Una lettura della sentenza della Corte 
Costituzionale n. 227/2001 
tra logica e diritto

di Franco Pasut
Avvocato

 

IL TESTO DELLA SENTENZA

Processo civile - Rito lavoro - Garanzia patrimoniale del credito di lavoro - Azione revocatoria - Ritenuta inapplicabilità del regime di gratuità o di esenzione da imposta e da diritti di qualsiasi natura - Lamentata, irragionevole, disparità di trattamento e incidenza sull'esercizio del diritto di azione e difesa in giudizio - Necessaria interpretazione adeguatrice della norma censurata - Non fondatezza della queastione

Corte Costituzionale - 6 luglio 2001, n.227 - Pres. Ruperto - Rel. Bile - M. B. - Ministero delle Finanze (Avv. Gen., Stato)

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge 11 agosto 1973, n. 533 (Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie) in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione

Ritenuto in fatto - 1.- Il Tribunale di Torino (in composizione monocratica) - nel corso di tre giudizi civili riuniti, proposti da M. B. contro il Ministero delle finanze, in opposizione avverso atti di accertamento di violazioni e di irrogazione delle correlate sanzioni per l’omesso versamento di imposte di bollo in atti giudiziari - ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione, dell’articolo 10 della legge 11 agosto 1973, n. 533 (Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie), che ha sostituito l’articolo unico della legge 2 aprile 1958, n. 319 (Esonero da ogni spesa e tassa per i giudizi di lavoro),  nella parte in cui <<esclude, ovvero non contempla>> il regime di gratuità e di esenzione, senza limite di valore o di competenza, dall’imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa, o diritto di qualsiasi specie e natura, per i giudizi aventi ad oggetto azioni surrogatorie (art. 2900 del codice civile) o revocatorie (art. 2901 del codice civile), nonché per il procedimento di sequestro conservativo funzionale all’esercizio della revocatoria (art. 2905, secondo comma, del codice civile), qualora il loro esperimento avvenga per conservare la garanzia patrimoniale di un credito di lavoro. 
Il rimettente dà atto che l’opponente, dopo avere ottenuto dal Pretore di Torino, in funzione di giudice del lavoro, sentenza di condanna del suo datore di lavoro al pagamento di lire 35.035.286, aveva provveduto ad instaurare nei confronti del medesimo e di altri due soggetti, azione revocatoria ex art. 2901 cod. civ., in relazione ad atti di disposizione patrimoniale compiuti in loro favore dal suo datore di lavoro. Rileva, quindi, che l’opponente non aveva assolto l’imposta di bollo nel relativo giudizio e che da ciò erano stati originati gli atti di accertamento e di irrogazione delle sanzioni oggetto dell’opposizione.
Il rimettente osserva che lo stesso opponente ha sollevato la questione di legittimità costituzionale e ne fa propri i motivi di non manifesta infondatezza, rilevando che l’esclusione dalle esenzioni e dalla gratuità previste dalla norma impugnata dei giudizi instaurati dal <<creditore di lavoro>> con le azioni di conservazione della garanzia patrimoniale, determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra il creditore costretto da atti di disposizione pregiudizievoli ad esercitare quelle azioni per ottenere la realizzazione del proprio credito ed il creditore che agisca esecutivamente, eventualmente procedendo ad espropriazione immobiliare. La disparità di trattamento sarebbe ingiustificata, data l’omogeneità delle situazioni <<sotto il profilo funzionale del ricorso alla tutela giurisdizionale del diritto nascente dal rapporto di lavoro>>.
Inoltre, la mancata estensione dell’esenzione alle azioni in esame violerebbe anche il diritto di azione e di difesa ex art. 24 Cost., <<risultando certamente più oneroso e difficile per il lavoratore instaurare un giudizio diretto a ricostituire la garanzia patrimoniale pregiudicata dal proprio debitore>>.
Quanto alla rilevanza, il rimettente assume che i giudizi non possono essere definiti indipendentemente dalla soluzione della questione <<avendo i medesimi ad oggetto l’accertamento della debenza dell’imposta di bollo in un giudizio di revocatoria introdotto per far valere un credito di lavoro>>.

2.- E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’infondatezza della questione.
Quanto all’art. 3, le azioni di cui agli artt. 2900, 2901 e 2905 cod. civ. non sarebbero assimilabili ai mezzi esperibili direttamente per l’accertamento e la realizzazione concreta del credito di lavoro. In particolare, sarebbe da escludere l’assimilabilità fra azione revocatoria e azione esecutiva, in quanto la prima dà luogo ad un giudizio trilatero, cui partecipa un terzo estraneo al rapporto di lavoro dal quale nasce il credito. Si giustificherebbe quindi la diversità di trattamento rispetto all’azione esecutiva, <<che interessa in via immediata, ed esclusiva, creditore e debitore della retribuzione o di altra prestazione pecuniaria originata dal rapporto di lavoro>>. Inoltre, mentre il giudizio di cognizione od esecutivo direttamente attinente al credito di lavoro meriterebbe <<particolare e distinta attenzione da parte del legislatore, siccome rappresentato da un bene di fondamentale rilievo individuale e sociale>>, viceversa i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, pur quando fatti valere strumentalmente ad un credito di lavoro, resterebbero rimedi di diritto comune, sottoposti cioè <<quanto a presupposti, condizioni, competenza giudiziaria ecc.  alla stessa disciplina generale che lo governa senza riguardo alla natura del credito a tutela del quale sia esperito>>.
Infondata sarebbe anche la lesione dell’art. 24, in quanto il diritto di azione non sarebbe precluso o menomato dalla soggezione al normale regime fiscale degli atti processuali.

Considerato in diritto

1.- L’ordinanza in epigrafe dubita della legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge 11 agosto 1973, n. 533, recante "Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie", (che ha sostituito l’articolo unico della legge 2 aprile 1958, n. 319, sull’esonero da ogni spesa e tassa per i giudizi di lavoro), nella parte in cui <<esclude ovvero non contempla>> l’applicabilità del regime di gratuità ed esenzione dall’imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa, o diritto di qualsiasi specie e natura, ai giudizi concernenti azioni surrogatorie o azioni revocatorie o sequestri conservativi a queste ultime funzionali (artt. 2900, 2901, 2905, secondo comma, cod. civ.), promossi per conservare la garanzia patrimoniale di crediti di lavoro.

Secondo l’ordinanza la norma lederebbe:

(a) l’art. 3 Cost., per irragionevole disparità di trattamento tra chi agisca in via esecutiva per realizzare un credito di lavoro e chi invece eserciti le azioni indicate per conservare la garanzia patrimoniale dello stesso credito, in quanto solo il primo e non anche il secondo fruirebbe dell’esenzione, pur essendo entrambe le azioni funzionali alla tutela del diritto nascente dal rapporto di lavoro;

(b) l’art. 24 Cost., sotto il profilo che la mancata esenzione dei giudizi volti a tutelare la garanzia patrimoniale renderebbe più oneroso l’esercizio del diritto di azione e di difesa in giudizio da parte del creditore di lavoro.

2. - La questione è rilevante solo per l’azione revocatoria, esercitata nel giudizio cui si riferisce l’imposta controversa.

3. - Essa non è fondata, perché la norma impugnata - della quale il rimettente, pur in assenza di <<diritto vivente>>, non ha ricercato un’interpretazione adeguatrice - deve essere interpretata in modo da escludere la prospettata incostituzionalità.
Il primo comma dell’art. 10 dichiara esenti dall'imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura, tra gli altri, gli atti relativi alle <<controversie individuali di lavoro>> (da identificare in quelle di cui all’art. 409 del codice di procedura  civile) ed <<ai provvedimenti di conciliazione dinanzi agli uffici del lavoro e della massima occupazione o previsti da contratti o accordi collettivi di lavoro>>.
Il secondo comma dispone che <<sono allo stesso modo esenti gli atti e i documenti relativi alla esecuzione sia immobiliare che mobiliare delle sentenze ed ordinanze emesse negli stessi giudizi, nonché quelli riferentisi a recupero dei crediti per prestazioni di lavoro nelle procedure di fallimento, di concordato preventivo e di liquidazione coatta amministrativa>>.
L’ultimo comma recita infine che <<le disposizioni di cui al primo comma si applicano alle procedure di cui agli artt. 618-bis, 825 e 826 cod. proc. civ.>>.

4. - L’art. 10 è suscettibile di interpretazione estensiva - in principio non vietata dal carattere eccezionale delle norme di esenzione, preclusivo solo di quella analogica (art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile) - nel senso di ritenere compresi nell’ambito dell’esenzione anche procedimenti non formalmente contemplati ma pur sempre finalizzati alla tutela del credito di lavoro.
Una diversa lettura dell'art. 10 rivelerebbe del resto una radicale incoerenza interna della norma, fonte di irragionevoli disparità di trattamento, e condurrebbe a negare l’esenzione a una serie di procedimenti non menzionati dal secondo comma, con evidente e irragionevole discriminazione rispetto a quelli esplicitamente esentati. Così non sarebbero esenti l’esecuzione promossa sulla base di verbali di conciliazione sottoscritti nel procedimento avanti al giudice del lavoro (art. 420 cod. proc. civ.), mentre lo è l’esecuzione in virtù di sentenze o ordinanze pronunciate da quel giudice in quel procedimento; l’esecuzione promossa in base a verbali di conciliazione formati avanti agli uffici del lavoro o previsti da contratti collettivi (artt. 410 ss. cod. proc. civ.), mentre lo sono gli atti dei procedimenti conclusi da quei verbali; e ancora l’esecuzione iniziata in base a titolo esecutivo stragiudiziale (art. 474, secondo comma, n. 3, cod. proc. civ.) che accerti crediti di lavoro,  mentre lo è l’opposizione all’esecuzione promossa sulla base dello   stesso titolo (e quella avverso i relativi atti esecutivi).

5. - In siffatto quadro si colloca il problema del riconoscimento o meno dell’esenzione all’azione revocatoria proposta dal creditore di lavoro, per assicurare la garanzia patrimoniale del proprio credito.
Tale azione - ma il problema interpretativo è comune alla surrogatoria ed al sequestro ex art. 2905, secondo comma, cod. civ. - mira evidentemente a tutelare, sia pure con modalità peculiari, lo stesso credito nascente dal rapporto di lavoro che la norma impugnata ritiene di esentare dal normale trattamento tributario, per agevolare il ricorso del creditore alla tutela giurisdizionale.
Il rilievo vale da solo ad escludere la ragionevolezza di eventuali disparità di trattamento.
Soccorre poi l’argomento che - dopo il positivo esperimento dell’azione revocatoria - la successiva espropriazione contro il terzo proprietario, acquirente in virtù dell’atto revocato, avviene pur sempre in base al titolo esecutivo ottenuto nella controversia di lavoro, e quindi sicuramente si avvale dell’esenzione. Ne risulta quindi confermata l’irrazionalità di un ipotetico sistema che - pur riconoscendo l’esenzione alla fase cognitiva che conduce al titolo esecutivo contro il debitore, ed alla fase esecutiva contro il terzo dopo l’esito vittorioso della revocatoria - la negasse invece all’eventuale fase intermedia, da questa rappresentata, volta ad assicurare l’esercizio del diritto riconosciuto in un giudizio esente da imposte, in vista di una successiva esecuzione parimenti esentata.
L’irragionevolezza è ulteriormente avvalorata dalla sicura spettanza dell’esenzione alla revocatoria che il creditore di lavoro proponga contestualmente all’azione per l’accertamento del credito. Il terzo comma dell’art. 40 cod. proc. civ. impone infatti la trattazione congiunta delle due cause (con il rito del lavoro), e l’unità del giudizio comporta l’esenzione per entrambe le azioni.

6. - Non rileva invece, ai fini dell’esenzione, che l’azione revocatoria a tutela di un credito di lavoro - se esercitata separatamente dall’azione relativa a quel credito - non rientri nella competenza del giudice del lavoro, né sia soggetta al rito speciale.
Invero l’esenzione si coordina alla situazione sostanziale dedotta in giudizio e non al rito. Ne è prova la sua applicazione a procedimenti di sicuro estranei al rito del lavoro, come le opposizioni in tema di ammissione dei crediti al passivo fallimentare e i giudizi di accertamento dell’obbligo del terzo ex art. 548 cod. proc. civ., certamente esentati dal secondo comma della norma impugnata, in quanto rispettivamente inquadrabili nel <<recupero dei crediti per prestazioni di lavoro nelle procedure di fallimento>> e nell’esecuzione in genere.

7. - Interpretata nel senso che l’esenzione si applica anche all’azione revocatoria esercitata per conservare la garanzia patrimoniale del credito di lavoro, la norma impugnata si sottrae alle prospettate censure di incostituzionalità, e la relativa questione - alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte - deve essere dichiarata non fondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara  non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge 11 agosto 1973, n. 533 (Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie), sollevata dal Tribunale di Torino, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

OMISSIS


IL SAGGIO DELL'AVV. FRANCO PASUT

 

1)    L’antefatto.

1.1)           La sentenza della Corte Costituzionale n. 227/2001 trae origine dall’ordinanza del Tribunale di Torino del 26 aprile 2000 pubblicata nella G.U. n. 38 (prima serie speciale) al n. 473 (Vedi Allegato A).

La vicenda processuale che ha dato origine all’ordinanza di rimessione nasce da una causa promossa da un lavoratore contro il proprio datore di lavoro presso la Pretura del Lavoro di Torino per ottenere la condanna di quest’ultimo al pagamento di importi per prestazioni di lavoro svolte dal ricorrente.

A seguito dell’esito favorevole di tale giudizio il lavoratore ha promosso azioni di revocatoria (ordinaria) nei confronti del proprio datore di lavoro e di altre due parti all’evidente fine di neutralizzare atti di disposizione patrimoniale lesive dei propri interessi nel frattempo poste in essere dal soccombente.

Tali azioni sono state promosse, analogamente a quanto avvenuto per la causa di accertamento del credito, con l’applicazione del beneficio dell’esenzione previsto dall’art. 10 L. 11 agosto 1973 n. 533.

In questo ambito si sono inseriti gli atti di irrogazione delle sanzioni per omesso versamento delle imposte di bollo nei predetti atti giudiziari concernenti l'azione revocatoria.

Avverso tali atti di irrogazione lo stesso ricorrente ha promosso, presso il Tribunale Ordinario di Torino distinti giudizi di opposizione, successivamente riuniti in un unico procedimento processuale.

Il Tribunale di Torino, a sua volta, ha ritenuto non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell'art.10 legge 8 agosto 1973 n. 533 nella parte in cui esclude, ovvero non contempla il regime della gratuità per i giudizi previsti dalla legge quali mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale (artt. 2900 e 2901 c.c.) nonché per i procedimenti ad essi strettamente funzionali (art. 2905, comma 2 c.c.), nel caso in cui i predetti procedimenti siano esperiti al fine di attuazione dei crediti di lavoro, ossia di crediti pacificamente soggetti ad esenzione.

1.2)           La questione sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale attiene, quindi, all’applicazione del regime di gratuità anche alle ipotesi non propriamente riconducili al rito del lavoro in senso stretto pur essendo al medesimo connesso per ragioni sostanziali.

Trattasi, pertanto, di verificare se il regime di gratuità sia da ritenersi di natura “sostanziale”, ossia previsto in tutti in casi in cui l’atto derivi, anche indirettamente, da un credito di lavoro o se, invece, sia di natura strettamente “processuale”, ossia connesso esclusivamente alle ipotesi in cui il giudizio sia promosso nelle forme di cui al Titolo IV – Libro II del c.p.c.

La Corte Costituzionale ha ritenuto la questione non fondata ma per giungere a tale conclusione ha percorso un’articolata nonché elaborata riflessione fondata su procedimenti logico‑matematici di rango nobile e di tono antico.

2)    La soluzione adottata dalla Corte Costituzionale.

2.1)           La Corte Costituzionale ha risposto alla richiesta di intervento del Tribunale di Torino affermando, in primo luogo, che il medesimo non avrebbe, ricercato un’“interpretazione adeguatrice” della norma sospettata di illegittimità costituzionale, pur dando atto dell’assenza di “diritto vivente” (“¼ il rimettente, pur in assenza di <<diritto vivente>>, non ha ricercato un’interpretazione adeguatrice).

In sostanza la Corte Costituzionale ha esordito affermando che se il Tribunale rimettente avesse ricercato tale “interpretazione adeguatrice” della norma la questione di legittimità non sarebbe stato necessario chiedere il proprio intervento quale giudice delle leggi (“deve essere interpretata in modo da escludere la prospettata incostituzionalità”).

Dopo tale “monito” la Corte procede ad esporre quella che ritiene essere l’interpretazione corretta della norma, ossia quell’interpretazione che, se fosse stata effettuata a monte (ovviamente secondo la propria prospettazione), non avrebbe reso necessario il proprio intervento.

2.2)           La Corte, prima avviare l’esposizione del proprio pensiero sulla "interpretazione" corretta della norma denunciata si preoccupa di precisare da una lato che la norma di esenzione ha un carattere eccezionale, come tale non suscettibile di interpretazione analogica ma che, dall'altro lato, il principio di eccezionalità non vieta l'interpretazione estensiva della medesima norma[1].

In sostanza la Corte afferma, tra le righe, che il procedimento logico che si appresta ad esporre, debba intendersi come di natura estensiva piuttosto che analogica, così superando l'ostacolo del divieto di analogie per le norme eccezionali posto dall'art. 14 delle Disposizioni sulla Legge in Generale.

Non è, tuttavia, obiettivo del presente lavoro analizzare l’aspetto della correttezza o meno dell’utilizzo concreto dello strumento  dell’interpretazione estensiva quanto piuttosto porre in evidenza se il procedimento logico seguito dalla Corte sia o meno privo di punti di debolezza.

3)    Sul procedimento logico adottato dalla Corte Costituzionale.

La sentenza analizzata si svolge nel contesto di un percorso logico che comporta l’adozione di un ragionamento sillogistico a sua volta fondato su due teoremi simbolicamente rappresentabili come procedimenti “per assurdo[2]”.

3.1)           Si ritiene opportuno ricostruire separatamente i due teoremi partendo dai frammenti della sentenza commentata.

3.1.1) La parte nodale del primo teorema è costituita dai seguenti passaggi:

L’art. 10 è suscettibile di interpretazione estensiva (…)nel senso di ritenere compresi nell’ambito dell’esenzione anche procedimenti non formalmente contemplati ma pur sempre finalizzati alla tutela del credito di lavoro.”.

Il percorso prosegue con l’affermazione secondo cui “Una diversa lettura dell'art. 10 rivelerebbe del resto una radicale incoerenza interna della norma, fonte di irragionevoli disparità di trattamento, e condurrebbe a negare l’esenzione a una serie di procedimenti non menzionati dal secondo comma, con evidente e irragionevole discriminazione rispetto a quelli esplicitamente esentati.” .

3.1.2) È proprio questo il punto centrale del primo percorso logico utilizzato dalla Corte: l’affermazione per cui il sistema giuridico sarebbe incoerente se fosse ammessa la contestuale presenza di procedimenti esenti e non esenti entrambi volti a tutelare i medesimi interessi presupposti ed è dimostrata la pacifica presenza nel sistema di almeno una di tali ipotesi di incoerenza ne deriva la caducazione dello stessa logica complessiva.

In termini logico‑matematici la regola è la seguente[3]:

Ove:

= “Il regime di esenzione di cui all’art. 10 L. 533/1973”;

= “L’esenzione è estensibile anche a procedimenti non compresi nel testo della norma”.

= “Oggetto dell’esenzione: i procedimenti di lavoro”.

La lettura è la seguente: ipotizzando che l’esenzione di all’art. 10 (assioma ) si accompagni alla possibilità di non estendere l’esenzione medesima anche a procedimenti non compresi (ipotesi ) (e tale sarebbe il significato della prima formula ) ne deriverebbe la compresenza del sistema di procedimenti “di lavoro” esenti (classe ) e di procedimenti “di lavoro” non esenti (classe ) (ossia la formula ).

Non essendo, secondo la Corte Costituzionale, coerente e, quindi, ammissibile che nel sistema giuridico siano presenti contemporaneamente  e non essendo, altresì, possibile risolvere il precedente conflitto con la negazione di  (ossia con l’ammissione del teorema ) ne consegue che l’unica interpretazione possibile debba essere  ossia l’estensione del regime di esenzione ai procedimenti non letteralmente compresi.

In termini più discorsivi la Corte afferma, quindi, che sarebbe discriminatorio ammettere che vi siano azioni volte alla tutela di medesimi interessi e che abbiano un diverso trattamento tributario.

La Corte, quindi, “giustifica” la tesi appena enunciata con le conseguenze che deriverebbero al sistema dall’adozione dell’antìtesi alla precedente tesi.

Tale particolare, ossia la carenza di una vera e propria giustificazione “positiva”, costituisce, come sarà nel prosieguo dimostrato, un punto debole della costruzione in quanto il sistema, in realtà, non si è affatto dimostrato incoerente dalla compresenza di azioni volte a tutela dei medesimi interessi ma soggette a due trattamenti differenti.

3.1.3) La Corte si preoccupa anche di creare scenari concreti di incoerenza per avvalorare il proprio teorema: “Così non sarebbero esenti l’esecuzione promossa sulla base di verbali di conciliazione sottoscritti nel procedimento avanti al giudice del lavoro (Classe ) (art. 420 cod. proc. civ.), mentre lo è l’esecuzione in virtù di sentenze o ordinanze pronunciate da quel giudice in quel procedimento (Classe ); l’esecuzione promossa in base a verbali di conciliazione formati avanti agli uffici del lavoro o previsti da contratti collettivi (Classe ) , mentre lo sono gli atti dei procedimenti conclusi da quei verbali (Classe ); e ancora l’esecuzione iniziata in base a titolo esecutivo stragiudiziale[4] che accerti crediti di lavoro (Classe ),  mentre lo è l’opposizione all’esecuzione promossa sulla base dello   stesso titolo (Classe ) .”.

3.2)           Il primo teorema è, pertanto, così sintetizzabile: “se l’art. 10 non comprendesse anche procedimenti non formalmente contemplati ma pur sempre finalizzati alla tutela del credito di lavoro si verificherebbe una radicale incoerenza interna della norma, fonte di irragionevoli disparità di trattamento”, ovvero: “Ogni procedimento finalizzato alla tutela dei crediti di lavoro è esente da imposte” così scomponibile:

- Ogni procedimenti finalizzato alla tutela dei crediti di lavoro = Y;

- è esente da imposte = X.

3.3)           La “premessa minore” del meccanismo logico è costituita dalla concreta collocazione dell’istituto esaminato nell’ambito dell’ambiente astratto sopra delimitato e viene enunciato con i seguenti frammenti: “In siffatto quadro si colloca il problema del riconoscimento o meno dell’esenzione all’azione revocatoria proposta dal creditore di lavoro, per assicurare la garanzia patrimoniale del proprio credito.” (enunciazione del problema). “Tale azione (…) mira evidentemente a tutelare, sia pure con modalità peculiari, lo stesso credito nascente dal rapporto di lavoro che la norma impugnata ritiene di esentare dal normale trattamento tributario, per agevolare il ricorso del creditore alla tutela giurisdizionale.” (la Corte anticipa, nel proiettare l’ambito dell’azione revocatoria alla tutela del credito “sottostante”, la propria conclusione). “Il rilievo vale da solo ad escludere la ragionevolezza di eventuali disparità di trattamento.” (è  proprio questo il punto!). “Soccorre poi l’argomento che (…) la successiva espropriazione contro il terzo proprietario, acquirente in virtù dell’atto revocato, avviene pur sempre in base al titolo esecutivo ottenuto nella controversia di lavoro, e quindi sicuramente si avvale dell’esenzione.” (la Corte cerca una conferma e la trova nel seguente inciso:) Ne risulta quindi confermata l’irrazionalità di un ipotetico sistema che - pur riconoscendo l’esenzione alla fase cognitiva che conduce al titolo esecutivo contro il debitore, ed alla fase esecutiva contro il terzo dopo l’esito vittorioso della revocatoria - la negasse invece all’eventuale fase intermedia, da questa rappresentata, volta ad assicurare l’esercizio del diritto riconosciuto in un giudizio esente da imposte, in vista di una successiva esecuzione parimenti esentata.” .

Anche in questo caso è possibile estrarre una rappresentazione simbolica del ragionamento della Corte applicando la medesima formula sopra indicata ma mutando il significato della simbologia sottostante come di seguito:

Ove:

= “L’azione revocatoria tutela la garanzia patrimoniale del creditore”;

= “è evidente che l’azione revocatoria erediti la natura dei crediti sottostanti ’”.

= “Trattamento specifico delle azioni a tutela del credito”.

La lettura è la seguente: ipotizzando che l’azione revocatoria (assioma ) si accompagni alla possibilità di non essere intesa quale forma di tutela dei crediti sottostanti (ipotesi ) ne deriverebbe la compresenza del sistema di specifici trattamenti delle azioni a tutela del credito (classe ) e di antitetici trattamenti delle medesime azioni (classe ).

Non essendo, secondo la Corte Costituzionale, coerente e, quindi, ammissibile che nel sistema giuridico siano presenti contemporaneamente  ne consegue che l’unica interpretazione possibile debba essere  ossia che l’azione revocatoria, appunto, debba intendersi come una forma di tutela dei crediti sottostanti e, pertanto, applicando lo stesso ragionamento alla sottoclasse dei crediti di lavoro: “miri a tutelare lo stesso credito nascente dal rapporto di lavoro”.

In termini più discorsivi la Corte afferma, quindi, che sarebbe discriminatorio ammettere che vi siano azioni volte alla tutela di medesimi interessi e che abbiano un diverso trattamento tributario.

3.4)           È possibile racchiudere i passaggi suddetti nel seguente secondo teorema: “non è ragionevole ritenere che l’azione revocatoria non sia intrinsecamente finalizzata alla tutela di un credito sottostante”, ovvero “tutte le azioni revocatorie sorte da crediti di lavoro sono procedimenti finalizzati alla tutela dei crediti di lavoro” o, ancora, “ogni azione revocatoria sorta da credito di lavoro è un procedimento finalizzato alla tutela del credito di lavoro” (nella logica spesso occorre una certa forzatura sintattico/grammaticale per il buon funzionamento delle operazioni preposizionali) scomponibile in:

- Ogni azione revocatoria sorta da credito di lavoro = Z;

- è un procedimento finalizzato alla tutela del credito di lavoro = Y.

4)    Il sillogismo.

Risulta essere, a questo punto, estremamente agevole chiudere il procedimento sillogistico adottato dalla Corte adottando la simbologia convenzionale per siffatta tipologia[5].

4.1)           Il teorema sintetizzato al punto 3.3) è di tipo “Tutti gli  Y sono X” ossia “Ogni Y è X” che, dal punto di vista logico, è facilmente identificabile come proposizione affermativa universale, ossia una proposizione di tipo A.

4.2)           Il secondo teorema, quello sintetizzato al punto 3.4) è tipo “Tutti gli Z sono Y”, ossia “Ogni Z è Y” e costituisce un’altra proposizione affermativa universale di tipo A.

4.3)           Nelle predette due proposizioni è identificabile il termine X come termine maggiore, il termine Z come termine minore ed il termine Y come termine intermedio. Il termine intermedio, quindi, costituisce il soggetto della premessa maggiore ma il predicato della premessa minore.

4.4)           Il risultato dell’operazione è un sillogismo di tipo AAA-1 ossia uno dei tipi di sillogismo dei quali è matematicamente possibile provare la validità mediante i diagrammi di Venn e che può essere simbolicamente tradotto nella seguente formula:

che costituisce esattamente il risultato atteso dalla Corte Costituzionale, ovvero la proposizione: Ogni azione revocatoria sorta da crediti di lavoro è esente da imposte.

5)    La critica

L’apparente perfezione del procedimento logico‑giuridico adottato dalla Corte Costituzionale poggia su due pilastri teorici la cui fondatezza non è, tuttavia, del tutto pacifica.

In particolare sono riscontrabili due punti di debolezza, uno per ognuna delle due premesse del sillogismo sopra identificato.

5.1)           Il primo punto debole attiene alle procedure di riscossione dei contributi e, in particolare, al relativo trattamento tributario con particolare riguardo agli anni ‘95/’96, nei quali la problematica dell’esenzione venne direttamente affrontata dall’allora Ministero di Grazia e Giustizia.

5.2)           In due occasioni il Ministero si espresse in riferimento alla portata dell’art. 10 per procedimenti i quali, pur essendo pacificamente diretti alla tutela di crediti di natura previdenziale (e, quindi, pur sempre finalizzati alla tutela del credito di lavoro essendo assoggettabili, per loro natura, al rito processuale del lavoro per effetto del richiamo all’indietro di cui all’art. 442 c.p.c.) avevano la particolarità di essere fondati su titolo stragiudiziale e, come tale, non direttamente riconducibile, per usare la terminologia della Corte Costituzionale sopra richiamata, non formalmente contemplati nell’art. 10.

Il titolo stragiudiziale era costituito dal cd. Modello DM 10/M ossia dal titolo a cui espressamente l’art. 2, primo comma, del D.L. 9 ottobre 1989 n. 338, conv. in L. 7 dicembre 1989 n. 389, attribuiva efficacia di titolo esecutivo. Tale norma è stata abrogata dall’art. 37 del D. Lgs. 26 febbraio 1999 n. 46.

Si ritiene, a questo proposito, opportuno riportare uno stralcio del quesito che l’Ufficiale Giudiziario dell’Ufficio NEP presso il Tribunale di Sulmona pose al Ministero nel 1995 (l’intero parere è, in ogni caso, integralmente riprodotto all’ Allegato B).

Tale Ufficio riteneva che per l’esecuzione dei titoli esecutivi corrispondenti ai Mod. INPS DM 10/M gli oneri relativi ai compensi e spese delle procedure esecutive fossero a carico dei debitori, cosi come previsto dal punto 10 dell'art.2 della legge 389/1989 e che, pertanto, l'anticipazione ed il successivo recupero dovessero avvenire a cura del creditore, ossia dell’INPS.

In sostanza veniva posta la questione della non estensibilità al modello DM 10 e, quindi, alla riscossione di crediti previdenziali fondati su titolo stragiuziale, dell’esenzione di cui all’art. 10.

Ebbene: il Ministero rispose con una formula del tutto antitetica rispetto a quella utilizzata dalla Corte Costituzionale.

Testualmente affermò che “Nel caso invece di atto di precetto autonomo, non conseguente a provvedimento giurisdizionale, pur se in tema di lavoro, assistenza e previdenza, non rientra nella gratuità delle spese proprio in ossequio dell'art.10 della legge 533/1973 che fa esplicito riferimento a cause, provvedimenti, giudizi in materia di lavoro e previdenziale.”.

Ecco che, quindi, viene affermato il principio per cui crediti pur sempre finalizzati alla tutela del credito di lavoro ma non formalmente contemplati nell’art. 10 non seguivano il trattamento dei crediti di lavoro formalmente contemplati nell’art. 10 (ossia dei procedimenti, come espressamente affermato dal Ministero, attuativi di sentenze ed ordinanze del giudice in materia assistenziale, previdenziale o di lavoro).

Viene, pertanto, a cadere la formula  in quanto il regime di esenzione di cui all’art. 10 NON viene esteso a procedimenti non compresi nel testo della norma.

5.3)           Il sistema sopra delineato ha trovato, poi, conferma nella Circolare n. 08/96 del 19 febbraio 1996 (integralmente trascritta all’Allegato C) in cui si conferma espressamente il parere sopra richiamato e si rafforza tale tesi affermando che “(…), diversamente opinando, le spese relative alle attività in discorso dovrebbero essere “anticipate dagli uffici giudiziari e poste a carico dell’erario”, come prevede l’art. 10 della sunnominata legge, che, essendo legge speciale, deroga alla normativa generale solo limitatamente a quanto espressamente previsto.” ed inoltre che “(…) la legge 533/1973, sebbene sia chiarificatrice del concetto di gratuità delle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie, pone tale gratuità in rapporto diretto e specifico alla speciale origine del titolo esecutivo per cui si procede.”.

Il Ministero, quindi, esprime il concetto antitetico rispetto a quello della Corte Costituzionale: la gratuità non connessa alla natura del credito ma alla fonte del titolo.

La “conferma” di tale interpretazione viene, poi, riportata nel successivo paragrafo con la precisazione per cui il sistema sopra delineato: “(…) trova la sua ratio nella possibilità di riscontro in termini di spesa da parte del capo dell’ufficio che emette il mandato di pagamento; mandato che verrà poi iscritto sul registro mod. 12”.

Come può facilmente notarsi l’interpretazione fornita dal Ministero è molto più pragmatica di quella ipotizzata dalla Corte Costituzionale: viene posto, infatti, in grande rilievo l’aspetto dell’iscrizione del mandato di pagamento nel Mod. 12 e del procedimento per il recupero nei confronti dell’Erario.

Una prospettiva più vicina al testo della norma nonché alla concretezza degli adempimenti amministrativi contro una prospettiva teorica più vicina all’astrattezza del diritto.

In ogni caso un’interpretazione con una valore giuridico del tutto simile a quello espresso dalla Corte Costituzionale[6].

La prassi comune, in ogni caso, è stata proprio quella esposta dal Ministero ed è stata osservata, senza alcuna “incoerenza” e senza che il sistema abbia mostrato alcun segno di irragionevolezza.

5.4)           Non vi è stata, quindi, alcuna emergente “radicale incoerenza interna della norma, fonte di irragionevoli disparità di trattamento”, ed il sistema giuridico ha retto senza che alcuna delle parti interessate (debitore o creditore) abbiano sollevato particolari o significative contestazioni.

Il primo pilastro utilizzato dalla Corte Costituzionale deve, pertanto, considerarsi venuto meno.

5.5)           Il secondo punto debole attiene alla seconda premessa utilizzata dalla Corte ossia all’affermazione secondo cui, parafrasando le parole utilizzate dalla Corte, l’azione di revocatoria successiva alla formazione di un titolo formatosi secondo il rito del lavoro abbia un evidente scopo di tutela dello stesso credito nascente dal rapporto di lavoro.

La Corte, quindi, liquida subito la questione del rapporto tra credito specifico e azione revocatoria affermando che tale rapporto dovrebbe ritenersi “evidente” e, come tale, non necessitante di qualsivoglia dimostrazione diretta.

La Corte, come sopra affermato, utilizza un procedimento ad esclusione: ossia mira a dimostrare che la tesi negativa alla propria condurrebbe ad una inaccettabile situazione di “non ragionevolezza”.

In ogni caso la Corte non affronta minimamente il contesto dell’azione revocatoria in senso tecnico e si limita a porre alcuni esempi di non ragionevolezza nei casi contrari alla propria tesi.

5.6)           Dal punto di vista tecnico l’azione revocatoria “deve essere essenzialmente considerata come uno strumento approntato dal legislatore per la tutela (indiretta) del diritto del creditore[7], ossia come un mezzo per la conservazione della garanzia patrimoniale a favore del creditore il cui scopo non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del credito ma soltanto quello, più limitato, di ottenere l’inefficacia relativa dell’atto posto in essere dal debitore e lesivo degli interessi del debitore.

L’azione revocatoria ha, tra i propri presupposti, l’esistenza di un valido rapporto di credito già esistente anche se soggetto a condizione o termine.

Il credito, pertanto, costituisce non l’evento a cui è diretta la tutela specifica dell’azione revocatoria ma soltanto uno dei presupposti per l’attualità di tale azione.

Il creditore, pertanto, non è limitato, una volta ottenuta la dichiarazione di inefficacia relativa dell’atto revocato, ad agire per un solo credito ma per tutti i crediti liquidi ed esigibili secondo le norme vigenti per i procedimenti di espropriazione coattiva (con la possibilità ulteriore di intervenire in procedimenti esecutivi per la tutela di crediti non ancora certi in quanto non assisiti da titolo esecutivo).

Inoltre l’azione revocatoria non ha come unico presupposto l’esistenza di un credito ma necessita di ulteriori elementi (i tradizionali “eventus damni” e “consilium fraudis” in riferimento ai quali non è il caso di svolgere ulteriori considerazioni).

5.7)           Ciò significa, pertanto, che l’area dell’azione revocatoria è diversa e più vasta rispetto all’area della tutela del “credito” in quanto da un lato non è vincolata ad uno specifico credito ma soltanto ad uno status di “creditore” (ossia è ben possibile agire per la tutela indiretta di più crediti), dall’altro lato l’esistenza di detto status non è, in ogni caso, sufficiente per tale azione.

Lo scenario di non ragionevolezza prospettato dalla Corte Costituzionale in riferimento alla formula  viene del tutto a cadere per disomogeneità delle due classi  e .

Essendo caduta la contraddizione rappresentata dalla predetta formula ne consegue che anche il prospettato antecedente  potrebbe effettivamente esistere senza che ciò comporti alcuna astratta contraddizione.

Se, infine, cade tale antecedente cade anche la verità della proposizione utilizzata come premessa minore (punto 4.2) nel sillogismo conclusivo (punto 4.4).

5.8)           La scelta, pertanto, di una sentenza interpretativa appare particolarmente discutibile non solo e non tanto per la delicatezza dei presupposti invocati dalla Corte (i.e. il concetto di interpretazione estensiva sopra accennato) quanto piuttosto per la insussistenza di un ferreo meccanismo  logico posto a fondamento dell’interpretazione adottata dalla Corte.

Al di là di tale considerazione deve, in ogni caso, essere apprezzato non soltanto il principio di fondo espresso dalla Corte Costituzionale, ossia il principio della rilevanza sostanziale del regime di esenzione di cui all’art. 10, ma anche la particolare eleganza del procedimento logico seguito dalla stessa Corte per giungere alla predetta affermazione.

Resta, quindi, da verificare quale riverbero possa avere, oltre il caso concreto in cui si è inserita la sentenza, l’affermazione di un principio che, sino ad ora, non aveva ancora trovato un così chiaro ed autorevole sostegno e che, di recente, ha addirittura corso il rischio di essere totalmente eliminato dal sistema giuridico (per opera del comma 2 dell'articolo 23 della legge 29 marzo 2001, n. 134 modificato dalla legge 6 dicembre 2001, n.437, vedasi Allegato D).

In sostanza se l’interpretazione adeguatrice, secondo il concetto prospettato dalla stessa Corte, dovesse  a sua volta essere fonte di interpretazione sostanziale dell’art. 10 la presente sentenza potrebbe senz’altro costituire un valido ausilio alla soluzione degli aspetti applicativi incerti dell’istituto in esame.

Se, invece, tale interpretazione venga intesa come il risultato di un procedimento di sintesi dello status del diritto intorno alla predetta norma, allora la conclusione adottata non potrebbe che ritenersi in conflitto con altre possibili interpretazioni del tutto legittime e per le quali non risulta essere stata contestata alcuna forma di incoerenza con i principi di ermeneutica legislativa.

 

Avv. Franco Pasut


Allegato A)

L’ordinanza di rimessione.

 

N. 473 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 aprile 2000.

 (GU n. 38 del 13.09.2000)

Ordinanza emessa il 26 aprile 2000 dal giudice istruttore del tribunale di Torino nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Moubarak Brahim e Ministero delle finanze

IL TRIBUNALE

 Visti gli atti dei procedimenti riuniti R.G. n. 3381/1999, 3382/1999 e 7169/1999, pendenti tra il sig. Moubarak Brahim e il Ministero delle Finanze, aventi ad oggetto la opposizione avverso gli atti di accertamento di violazione ed irrogazione delle sanzioni relativamente ai tributi per i quali non e' ammesso ricorso alle commissioni tributarie (art. 16, d.lgs 18 dicembre 1997, n. 472);

rilevato che gli atti di accertamento di violazione ed irrogazione delle sanzioni sono stati originati dall'omesso versamento da parte del Sig Moubarak Brahim delle imposte di bollo negli atti giudiziari concernenti l'azione revocatoria esercitata dal sig. Moubarak Brahim nei confronti dei signori Cucinotta Massimo, Cucinotta Antonio e Valeri Giulia per recuperare il credito di lavoro nei confronti del sig. Cucinotta Massimo accertato nella misura di L. 35.035.286 con sentenza del pretore di Torino quale giudice del lavoro in data 5 marzo 1998;

rilevato che, a giustificazione dell'omesso assolvimento dell'imposta di bollo, il sig Moubarak Brahim denunciava la lacuna normativa conseguente alla mancata espressa previsione, da parte dell'art. 10 legge 11 agosto 1973 n. 533 (che ha sostituito l'art. unico della legge 2 aprile 1958 n. 319), del regime di esenzione "senza limite di valore o di competenza, dall'imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura) per le azioni previste dalla legge quali mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale (artt. 2900 e 2901 c.c.) nonche' i procedimenti ad esse strettamente funzionali (art. 2905, secondo comma c.c.) ove esperite al fine della attuazione dei crediti di lavoro;

rilevato che l'art. 10 della legge 11 agosto 1973, n. 533 (che ha sostituito l'art. unico della legge 2 aprile 1958, n. 319) cosi' statuisce:

"gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi alle cause per controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego, gli atti relativi ai provvedimenti di conciliazione dinanzi agli uffici di lavoro e della massima occupazione o previsti da contratti o accordi di lavoro nonche' alle cause per controversie di previdenza e assistenza obbligatorie sono esenti, senza limite di valore, dall'imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.

Sono allo stesso modo esenti gli atti e i documenti relativi alla esecuzione sia immobiliare che mobiliare delle sentenze e delle ordinanze emesse negli stessi giudizi, nonche' quelle riferentisi a recupero dei crediti per prestazioni di lavoro nelle procedure di fallimento, di concordato preventivo e di liquidazione coatta amministrativa.

Sono abolite relativamente ai ricorsi amministrativi riferentisi ai rapporti di pubblico impiego le tasse di cui all'art. 7 della legge 21 dicembre 1950 n. 1018.

Le spese relative ai giudizi sono anticipate dagli uffici giudiziari e poste a carico dell'erario.

Le disposizioni di cui al primo comma si applicano alle procedure di cui agli articoli 618-bis, 825 e 826 del codice di procedura civile";

rilevato, in particolare, che il sig. Moubarak Brahim evidenzia come la mancata previsione da parte dell'art. 10 della legge 11 agosto 1973 (che ha sostituito l'art. unico della legge 2 aprile 1958 n. 319) della gratuita' dei giudizi instaurati dal creditore di lavoro con l'esercizio delle azioni di conservazione della garanzia patrimoniale e, dunque, dell'azione surrogatoria e revocatoria ordinaria e del sequestro conservativo consentito dall'art. 2905, secondo comma, c.p.c., realizzi una ingiustificata disparita' di trattamento tra chi, creditore di lavoro, agisca esecutivamente, magari espropriando un immobile, e chi invece, pur essendo a sua volta creditore di lavoro, sia costretto a "inseguire" il proprio debitore che tenta in ogni modo di frustrare la realizzazione del credito con atti pregiudizievoli di disposizione del proprio patrimonio;

rilevato che il sig. Moubarak Brahim sottolinea come la lacuna normativa si ponga in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza (art. 3 Cost.), realizzando una ingiustificata disparita' di trattamento a fronte di situazioni omogenee sotto il profilo funzionale del ricorso alla tutela giurisdizionale del diritto nascente dal rapporto di lavoro e con il principio costituzionale del diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost.) risultando certamente piu' oneroso e difficile per il lavoratore instaurare un giudizio diretto a ricostituire la garanzia patrimoniale pregiudicata dal proprio debitore;

rilevato che, per i suddetti motivi, il sig. Moubarak Brahim ha sollevato, con apposita istanza, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, legge 11 agosto 1973, n. 533 (che ha sostituito l'art. unico della legge 2 aprile 1958 n. 319) nella parte in cui esclude, ovvero non contempla il regime della gratuita' e della esenzione "senza limite di valore o di competenza, dall'imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura", per i giuizi previsti dalla legge quali mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale (artt. 2900 e 2901 c.c.) nonche' per i procedimenti ad esse strettamente funzionali (art. 2905, comma 2 c.c.), nonche' per i relativi atti e provvedimenti, ove i giudizi ed i procedimenti medesimi siano esperiti al fine di attuazione dei crediti di lavoro; ritenuto che i presenti giudizi riuniti (R.G. nn. 3381/1999, 3382/1999 e 7169/1999) non possano essere definiti indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' sollevata da parte attrice avendo i medesimi ad oggetto l'accertamento della debenza dell'imposta di bollo in un giudizio di revocatoria introdotto per far valere un credito da lavoro;

ritenuto, altresi', che la questione sollevata da parte attrice non appaia manifestamente infondata sia sotto il profilo di disparita' di trattamento di situazioni tra loro omogenee sia sotto il profilo della violazione del diritto di azione e di difesa;

ritenuto, pertanto, che debba essere disposta l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale nonche' la sospensione del giudizio ex art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87 con ogni altro provvedimento consequenziale;

P. Q. M.

Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87;

Solleva su istanza di parte, in quanto non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art.10 legge 8 agosto 1973 n. 533 (che ha sostituito l'art. unico della legge 2 aprile 1958 n. 319) nella parte in cui esclude, ovvero non contempla il regime della gratuita' e della esecuzione "senza limite di valore o di competenza, dall'imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura" per i giudizi previsti dalla legge quali mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale (artt. 2900 e 2901 c.c.) nonche' per i procedimenti ad esse strettamente funzionali (art. 2905, comma 2 c.c.), nonche' per i relativi atti e provvedimenti, ove i giudizi ed i procedimenti medesimi siano esperiti al fine di attuazione dei crediti di lavoro, per contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione.

Dispone la sospensione dei giudizi riuniti (RG. nn. 3381/1999, 3382/1999 e 7169/1999) e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;

Dispone che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

Torino, addi' 26 aprile 2000.

Il giudice istruttore: Rossi


 Allegato B)

Il Parere (trascrizione)

 

Roma 3 APR. 1995

Ministero di Grazia e Giustizia

Direzione Generale degli Affari Civili

e delle Libere Professioni

 

Al         Sig. Presidente della

Corte di Appello del

L’AQUILA

 

Ufficio             PAC/sc

Prot. N.               5/702/03-1

Allegati ____________

 

Oggetto  Ufficio Unico presso il Tribunale di Sulmona

proposta di quesito.

 

In esito ai quesiti posti dall’ufficiale giudiziario dell’Ufficio NEP presso il Tribunale di Sulmona, in tema di gratuità – ex art.10 legge 533/1973 - di alcuni atti di natura previdenziale, questo Ufficio ritiene che per l’esecuzione dei titoli esecutivi corrispondenti ai Mod. INPS DM 10/M di cui al quesito n.2, gli oneri relativi ai compensi e spese delle procedure esecutive siano a carico dei soggetti tenuti al pagamento dei contributi, così come previsto dal punto 10 dell'art.2 della legge 389/1989; pertanto l'anticipazione di dette spese ed il successivo recupero debbono avvenire a cura della stessa INPS.

Per quanto riguarda il primo quesito è da ritenersi esente da spese l’atto di precetto che attui l'esecuzione delle sentenze ed ordinanze del giudice in materia assistenziale, previdenziale o di lavoro ed in tal caso l'annotazione delle spese anticipate sul Mod.12 e le modalità di riscontro da parte della Cancelleria avvengono per il tramite della distinta delle spese allegata al fascicolo d’ufficio.

Nel caso invece di atto di precetto autonomo, non conseguente a provvedimento giurisdizionale, pur se in tema di lavoro, assistenza e previdenza, non rientra nella gratuità delle spese proprio in ossequio dell'art.10 della legge 533/1973 che fa esplicito riferimento a cause, provvedimenti, giudizi in materia di lavoro e previdenziale.

 

IL DIRETTORE

(dr. Ugo Squillaci)


Allegato C)

La Circolare (trascrizione)

 

Ministero di Grazia e Giustizia

Direzione Generale degli Affari Civili e delle Libere Professioni

SEGRETERIA

 

CIRCOLARE N. 08/96

Roma, 19 febbraio 1996

 

Al Sig. PRIMO PRESIDENTE della

CORTE DI CASSAZIONE

ROMA

Al Sig. PROCURATORE GENERALE

presso la

CORTE DI CASSAZIONE

ROMA

Al Sig. PRESIDENTE del TRIBUNALE

SUPERIORE delle

ACQUE PUBBLICHE

ROMA

Ai Sigg. PRESIDENTI delle

CORTI di APPELLO

LORO SEDI

Ai Sigg. PROCURATORI GENERALI

presso le

CORTI di APPELLO

LORO SEDI

Al Sig. PROCURATORE NAZIONALE

ANTIMAFIA

ROMA

 

Oggetto: Spese e competenze per le procedure esecutive attivate dall’INPS a mezzo dei modelli DM 10/M e dell’INAIL ai fini del recupero di contributi omessi e di applicazione delle relative sanzioni amministrative.

 

Vari uffici UNEP hanno posto quesiti se al regime delle spese per la notifica e l’esecuzione delle ingiunzioni di pagamento che l’INPS e l’INAIL adottano, a norma della legge n. 389/1989, nei confronti di soggetti ed enti tenuti al versamenti di contributi previdenziali trovi applicazione l’articolo 10 della legge n. 533/1973. Tale norma prevede l’esenzione “dall’imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura” degli atti relativi all’esecuzione delle sentenze ed ordinanze emesse nei giudizi per controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego.

In proposito, questa Direzione Generale conferma l’interpretazione data con al recente nota del 3 aprile 1995, prot. N. 5/702/03-1 in tema di recupero di crediti e sanzioni amministrative e ritiene che il caso di specie non può rientrare tra quelli previsti dalla legge 533/1973 trattandosi di sanzioni e azioni di recupero di carattere amministrativo e non di “atti relativi alle esecuzioni sia immobiliari che mobiliari  delle sentenze ed ordinanze emesse negli stessi giudizi”, come testualmente reca il citato articolo 10 della legge n. 533/1973.

Si aggiunga che, diversamente opinando, le spese relative alle attività in discorso dovrebbero essere “anticipate dagli uffici giudiziari e poste a carico dell’erario”, come prevede l’art. 10 della sunnominata legge, che, essendo legge speciale, deroga alla normativa generale solo limitatamente a quanto espressamente previsto.

Inoltre, che la legge 533/1973, sebbene sia chiarificatrice del concetto di gratuità delle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie, pone tale gratuità in rapporto diretto e specifico alla speciale origine del titolo esecutivo per cui si procede.

Il fatto che la disposizione legislativa faccia riferimento all’esecuzione delle sole sentenze ed ordinanze, trova la sua ratio nella possibilità di riscontro in termini di spesa da parte del capo dell’ufficio che emette il mandato di pagamento; mandato che verrà poi iscritto sul registro mod. 12.

In realtà l’esecuzione dei titoli corrispondenti ai modelli INPS 10/M e similari per l’INAIL, costituisce attività promossa autonomamente dai suddetti Enti, senza alcun intervento giurisdizionale, per cui non può essere compresa nelle previsioni di gratuità delle legge.

La legge n. 389/1989 che riconosce al modello INPS 10/M e ad altre ingiunzioni di pagamento INAIL forza di titolo esecutivo determina un gran numero di esecuzioni che, pur avendo carattere previdenziale, non possono essere parificare ai provvedimenti giurisdizionali.

È opportuno inoltre sottolineare come il punto 10 dell’art. 2 della stessa legge n. 389/1989 preveda che gli oneri relativi alle spese delle procedure esecutive siano a carico dei soggetti tenuti al pagamento dei contributi mentre la ratio legis della gratuità degli atti indicati nella legge n. 533/1973 è rivolta a favorire il lavoratore, parte economicamente più debole, non il datore di lavoro.

Applicando l’esenzione da ogni spesa, tassa e diritto anche alle azioni dei recupero dei contributi omessi con relative sanzioni amministrative dirette contro i datori di lavoro inadempienti, sarebbero invece proprio questi a risultarne i beneficiari.

 

IL DIRETTORE GENERALE

Vincenzo ROVELLO

 

 


Allegato D)

La recente legge

 

Dal sito http://www.repubblica.it: Una piccola rivoluzione cancellando solo un inciso. I giudizi in materia di lavoro e previdenza restano esenti da spese, bolli e registri, anche se resteranno sempre da pagare gli onorari degli avvocati. È stato infatti modificato dal nuovo Parlamento, dopo soli nove mesi, l'articolo della legge sul gratuito patrocinio che abrogava, a partire dal 1 luglio 2002, la gratuità dei giudizi in materia di lavoro: il meccanismo utilizzato per realizzare questa marcia indietro è di una singolare complessità tanto che vale la pena (è proprio il caso di dirlo) di ricostruirlo nel dettaglio. Il comma 2 della legge 134 del 2001 stabiliva una serie di abrogazioni, per la precisione tre, già di per sé di astrusa definizione. La legge appena pubblicata non fa altro che riproporre il comma 2 intatto – senza spiegare alcunché - ma togliendo l’inciso centrale, e riducendo le abrogazioni da tre a due. L’esito di questa operazione è la rinascita legislativa del comma appena cancellato e – in concreto - che non verrà più abrogato l’articolo che abrogava il gratuito patrocinio e, dunque, il gratuito patrocinio non verrà più eliminato dal primo luglio 2002. Senza questa nuova legge, infatti, a partire dal 1 luglio 2002 anche gli atti relativi alle controversie di lavoro e previdenziali sarebbero stati assoggettati alle spese ed all'imposta di bollo e registro. (20 dicembre 2001)


LEGGE 6 dicembre 2001, n.437 Modifica all'articolo 23, comma 2, della legge 29 marzo 2001, n. 134, in materia di patrocinio a spese dello Stato. La legge 437/2001 è pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 293 del 18 dicembre 2001.

La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Promulga

la seguente legge:

Articolo 1

1. Il comma 2 dell'articolo 23 della legge 29 marzo 2001, n. 134 [1], è sostituito dal seguente:

"2. Il testo della legge sul gratuito patrocinio, approvato con regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3282, e gli articoli da 11 a 16 della legge 11 agosto 1973, n. 533, sono abrogati a decorrere dal 1 luglio 2002".

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

Data a Roma, addì 6 dicembre 2001.

 

 

[1] Il secondo comma della legge n.134 del 2001 recitava: "Il testo della legge sul gratuito patrocinio, approvato con regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3282, [l’articolo unico della legge 2 aprile 1958, n. 319, come sostituito dall’articolo 10 della legge 11 agosto 1973, n. 533], e gli articoli da 11 a 16 della medesima legge n. 533 del 1973 sono abrogati a decorrere dal 1º luglio 2002".

 

Per effetto della modifica, è stata eliminato il riferimento all'abrogazione dell'articolo unico della legge 2 aprile 1958 n.319 (Esonero da ogni spesa e tassa per i giudizi di lavoro) come modificato dalla legge n.533/73 (una sorta di "abrogazione dell'abrogazione").

 

 


Allegato E)

Bibliografia:

·        Alleva PG, Arrigo G, De Berardinis D, Neccari Gri+G, “Processo del lavoro ed esenzione fiscale”, DL  -  Rivista  critica  di diritto del lavoro, 2001, fasc. 2 (aprile), pagg. 285-288 ;

·        Carta Luigi (Nota a Pret. Perugia 29 gennaio 1975) in   Rivista del cancelliere, 1975, fasc. 2 (aprile), pagg. 76-79 (La sentenza stabiliva che le spese sostenute dal consulente tecnico di ufficio sono a carico degli enti previdenziali e non dell'erario);

·        Coppa Giosuè, “Alcune  considerazioni  sulla gratuita' del giudizio e sul patrocinio a spese dello stato nelle controversie del lavoro”, Rivista del cancelliere, 1974, fasc. 5 (ottobre), pt. 1, pagg. 248-249;

·        D' Alessio Antonio, “(Commento all' art. 11 l. 7 febbraio 1979, n. 59 (modificazioni ai servizi di cancelleria in materia di spese processuali civili))”, Le nuove leggi civili commentate, 1980, fasc. 1 (febbraio), pag. 146;

·        Finocchiaro Mario, “Esenzione  da  ogni  spesa, tassa o diritto, in casi di trasferimenti immobiliari nell'ambito di transazione di controversie agrarie” (Nota a Cass. sez. I civ. 27 settembre 1996, n. 8520); Giustizia civile, 1997, fasc. 2 (febbraio), pt. 1, pagg. 405- 407

·        Magno Pietro, “L' esenzione fiscale nel processo del lavoro”, Il diritto del lavoro, 1976, fasc. 6 (dicembre), pt. 1, pagg. 347-353;

·        Orlando Antonio, “Agevolazioni fiscali nel processo agrario”, (Nota a Cass. sez. III civ. 3 novembre 1999, n. 12272), Diritto  e giurisprudenza agraria, 2000, fasc. 11 (novembre), pt. 2, pag. 689

·        Orlando Antonio, “Sulla tassabilita' delle transazioni di controversie agrarie”, (Nota a Cass. sez. I civ. 27 settembre 1996, n. 8520), Diritto  e  giurisprudenza  agraria,  1998,  fasc.  4  (aprile), pt. 2, pagg. 234-235;

·        Perulli Antonio, “Altre divagazioni sulle nuove leggi tributarie”, La  commissione  tributaria centrale, 1975, fasc. 9 (settembre), pt. 2, pagg.  1110-1119                                                                    

 



[1] L’interpretazione estensiva, come più volte delineata dalla giurisprudenza, pur non essendo preclusa, "(…) deve ritenersi comunque circoscritta alle ipotesi in cui il plus di significato, che si intenda attribuire alla norma interpretata, non riduca la portata della norma costituente la regola con l’introduzione di nuove eccezioni, bensì si limiti ad individuare nel contenuto implicito della norma eccezionale o derogatoria già codificata altra fattispecie avente identità di ratio con quella espressamente contemplata." (Cass., sez. I, 01-09-1999, n. 9205, in Giust. civ., 2000, I, 82).
Altro interessante principio in questo senso è quello per cui "L’art. 12 delle preleggi contiene tutti i criteri ermeneutici della legge, ed in particolare sia il criterio dell’interpretazione estensiva, che consente l’utilizzazione di norme regolanti casi simili (e non già identici), sia quello dell’interpretazione analogica (analogia legis), che permette l’utilizzazione di norme che disciplinano materie analoghe, ossia istituti diversi aventi solo qualche punto in comune con il caso da decidere, mentre l’art. 14 delle stesse preleggi - come reso evidente dai lavori preparatori - non detta alcun criterio di esegesi legislativa, limitandosi a stabilire che le leggi penali e quelle che fanno eccezione ad altre leggi non si applicano (in via d’interpretazione analogica) oltre i casi ed i tempi in esse considerati." (Cass., 24-07-1990, n. 7494, in causa contro INPS contro Fall. Collato, Mass. Foro It., 1990; principio del tutto analogo a quello enunciato dalla Cass., 25-10-1989, n. 4373, in causa INPS contro Fall. Rubeldi, pubblicata in Informazione Previdenziale, 1989, pag. 1711).

[2] Ossia come procedimenti logici ispirati, in senso lato, a quelli elaborati da Zenone di Elea (V secolo a.C.) noto per i suoi quattro paradossi filosofici contro il movimento: della dicotomia, di Achille e della tartaruga, della freccia e dello stadio.

[3] La simbologia utilizzata per i procedimenti per assurdo è tratta dal testo “La verità trasmessa. (La logica attraverso le dimostrazioni matematiche)” di F. Bellissima e P. Pagli, Sansoni, Firenze, 1993.

[4] Proprio su questo punto sarà dimostrata la concreta incoerenza del sistema delineato dalla Costituzionale.

[5] La simbologia e le osservazioni sul procedimento sillogistico sono tratte dal testo storico di George Boole: “L’analisi matematica della logica”, l’edizione originaria è del 1827, vi è una traduzione in italiano del 1993 edita da Bollati Boringhieri, Torino. Altro testo interessante è quello di I. Copi, “Introduzione alla logica”, Il Mulino, Bologna, 1961. Il testo è stato ripubblicato nel 1999 con lo stesso titolo e per lo stesso editore ma a firma anche di Carl Cohen.

[6] Tale tipo di soluzione, infatti, non determina l’efficacia erga omnes prevista che l’art. 136 Cost. espressamente prevede per le sole sentenze declaratorie di illegittimità costituzionale. Da ciò ne consegue che la questione affrontata dalla Corte Costituzionale non possa ritenersi risolta se non per il caso concreto e che non sia affatto preclusa, in un diverso procedimento giudiziario, una nuova impugnazione della medesima norma anche per lo stesso motivo o, in ogni caso, una diversa valutazione da parte della Magistratura.

[7] Questo ed altri riferimenti sono tratti dal Trattato di Diritto Privato, Diretto di Pietro Rescigno, Tomo 20 - Tutela dei Diritto, UTET, 1985, pag. 143 e ss.

 

 

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