DIRITTO DEL LAVORO

IL MOBBING AZIENDALE

Brevi considerazioni sulla sentenza emessa dal
Tribunale di Torino – sez. lavoro –
dep. il 16.11.99

a cura dell’Avv. Andrea Sirotti Gaudenzi

 

Il verbo inglese "to mob" significa "attaccare", "aggredire". Letteralmente, con il termine "mobbing" si indica il tipo di aggressione praticato da alcuni animali che, circondando minacciosamente un membro del gruppo, ne provocano l’allontanamento.

Negli ambienti di lavoro, si parla di "mobbing", nei casi in cui un soggetto sia costretto a lasciare la propria occupazione, a causa dell’ostilità dei colleghi e della difficoltà di integrazione all’interno della realtà aziendale.
Ultimamente, con sent. del Tribunale di Torino – sez. lavoro, depositata il 16.11.99, il "mobbing" ha fatto la sua entrata nella giurisprudenza italiana del lavoro.

Il giudice torinese ha rilevato come all’interno delle aziende si verifichi qualcosa di simile al singolare comportamento degli animali, "allorchè il dipendente è oggetto ripetuto di soprusi da parte dei superiori e, in particolare, vengono poste in essere nei suoi confronti pratiche dirette ad isolarlo dall’ambiente di lavoro e, nei casi più gravi, a espellerlo; pratiche il cui effetto è di intaccare gravemente l’equilibrio psichico del prestatore, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e provocando catastrofe emotiva, depressione e talora perfino suicidio."

Il caso trattato davanti al giudice del lavoro di Torino è quello di una signora che, dopo aver lavorato in un’azienda per qualche mese, aveva presentato un ricorso per chiedere il risarcimento del danno biologico dovuto al gravissimo stato di depressione in cui era caduta a seguito dei ripetuti maltrattamenti subiti dal capo reparto che, bestemmiando, inveendo contro di lei, insultandola e deridendola davanti ai colleghi, la criticava per il modo in cui lavorava. Peraltro, la signora faceva presente come l'ambiente in cui era costretta a lavorare (di fatto un ripostiglio) fosse mortificante, dato che la isolava completamente dai compagni di lavoro.
La ricorrente lamentava come la conseguenza di questo stato di cose fosse stato l’insorgere di una lunga crisi depressiva.
Nel costituirsi in giudizio, l’azienda contestava ogni addebito, in quanto rilevava come, in ogni caso, la causa del disagio dell’ex dipendente fosse il comportamento posto in essere dal caporeparto.

Il Tribunale di Torino ha ritenuto applicabile l’art. 2087 c.c. che pone in capo al datore di lavoro l’obbligo di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei propri dipendenti.
La norma obbliga il datore di lavoro a predisporre all’interno dell’azienda non solo le misure tassativamente imposte dalla legge, ma tutte le altre misure che si rendano in concreto necessarie (cfr.: Cass. 3738/95). Applicando questo elementare principio al caso in esame, il giudice ha ritenuto la responsabilità del datore di lavoro, condannandolo al pagamento della somma di dieci milioni di lire all’ex dipendente, determinando la cifra del risarcimento a titolo equitativo.

Non c’è dubbio che questa sentenza senza precedenti possa estendere a dismisura il campo della responsabilità dell’imprenditore che potrà essere chiamato a rispondere a titolo di culpa in eligendo, se non sarà in grado di circondarsi di collaboratori competenti e corretti, e di culpa in vigilando, nel caso in cui ometta di vigilare sui propri dipendenti per evitare che si verifichino lesioni di un diritto soggettivo assoluto: quello alla salute.

 

Questo articolo è stato pubblicato anche sulle pagine della rivista giuridica on line "Diritto & Diritti", diretta dal dott. Francesco Brugaletta.

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