La riforma del diritto processuale "industriale" alla luce del d. lgs. n. 140/2006

 

di Andrea Sirotti Gaudenzi (*)
 


 

Sommario: - 1. Premesse. - 2. La direttiva 2004/48/CE. - 3. La titolarità dei diritti connessi. - 4. La fase cautelare nell’ambito della tutela del diritto d’autore. - 5. L’acquisizione delle prove. - 6. Il diritto di informazione. - 7. L’acquisizione delle prove. - 8. Rimozione e distruzione. - 9. Descrizione, accertamento, perizia, sequestro e procedimenti di istruzione preventiva. - 10. Il sequestro conservativo. - 11. Il Codice della proprietà industriale. - 12. Il risarcimento del danno. - 13. L’inibitoria. - 14. La nuova sanzione penale.


 

1. Premesse

Maggiori tutele processuali, concessione agevolata del sequestro conservativo, semplificazioni istruttorie: così può essere sintetizzata la recente riforma della disciplina della proprietà intellettuale ed industriale1 dovuta all’attuazione della direttiva 2004/48/CE (nota come “direttiva sull’enforcement”)2.

Non è affatto trascurabile, inoltre, la previsione di una specifica sanzione penale prevista per l’autore della violazione e determinate categorie di soggetti che abbiano preso parte alla commercializzazione e distribuzione degli oggetti contraffatti, puniti con le pene previste dall’art. 372 c.p. (che sanziona il reato di falsa testimonianza), qualora si rifiutino senza giustificato motivo di rispondere alle domande del giudice ovvero forniscano allo stesso false informazioni.


 

2. La direttiva 2004/48/CE

Innanzi alle crescenti minacce a cui le nuove tecnologie sottopongono i diritti di proprietà intellettuale, la direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 si è occupata del rispetto dei diritti di privativa, con riferimento agli aspetti processuali della tutela. Negli anni passati le istituzioni comunitarie si erano interessate della proprietà intellettuale, muovendosi principalmente nel campo dell’armonizzazione del «diritto materiale nazionale».

La direttiva si occupa di misure, procedure e mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale3. L’art. 1 chiarisce che, ai fini della direttiva, «i termini "diritti di proprietà intellettuale" includono i diritti di proprietà industriale» (vale a dire non solo i cd. diritti d’autore e diritti connessi, ma anche i diritti industriali stricto sensu)4.

Nei considerando della direttiva si sottolinea che «la tutela della proprietà intellettuale è un elemento essenziale per il successo del mercato interno». Tuttavia, si rileva che «in assenza di misure efficaci che assicurino il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, l’innovazione e la creazione sono scoraggiate e gli investimenti si contraggono». Appare indispensabile, quindi, «assicurare che il diritto sostanziale in materia di proprietà intellettuale, oggi ampiamente parte dell’acquis comunitario, sia effettivamente applicato nella Comunità».

Viene evidenziato il problema legato alle disparità tra gli ordinamenti dei singoli Stati membri in materia di strumenti per assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale. Tali differenze «pregiudicano il corretto funzionamento del mercato interno e rendono impossibile assicurare che i diritti di proprietà intellettuale beneficino di un livello di tutela omogeneo su tutto il territorio della Comunità», con la conseguenza di essere d’ostacolo ad «una sana concorrenza tra le imprese».

L’obiettivo dichiarato della direttiva è quello «di ravvicinare queste legislazioni al fine di assicurare un livello elevato, equivalente ed omogeneo di protezione della proprietà intellettuale nel mercato interno».

La direttiva non si propone di stabilire norme armonizzate in materia di cooperazione giudiziaria, di competenza giurisdizionale, di riconoscimento e di esecuzione delle pronunce in materia civile e commerciale, né di occuparsi della legge applicabile, dato che esistono già strumenti comunitari che disciplinano queste materie in generale e, pertanto, si applicano anche alla proprietà intellettuale (undicesimo considerando) .

Il quindicesimo considerando rileva che «la presente direttiva dovrebbe far salvi il diritto sostanziale della proprietà intellettuale, la direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, la direttiva 1999/93/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 1999, relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche e la direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, datata 8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno».

La direttiva intende lasciare impregiudicate, peraltro, anche le disposizioni particolari per il rispetto dei diritti e in materia di eccezioni nel settore del diritto d’autore e dei diritti connessi stabilite negli strumenti comunitari (in particolare, quelle previste nella direttiva 91/250/CEE relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore e nella direttiva 2001/29/CE sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione (sedicesimo considerando).


 

3. La titolarità dei diritti connessi

L’art. 1 del d. lgs. 16 marzo 2006, n. 140 (in vigore a partire dal 22 aprile 2006) dispone l’inserimento nel titolo II della l.d.a. del nuovo capo VII-bis dedicato alla «titolarità dei diritti connessi. Il nuovo art. 99 bis della legge 633/41 stabilisce che «è reputato titolare di un diritto connesso, salvo prova contraria, chi, nelle forme d'uso, è individuato come tale nei materiali protetti, ovvero è annunciato come tale nella recitazione, esecuzione, rappresentazione o comunicazione al pubblico».


 

4. La fase cautelare nell’ambito della tutela del diritto d’autore

L’art. 2 della novella, nel sostituire il testo dell’art. 156 l.d.a., non solo definisce (o, rectius, estende rispetto alla previgente formulazione) i confini di esperibilità della tutela giudiziaria relativa alla violazione dei diritti di utilizzazione economica, ma si spinge ad affermare che «pronunciando l'inibitoria, il giudice può fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata o per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento».

Tale «penalità di mora» affonda le proprie radici nell’art. 41.1 degli Accordi TRIPs (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights), che prevede la necessità di adottare «expeditious remedies to prevent infringements and remedies which costitute a deterrent to further infringements».

Secondo quanto rilevato dalla giurisprudenza di merito, tale penalità «ha funzione di astreinte» e, pertanto, ha quale ratio quella di rafforzare l’inibitoria, ovvero di costituire un forte deterrente, fornendo una misura che consenta una facile esecuzione forzata5. Giova ricordare che l’istituto dell’astreinte, nato in Francia assieme al Code Napoleon, è tradizionalmente inteso come “sanzione privata” che impone una pena pecuniaria proporzionata al ritardo mostrato dal soggetto condannato nell’ottemperanza al provvedimento a lui sfavorevole6. Tutt’altro che simili alle Zwangsstrafen previste dall’ordinamento tedesco, in cui le sanzioni pecuniarie si concretizzano nel pagamento di una somma di denaro allo stato, ma più vicine al Contempt of Court anglosassone7, le astreintes della tradizione latina sono sanzioni endoprocessuali emesse esclusivamente a beneficio della parte a favore della quale sia stato emesso il provvedimento, a prescindere dalla collocazione dell’istituto nell’alveo delle misure risarcitorie8 o in quello delle misure compulsorie, seguendo l’insegnamento di Acarelli9 e della giurisprudenza maggioritaria10.

Pertanto, si può affermare che –nella sostanza- la norma non fa altro che chiarire expressis verbis una prassi già ampiamente riconosciuta dalla giurisprudenza11, grazie a specifiche previsioni normative presenti nelle fonti che disciplinano il diritto industriale.

Tuttavia, sulla base della norma ispiratrice della riforma12 e dell’analisi del testo letterale del primo comma dell’art. 156 l.d.a., si può affermare che la “penalità di mora” perda ogni connotazione di “preliquidazione del risarcimento del danno”, acquistando una propria autonomia nel sistema processuale.

Opportunamente, il secondo comma del rinnovato art. 156 fa salve le specifiche disposizioni previste dal d. lgs. 9 aprile 2003, n. 70, con cui si è data attuazione della direttiva 2000/31/CE (la cd. «Direttiva sul commercio elettronico»), che prevede una serie di norme in tema di responsabilità dell’Interet service provider, sino ad allora troppo frequentemente coinvolto in giudizi per violazioni poste in essere dai propri clienti13.


 

5. L’acquisizione delle prove

Come è noto, il diritto processuale “industriale” è sempre stato connotato da talune peculiarità, tra le quali si deve segnalare un articolato sistema delle presunzioni, fra cui spicca la presunzione legale assoluta a favore del marchio comunitario nei giudizi di contraffazione innanzi ai tribunali dei marchi comunitari considerano valido il marchio comunitario, a meno che il convenuto ne contesti la validità mediante la proposizione di una domanda riconvenzionale di decadenza o di nullità, così come indicato dal primo comma dell’art. 95 del Regolamento comunitario n. 40/94 del Consiglio datato 20 dicembre 1993, con cui si dettano le norme relative al marchio comunitario.

Inoltre, il Codice della proprietà industriale offre varie ipotesi di presunzioni relative, quale quella relativa alla probabilità che un prodotto sia stato realizzato grazie al procedimento brevettato. Infatti, in virtù dell’art. 67 del Codice, ogni prodotto identico a quello ottenuto mediante il procedimento brevettato si presume ottenuto, salvo prova contraria, mediante tale procedimento, alternativamente:

a) se il prodotto ottenuto mediante il procedimento è nuovo;

b) se risulta una sostanziale probabilità che il prodotto identico sia stato fabbricato mediante il procedimento e se il titolare del brevetto non è riuscito attraverso ragionevoli sforzi a determinare il procedimento effettivamente attuato.

Secondo Massimo Scuffi14 (che tuttavia nel suo manuale del 2001 si riferisce alle disposizioni della “legge marchi” e della “legge brevetti”), questa disposizione spinge ad autorizzare le «presunzioni giurisdizionali» che consentono al giudice di formare il proprio convincimento qualora persistano ancora dubbi, non essendo stata formata la piena prova della contraffazione.

Altro elemento originale della materia è sempre stato costituito dall’ammissibilità –in linea di massima – di una “testimonianza tecnica”, che, seppur vertendo sui fatti sui quali si fonda la controversia, richieda talune specifiche competenze tecniche da parte del testimone, che –pertanto- non viene considerato un semplice quivis de populo, ma è rappresentato come fonte di prova di primaria importanza per le sue conoscenze in materia.

Non si dimentichi, tuttavia, che pur sempre di testimonianza trattasi. Quindi, è indispensabile che la disposizione testimoniale si traduca in una interpretazione del tutto soggettiva o in un mero apprezzamento tecnico del fatto, senza indicare dati obiettivi e modalità specifiche della situazione concreta, tali da far uscire la percezione sensoria da un ambito puramente soggettivo15.

Nel corso degli anni i principi dettati espressamente con riferimento alla materia del diritto industriale sono stati estesi alle controversie in tema di diritto d’autore e diritti connessi, tanto da costituire una sorta di corpus processuale unico16.

Sulle fondamenta di un impianto processuale particolarmente articolato ed originale (anche grazie alle soluzioni prospettate dalla giurisprudenza), la novella interviene nella materia rafforzando le tutele per chi abbia subito violazioni dei diritti di proprietà industriale ed intellettuale. Il rischio, tuttavia, a sommesso avviso di chi scrive, è che si realizzi una alterazione del meccanismo processuale che dovrebbe vedere le parti sullo stesso piano a favore di una sola di esse.

L’art. 3 del d. lgs. 16 marzo 2006, n. 140, nel dare attuazione all’art. 6 della direttiva, introduce nella l.d.a. il nuovo art. 156 bis, il quale consente alla parte che «abbia fornito seri elementi dai quali si possa ragionevolmente desumere la fondatezza delle proprie domande ed abbia individuato documenti, elementi o informazioni detenuti dalla controparte che confermino tali indizi» di «ottenere che il giudice ne disponga l’esibizione oppure che richieda le informazioni alla controparte»17.

La disciplina ad hoc dedicata all’acquisizione delle prove sembra quasi discostarsi dai principi espressi dall’art. 210 c.p.c., in base ai quali si è affermato che l'ordine di esibizione di un documento costituisce una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito18. In realtà, il testo del nuovo art. 156 bis sembra quasi vincolare il giudice innanzi alla presenza di «seri elementi» addotti dalla parte che lamenti la violazione…

Sembra, infatti, che si passi dalla «possibilità di disporre» l’ordine di esibizione riconosciuto in capo al giudice alla «possibilità di ottenere» il provvedimento da riconoscersi a favore della parte.

Peraltro, la nuova disciplina dell’acquisizione delle prove può avere un effetto dirompente, giacchè la parte che lamenti la violazione può anche ottenere che «il giudice ordini alla controparte di fornire gli elementi per l’identificazione dei soggetti implicati nella produzione e distribuzione dei prodotti o dei servizi che costituiscono violazione dei diritti di cui alla presente legge»19.

Qualora la violazione denunciata avvenga «su scala commerciale», l’Autorità giudiziaria, sempre su richiesta di parte, può disporre «l’esibizione della documentazione bancaria, finanziaria e commerciale che si trovi in possesso della controparte». Nel prevedere tali misure, tuttavia, il giudice è tenuto a disporre «le misure idonee a garantire la tutela delle informazioni riservate, sentita la controparte». La disposizione dev’essere letta alla luce di quanto previsto dall’art. 211 del codice di rito.

La nuova disposizione consente al giudice di desumere «argomenti di prova dalle risposte che le parti danno e dal rifiuto ingiustificato di ottemperare agli ordini».


 

6. Il diritto di informazione

L’art. 4 del nuovo decreto legislativo introduce anche l’art 156 ter nella l. 22 aprile 1941, n. 633 e l’art. 121 bis del Codice della proprietà industriale, con cui si dà attuazione all’art. 8 della direttiva, che garantiva un “diritto di informazione” in ordine all'origine e alle reti di distribuzione di merci o di prestazione di servizi che violano un diritto di proprietà intellettuale.

Pertanto, la nuova norma, nel riprodurre in maniera pedissequa la disposizione dettata dal legislatore comunitario, dispone che -sia nei giudizi cautelari che in quelli di merito- l’Autorità giudiziaria ha la possibilità di «ordinare, su istanza giustificata e proporzionata del richiedente, che vengano fornite informazioni sull'origine e sulle reti di distribuzione di merci o di prestazione di servizi che violano un diritto di cui alla presente legge da parte dell'autore della violazione e da ogni altra persona che:

a) sia stata trovata in possesso di merci oggetto di violazione di un diritto, su scala commerciale; sia stata sorpresa a utilizzare servizi oggetto di violazione di un diritto, su scala commerciale;

b) sia stata sorpresa a fornire su scala commerciale servizi utilizzati in attività di violazione di un diritto;

c) sia stata indicata dai soggetti di cui alle lettere a) o b) come persona implicata nella produzione, fabbricazione o distribuzione di tali prodotti o nella fornitura di tali servizi»20.

Tali informazioni (acquisite tramite interrogatorio dei soggetti sopra indicati) possono tra l’altro comprendere il nome e l’indirizzo dei produttori, dei fabbricanti, dei distributori, dei fornitori e degli altri precedenti detentori dei prodotti o dei servizi, nonchè dei grossisti e dei dettaglianti, nonchè informazioni sulle quantità prodotte, fabbricate, consegnate, ricevute o ordinate, nonchè sul prezzo dei prodotti o servizi in questione.

A tal fine, «il richiedente deve fornire l’indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti sui quali ognuna di esse deve essere interrogata»21.

Si sottolinea come l’interrogatorio dei soggetti debba essere richiesto dalla parte. Tuttavia, il giudice –una volta ammesso l’interrogatorio- «può altresì rivolgere loro, d'ufficio o su istanza di parte, tutte le domande che ritiene utili per chiarire le circostanze sulle quali si svolge l’interrogatorio»22.


 

7. Il risarcimento del danno

La novella, in attuazione delle disposizioni offerte dalla direttiva comunitaria, si occupa della valutazione del danno, modificando sia l’art. 158 l.d.a., che l’art. 125 del Codice della proprietà industriale.

In particolare, la versione precedente dell’art. 158 l.d.a. si limitava a stabilire: «chi venga leso nell’esercizio di un diritto di utilizzazione economica a lui spettante può agire in giudizio per ottenere che sia distrutto o rimosso lo stato di fatto da cui risulta la violazione o per ottenere il risarcimento del danno». La sintetica formulazione della norma previgente aveva reso difficile la quantificazione del danno, spingendo frequentemente la giurisprudenza ad ancorarsi ai criteri offerti dalle disposizioni in tema di violazione della proprietà industriale, tant’è che si la Suprema Corte aveva affermato come non fosse affatto precluso al giudice il potere-dovere di commisurare il danno «nell'apprezzamento delle circostanze del caso concreto», considerando il beneficio tratto dall'attività vietata e «assumendolo come utile criterio di riferimento del lucro cessante, segnatamente quando esso sia correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato, a proprio favore, occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo»23.

Innanzitutto, la riforma dispone che «chi venga leso nell’esercizio di un diritto di utilizzazione economica a lui spettante può agire in giudizio per ottenere, oltre al risarcimento del danno che, a spese dell'autore della violazione, sia distrutto o rimosso lo stato di fatto da cui risulta la violazione»24.

La liquidazione avviene ai sensi degli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c.. Si prevede che il lucro cessante sia valutato dal giudice ai sensi dell’art. 2056, comma secondo, c.c.,«anche tenuto conto degli utili realizzati in violazione del diritto». Inoltre, seguendo gli orientamenti giurisprudenziali già formulati in passato, si offre all’autorità giudiziaria la possibilità di «liquidare il danno in via forfettaria sulla base quanto meno dell'importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti, qualora l’autore della violazione avesse chiesto al titolare l'autorizzazione per l’utilizzazione del diritto»25.

Ad esempio, con riferimento specifico alla violazione del diritto d’autore, la giurisprudenza era giunta ad affermare che se la lesione era rappresentata dall’utilizzazione di una canzone senza specificare che si trattasse di una elaborazione di un tema originario altrui, dovesse ritenersi che la fortuna commerciale di tale canzone fosse da ricondurre all’opera dell'autore originario ed a quella dell'autore della rielaborazione: «ciò comportava che si dovesse ritenere equa una ripartizione dei proventi della parte musicale nella misura del 50% dell'intero vantaggio conseguito dall'autore dell’illecito»26.

Allo stesso modo, si è affermato che la liquidazione del danno deve avvenire in via equitativa, tenendo conto di quello che potrebbe stimarsi il giusto prezzo del consenso, cioè facendo riferimento al compenso che il titolare del diritto avrebbe potuto pretendere se il contraffattore avesse preventivamente chiesto il suo consenso e tenendo pure conto del vantaggio conseguito dal contraffattore27.

Si ricorda inoltre che –secondo quanto disposto dall’art. 2059 c.c.- sono «dovuti i danni non patrimoniali», ovviamente laddove si sia in presenza di un comportamento qualificabile dallo stesso giudice civile come reato.


 

8. Rimozione e distruzione

Viene anche riformulato l’art. 159 l.d.a. che, nel confermare quanto precedentemente previsto in ordine alla possibilità di ottenere la rimozione o la distruzione di esemplari contraffatti e dei mezzi utilizzati per la produzione di questi ultimi, ammette anche il ritiro temporaneo dal commercio delle copie illecite e degli apparecchi «con possibilità di un loro reinserimento a seguito degli adeguamenti imposti a garanzia del rispetto del diritto». Il danneggiato ha la facoltà di chiedere che l’oggetto ed il mezzo della contraffazione che sarebbero destinati alla distruzione gli vengano aggiudicati. Il legislatore prevede a tal proposito il pagamento di «un determinato prezzo in conto del risarcimento dovutogli».

Tali misure rischierebbero di avere applicazioni indiscriminate, le quali –tuttavia- vengono in parte arginate dal sesto comma dell’art. 159, che prevede come i provvedimenti di distruzione e di aggiudicamento non colpiscano «gli esemplari e le copie contraffatte acquistati in buona fede per uso personale».

Altro limite imposto dalla novella è quello di prevedere che l’applicazione delle misure di rimozione e di distruzione debba «essere proporzionata alla gravità della violazione e tenere conto degli interessi dei terzi»28.


 

9. Descrizione, accertamento, perizia, sequestro e procedimenti di istruzione preventiva

L’art. 162 l.d.a. viene ridefinito in modo tale da consentire non solo la descrizione, l’accertamento, la perizia od il sequestro, ma in maniera da ammettere espressamente anche il ricorso ai procedimenti d'istruzione preventiva.

In effetti, a ben esaminare le tutele processuali tipiche nell’ambito della proprietà intellettuale, si deve ricordare che in passato si è ritenuto che i provvedimenti di descrizione, accertamento e perizia previsti dall’art. 161 l.d.a. (oltre a quelli indicati dalle norme di diritto industriale) fossero species dei provvedimenti di istruzione preventiva il cui genus sarebbe costituito dall'accertamento tecnico preventivo previsto dall’art. 696 c. p. c., dato che si tratta di misure «costituenti mera cautela del diritto processuale cosiddetto alla prova», e non poste «a cautela di un diritto sostanziale attraverso la creazione di un vincolo di indisponibilità teso ad assicurare l'effettività della tutela giurisdizionale ordinaria durante il tempo necessario alla sua realizzazione» e –in quanto tali- non soggette all’applicazione del procedimento cautelare uniforme ex art. 669 quaterdecies c. p. c.29.

Rimane ferma la disposizione secondo la quale il sequestro non può essere concesso nelle opere che risultano dal contributo di più persone, salvo i casi di particolare gravità o quando la violazione del diritto di autore è imputabile a tutti i coautori.

Il nuovo art. 162 bis prevede i termini entro cui iniziare il giudizio di merito, rilevando che qualora il giudizio di merito non sia stato iniziato nel termine perentorio, ovvero se successivamente al suo inizio si estingue, il provvedimento cautelare perde la sua efficacia. Tali norme non si applicano ai provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell'art. 700 c.p.c. ed agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito. Si ricorda, infatti, che ai procedimenti in tema di proprietà industriale ed intellettuale si applicano le norme procedurali dettate dal d. lgs. 15 gennaio 2003, n. 5 per le controversie societarie, le quali sottraggono i «provvedimenti d’urgenza» e gli «altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito» dall’applicazione dell’art. 669 octies c.p.c., disponendo altresì che «non perdono la loro efficacia se la causa non viene iniziata»


 

10. Il sequestro conservativo

Il nuovo art. 162 ter prevede che l’Autorità giudiziaria possa disporre, ai sensi dell’art. 671 del codice di rito civile, il sequestro conservativo di beni mobili e immobili del presunto autore della violazione fino alla concorrenza del presumibile ammontare del danno, compreso il blocco dei suoi conti bancari e di altri beni «quando la parte lesa faccia valere l'esistenza di circostanze atte a pregiudicare il pagamento del risarcimento del danno».

Tale fondamentale innovazione è estesa anche alle tutele nel settore di marchi, brevetti ed altri diritti di privativa industriale, in virtù dell’introduzione dell'art. 144 bis nel Codice della proprietà industriale30.


 

11. Il Codice della proprietà industriale

Gli artt. 14 e ss. della novella riformano il recentissimo d. lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (“Codice della proprietà industriale”).

L’art. 14, nel ridefinire taluni aspetti dell’art. 121, introduce una nuova cautela. Infatti, il nuovo comma 2 bis dispone che «in caso di violazione commessa su scala commerciale mediante atti di pirateria di cui all’articolo 114, il giudice può anche disporre, su richiesta di parte, l’esibizione della documentazione bancaria, finanziaria e commerciale che si trovi in possesso della controparte».

Come si è anticipato, l’art. 121 bis dispone il diritto d’informazione sul modello del nuovo art 156 ter nella l. 22 aprile 1941, n. 633.


 

12. Il risarcimento del danno

L’art. 17 della novella prevede la sostituzione tout court dell'art. 125 del Codice della proprietà industriale in ordine a risarcimento del danno e restituzione dei profitti dell’autore della violazione31.

Pertanto, ferma restando la disposizione secondo cui «il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile», la recente riforma propone una particolare analisi del danno, che deve tener conto «di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall'autore della violazione e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione».

Il secondo comma dell’art. 125 dispone che «la sentenza che provvede sul risarcimento dei danni può farne la liquidazione in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivano». In questo caso il lucro cessante è comunque determinato in un importo non inferiore a quello dei canoni che l’autore della violazione avrebbe dovuto pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso.

Una particolare opportunità viene offerta dal terzo comma dell’art. 125, che offre al titolare del diritto leso la possibilità di «chiedere la restituzione degli utili realizzati dall'autore della violazione, in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento».


 

13. L’inibitoria

L’art. 19 dispone rilevanti modifiche all’art. 131 del Codice della proprietà industriale, consentendo all’inibitoria industriale di acquisire tratti caratteristici autonomi. Innanzitutto, si conferma la possibilità di chiedere l’inibitoria di qualsiasi violazione imminente del suo diritto e del proseguimento o della ripetizione delle violazioni in atto, estendendo la possibilità di ottenere una tutela in via d’urgenza con la facoltà di chiedere

a) l’inibitoria della fabbricazione, del commercio e dell'uso delle cose costituenti violazione del diritto, e

b) l’ordine di ritiro dal commercio delle medesime cose nei confronti di chi ne sia proprie-tario o ne abbia comunque la disponibilità.

Si conferma in toto l’applicazione delle norme del codice di rito concernenti i procedimenti cautelari.

Appare particolarmente rilevante la disposizione secondo cui «l’inibitoria e l'ordine di ritiro dal commercio possono essere chiesti, sugli stessi presupposti, contro ogni soggetto i cui servizi siano utilizzati per violare un diritto di proprietà industriale».

Il nuovo comma 1 bis dell’art. 131 fissa i termini entro cui le parti debbono iniziare il giudizio di merito qualora il provvedimento cautelare non li stabilisca. Pertanto, in assenza di disposizione in tal senso dell’Autorità giudiziaria, il giudizio di merito dovrà essere iniziato entro il termine (assolutamente perentorio, secondo quanto disposto dalla stessa riforma) di venti giorni lavorativi oppure di trentuno giorni di calendario nel caso in cui tale computo conduca ad un «periodo più lungo».

La decorrenza del termine si calcola:

a) dalla pronuncia dell'ordinanza se avvenuta in udienza o,

b) dalla sua comunicazione.

Il nuovo comma 1 ter dell’art. 131 dispone la perdita di efficacia del provvedimento cautelare qualora il giudizio di merito non sia iniziato nel termine perentorio sopra indicato, ovvero se successivamente al suo inizio si estingue.

Tuttavia, il nuovo comma 1 quater dell’art. 131 limita l’applicazione delle disposizioni previste dal comma 1 ter, escludendo espressamente da tale previsione i provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell'articolo 700 del codice di procedura civile ed agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito. In tali casi, peraltro, ciascuna parte ha la possibilità di promuovere il giudizio di merito.

Quindi, tali disposizioni (come quelle del nuovo art. 162 bis l.d.a.) non tendono affatto a cancellare (o attenuare) alcuni aspetti rilevantissimi della formulazione originaria del (pur recente) Codice della proprietà industriale. Infatti, come è noto, l’art. 134 dello stesso Codice assoggetta le controversie in materia di proprietà industriale alle nuove norme procedurali dettate dal d. lgs. 15 gennaio 2003, n. 5 per le controversie societarie. In particolare, si deve sottolineare che l’art. 23 di quest’ultimo decreto sottrae i «provvedimenti d’urgenza» e gli «altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito» dall’applicazione dell’art. 669 octies c.p.c., disponendo altresì che «non perdono la loro efficacia se la causa non viene iniziata». Tale norma rappresenta una innovazione epocale, sovvertendo il principio della «strumentalità della cautela rispetto al diritto cautelando»32, rendendo di fatto facoltativa la promozione della causa di merito.

Sono ben lontani i tempi in cui la dottrina offriva una definizione di provvedimenti cautelari che ne esaltava la provvisorietà, dato che, tradizionalmente, gli effetti giuridici di tali decisioni avevano sempre durata non solo temporanea33.

La recente novella in commento, nel solco della riforma del 2003, pur non intervenendo direttamente sull’applicazione alle controversie industriali delle norme processuali previste dal d. lgs. 5/2003, ne rafforza uno dei tratti fondamentali, confermando la potenziale ultrattività dei provvedimenti d’urgenza, confermando il ruolo della riforma e, sostanzialmente, mantenendo la tutela processuale già prevista nelle controversie in materia di diritto industriale grazie al rinvio al d. lgs. 5/2003. Si affida alle parti, pertanto, la valutazione in merito all’opportunità di proseguire l’attività giudiziaria, instaurando la fase di merito.

Resta inalterato il testo del secondo comma dell’art. 131, che dispone la possibilità per il giudice di «fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata e per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento», all’atto della pronunzia del provvedimento di inibitoria.


 

14. La nuova sanzione penale

All’art. 127 del Codice viene aggiunto il comma 1 bis, in virtù del quale viene punito con le pene previste dall’art. 372 c.p. (falsa testimonianza), ridotte della metà, il comportamento di chi si rifiuti senza giustificato motivo di rispondere alle domande del giudice ai sensi dell’art. 121 bis, ovvero fornisca allo stesso false informazioni.

La stessa sanzione viene prevista dal nuovo art. 171 octies della legge 633/41, con riferimento alla materia della proprietà intellettuale.

La disposizione appare assai originale, in quanto tende a cancellare il principio in base al quale la parte potesse dire quello che volesse dinnanzi al giudice, senza temere di incappare in responsabilità penali34.

 

 

 

_______________________________
1 D. lgs. 16 marzo 2006, n. 140 (“Attuazione della direttiva 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale”), in G.U. n. 82 del 7 aprile 2006.

2 Direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, pubblicata in G.U.U.E. L 157 del 30 aprile 2004.

3 Per approfondimenti si veda l’eccellente opera: L. Nivarra (a cura di), L’enforcement dei diritti di proprietà industriale. Profili sostanziali e processuali. Atti del Convegno. Palermo, 25-26 giugno 2004, Giuffrè, Milano, 2005.

4 Sia consentito rinviare a: A. Sirotti Gaudenzi, Manuale pratico dei marchi e brevetti, seconda edizione, Maggioli, Rimini, 2005.

5 Trib. Torino, 27 gennaio 1999, in Giur. ann. dir. ind., 1999, pag. 3978.

6 Sul punto si vedano: A. Frignani, Le penalità di mora e le astreintes nei diritti che si ispirano al modello francese, in Riv. dir. civ., 1981, I, pag. 506; F. Morelli, Penalità di mora e titolo esecutivo, in Giur. it., 2004, pag. 1446.

7 F. Morelli, op. cit.

8 Così come indicato da Corte App. Bologna, 21 gennaio 1986, in Giur. ann. dir. ind., 1986, pag. 2018 e Trib. Vicenza, 6 ottobre 1990, in Giur. ann. dir. ind., 1991, pag. 2633.

9 T. Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Giuffrè, Milano, 1960.

10 Si rinvia a: Trib. Milano, 17 novembre 1980, in Giur. ann. dir. ind., 1981, pag. 1350; Trib. Milano, 18 settembre 1986, in Giur. ann. dir. ind., 1987, pag. 2133.

11 Si rinvia a: A. Sirotti Gaudenzi, op. cit.

12 Si veda l’art. 11 della direttiva comunitaria.

13 per tutte si veda: Trib. Napoli, 8 agosto 1997, in AIDA, 1998.

14 M. Scuffi, Diritto processuale dei brevetti e marchi, Giuffrè, Milano, 2001, pag. 302.

15 Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1994, n.1173, in Mass. Foro it., 1994.

16 In tal senso, sia consentito rinviare a: A. Sirotti Gaudenzi, Il nuovo diritto d’autore, terza edizione, Maggioli, Rimini, 2005.

17 Art. 3 della novella.

18 Cass. civ., sez. lavoro, 21 giugno 2004, n.11497, in Mass. Giur. it., 2004.

19 Art. 156 bis l.d.a.

20 Art. 156 ter, comma primo, l.d.a.

21 Art. 156 ter, comma quarto, l.d.a.

22 Art. 156 ter, comma quinto, l.d.a.

23 Cass., 24 ottobre 1983, n. 6251, in Dir. autore, 1984, pag. 52; tale orientamento è stato poi confermato da: Cass., 8 luglio 1998, n. 6674, in AIDA, 1999, pag. 583.

24 Art. 158, comma primo, l.d.a.

25 Art. 158, comma secondo, l.d.a. Peraltro, sia consentito in questa sede una (piccola ma romantica) critica al testo normativo della novella, lamentando il ricorso al francesismo “forfettaria”. Dinnanzi siffatta tecnica normativa che non tiene in alcun contro la ricchezza della lingua italiana, verrebbe da invocare una legge come la loi Toubon francese (pur se dichiarata in buona parte incostituzionale dal Conseil Constitutionnel) che impedisce l’utilizzo di terminologie straniere negli atti di legge del Paese d’oltralpe. Piace precisare che chi scrive non è comunque nostalgico dei tempi della “Commissione per l’italianità della lingua”.

26 Trib. Monza, 12 novembre 2002, in Dir. ind., 2003, 2, pag. 190.

27 Corte App. Milano, 28 maggio 1999, in Dir. autore, 1999, pag. 594.

28 Art. 159, settimo comma, l.d.a.

29 Trib. Milano, 9 luglio 1993, in Giur. it., 1994, I, 2, p. 910; in dottrina si veda peraltro: D. Amidei, Note in tema di descrizione, procedimento cautelare uniforme e violazione delle regole di distribuzione della competenza sull'istanza cautelare, in Giur. it., 1999.

30 Si veda l’art. 20 della novella.

31Con riferimento alla normativa previgente, si veda: A. Sirotti Gaudenzi, Il risarcimento da fatto illecito nel diritto industriale, in Foro pad., 2005, f. 3-4.

32 S. Mazzamuto, in L’enforcement dei diritti di proprietà industriale, 2005, pag. 87.

33 in tal senso, seppur datato, si veda: P. Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, 1936.

34 Sul punto, si rinvia a A. Sirotti Gaudenzi, Il rispetto della proprietà industriale parte dalle semplificazioni istruttorie, in Guida al diritto, 2006, f. 24, pag. 27.

  

(*) Avvocato e docente universitario - www.studiosirottigaudenzi.it - info@studiosirottigaudenzi.it


Torna alla Home Page