La tutela del diritto d'autore in Rete

di Andrea Sirotti Gaudenzi

Sintesi del saggio "Il Web cerca più tutela della proprietà intellettuale"
pubblicato su Italia Oggi del 15 gennaio 2001

 

1. Il diritto d’autore e Internet

L’art. 1 della legge italiana sul diritto d’autore n. 633 del 22 aprile 1941 (l.d.a.) tutela le opere dell'ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all'architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione. Inoltre, sono protetti i programmi per elaboratore in virtù della Convenzione di Berna (ratificata e resa esecutiva con legge 20 giugno 1978, n. 399), nonché le banche di dati che -per la scelta o la disposizione del materiale- costituiscono una creazione intellettuale dell'autore.

La norma offre tutela alle opere dell’ingegno umano, a condizione che sia presente il carattere della "creatività", vale a dire un apporto personale dell’autore che –per quanto piccolo- consenta all’opera di presentare un quid novi rispetto alle opere preesistenti. Il concetto di "creatività", quindi, non coincide con quello di novità assoluta, ma va individuato in un grado di originalità che, seppur minimo, sia idoneo a distinguere un'opera dalle altre (Corte App. Perugia, 23 febbraio 1995).

La normativa italiana in tema di proprietà intellettuale riconosce all’autore i diritti patrimoniali ed i diritti morali sull’opera realizzata. Mentre i primi hanno durata temporale limitata e sono alienabili, la caratteristica dei diritti morali è quella di non essere soggetti a termini di durata e di essere inalienabili. Il primo comma dell’art. 20 della l.d.a., infatti, stabilisce che "indipendentemente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica dell'opera (…) ed anche dopo la cessione dei diritti stessi, l'autore conserva il diritto di rivendicare la paternità dell'opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell'opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione."

L'esame della proprietà intellettuale in rete deve prendere le mosse dal problema della extraterritorialità di Internet.

In varie occasioni, le istituzioni comunitarie si sono occupate del problema della globalizzazione telematica imposta da Internet ed hanno preso in considerazione il tema della proprietà intellettuale in rete. Nel novembre del 1988, quando Internet era ancora una realtà cui avevano accesso poche centinaia di unità in tutta Europa, la Commissione Europea realizzò il c.d. libro verde "Il diritto d’autore e le sfide tecnologiche" per indicare le linee guida per giungere ad un’armonizzazione sul tema fra le legislazioni dei vari Paesi membri della Comunità.

Secondo alcune autorevoli voci, la struttura di Internet, la "globalizzazione", fenomeni quali il "no copyright", l'open source e le cyber arts rappresenterebbero la morte del diritto d'autore o -rectius- l'inizio dell'agonia della tutela che la legge offre all'autore…

In effetti, non si può dire che le opere riprodotte in rete possano godere di tutela giuridica effettiva al pari delle opere su supporto tradizionale. Al contempo, è necessario evidenziare che nell’era delle new economy, nell’epoca in cui gradualmente si giunge alla smaterializzazione del supporto di informazione, non sono i beni materiali ad avere valore, ma le idee, i concetti, le immagini. Sulla rete la proprietà del capitale fisico –retaggio della civiltà industriale- diventa sempre meno rilevante, a differenza dei beni immateriali.

Internet, in buona sostanza, non sancisce affatto la fine del copyright, ma obbliga i giuristi a dover affrontare nuove sfide per reperire gli strumenti più adatti alla tutela dell’opera intellettuale presente in rete.

2. Le opere letterarie

Alle opere letterarie riprodotte in rete si deve estendere la normativa applicabile alle opere su supporto cartaceo. Non c'è motivo di ritenere che la pubblicazione di un testo letterario on line debba godere di una protezione minore dei testi letterari su supporto tradizionale. Infatti, a meno che non si verifichi il fenomeno di autori che rinunciano ai diritti previsti dalla normativa dettatta in tema di diritto d’autore (attraverso l'apposizione della scritta "no copyright"), l'opera letteraria in rete dev'essere trattata alla stregua delle pubblicazioni cartacee.

Osservando il panorama giurisprudenziale italiano nell'ambito del mondo dell'editoria telematica, di grande rilievo fu l’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano in data 8 aprile 1997, con cui venne giudicata illecita l’attività di un soggetto che pubblicava in tempo reale su Internet articoli apparsi su quotidiani e riviste cartacee che interessavano ai suoi clienti. Il tribunale ritenne applicabile alla fattispecie l’art. 101 l.d.a., considerando atto di slealtà commerciale la riproduzione di informazioni raccolte e proposte da un imprenditore concorrente, rilevando –inoltre- come si potesse applicare la tutela prevista dall’art. 65 l.d.a., dato che la riproduzione deli articoli era espressamente riservata. La pronunzia diede l’avvio ad un dibattito per stabilire un confine tra semplice rassegna stampa e illecita riproduzione on line di opere tutelate dal diritto d’autore.

3. Le opere multimediali

Strumenti di telecomunicazione, informatica, mezzo audiovisivo, processo di digitalizzazione: la convergenza di diverse tecnologie segna la nascita di nuovi prodotti, quali le opere multimediali. L’opera multimediale è caratterizzata da tre elementi:

  1. deve essere espressa in forma digitale;
  2. deve essere composta da diverse opere protette dal diritto d’autore (testi, suoni, immagini connessi tra loro);
  3. deve funzionare grazie ad un software.

Pur non essendo espressamente contemplata dalla normativa nazionale, non vi è motivo di ritenere che l'opera multimediale sia esclusa dalla tutela prevista dalla normativa dettata dal legislatore in tema di proprietà intellettuale.

Una parte della dottrina ha sostenuto che l’opera multimediale debba essere inquadrata all’interno della categoria delle opere collettive, vale a dire di quelle opere di ingegno costituite "dalla riunione di opere o di pareti di opere che hanno carattere di creazione autonoma, come risultato della scelta e del coordinamento a un determinato fine", così come stabilito dall’art. 3 l.d.a. Altri, invece, preferiscono qualificare l’opera multimediale come "opera complessa", che, secondo l'art. 10 l.d.a., è "quell’opera creata con il contributo indistinguibile e inscindibile di più persone". Sulla base di questa considerazione, si giunge ad affermare che gli elementi che concorrono a creare l'opera multimediale rappresenterebbero quella inscindibilità funzionale propria delle opere composte. Nel passato la dottrina ha cercato di accostare l’opera multimediale alla banca dati.

4. Le banche dati

Con D. L. del 6 maggio 1999 n. 169, il legislatore italiano ha adeguato l’ordinamento nazionale alla direttiva 96/9/CE relativa alla tutela giuridica delle banche di dati, modificando alcuni articoli della legge del 22 aprile 1941 n. 633 sul diritto d’autore.

Nonostante il fatto che l’introduzione della figura di "banca dati" all’interno del nostro ordinamento sia molto recente, già da tempo la giurisprudenza italiana aveva tentato di esprimere una definizione di "banca dati", nel tentativo di applicare alla fattispecie la tutela prevista dal diritto d’autore.

Una pronunzia degna di nota è l’ordinanza emessa in data 23 giugno 1997 dal tribunale di Cuneo, con cui si è deciso su un ricorso ex art. 700 c.p.c. nel quale l’istante invocava la tutela accordata dalla legge sul diritto d’autore di fronte alla violazione da parte del resistente sia dell’aspetto esteriore della pubblicazione, che del software utilizzato per ottenere il "risultato estetico" di una pubblicazione on line che presentava una tabella contenente i dati economici. Il tribunale di Cuneo rilevò come la pubblicazione di informazioni in rete fosse fenomeno da equiparare alle pubblicazioni e, pertanto, ricadesse nella tutela di cui all’art. 12 l.d.a., con conseguente violazione degli artt. 100 e 102 della stessa legge.

L’ art. 2 della Direttiva comunitaria definisce la banca dati "una raccolta di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti e individualmente accessibili grazie a mezzi elettronici o in altro modo", per cui si deve intendere come raccolta di notizie di ogni genere, collegabili, integrabili e costantemente aggiornate secondo una pluralità di criteri determinati. In effetti, ciò che appare rilevante è proprio il sistema utilizzato per gestire le informazioni raccolte.

5. Le immagini

Le immagini che si possono reperire in rete vengono generalmente classificate in due categorie:

1) le immagini create direttamente tramite il computer

2) le copie digitali di immagini esistenti

L’art. 2 della legge sul diritto d’autore stabilisce che devono considerasi oggetto di tutela le opere fotografiche e quelle espresse con procedimento analogo a quello della fotografia. Non c’è alcun dubbio che la legge contempli qualsiasi forma espressiva che rientri anche lato sensu nel concetto di fotografia (quindi anche immagini digitalizzate tramite scanner, istantanee di riprese video e tutto ciò che la tecnica presente e futura possa consentire di realizzare in maniera elettronica).

Per quel che riguarda le fotografie che vengono riprodotto sulle pagine Web, è necessario far riferimento alle tre categorie previste dalla l.d.a.:

a. le riproduzioni fotografiche,

b. le "semplici fotografie",

c. le opere fotografiche.

Ai sensi dell’art. 87, comma II, l.d.a., appartengono al primo gruppo le mere riproduzioni di scritti, documenti, carte di affari, oggetti materiali, disegni tecnici e prodotti simili; tali prodotti non godono in alcun modo della protezione prevista per le altre fotografie. Sono, invece, "semplici" fotografie "le immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o con processo analogo, comprese le riproduzioni di opere dell’arte figurativa e i fotogrammi delle pellicole cinematografiche". Questo tipo di fotografia si distingue per la durata dei diritti patrimoniali (vale a dire vent’anni dalla data di produzione), nonché per la necessità di indicazione di alcuni dati sull’esemplare (nome dell’autore, data di produzione, nome dell’autore, dell’opera d’arte eventualmente ritratta), che sono richiesti per poter accedere alle tutele previste dalla legge.

Le "opere fotografiche" si distinguono dalle precedenti in quanto contengono un apprezzabile apporto creativo. Per questo motivo godono della stessa tutela prevista dall’art. 2 l.d.a. per le altre opere d’ingegno e valgono le stesse regole generali dettate per le altre opere d’ingegno: ne consegue che i relativi diritti patrimoniali si estinguono dopo settant’anni dalla scomparsa dell’autore (a decorrere dal primo gennaio dell’anno successivo alla morte dello stesso).

Nel cyberspazio non è difficile visitare siti che riproducono immagini corrispondenti alle tre categorie sopra individuate (sul punto, si veda: D. Minotti, La protezione dei diritti d’autore nella rete all'indirizzo http://www.kpds2000.com/fotografia/convegno_relaz/Minotti.pdf).

Proprio per l’impossibilità di reperire una difesa efficace in grado di contrastare i continui attacchi al copyright cui si espongono le immagini fotografiche on line, è stato adottato un metodo di riproduzione di immagini "a bassa risoluzione". Questa tecnica, però, mostra limiti evidenti, dato che un’immagine, seppur di bassa qualità, può essere direttamente utilizzata per pubblicazioni su Internet o per opere multimediali; inoltre, gli algoritmi di interpolazione possono garantire un output stampabile in quadricromia con una qualità finale sicuramente accettabile. Un altro strumento sicuramente più efficace è il digital watermarking. Con procedimento del watermarking, detto anche "filigrana", si indica un particolare procedimento che si concretizza nella tecnica di "protezione-identificazione" del prodotto digitale, che può essere visibile o invisibile.

La prima tecnica consiste nell’adozione di alcuni accorgimenti che sono stati ereditati dalla fotografia "tradizionale" (quale l’apposizione del logo dell’autore sulla copia da distribuire). In questo caso, però, si presentano alcuni limiti rilevanti, dato che è sufficiente utilizzare un programma di fotoritocco per cancellare qualsiasi traccia del segno distintivo dell’autore.

Il watermarking invisibile, invece, appartiene, al mondo digitale e fa proprie le tecniche digitali utilizzate per la crittografia e la firma digitale (si agisce in maniera pressochè invisibile sui pixel, inserendo alcuni dati relativi all’autore ed al copyright).

Quest’ultima tecnica, benchè più sicura delle precedenti, non rende affatto l’immagine invulnerabile, dato che attraverso una compressione JPEG è possibile cancellare il watermark, offrendo molteplici possibilità alla pirateria digitale.

6. Le opere musicali

L'art. 2 l.d.a., enucleando in particolare le opere d'ingegno comprese nella protezione del diritto d'autore, menziona al numero 2) "le opere e le composizioni musicali, con o senza parole, le opere drammatico-musicali e le variazioni musicali costituenti di per sé opera originale". In sintesi, la ratio della normativa è quella di tutelare ogni forma di espressione musicale, che si avvale di una successione di suoni e silenzi.

Nell'estate 2000 ha destato grande scalpore il caso Napster, "colpevole" di distribuire in rete a 20 milioni di utenti materiale musicale protetto da copyright, senza averne l’autorizzazione.

Su Internet è possibile accedere a molti file audio in diversi formati. Il formato midi permette la comunicazione tra uno strumento ed un computer.

I file midi sono caratterizzati dalla polifonia e dalla multitimbricità.

Il wave è il formato digitale che si può creare tramite la riproduzione ambientale o l’estrazione digitale (o –rectius- il Digital Audio Extractum).

Infine, possono essere reperiti i file in formato MP3. Con l’acronimo MP3 si indica l’estensione "MPEG 1 Layer 3", che ha tradotto in bit suoni con perdita di qualità del tutto insensibile all’orecchio umano.

7. Nomi a dominio, titoli di siti, di mailig list, collegamenti ipertestuali e tutela del diritto d’autore.

Negli anni passati, la giurisprudenza di merito è stata concorde nell’attribuire al domain name funzione distintiva, precisando come lo stesso "assuma anche carattere distintivo dell’utilizzatore del sito atto a concorrere alla identificazione del medesimo e dei servizi commerciali da esso offerti al pubblico a mezzo di interconnessione con la Rete Internet con qualche apparente affinità con la figura dell’insegna in quanto luogo virtuale ove l’imprenditore contatta il cliente fino a concludere con esso il contratto".

In effetti, a modesto avviso di chi scrive, dev’essere realizzata un’attenta analisi del caso concreto: il nome a dominio può corrispondere:

Appare significativo questo passo della sentenza emessa dal Tribuanle di Viterbo emessa il 24 gennaio 2000: "Così come costantemente insegnato dalla giurisprudenza prevalente (e dalla stessa dottrina) la protezione accordata dalla legge sul diritto di autore (L. 22 aprile 1941 n. 633) va verificata procedendosi ad un accertamento ad un accertamento se non anche dell'originalità, quanto meno di una significativa capacità individualizzante relativamente all'utilizzazione d'un vocabolario genericamente idoneo ad indicare e delimitare l'area degli argomenti oggetto di trattazione, necessaria espressione minima di generico riferimento per chiunque intenda svolgere attività editoriale nello specializzato settore prescelto e non ritenga conveniente o non sia in grado di creare una "testata" (perché il domain name tale è nell'ambito Internet) meglio caratterizzata per originalità e fantasia".

In passato, la giurisprudenza di merito ha utilizzato le norme dettate dall l.d.a. per risolvere una celebre controversia che vedeva opposta una casa editrice al titolare di una mailing list giuridica. Il 23 ottobre 1996, il Tribunale di Modena accolse il ricorso presentato ai sensi dell’art. 700 c.p.c. proposto dalla società Foro Italiano s.r.l. (editore dell’omonima rivista) nei confronti dell’avv. Tiziano Solignani, a quel tempo moderatore di una mailing list giuridica denominata Foroit. Nell’occasione il Tribunale emiliano escluse che si potessero ravvisare gli estremi della "concorrenza sleale" (dato che il moderatore della mailing list era un giurista e non un imprenditore in competizione con una casa editrice), ma ravvisò una violazione dell’art. 100 l.d.a., nel punto in cui recita che "il titolo dell'opera, quando individui l'opera stessa, non può essere riprodotto sopra altra opera senza il consenso dell'autore". Nonostante il fatto che il comma II dello stesso articolo stabilisca che il divieto non debba estendersi ad opere di specie o di carattere così diverso da potersi escludere ogni possibilità di confusione, il tribunale ritenne che al caso de quo dovesse applicarsi l’art. 100 della legge 663/41.

Interessanti problematiche in tema di diritto d'autore sono state recentemente sollevate anche con riferimento al link tra diversi siti. Con la parola link (in inglese "anello" o "catena", ma anche "collegamento" in senso figurato) si indica un collegamento ipertestuale fra unità informative.

Navigando in rete, è possibile imbattersi in link interni, vale a dire collegamenti fra pagine dello stesso sito e in link esterni, che consentono al visitatore di un sito di spostarsi attraverso un semplice click nelle pagine ospitate da un diverso sito.

Con la terminologia deep link si fa riferimento ad un collegamento che rinvia da una pagina ospitata da un sito ad un'altra pagina ospitata da sito (senza transitare per la "home page" di quest'ultimo sito), mentre per framing si intende l'inserimento della pagina "chiamata" (linkata) all'interno della struttura del sito "chiamante" (linkante).

Negli Stati Uniti le pratiche del framing e del deep link, se non espressamente autorizzata dal titolare del sito "linkato", vengono considerate illecite (anche se per alcuni la pratica del deep link è l'unico modo corretto di citare la fonte indicata nel documento in cui il link è inserito).

In particolare, negli U.S.A., si ritiene che il framing, per la "confusione" ingenerata nell’utente della rete possa rappresentare una violazione del copyright, laddove non venga evidenziato dal webmaster del "sito richiamante" che il link è diretto alla pagina di un altro sito. Sulla base di una consolidata abitudine in virtù della quale, in assenza di esplicite previsioni del legislatore nazionale, sarebbe opportuno ispirarsi al sistema statunitense, anche nel nostro Paese si sono levate voci di forte critica alla pratica del framing. Eppure, è stato autorevolemente sostenuto che ci sono pochi elementi per sostenere la tesi secondo cui sarebbero applicabili al nostro ordinamento i principi provenienti dagli USA (sul punto, si vedano le riflessioni di Luca de Grazia, ospitate dal sito www.degrazia.it).

Per gli stessi motivi, dovendosi cercare nell'ambito del sistema nazionale la soluzione ai problemi di Internet law, si ritiene comunemente che anche nel caso di sistematica condotta di deep link al solo fine di sottrarre accessi, sarebbe necessario prendere in considerazione non tanto la nortmativa in tema di diritto d'autore, ma i principi in tema di lesione del diritto alla concorrenza.

8. La tutela del software ed Internet: premessa

Appare chiaro come Internet sia l'ambiente in cui il software viene esposto maggiormente a rischi. Il primo ordinamento che ha riconosciuto al softaware dignità di "opera intellettuale", diponendo in suo favore la tutela nell’ambito del diritto d’autore è stato quello statunitense, grazie al Computer Software Amendment Act del 1980, che ha fortemente condizionato altre normative nazionali. Anche la Comunità europea ha deciso di fornire ai programmi la protezione che si riconosce alle altre opere d'autore attraverso l'emanazione della direttiva 91/250/CEE, recepita nel nostro ordinamento giuridico con il D.Lgs. 518 emanato il 29 dicembre 1992, che ha novellato la legge sul diritto d’autore n. 633/41

La Commissione, nella relazione presentata a Bruxelles il 10 aprile 2000 (COM-2000-199), ha rilevato come -sulla base di uno studio comparato effettuato nelle varie realtà nazionali dell'Unione- sia diminuito il fenomeno della pirateria. Peraltro, presso le istituzioni europee è attualmente dibattuto il problema della brevettabilità del software.

La novella del 1992 ha aggiunto al Capo III della l.d.a. la sezione VI ("Programmi per elaboratore") che si apre con l'art. 64-bis che recita testualmente: "… i diritti esclusivi conferiti dalla presente legge sui programmi per elaboratore comprendono il diritto di effettuare o autorizare:

  1. la riproduzione, permanente o temporanea, totale o parziale, del programma per elaboratore con qualsiasi mezzo o in qualsiasi forma. Nella misura in cui operazioni quli il caricamento, la visualizzazione, l'esecuzione, la trasmissione o la memorizzazione del programma per elaboratore richiedono una riproduzione, anche tali operazioni sono soggette all'autorizzazione del titolare dei diritti;
  2. la traduzione, l'adattamento, la trasformazione e ogni altra modificazione del programma per elaboratore, nonché la riproduzione dell'opera che ne risulti, senza pregiudizio dei diritti di chi modifica il programma;
  3. qualsiasi forma di distrubuzione al pubblico, compresa la locazione, del programma per elaboratore originale o di copie dello stesso. La prima vendita di una copia nella Comunità Economica Europea da parte del titolare dei diritti, o con il suo consenso, esaurisce il diritto di distribuzione di detta copia all'interno della Comunità, ad eccezione del diritto di controllare l'ulteriore locazione del programma o di una copia dello stesso."

Gli artt. 64 ter e 64 quater stabiliscono quattro casi in cui non si può impedire all'utilizzatore del programma di realizzare copia dell'opera, anche in assenza dell'autorizzazione del titolare del programma:

Infine, per accordare una forte protezione al software, il DPCM n. 244 del 3 febbraio 1994 ha indicato le modalità di tenuta del Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, il cui compito è quello di dare pubblicità legale al software.

Il software viene distribuito in varie forme sia in Internet, che sulla c.d. "terra ferma".

Tra le varie tipologie di software, si devono distinguere:

a. L'open source

questo tipo di programma per elaboratore è caratterizzato dal fatto di essere una sorta di "sistema aperto" che, quindi, chiunque può implementare attraverso il proprio contributo. Uno dei casi più noti è rappresentato da Linux, un sistema operativo ideato nel 1991 da uno studente universitario, che si è sviluppato grazie all’apporto di programmatori di tutto il mondo. L’open source pone interessanti problemi sotto l’aspetto della proprietà intellettuale, anche se sembra ormai consolidata la teoria in virtù della quale, dato l’apporto costante fornito da più soggetti, andrebbe inquadrato nella categoria delle opere collettive e, in quanto tale, tutelabile ai sensi dell’art. 10 l.d.a.

b. Il freeware

Rappresenta uno dei tipi di software maggiormente presenti in rete. Può essere copiato ed utilizzato gratuitamente, ma il codice sorgente non può essere utilizzato in assenza del consenso dell’autore (in capo al quale devono riconoscersi i diritti derivanti dalla proprietà intellettuale) A questa categoria di programmi appartiene il diffuso cardware, che può essere copiato ed utilizzato da chiunque, a condizione che venga inviato all’autore una comunicazione, nonché una somma simbolica a compenso della propria fatica. Anche in questo caso, l’autore non si spoglia dei diritti derivanti dalla paternità dell’opera.

c. Il shareware

Altra categoria di software per elaboratore è quella del shareware: i programmi circolano liberamente sulla rete e possono essere copiati ed utilizzati, ma entro certi limiti (indicati dalla licenza). Possono essere previsti:

l’utilizzo entro un certo termine

l’utilizzo di una sola parte del programma;

l’utilizzo del programma in forma "disturbata" (il c.d. nagware)

d. I programmi di pubblico dominio

I programmi sotto regime di public domain sono quelli per i quali l’autore si spoglia completamente di ogni diritto riconosciutogli dalle norme in tema di proprietà intellettuale: chiunque può copiare ed utilizzare il programma, assemblandolo ad altri o modificandolo (tali programmi sono frequentemente accompagnati dalla dicitura no copyright).

9. La giurisprudenza nazionale in tema di programmi per elaboratore

Le prime pronunzie di merito occupatesi di programmi per elaboratore negarono al software "la titolarità dei un diritto d'autore" (Pret. Torino, 25 maggio 1982; peraltro la sentenza definì i videogiochi "aggeggi nati per sollevare dalla noia gente sfaccendata" ).

Il 15 luglio 1983, il Tribunale di Torino ritenne applicabile ad alcuni videogiochi la disciplina dettata per le opere cinematografiche. Secondo l’interpretazione dei giudici torinesi, non dovevano ritenersi opere cinematografiche solo i film, ma anche le altre forme di rappresentazione indipendentemente dalla tecnica utilizzata e dalla forma d’espressione.

Gradualmente, si affermò nella giurisprudenza del nostro Paese il convincimento che i programmi per computer fossero opere di ingegno per l’originalità che presentavano e che anche al software dovesse applicarsi la tutela prevista dal diritto d’autore.

Il 24 novembre 1986, la Cassazione riconobbe espressamente la possibilità di estendere ai programmi per elaboratore la normativa in tema di diritto d'autore "in quanto opere dell'ingegno che appartengono alle scienze e si esprimono in linguaggio tecnico-convenzionale concettualmente parificato all'alfabeto o alle sette note". L'anno successivo, la Corte di cassazione precisò che i programmi per elaboratore" potevano essere ritenuti vere e proprie opere d’ingegno tutelabili in sede giudiziale, solo quando fossero il risultato di uno sforzo creativo caratterizzato da un apporto nuovo nel campo informatico o quando avesse espresso soluzioni originali ai problemi di elaborazione dei dati (Cass. 6 febbraio 1987, n. 1956).

Come anticipato, con il d. l. 518/1992 è stata recepita nel nostro Paese la direttiva 91/250/CEE, dedicata alla tutela giuridica del software "ai sensi della Convenzione di Berna sulla protezione delle opere letterarie ed artistiche", attraverso cui è stata modificata la legge sul diritto d’autore e si è fornita una specifica protezione al software in ambito penale.

Particolarmente interessante è l’esame compiuto dalla giurisprudenza di merito in ordine all’elemento psicologico del reato previsto dalla vecchia formulazione dell’art. 171 bis l.d.a. nel caso di duplicazione non autorizzata di vari porogrammi software, che puniva chiunque abusivamente duplicasse a fini di lucro, programmi per elaboratore, o, ai medesimi fini e sapendo o avendo motivo di sapere che si trattasse di copie non autorizzate, importasse, distribuisse, vendesse, detienesse a scopo commerciale, o concedesse in locazione i medesimi programmi.

Al riguardo la giurisprudenza ha fornito due interpretazioni della terminologia scopo di lucro utilizzata dal legislatore nell'articolo 171 bis: secondo un orientamento il "lucro" sarebbe stato rappresentato dall'accrescimento positivo del patrimonio a differenza del "profitto", più ampio concetto, che avrebbe incluso tanto l'accrescimento diretto del patrimonio quanto quello indiretto, verificatosi attraverso una mancata perdita patrimoniale (Pretura Cagliari, 26.11.1996); secondo l'altra interpretazione il fine di lucro avrebbe compreso anche il profitto derivante dal risparmio di costi (Tribunale Torino, 20.04.2000).

Con pronunzia del Tribunale di Torino datata 13 luglio 2000 (consultabile su www.penale.it), è stato rilevato che "il legislatore con l'articolo 10 del decreto legislativo 29 dicembre '92 518 ha introdotto, in seno alla legge di protezione del diritto d'autore, l'articolo 171 bis, così configurando una fattispecie dolo specifico; il legislatore ha cioè richiesto l'elemento intenzionale del fine di lucro per l'integrazione del reato. Tale innesto normativo è del tutto razionale e in armonia con altre norme (di natura civilistica) previste dalla stessa legge di protezione del diritto d'autore, quali l'articolo 64 ter comma secondo (che prevede, in particolari condizioni, la liceità della formazione di una copia di riserva del programma informatico) e l'articolo 68 comma primo della stessa legge (che consente la libera riproduzione di opere per uso personale), dalle quali si ricava che il solo fatto della duplicazione non costituisce condotta illecita".

Con la stessa sentenza, il giudice di merito ha avuto modo di pronunciarsi sulla configurabilità del reato di ricettazione con riferimento al software. Nel caso de quo, l’imputato giustificava la condotta tenuta, facendo leva sulla propria passione per l'informatica, sostenendo di avere "scaricato" alcuni programmi da Internet, di avere acquistato altri programmi unitamente a riviste specializzate vendute in edicola, di avere acquistato taluni programmi "in originale" e di averli poi duplicati a fine di conservazione e uso personale, talvolta gettando via il software originale perché usurato.

10. Le recenti modifiche alla l.d.a. e la tutela del software.

Le interpretazioni giurisprudenziali dell’art. 171 bis l.d.a, che prendevano le mosse dalla necessità di distinguere i casi in cui fosse presente lo scopo di lucro da quelli in cui fosse assente tale atteggiamento psicologico, possono ritenersi ampiamente superate alla luce delle recenti modifiche apportate alla l.d.a. attraverso la legge 248/2000, che rende penalmente sanzionabile la duplicazione di software non solo quando viene duplicato ai fini della vendita con conseguente "profitto" da parte del duplicatore.

Il novellato art. 171 bis, infatti, punisce "chiunque abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore o ai medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Società italiana degli autori ed editori (SIAE)".

Prima della riforma, la norma richiedeva il dolo di lucro, non quello di profitto e, pertanto, il semplice "risparmio di spesa" non costituiva reato. Oggi, invece, la duplicazione di software, se posta in essere ai fini di "risparmio" integra gli estremi dell’illecito penale, con conseguente estensione a macchia d’olio dell’applicabilità della fattispecie.

Destinata a far discutere è la formulazione del nuovo art. 181 bis che prevede l’apposizione da parte della SIAE di "un contrassegno su ogni supporto contenente programmi per elaboratore o multimediali nonchè su ogni supporto contenente suoni, voci o immagini in movimento, che reca la fissazione di opere o di parti di opere tra quelle indicate nell’articolo 1, primo comma, destinati ad essere posti comunque in commercio o ceduti in uso a qualunque titolo a fine di lucro." Il legislatore precisa che "analogo sistema tecnico per il controllo delle riproduzioni di cui all’articolo 68 potrà essere adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sulla base di accordi tra la SIAE e le associazioni delle categorie interessate."

Si deve precisare che il legislatore stabilisce che il contrassegno "può non essere apposto sui supporti contenenti programmi per elaboratore disciplinati dal decreto legislativo 29 dicembre 1992, n. 518, utilizzati esclusivamente mediante elaboratore elettronico, sempre che tali programmi non contengano suoni, voci o sequenze di immagini in movimento tali da costituire opere fonografiche, cinematografiche o audiovisive intere, non realizzate espressamente per il programma per elaboratore, ovvero loro brani o parti eccedenti il cinquanta per cento dell’opera intera da cui sono tratti, che diano luogo a concorrenza all’utilizzazione economica delle opere medesime. In tali ipotesi la legittimità dei prodotti, anche ai fini della tutela penale di cui all’articolo 171-bis, è comprovata da apposite dichiarazioni identificative che produttori e importatori preventivamente rendono alla SIAE" (art. 181 bis, comma III l.d.a.; sul tema si rinvia alle considerazioni espresse da Valentino Spataro sul sito www.civile.it). Dal tenore letterale del testo normativo risulta evidente che l’apposizione del contrassegno sui supporti contenenti semplice software di utilità non sarà affatto obbligatorio.

Neppure ha senso dire che la riforma (seppur dettata da esigenze ben note) "uccida" l'open source, come Linux, per la necessità di apporre il contrassegno. Infatti, anche volendo ignorare la portata del comma III dell'art. 181 bis, è il comma I dello stesso articolo a indicare tassativamente programmi su cui apporre il contrassegno SIAE:

  1. quelli destinati ad essere posti in commercio;
  2. quelli ceduti in uso a qualunque titolo a fine di lucro.

Pertanto, è evidente che -in ogni caso- né l'open source, né i programmi contrassegnati dal no copyright potranno essere soggetti alla necessaria apposizione del "bollino" SIAE, oggi al centro di un dibattito molto acceso.

Andrea Sirotti Gaudenzi, avvocato
sirottigaudenzi@worldonline.it

 

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