"NON
E' REATO SCOMMETTERE SUI SITI STRANIERI"
da Italia Oggi del 25 settemmbre 2000
Commento
alla sentenza sulle attività degli Internet point
Tribunale di Santa
Maria C.V. GUP sentenza n. 1021
del 14 luglio
12 settembre 2000
di
Andrea Sirotti Gaudenzi
Avvocato in Cesena
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Il tema dei profili penali delle scommesse on line è stato al
centro di una recente pronuncia del GUP del Tribunale di Santa
Maria Capua Vetere.
Con la sentenza n. 1021 del 14 luglio 12 settembre 2000,
emessa dal GUP del Tribunale campano Antonio Pepe (consultabile
sul sito www.dirittoitalia.it), è stato dichiarato il principio in
virtù del quale non è configurabile il reato di cui
allart. 4 della legge n. 401 del 13.12.1989 (esercizio
abusivo dellorganizzazione di pubbliche scommesse su
competizioni sportive) nellipotesi di attivazione di un
internet point attraverso il quale gli scommettitori possano
collegarsi al sito di un allibratore straniero, scommettendo on
line.
La contestazione
traeva origine dal verbale di sequestro operato dalla Guardia di
Finanza di Capua presso un internet point.
Veniva contestato al gestore del locale di svolgere attività di
bookmaker illecitamente, dato che non era provvisto
dellautorizzazione prevista dallart. 4 della Legge
13.12.1989 n. 401, nonché della licenza di P.S. ex art. 88 del
T.U.L.P.S. e dellautorizzazione comunale.
L'ACCUSA
Dagli atti dellindagine si desumeva, in particolare, che
presso il centro servizi erano presenti alcune postazioni
Internet attraverso le quali era possibile connettersi al sito di
un bookmaker inglese, configurandosi in tal modo-
unattività di raccolta di scommesse in danaro su partite
di calcio ed altri eventi sportivi sulla base delle quote di
previsione fornite sistematicamente dallo stesso allibratore.
Laccusa riteneva come fosse penalmente illecito il
comportamento del gestore del locale, il quale metteva a
disposizione dei propri clienti alcuni computer collegati alla
rete delle reti, che potevano essere utilizzati
tramite tessere prepagate fornite dallo stesso gestore. Inoltre,
la connessione si rendeva possibile anche grazie alle istruzioni
fornite da personale addetto allassistenza
tecnica.
Particolarmente interessanti sono le conclusioni cui è giunto il
GUP del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che non ha
ravvisato gli estremi del reato previsto dallart. 4, comma
I, terza parte, della Legge 401 del 1989, in virtù del quale
"chiunque abusivamente esercita lorganizzazione di
pubbliche scommesse su altre competizioni di persone o animali e
giuochi di abilità è punito con larresto da tre mesi ad
un anno e con lammenda non inferiore a lire un
milione.
Infatti, soffermandosi sulla natura dellattività posta in
essere dall internet point, il giudice ha rilevato come
lattività del locale rappresentasse una mera prestazione
di servizio a favore di scommettitori che si recavano nel locale
semplicemente per ottenere una connessione internet al fine di
mettersi in contatto telematico con il
bookmaker
britannico, che svolge la sua attività di allibratore sulla base
delle autorizzazioni rilasciate dal Paese in cui ha sede, nel
pieno rispetto dell ordianmento del Regno Unito.
LA GIURISPRUDENZA
In passato, di fronte ad un caso simile, la Cassazione ha avuto
modo di precisare che nel concetto di organizzazione delle
pubbliche scommesse non rientra solo lattività consistente
nella scelta degli eventi sportivi sui quali scommettere, la
predeterminazione delle quote con lindicazione delle
entità minime e massime di giocata, lincasso delle somme
scommesse o la corresponsione delle somme vinte operazioni
queste svolte dallallibratore straniero -, ma anche
lattività di raccolta di scommesse, effettuata attraverso
una organizzazione di uomini e mezzi mediante i quali vengono
recepite e pubblicizzate in Italia le quotazioni degli
allibratori stranieri, vengono effettuate giocate e trasmesse
allestero, può definirsi come attività di organizzazione
di pubbliche scommesse e quindi necessita della relativa
autorizzazione di cui allart. 88 del TULPS", con la
conseguenza che "nella fattispecie concreta il principio
dellubiquità di cui allart. 6 c.p. comporta che
quando nel territorio italiano si effettui anche solo parte
dellorganizzazione di pubbliche scommesse questa parte è
soggetta alla legislazione nazionale, sebbene il resto
dellorganizzazione faccia capo a società straniere e
sebbene i giochi e le competizioni oggetto delle scommesse si
svolgano allestero" (Cass., Sez. III Penale, sent.
24.6.1997). Eppure, il GUP del tribunale campano ha rilevato che
nel caso de quo non si potesse parlare affatto di
organizzazione (dato che sarebbe stata necessaria una
partecipazione attiva nella predisposizione dei mezzi necessari
alla commissione delleventuale reato, completamente assente
nella fattispecie), ma fosse ravvisabile una condotta
agevolatrice che -in ogni caso- non poteva far
pensare ad una partecipazione attiva nell organizzazione
delle pubbliche scommesse, dato che il
risultato della stessa si limitava al guadagno, da
parte del gestore del locale, sulle somme spese dagli
scommettitori per la connessione consentita (di regola per ore o
frazioni di esse) e da una percentuale, versata dal bookmaker,
sulla somma puntata tramite i computers di proprietà
dellodierna imputata e contrassegnati, per la
contabilizzazione della stessa, per mezzo di appositi IP.
In sostanza, è stato evidenziato come lattività posta in
essere dal gestore dellinternet point non fosse in alcun
modo diretta alla raccolta di scommesse e si è sottolineato come
i contatti intercorrenti tra i frequentatori dellinternet
point e il bookmaker britannico fossero diretti, dato che ogni
scommettitore, ottenendo laccesso al sito
dellallibratore, può direttamente leggere le quote,
può decidere di scommettere seguendo le modalità in esso
indicate. Inoltre, questo tipo di operazione era resa
possibile dal fatto che gli scommettitori fossero titolari di
conti correnti dai quali potevano essere effettuati il prelievo
per la giocata e nei quali veniva versata la somma vinta
(peraltro, chiunque, con un personal computer dotato di modem ha
la possibilità di compiere queste scommesse dalla propria
abitazione).
In base allinterpretazione del GUP, la stessa percentuale
sulle giocate effetuate riconosciuta dal bookmaker inglese non
consentiva di ravvisare gli estremi del reato, dato che ciò
avveniva sulla base di un rapporto contrattuale che
certamente non dimostra lesistenza di una
partecipazione alla organizzazione per lesercizio delle
scommesse posta in essere in Italia e come tale punibile secondo
le leggi dello Stato Italiano.
Inoltre, nella sentenza si è sottolineato come fosse del tutto
infondato il richiamo allart. 88, comma I, del TULPS
secondo cui "non può essere conceduto licenza per
lesercizio di scommesse, fatta eccezione per le scommesse
nelle corse, nelle regate, nei giuochi di palla o pallone e in
altre simili gare, quando lesercizio delle scommesse
costituisce una condizione necessaria per lutile
svolgimento della gara".
Particolarmente significativo è lesame della norma, di cui
viene analizzata la ratio, identificata nellesigenza
diretta a verificare, a mezzo del rilascio della licenza
per lesercizio delle scommesse, che la raccolta di
pubbliche scommesse costituisca una condizione necessaria per
lutile svolgimento della gara o meglio per consentire lo
svolgimento della stessa.Considerato che gli eventi
sportivi internazionali non sono sottoposti alla gestione del
CONI o dellUNIRE, è evidente che non è possibile un
richiamo allart. 88 del TULPS, che presuppone un sistema
che collega lesercizio e la raccolta di pubbliche scommesse
con un utile svolgimento della gara e più in generale
dellevento sportivo.
Anche volendo aderire allinterpretazione della maggior
parte della giurisprudenza, se si riconoscee allart. 88 la
portata di norma generale contenente il divieto di organizzazione
ed esercizio di pubbliche scommesse, non bisogna dimenticare che
la norma, per potersi configurare la contravvenzione in esame,
deve necessariamente essere coordinata con le disposizioni
contenute nellarticolo 4, comma I, della Legge 401 del
1989.
Inoltre, il GUP si è soffermato sullanalisi della
liceità delleventuale divieto di ingresso nel territorio
nazionale dei bookmaker autorizzati negli Stati membri
dellUnione alla luce delle disposizioni che sanciscono il
principio fondamentale della libera circolazione dei servizi
espresse dagli artt. 59 e ss. del Trattato di Roma. La libera
circolazione dei servizi è di regola consentita allinterno
degli Stati membri e tale principio può essere limitato
unicamente da normative giustificate dallinteresse generale
(come quello dellordine pubblico che
viene perseguito controllando lattività di booking).
LE CONCLUSIONI
Dagli elementi emersi, comunque, il tipo di attività posta in
essere dal gestore dellinternet point non è tale da
legittimare, seppure indirettamente, restrizioni al diritto di
stabilimento ed allo svolgimento dellattività
transfrontaliera, pur previste e consentite dallart. 66 del
Trattato, con riferimento ad esigenze di ordine pubblico,
dato che si limita a fornire un servizio di mera
intermediazione o puramente passivo che non interferisce su
aspetti gestionali e decisionali della lecita attività del
bookmaker inglese il quale, con losservanza delle norme
dettate dallo Stato membro in cui ha sede, viene sottoposto ad un
controllo affidabile che
obbliga lo Stato di destinazione al suo riconoscimento (c.d.
principio del mutuo riconoscimento).
In questo senso, è apprezzabile il risultato conseguito dal
giudice del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che
-intendendo tener conto delle problematiche comunitarie- ha
affermato che
lapplicazione di norme
restrittive per soggetti provenienti da Stati membri finisce per
essere discriminatoria anche alla luce della recente evoluzione
della legislazione italiana in materia di attività di scommesse.
Sinteticamente si può ricordare che gli interventi normativi
degli ultimi anni sono nel senso di un aumento delle opportunità
di gioco da parte degli scommettitori italiani, circostanza
questa che mal si concilia con la restrizione al diritto di
stabilimento da parte di bookmakers stranieri che sarebbe stata
invece certamente più coerente con una politica legislativa
diretta al perseguimento di una riduzione nel territorio italiano
delle opportunità di gioco. Non consentire tale attività per
mezzo di norme restrittive, o interpretare la normativa italiana
nel senso di porre limitazioni al diritto di stabilimento ed
allesercizio di attività transfrontaliera da parte di
soggetti provenienti ed operanti in altri Stati membri
significherebbe allora porsi in contrasto con le disposizione del
Trattato CEE.
Avv. Andrea Sirotti Gaudenzi
IL
TESTO DELLA SENTENZA
(un particolare ringraziamento al dott. Nicola Graziano, magistrato del Tribunale di Napoli e caporedattore della rivista "DirittoItalia")
COMMENTI
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