GIOCHI
D'AZZARO E DIRITTO PENALE
Brevi riflessioni di politica criminale
di
Gianfranco Notaro
praticante avvocato
PREMESSA
La disciplina dei giochi dazzardo impone, ad avviso di chi scrive, qualche riflessione; in particolare, essa offre lo spunto per interrogarsi sulle ragioni dellintervento penale in tale settore: nel fare questo, appare opportuno ricollegarsi al dibattito relativo al bene giuridico, su cui fruttuosamente si è impegnata la moderna dottrina penalistica, benché essa, amareggia dirlo, non abbia avuto il necessario seguito da parte della giurisprudenza e (amareggia ancora di più) da parte del legislatore.
Lo stato della legislazione italiana è, infatti, tristemente noto: linterprete, e prima ancora di lui il cittadino medio, ossia quello stesso soggetto cui sovente si fa riferimento (si ricordino le elaborazioni dogmatiche in tema di colpa, o, per il versante civilistico, in materia di diligenza ed adempimento), si trovano in evidente difficoltà di fronte a una pletora di norme, spesso mal collegate, viziate anche terminologicamente, o comunque imprecise e poco comprensibili, se non addirittura discriminatorie; nel diritto penale tale fenomeno presenta risvolti ancora più inquietanti, visto che non riesce a fornire chiari modelli di comportamento agli individui, così rendendo alquanto più difficile il consenso psicologico e culturale intorno ai valori essenziali della convivenza, elemento imprescindibile e funzionale ad esigenze di garanzia sia individuale che collettiva.
Anziché rassegnarsi a conclusioni disfattistiche, ogni giurista deve impegnarsi per allontanarne lo spettro (e conforta osservare che buona parte della dottrina italiana abbia profuso e continui a profondere le sue energie verso questo obiettivo comune).
Al di là di questa doverosa premessa, queste modeste pagine vogliono affrontare, senza eccessive pretese, (se non quella di essere lette e giudicate, anche negativamente, ma con serena obiettività) il tema della razionalità e della legittimazione dellintervento penale, con particolare riferimento alla materia dei giochi dazzardo, secondo unottica di tipo pratico ed al riparo da suggestioni moralistiche, nella convinzione che le sorti del diritto penale si giochino su diversi piani, non ultimo quello culturale.
SOMMARIO. 1.Introduzione al tema. 2. Incongruenze de iure condito. 3.Prospettive di riforma
1.
Uno dei cardini del moderno diritto penale è il principio di offensività: in antitesi a concezioni fortemente eticizzanti, o addirittura totalitarie, dellillecito penale in termini di mera anti-doverosità, si è imposta, grazie ad una proficua elaborazione dottrinale iniziata già nel secolo scorso, la visione del reato come offesa ad un bene giuridico meritevole di tutela penale.
Comè noto, la nostra Costituzione offre, in varie sue norme, il sostegno del diritto positivo a questa impostazione, in Italia sostenuta con assoluta autorevolezza dal Bricola; è stato, poi, precipuo merito della migliore dottrina penalistica laver collocato loffesa al bene giuridico nellambito della tipicità penale.
Il principale destinatario del principio di offensività è, senza dubbio, il legislatore, chiamato a dosare lintervento penale nei limiti della stretta necessità di tutela rafforzata di interessi di portata costituzionale o comunque non contrastanti con la Carta del 1948; il messaggio che la dottrina ha lanciato è assolutamente responsabilizzante, e, purtroppo, sovente il legislatore (ma non di rado anche la giurisprudenza) pare averlo disatteso.
Il significato del concetto di bene giuridico, in questo senso costituente il pendant della laicità del diritto penale, consiste nellindicare al Parlamento la criminalizzazione di valori essenziali per la sussistenza del consorzio e della pace sociale, e ad un tempo oggetto di consenso uniforme; ove non vi siano tali interessi da tutelare, il modello sanzionatorio da seguire dovrà essere diverso e meno afflittivo.
Senza dubbio, la legislazione penale, di per sé considerata, presenta oneri finanziari assolutamente trascurabili, ma è anche la più rischiosa per gli effetti che può produrre (il che deve far riflettere ogni volta che si intenda farvi ricorso) : a parte la compressione della libertà personale, occorre guardare anche alle ripercussioni processuali; limportanza del "minimo etico" si apprezza anche sotto questo punto di vista, apparentemente secondario, ma continuamente emergente nella prassi giudiziaria quotidiana, nella quale lattivazione dei meccanismi repressivi penali per fatti inoffensivi (e tuttavia oggetto di punizione solo per la pigra incapacità delle forze politiche di eliminare dal sistema le vestigia di orientamenti legislativi ormai inattuali), ripugna agli stessi pratici, oltre che naturalmente, alla coscienza sociale.
2.
La disciplina codicistica dei giochi dazzardo è posta nellambito delle contravvenzioni contro la "polizia dei costumi"; questo dato è alquanto indicativo, perché già ictu oculi fa emergere il senso, o quantomeno il sospetto, di una criminalizzazione dellimmoralità socialmente neutra; in proposito, possiamo limpidamente osservare, con la dottrina tradizionale, che tale espressione categoriale è alquanto ambigua, e non può non suscitare dubbi innanzitutto sotto il profilo della tassatività della fattispecie, una volta che si ritenga, come oggi avviene, che il bene giuridico e la relativa offesa siano elementi tipicizzanti; i dubbi aumentano se si considera che i parametri etici cui, almeno prima della l. n. 66 del 1996, il Codice Rocco faceva riferimento, erano di natura quasi esclusivamente sessuale (quindi inconferenti al tema in oggetto).
La dottrina coeva al Codice ha ritenuto il vizio del gioco un fatto antisociale nella misura in cui alimenta lavversione al lavoro, umilia la persona e fomenta la brama di denaro, spesso causando tragedie familiari e delitti; su queste affermazioni occorre fare qualche riflessione.
E fuor di dubbio che uno Stato sociale di diritto abbia dei doveri solidaristici nei confronti dei cittadini, così come è vero che talora i risvolti del gioco dazzardo possono assumere contorni tragici (non rari sono i casi di autentici atti di dissolvimento patrimoniale prodotti dal vizio del gioco), così come non è a priori escludibile che il gioco abbia una portata criminogenetica.
Tuttavia, la legittimazione dellintervento penale in questo settore sembra, ad avviso di chi scrive, molto discutibile: innanzitutto, appare fondata la considerazione che, di per sé, il gioco, nella misura in cui rappresenta uno svago, ha unutilità sociale; infatti, durante i lavori preparatori al Codice Zanardelli (che pure puniva i giochi dazzardo) si afferma: "Una delle tendenze e consuetudini più antiche, universali e costanti delluman genere è certamente quella del giuoco, il quale non è sempre un perditempo soltanto ed un sollazzo, figlio dellozio e della noia, ma, soprattutto, nelle prime età della vita, è un modo geniale ed efficace di esercitare e svolgere le forze fisiche e talvolta di esercitare benanco, nei momenti stessi del divertimento, le facoltà della mente".
In secondo luogo, va rilevata quantomeno lincongruenza empirica dellopinione che ritiene il gioco dazzardo un fenomeno eticamente disvalente: innanzitutto lo Stato stesso, con lautorizzazione di bische e lorganizzazione di lotterie sembra aver superato tale impostazione, essendo chiaro che lattività quivi lecitamente posta in essere corrisponde in tutto e per tutto a quella vietata, ed altresì che un fatto non può assumere valori differenti a seconda dei suoi autori, pena la violazione dellart.3 Cost..
Esistono, infatti, numerosi provvedimenti normativi (v. da ultimo, lart.15 l.528/82, che prevede lautorizzazione, o addirittura gestione diretta, da parte dello Stato, di giochi aleatori, addirittura a beneficio dei partiti politici!), che testimoniano come latteggiamento dello Stato (e non sembra che qui vi sia una frattura tra "paese legale" e "paese civile") nei confronti del gioco dazzardo sia cambiato, onde va smentita ogni aprioristica presunzione di immoralità di questultimo.
Ed allora, occorre intendersi: o di morale ne esiste una sola, ed allora essa non può che essere considerata lunico parametro cui uniformarsi, o si ammette, più realisticamente, il pluralismo-relativismo etico, ed allora non possono essere le norme penali a formare il giudizio morale delle persone (beninteso ove non si tratti, ma ci pare che ciò non accada nel caso di specie, di proteggere valori morali coessenziali alla sicurezza della società).
Giustamente si è detto: Strafrechtnormen als Kulturnormen (norme penali = norme di civiltà, ossia la vocazione più nobile del diritto penale); ma nel caso di specie ci pare alquanto difficile ipotizzare un coagulo di consensi su valori in larga parte estranei al volto moderno e secolarizzato del diritto penale, e soprattutto così vistosamente contraddetti dal suo stesso Ente promotore: non possono essere certo le esigenze di riassesto dellerario a prevalere sulla libertà personale nel senso di giustificare una simile ipocrisia.
Inoltre, tra le contravvenzioni contro "la polizia dei costumi" sono puniti anche giochi non dazzardo e pertanto sicuramente non immorali (così come immorale non può dirsi luso di congegni o apparecchi da giuoco automatici o semiautomatici, pure in passato incriminato dallart.110 del T.U. sulle leggi di p.s.); tutto ciò può far pensare, non senza ragioni, alla repressione di una mera "colpa per lo stile di vita ".
Per tali ragioni, non sembra quindi essere la funzione di cd. prevenzione generale positiva lelemento capace di giustificare la punizione del gioco dazzardo: al di là delle incertezze etiche sopra esposte, appare alquanto improbabile che la collettività avverta i giochi dazzardo come immorali, demotivanti al lavoro, alimentanti la brama di denaro, specie, lo ripetiamo, quando è lo Stato stesso, mosso da esigenze meramente erariali, ad organizzare in rilevante numero lotterie e concorsi dallesito miliardario, di fronte ai quali anche una considerevole posta di poker appare poca cosa!
Altra dottrina ha ritenuto che, in realtà, le norme incriminanti i giochi dazzardo tutelino lordine pubblico contro i pericoli derivanti da giochi che, per il luogo in cui si svolgono e per la loro efficienza emozionale, possono costituire fattore di disordine; tuttavia, neppure questa prospettazione appare convincente: essa, infatti, appare viziata da manifesta irragionevolezza, se si tiene conto della presenza di altri giochi (con relativi luoghi di svolgimento e carica emozionale ben maggiore) non incriminati ancorché capaci di determinare rilevanti turbative dellordine pubblico (basti pensare alle competizioni calcistiche).
Oltretutto, in buona sostanza la tesi qui avversata ravvisa nelle norme in questione dei reati di pericolo astratto, sul cui mantenimento la dottrina ha sollevato forti dubbi, in quanto tali forme di reato si presentano privi di reale lesività, quindi difficilmente interiorizzabili dal singolo; si tratta di reati di mera disobbedienza, alquanto lontani dalloffesa al bene giuridico, pertanto agevolmente sostituibili con la previsione di altrettanti illeciti amministrativi .
Unaltra impostazione teorica ha individuato la giustificazione costituzionale del gioco dazzardo nellincoraggiamento e la tutela del risparmio (art.47 Cost.), nonché nel valore fondamentale del lavoro (art.4 Cost.): tuttavia, anche questa argomentazione non pare condivisibile.
A parte il fatto che, dinanzi allatteggiamento dello Stato, anche queste argomentazioni sembrano prive di effettività, le ricordate norme costituzionali hanno un valore sostanzialmente programmatico, e quindi non produttivo di cogenza giuridica verso lo Stato; né tantomeno possono averla verso i cittadini: del resto, il singolo è anche libero di non lavorare, e tale sua scelta, per quanto antisociale, è scevra da sanzioni giuridiche; allo stesso modo, non pare possa ritenersi sussistente un obbligo costituzionale al risparmio: luso del verbo "incoraggia" rinvia alla libera scelta di chi ha a disposizione delle sostanze patrimoniali, mentre laltro verbo "tutela" si riferisce a chi, in virtù di una libera scelta, ha deciso di risparmiare i propri averi, onde già alla luce dellinterpretazione letterale, non ci pare che possa giustificarsi limposizione di non impiegare i propri averi; diversamente argomentando, si finirebbe con il legittimare uninaccettabile lesione della libertà diniziativa economica privata.
Vero è che la giurisprudenza costituzionale ha escluso che la norma di cui allart.41 Cost. possa comprendere anche il gioco dazzardo, essendo questultimo attività potenzialmente lesiva della libertà e della dignità umana, ma anche questa soluzione non sembra immune da vizi logici: non si vede, infatti, come un atto di libertà (limpiego di somme di danaro nel gioco) possa costituire un fatto contro la libertà dello stesso suo autore; il riferimento alla dignità umana, poi, suona fuori luogo nellattuale contesto sociale, politico e culturale .
Laddove poi si ritenga che il motivo giustificante la repressione penale dei giochi dazzardo risieda nella tutela delle famiglie, resta comunque da chiedersi se la tutela della famiglia, sotto questo specifico punto di vista, non sia realizzabile con strumenti extra-penali, (che più innanzi si cercherà di individuare), anche tenuto conto dei riflessi che il processo e la condanna penale possono avere sul nucleo familiare.
Sotto questultimo aspetto, invero, si potrebbe obiettare: attesa lentità delle pene previste per il gioco dazzardo e per i reati con esso direttamente connessi, sarebbe possibile evitare di scontare la pena attraverso gli istituti della sospensione condizionale e delloblazione; agevole sarebbe, tuttavia, replicare che il solo fatto di subire un processo penale, specie se con esito di condanna, determina una disistima sociale dellindividuo, quindi una umiliazione non minore di quella eventualmente derivante dal gioco dazzardo .
Inoltre, anche sotto il profilo dellantigiuridicità strettamente intesa, la soluzione proposta dal diritto positivo appare censurabile.
Comè noto, la categoria dellantigiuridicità è la risultante di un giudizio di raffronto tra il fatto e lintero ordinamento giuridico (non solo quello penale, quindi); più esattamente, essa rappresenta una soluzione che il legislatore dà a dei conflitti tra contrastanti interessi sociali ; ne deriva allora lopportunità di esaminare in che modo il legislatore abbia risolto il conflitto tra il vittorioso ed il perdente al gioco dazzardo.
Sul punto il codice civile è assai chiaro: non si può agire in giudizio per ottenere il pagamento di un debito di gioco, ma se esso è stato liberamente pagato, non si può chiedere la restituzione, salvi i casi lotterie autorizzate, di frode a danno del perdente o di sua incapacità (artt.1933 e 1935 C.c.); a ciò deve aggiungersi anche lesclusione della repetitio indebiti prevista dallart.2035 c.c. nelle ipotesi di prestazione contro il buon costume, cioè, sostanzialmente, la stessa oggettività giuridica di categoria che nel Codice Rocco, per espressa indicazione, ricomprende tra i suoi fatti lesivi anche il gioco dazzardo e reati direttamente connessi).
Ed è opportuno sottolineare come lart.1933 c.c. abbia una portata generale, applicabile quindi anche ai giochi penalmente perseguiti: infatti, a parte la considerazione che le norme penali sui giochi dazzardo sono strutturate intorno a delle condizioni di punibilità estrinseche ed indipendenti dalle caratteristiche del gioco stesso (alea e fine lucrativo), ed anche prescindendo dallargomento a contrario desumibile dallo stesso art.1933 c.c., da un confronto con gli artt.86, 88, 110 T.u.l.p.s. e le norme civilistiche è lecito desumere lapplicabilità di queste ultime anche alle scommesse non autorizzate.
Come si può osservare, il diritto civile mostra di tutelare essenzialmente la libertà e regolarità dellatto di disposizione patrimoniale nel gioco, ragion per cui è da ritenersi che essa costituisca loggetto di un vero e proprio diritto soggettivo (infatti, gli artt.1933 e 1935 ne ammettono lazionabilità innanzi al giudice): la logica conseguenza di tutto ciò è un contrasto concettuale tra le norme penali configuranti il gioco dazzardo e la scriminante dellesercizio del diritto (intesa come soluzione regolativa di un conflitto di interessi).
La stessa irripetibilità della prestazione implica la tutela giuridica dellautonomia individuale, qui intesa come volontario adempimento al debito di gioco, e la presenza di una vera e propria obbligazione naturale.
Occorre poi comprendere quali siano le motivazioni dellindividuo al gioco dazzardo; se si trascurano le ipotesi tradizionali, possiamo affermare, grazie ai dati dellesperienza psicologica, che nei casi più rilevanti (proprio quelli che parrebbero giustificare lintervento penale) il gioco dazzardo è la conseguenza di situazioni patologiche e di disadattamento della personalità (il che fa apparire più efficace una strategia di sostegno e terapia, che non una metodica repressiva, in virtù di quanto sopra detto difficilmente comprensibile dallindividuo).
Dunque, in tali ipotesi, delle due luna: o si ritiene il giocatore dazzardo un soggetto non capace di autodeterminarsi, ed in tal caso egli non è meritevole di pena (la quale, come dimostra lesperienza pratica, difficilmente lo aiuterà a risolvere i suoi problemi socio-esistenziali, potendo semmai più facilmente aggravarli) oppure lo si ritiene soggetto cosciente e libero, ed in tal caso gli si deve riconoscere la possibilità di impiego del suo patrimonio in giochi dazzardo, in quanto egli accetta coscientemente il rischio della dissoluzione dei suoi averi, le cui conseguenze imputet sibi.
3.
Il discorso compiuto si è finora arrestato alla sola pars destruens; ma evidenti ragioni di completezza e serietà espositiva cui ogni riflessione di politica criminale deve attenersi esigono anche la formulazione di soluzioni alternative a quelle attualmente esistenti nel diritto positivo in tema di giochi dazzardo.
Una delle ragioni legittimanti lintervento penale è senza dubbio costituita dallinefficacia, ai fini della protezione dei beni giuridici, delle misure aventi una minore afflittività: il che è assolutamente rilevante ai fini della presente esposizione, poiché, ad avviso di chi scrive, si può fondatamente dubitare che la protezione di interessi meritevoli di tutela intaccabili dal gioco dazzardo possa passare solo attraverso la sanzione penale.
Si è in precedenza avvertito che il gioco dazzardo, beninteso se esulante da certi parametri "bagatellari" ormai assorbiti dalla società, può costituire un serio attentato allintegrità del patrimonio individuale e familiare; qui va però osservato che la stessa regolamentazione del gioco dazzardo non incide sulla regolamentazione delle obbligazioni che da esso scaturiscono: e questo è un dato degno della massima valorizzazione, in quanto testimonia che lintervento autorizzatorio dello Stato implica il riconoscimento della rilevanza sociale, e soprattutto, della proficuità patrimoniale del fenomeno ludico; inoltre, non è corretto esprimere unopinione globale su una data realtà sulla base di situazioni eccezionali.
Del resto, il diritto civile sembra offrire una soluzione adeguata (e, di principio, più efficiente di quella penale) al problema, nella misura in cui consente (art.417 c.c.) al coniuge, ai parenti entro il quarto grado ed agli affini entro il secondo grado (quindi, un numero di soggetti anche esorbitante rispetto allordinaria composizione di un nucleo familiare), nonché al Pubblico Ministero, di chiedere linabilitazione dellindividuo che in ragione della propria prodigalità esponga sé stesso o la sua famiglia a gravi pregiudizi economici (art.415 c.c.).
In tal modo, la presenza del curatore assicurerà lintegrità del patrimonio prima esposto a rischio, sottraendolo alla libera disponibilità di chi, per non comprenderne adeguatamente il valore, lo sperpera nel gioco; e vale la pena di ricordare che curatore dellinabilitato potrebbe essere anche il coniuge o alcuni prossimi congiunti, come disposto dallart.424 c.c.; inoltre, anche se la connotazione della curatela è di carattere esclusivamente patrimoniale (curator bonis datur), non è affatto da escludersi che tale misura possa avere una portata anche responsabilizzante nei confronti dellinabilitato, specie se associata, ove ve ne siano i presupposti, ad interventi di sostegno e riadattamento della personalità di tale soggetto.
Certo, può frequentemente accadere che un individuo riesca a sottrarre somme ad un inesperto giocatore, o addirittura ad un incapace, barando o comunque avvalendosi di altri espedienti: ma una adeguata protezione contro fatti del genere sarebbe assicurata già dagli artt.640 e 643 c.p.
Infine, anche a non voler accogliere tutte argomentazioni sopra esposte, occorre constatare che leliminazione delle norme incriminanti i giochi dazzardo non sembra destinata a creare vuoti di tutela, potendosi sempre convertire tali fattispecie in illeciti amministrativi, così da ridurre il carico di lavoro degli organi giudiziari penali, e contribuendo altresì a quella certezza e rapidità dinflizione della pena costituente fattore primario di efficienza del sistema penale; di ciò peraltro, sembra essere consapevole anche il legislatore, il quale ha, con lart.1 lett. b) della l.20.12.1993, n.561 depenalizzato il reato di esercizio abusivo di lotterie, tombole, pesche e banchi di beneficenza, così creando le premesse per una ridotta applicazione dellart.718 c.p.; analoga scelta è stata effettuata con il D.lgs. 13.7.1994 n.480, in relazione allart.86 T.u.l.p.s..
Dunque sembrano essere maturi i tempi, se non per la semplice eliminazione, quantomeno per la depenalizzazione dei fatti inerenti ai giochi dazzardo; del resto, tale strategia appare essere molto più proficua per lo Stato, il quale, uscendo finalmente allo scoperto e rinunciando a mascherare la sua motivazione "finanziaria" alla punizione di tali reati, potrebbe affidarsi ad una metodica dintervento sicuramente meno dispendiosa e più rapida rispetto al costoso intervento giudiziario.
Gianfranco
Notaro
Praticante avvocato
e-mail: gfnotaro@libero.it