino, 13.07.2000.
[16]
Quanto allipotesi relativa al reato ex art. 648 c.p., il
Tribunale piemontese ha così precisato:"E notorio che
il reato di ricettazione ha come presupposto l'avvenuta
commissione di un delitto; nella fattispecie tale delitto
presupposto si assume essere quello di duplicazione abusiva degli
stessi programmi informatici (articolo 171 bis legge 633/1941)
oggetto di ricettazione. È pacifico in giurisprudenza (fra le
molte Cassazione 4077 /1990) che ai fini della configurazione del
delitto di ricettazione non rileva il mancato accertamento
giudiziale del delitto presupposto ma è sufficiente che, anche
in base a prove logiche, il fatto della illecita provenienza
delle cose risulti positivamente al giudice chiamato a conoscere
della ricettazione. Ora, nel caso in esame, l'istruttoria
dibattimentale non ha fornito elementi certi; a tutto concedere
alla prospettazione dell'accusa e muovendo dalle dichiarazioni
rese dallo stesso imputato, si potrebbe ravvisare la presupposta
abusiva duplicazione in chi ad esempio ha messo a disposizione
del pubblico, sulla rete informatica Internet, le copie di
programmi protetti dalla legge sul diritto d'autore, poi, al loro
volta "ricevute", tramite computer dallo stesso Tizio.
Questo fatto potrebbe probabilmente costituire la condotta
materiale della duplicazione abusiva, salvo necessari
approfondimenti in ordine all'esistenza del fine di lucro
(richiesto dalla citata norma) in capo all'autore del reato
presupposto e cioè colui che ha messo a disposizione del
pubblico su Internet copie di programmi informatici. Come è dato
comprendere da queste considerazioni, l'indagine sul punto si
rivela piuttosto ardua e, in ogni caso, nella fattispecie nulla
è emerso. Inoltre l'assenza di dati di fatto attinenti al fine
di lucro si riverbera necessariamente sull'elemento soggettivo
della ricettazione (conoscenza della illecita provenienza dei
programmi chiusa ): se non è provata l'illiceità penale della
condotta presupposta non può aversi consapevolezza di acquisire
un bene di provenienza illecita" (Tribunale Torino, 13
luglio 2000).
A questo proposito, sembra opportuno rilevare
linadeguatezza delle osservazioni rese dal giudice
torinese. Infatti, l'art. 648 c.p. può avere come oggetto
soltanto res corporales, vale a dire beni materiali,
genere nel quale -come noto- non rientrano affatto le opere
dell'ingegno. Sarebbe giuridicamente aberrante parlare di
"furto di software", reato ipotizzabile soltanto per il
mero supporto. Sul punto, si veda D. Minotti, Detenzione,
duplicazione, lucro e ricettazione: ancora molta confusione in
materia di software abusivo, in Penale.it http://www.penale.it/giuris/meri_059.htm (2000).
[17] E'
singolare il caso della Business Software Alliance, condannata
dall'Istituto di Autodisciplina pubblicitaria per il messaggio
pubblicitario diffuso dalle reti televisive: "Copiare
software è reato". Dopo l'esame da parte del Comitato di
Controllo e la decisione di trasmettere gli atti al Giurì,
l'organo giudicante dell'Autodisciplina Pubblicitaria, riunitosi
il 12 dicembre 2000, ha emesso una condanna per la violazione
degli articoli 2, 8 e 9 del Codice di Autodisciplina
pubblicitaria. In particolare, l'art. 8 recita: "La
pubblicità deve evitare ogni forma di sfruttamento della
superstizione, della credulità e, salvo ragioni giustificate,
della paura."
[18] Sul
tema si consiglia: V. Spataro, Bollino SIAE: è un problema di
interpretazione?, su Civile.it, http://www.iusseek.com/civile/siae2.htm
[19] V.
Spataro, Contrassegno: la tesi della Siae sul Sole24Ore,
in Civile.it:"Può non essere apposto non significa
certo consentire imporre l'apposizione del bollino virtuale, come
rinviato al regolamento, significa che si puo' non apporre il
bollino, in qualunque forma. Ubi lex voluit, dixit. Ogni aggiunta
è creativa. La lettura testuale è sufficiente e armonica con il
resto del testo. Diversamente no"
(http://www.iusseek.com/civile/siae3.htm)