Le Società con azioni quotate 
e il regime della p
artecipazione significativa

del Prof. Giorgio Meo (*)

(*) Le pagine che seguono  sono parte di capitolo del volume "Le società quotate in borsa", pubblicato come tomo monografico nel Trattato di diritto privato  dell'editore giappichelli

Sommario: 1. L’art. 120 TUF. – 2. Partecipazioni detenute in società quotate: i criteri di calcolo delle partecipazioni. – 3. Il contenuto, le modalità e i termini delle comunicazioni. – 4. Pluralità di soggetti obbligati alla comunicazione. – 5. Modalità di pubblicazione delle informazioni. Rinvio al regolamento Consob. – 6. L’esenzione delle partecipazioni detenute, per il tramite di società controllate, dal Ministero del tesoro. – 7. Partecipazioni di società quotate in società non quotate. – 8. Obblighi di comunicazione in caso di variazione delle percentuali di rilevanza. – 9. Sanzioni civilistiche alla mancata comunicazione. – 10. Segue: sospensione del voto e partecipazioni indirette; sospensione del voto e variazioni di soglie rilevanti. – 11. Sanzioni amministrative e pecuniarie. – 12. Una disposizione fuori luogo: obbligo regolamentare di comunicazione dell’adesione a patto parasociale riguardante più del 5% del capitale sociale.

1.  L’art. 120 TUF

Coloro che partecipano in una società italiana [1] con azioni quotate in mercati regolamentati italiani o di altri Paesi dell’Unione Europea [2] (d’ora in avanti «società quotate»: cfr. art. 119 TUF) in misura superiore al 2% del capitale [3] con diritto di voto (cfr. art. 120, 1° co., TUF) devono darne comunicazione alla società partecipata e alla Consob (art. 120, 2° co., TUF) [4].

Spetta alla Consob stabilire con regolamento, tenuto conto anche delle caratteristiche degli investitori, i criteri per il calcolo delle partecipazioni. Nel far ciò, la Consob deve avere riguardo anche alle partecipazioni indirettamente detenute e alle ipotesi in cui il diritto di voto spetti o sia attribuito a soggetto diverso dal socio (art. 120, 4° co., lett. b), TUF).

È, ancora, la Consob a dover stabilire con regolamento «il contenuto e le modalità delle comunicazioni» (art. 120, 4° co., lett. c), prima parte, TUF) da effettuare all’emittente e alla stessa Consob, nonché il contenuto e le modalità «dell’informazione del pubblico», potendo anche stabilire, sempre con regolamento, le eventuali deroghe per tale informazione (art. 120, 4° co., lett. c), ultima parte, TUF) [5]. La comunicazione all’emittente e alla Consob è invece inderogabilmente dovuta.

Alla Consob è affidato anche il compito di stabilire con regolamento i termini per la comunicazione [6] e per l’informazione del pubblico (art. 120, 4° co., lett. d), TUF).

La comunicazione alla Consob e alla partecipata è dovuta anche da parte delle società con azioni quotate che partecipano in misura superiore al 10% del capitale di una società con azioni non quotate o in una s.r.l. (art. 120, 3° co., TUF) [7].

Anche riguardo a tali ipotesi il legislatore delega [8] la Consob a stabilire i criteri di calcolo delle partecipazioni, il contenuto e le modalità delle comunicazioni e dell’informazione del pubblico, nonché le eventuali deroghe per quest’ultima, e infine i termini per la comunicazione e l’informazione del pubblico. A differenza dell’ipotesi di partecipazione rilevante in società con azioni quotate, in questo caso l’informazione può anche «avere carattere periodico» (art. 120, 4° co., lett. d), ultima parte, TUF) [9].

Non il solo superamento per la prima volta delle soglie fissate dalla legge è soggetto a comunicazione e informazione. Come nel previgente sistema, lo è anche la variazione della percentuale all’interno della soglia di rilevanza. E lo è anche la riduzione della partecipazione al di sotto della soglia minima ovvero al di sotto di soglie superiori alla minima dotate di particolare significatività.

Spetta alla Consob la determinazione delle variazioni delle partecipazioni in e da parte di società quotate che comportano obbligo di comunicazione (art. 120, 4° co., lett. a), TUF).

2.       Partecipazioni detenute in società quotate: i criteri di calcolo delle partecipazioni

La Consob ha attuato la delega dell’art. 120, 4° co., TUF con regolamento adottato con delibera 14 maggio 1999, n. 11971 dettando – come il Testo Unico l’autorizzava a fare – una diversa disciplina per le comunicazioni relative a partecipazioni in società quotate (artt. 117-122) e in società con azioni non quotate o in s.r.l. da parte di quotate (artt. 123-126).

Quanto alle partecipazioni detenute da chiunque [10] in società quotate, la Consob ha stabilito in primo luogo i relativi criteri di calcolo.

Al riguardo, occorre considerare sia le azioni di cui un soggetto è titolare, indipendentemente dal fatto che il diritto di voto non gli spetti perché spetti [11] o sia attributo [12] a terzi o perché sia sospeso ex lege [13], sia le azioni in relazione alle quali al soggetto spetta o è attribuito il diritto di voto, anche se costui non ne fosse il titolare (art. 118, 1° co.).

Non si computano, invece, le azioni prive del diritto di voto (art. 120, 1° co., TUF) [14].

La valutazione se il diritto di voto spetti o meno al titolare deve essere condotta secondo criteri di titolarità sostanziale e non formale [15]. Colui che abbia dato i titoli in prestito e il riportato restano perciò sempre obbligati alla comunicazione. Al loro obbligo si aggiunge quello del prenditore o riportatore, qualora ad essi spetti il diritto di voto. L’obbligo di comunicazione ricade invece sul prestatario o sul riportatore, anche indipendentemente dall’attribuzione del diritto di voto, «nella sola ipotesi in cui tale soggetto mantenga la proprietà ed il diritto dei titoli oltre la data della liquidazione» [16].

Parimenti non viene meno per il titolare l’obbligo di comunicazione qualora al terzo sia bensì attribuito il voto, ma non discrezionalmente, come nel caso in cui sussistano, tra titolare delle azioni e legittimato al voto, obblighi di concordare il contenuto del voto o patti di consultazione preventiva con potere del titolare di imporre la propria volontà circa il voto e, più in generale, tutti i casi in cui, per espressa disposizione negoziale o per la natura del rapporto contrattuale corrente tra titolare e legittimato al voto, quest’ultimo non abbia il potere di esercitarlo discrezionalmente [17].

La Consob, attuando il potere, attribuitole dall’art. 120, 4° co., lett. b), TUF di stabilire i criteri di calcolo delle partecipazioni «avendo riguardo anche alle partecipazioni indirettamente detenute», ha stabilito doversi computare a carico del dominus le azioni intestate a persona interposta o a fiduciario nonché quelle per le quali spetta o è attribuito a costoro, anziché al dominus, il diritto di voto (art. 118, 2° co.) [18].

Devono, poi, computarsi a carico del soggetto controllante [19] le azioni di cui sono titolari ovvero in relazione a cui spetti o sia attribuito il diritto di voto a società controllate (art. 118, 2° co.). Fa eccezione il caso del soggetto che controlli un fiduciario cui siano state intestate o girate le azioni e quello del soggetto che controlli un intermediario cui, nell’ambito della gestione collettiva o individuale del risparmio, spetti il diritto di voto relativo ad esse: mentre il fiduciario e l’intermediario sono tenuti a calcolare la partecipazione con riferimento al totale delle azioni o dei diritti di voto oggetto di intestazione o di gestione [20], le azioni non sono computate dai soggetti che li controllano (art. 118, 3° co.).

È a mio avviso da condividere l’opinione [21] secondo cui per «società controllata», ai sensi dell’art. 118, 2° co., reg. n. 11971/1999 – e, cioè, ai fini di far risalire gli obblighi di comunicazione ai soggetti controllanti – debba aversi riguardo alla nozione di controllo [22] contenuta nell’art. 93 TUF e non a quella dell’art. 2359 c.c. [23], dovendosi escludere che la Consob possa stabilire ai predetti fini una nozione di controllo apposita [24].

Il problema maggiore nell’applicazione dei criteri di controllo stabiliti dall’art. 93, 1° co., TUF consiste nella difficoltà di determinazione della ricorrenza o meno, in concreto, del controllo di fatto ex art. 2359, 1° co., n. 2, c.c. ovvero ex art. 93, 1° co., lett. b), TUF. Le situazioni di controllo di diritto e di controllo per patto di dominio (il possesso di almeno il 51% del capitale, il contratto o la clausola statutaria che attribuiscano a un soggetto il diritto di esercitare un’influenza dominante, a prescindere dal fatto che, poi, egli la eserciti o meno in concreto) preesistono all’obbligo informativo. L’esercizio di un’influenza dominante, in forza del numero di azioni possedute ovvero in forza di un accordo con gli altri soci grazie al quale uno di essi venga a disporre di voti sufficienti ad esercitarla, rappresentano invece situazioni fattuali, da accertare in concreto sulla base di indici rivelatori nient’affatto univoci, mutevoli caso per caso a seconda delle caratteristiche dell’assetto proprietario e delle dinamiche dell’esercizio dei poteri connessi alla partecipazione propri della specifica società interessata.

Il problema è in parte già stato affrontato, in relazione agli obblighi di consolidamento dei conti, e, come noto, è stato risolto in modo opposto da coloro che ritengono sufficiente a configurare la fattispecie la semplice idoneità della partecipazione detenuta a consentire l’esercizio di un’influenza dominante [25] e da coloro secondo i quali gli obblighi derivanti dalla situazione di controllo scattano solo se, in concreto, l’influenza dominante resa possibile dalla partecipazione azionaria sia stata effettivamente esercitata [26]. La posizione che media tra le due è quella [27] secondo la quale il possesso di una partecipazione idonea a consentire l’esercizio dell’influenza dominante già basterebbe, di per sé, a integrare controllo di fatto, ai fini applicativi, e tuttavia al preteso controllante sarebbe concessa la prova di non aver, in concreto, esercitato l’influenza astrattamente possibile, e in questo modo di esimersi dall’assolvimento dei correlativi obblighi.

Il Testo Unico nulla aggiunge, sul piano della fattispecie, che è definita dall’art. 93 in modo sostanzialmente coincidente [28] con quella dell’art. 26, 1° e 2° co., d.lgs. 9 aprile 1991, n. 127, in tema di consolidamento dei conti. Tuttavia la sua applicazione alla disciplina degli obblighi informativi sulle partecipazioni rilevanti – voluta dalla Consob quando, nell’art. 118, 2° co., reg., essa ha assoggettato indiscriminatamente agli stessi obblighi i detentori di azioni tramite società controllate, quale che sia la forma di controllo – solleva seri problemi interpretativi.

Non si tratta infatti, qui, di stabilire, dopo almeno un esercizio di vita dell’impresa partecipata, se essa sia o meno controllata di fatto da un’altra, come avviene quando occorre consolidarne i conti con la controllante. Se pure si accede alle tesi della sufficienza della semplice idoneità della partecipazione ad assicurare l’influenza dominante, è certo che, nella decisione se si debba consolidare o meno, si hanno alle spalle quanto meno gli eventi gestionali in cui quell’influenza dominante si sarà tradotta in concreto o dai quali essa non risulterà smentita, ovvero ancora gli eventi in forza dei quali altre circostanze avranno fatto venir meno l’attitudine della partecipazione ad assicurare l’influenza dominante. In altri termini, l’influenza dominante è riguardata, nel problema del consolidamento, sia pur attraverso l’ausilio di strumenti presuntivi, come un fatto storicamente determinatosi.

Diversa è la situazione con riferimento agli obblighi cui il preteso controllante e, talora, la società asseritamente controllata devono assolvere preventivamente, non appena, cioè, il controllo si produce, come appunto gli obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti ex art. 120 TUF, che, giusta l’art. 118, 2° co., reg. n. 11971/1999, gravano anche sull’impresa controllante e dunque sia sull’impresa che controlla di diritto sia sull’impresa che controlla di fatto la società che a sua volta controlla di diritto o di fatto la quotata [29].

In questo caso viene meno la possibilità di un riscontro storico dell’influenza dominante. Essa deve essere valutata in modo prospettico, diviene cioè una presunzione secca, se si aderisce all’opinione che basta l’idoneità della partecipazione ad assicurare l’influenza dominante perché si abbia il controllo: con la conseguenza che l’obbligo informativo sorge per effetto della semplice acquisizione della partecipazione idonea. Viceversa, l’influenza deve essere valutata in concreto, caso per caso, nel suo storico determinarsi, se si accede all’apposta opinione che, fino a quando il dominio non si esercita, l’impresa partecipata non è dominata e dunque sarebbe distorsivo rappresentare al mercato l’esistenza di una situazione di controllo: allora, il problema di stabilire quando scatta l’obbligo informativo a carico del controllante diviene pressoché insolubile.

A ciò aggiungasi che del controllo di fatto potrebbe non essere avvertita ex ante la società controllata – che potrebbe non essere in grado di ricollegare alla semplice entità partecipativa l’attitudine all’esercizio di influenza dominante in capo al titolare – o addirittura potrebbe non esserlo il controllante, il quale potrebbe aver acquisito una partecipazione bensì rilevante, e tuttavia non avere elementi per poter contare sulla idoneità di essa ad assicurargli il dominio, elementi che possono dipendere da fatti esterni (frequenza di partecipazione alle assemblee, potenziali aggregazioni di compagini minoritarie, ecc.), che il socio conoscerà pienamente solo dopo essere entrato nel vivo della partecipazione alla vita della società. Può ben esservi, in sintesi, un processo evolutivo della partecipazione rilevante in partecipazione dominante che lo stesso detentore può non cogliere con precisione.

In questo quadro, sarebbe stato forse preferibile che la Consob, nell’attuare l’art. 120, 4° co., lett. b), TUF, imponesse la comunicazione delle partecipazioni rilevanti in capo ai soggetti controllanti di società detentrici, nella quotata, di soglie di particolare rilevanza oggettivamente determinate (in misura fissa o in misura determinabile secondo criteri predefiniti), anziché riferirsi genericamente al controllo per interposizione di società controllate.

Infine, occorre sottolineare che, mentre ai fini della determinazione della partecipazione rilevante occorre avere riguardo alle azioni di titolarità del partecipante anche se il diritto di voto spettasse ad altri, per stabilire il rapporto di controllo tra un soggetto e una società detentrice di partecipazioni rilevanti non può aversi riguardo che ai criteri fissati dall’art. 93 TUF, in forza dei quali la titolarità scissa dal voto non viene in rilievo [30]. Sono quindi esclusi dall’applicazione dell’art. 120 – nell’attuale impostazione del regolamento Consob – i soggetti che nella società partecipante al capitale della quotata, pur detenendo una percentuale di partecipazione al capitale rappresentato da azioni dotate di diritto di voto, non dispongano tuttavia del voto perché spettante ad altri o perché ad altri assegnato.

In altri termini, la trasparenza sugli assetti proprietari non risale dalla società quotata, attraverso la società che ne detenga partecipazioni rilevanti, ai titolari di partecipazioni quantitativamente maggioritarie scisse però dal diritto a votare [31].

3.  Il contenuto, le modalità e i termini delle comunicazioni

La Consob ha disciplinato la materia nell’art. 121, reg. n. 11971/1999.

Quanto ai termini, è stato previsto che la comunicazione debba effettuarsi entro cinque giorni di mercato aperto dall’operazione idonea a determinare il sorgere dell’obbligo, indipendentemente dalla data di esecuzione.

L’allungamento del termine rispetto a quello di quarantotto ore previsto nell’ultima versione dell’art. 5, 1° co., l. n. 216/1974, appare quanto mai opportuno, come anche la previsione che per giorni si intendano quelli di mercato aperto. Si noti che questa previsione non coincide con quella relativa alla comunicazione dei patti parasociali, che deve avvenire entro cinque giorni solari dalla stipula a norma dell’art. 122, 1° co., lett. a), TUF La differenza di trattamento può destare qualche perplessità e pone, come subito vedremo, non facili problemi di raccordo nel caso, inserito non senza forzature dalla Consob nella sezione del regolamento dedicata alle comunicazioni di partecipazioni rilevanti, delle comunicazioni concernenti l’adesione a patti parasociali.

Il regolamento fa decorrere i cinque giorni «dall’operazione», e ciò «indipendentemente dalla data di esecuzione».

L’espressione vuol essere più chiara di quella contenuta nell’art. 5, 1° co., l. n. 216/1974, a norma del quale il termine per la comunicazione decorreva «dall’operazione a seguito della quale la partecipazione ha superato il detto limite percentuale». La Consob persegue un arretramento temporale dell’obbligo informativo, attribuendo rilievo non più al superamento della soglia ma al compimento dell’operazione idonea a provocarlo, anche se l’esecuzione di essa, che comporta il superamento, fosse prevista per un momento successivo.

L’espressione del regolamento, tuttavia, è destinata a sollevare nuove incertezze, inevitabili a causa dell’intrinseca ambiguità del termine «esecuzione» riferito all’altro «operazione».

Occorre, al riguardo, indagare caso per caso l’idoneità dell’operazione (contratto, atto unilaterale, fatto giuridicamente rilevante ma anche sentenza costitutiva e più in genere il provvedimento giudiziario o amministrativo idoneo a trasferire la proprietà nonché qualunque altro idoneo atto-fonte) a produrre di per sé il superamento delle soglie percentuali rilevanti, salva l’esecuzione materiale della consegna ovvero delle formalità per il trasferimento della legittimazione all’esercizio dei diritti sociali. In questo caso, tra l’operazione e la realizzazione del superamento della soglia si interpone bensì un momento esecutivo (in senso stretto), e tuttavia si tratta di una mera dislocazione temporale che non incide né sull’an né sulle condizioni alle quali l’esecuzione avverrà e la soglia sarà superata.

Non avviene però sempre così. Tra l’atto fonte e l’esecuzione possono frapporsi circostanze dotate di giuridica rilevanza tali che l’esecuzione può essere qualificata come esecuzione dell’atto-fonte solo sotto un angolo visuale giuridico-formale, mentre sul piano sostanziale essa promana dalla necessaria coesistenza dell’atto e delle ulteriori circostanze. In casi del genere l’atto-fonte è necessario ma non sufficiente per realizzare il trasferimento della partecipazione e perciò il superamento della soglia non può farsi risalire ad esso.

I casi più nitidi si presentano nel contratto preliminare di trasferimento, nella reciproca concessione di diritti all’acquisto e vendita (put and call), nella vendita sottoposta a condizione sospensiva, nel trasferimento connesso a fusione o scissione.

A stretto rigore, il contratto definitivo costituisce esecuzione del preliminare. Tuttavia, interponendosi tra il preliminare e il superamento delle soglie un nuovo momento negoziale, sul piano sostanziale il preliminare non è operazione idonea a produrre il trasferimento. Si richiede, a tal fine, l’ulteriore attività negoziale delle parti, talora accompagnata all’esecuzione di preventivi obblighi di fare, o addirittura la pronuncia giudiziale che esegue forzosamente il preliminare in caso di inottemperanza di uno dei promittenti.

Non è d’altra parte detto, sul piano sostanziale, che sempre e comunque il preliminare sia inidoneo di per sé a realizzare il superamento delle soglie. Ciò dipende dal complessivo contenuto del contratto secondo le concrete pattuizioni scambiate tra le parti e le modalità previste per l’esecuzione. Pur rimanendo, sul piano giuridico-formale, un preliminare di vendita, infatti, il contratto può prevedere in concreto modalità esecutive tali  che resta assicurato fin dalla sua conclusione l’an, il quando e perfino il quomodo del trasferimento e, magari, che certi effetti di esso siano fin d’ora assicurati. L’indagine deve compiersi caso per caso e deve avere riguardo, ad esempio, al contestuale conferimento da entrambe le parti di un mandato irrevocabile a vendere e a comprare le azioni allo stesso soggetto che abbia anche il compito di effettuare l’annotazione di trasferimento e il pagamento a una certa data, assicurando ora per allora, mediante apposita accettazione, che lo scambio avverrà alle condizioni pattuite; ovvero alla previsione che il promittente venditore ottempererà alle istruzioni del promittente compratore quanto al voto, che pur formalmente continuerà ad appartenergli, eventualmente accompagnata da una delega ad esercitare il voto o da un’intestazione fiduciaria; ovvero ancora all’emissione, ora per allora, delle lettere di trasferimento definitivo con deposito delle medesime presso un fiduciario fino alla data in cui esse dovranno essere scambiate, con incarico al fiduciario di consegnare ciascuna di esse alla rispettiva controparte alla data prestabilita, e così via.

In questi casi la concomitanza del preliminare e delle altre circostanze rilevanti rende la stipula del definitivo quale momento esecutivo in senso stretto scaturente automaticamente dall’operazione iniziale. Non ci si potrà pertanto trincerare dietro il fatto che sia stato stipulato il solo preliminare per omettere la comunicazione ai sensi dell’art. 121, 1° co., reg. n. 11971/1999.

Analoghe considerazioni valgono nel caso di pattuizioni incrociate di put and call.

Salvo che vi siano pattuizioni che rendano automatico e perciò certo il momento esecutivo, nel senso che nessuna circostanza né la volontà delle parti possano impedire il trasferimento alla scadenza prefissata, ovvero anche pattuizioni che, in vista di ciò, anticipino l’influenza del futuro acquirente nelle determinazioni circa il voto nella società quotata, lo scambio delle opzioni incrociate di acquisto e vendita non è operazione idonea – cioè necessaria e sufficiente – a realizzare il superamento della soglia di partecipazione rilevante.

Nella vendita sottoposta a condizione sospensiva e, per evidente analogia, nel conferimento avente ad oggetto azioni di società quotate [32], l’effetto traslativo e la legittimazione all’esercizio del voto non avviene fino al verificarsi della condizione. Tuttavia, propriamente detta, l’operazione di vendita o di conferimento è atto giuridicamente idoneo a realizzare il trasferimento. Ciò che lo impedisce, al momento del suo compimento, è un fatto esterno, verificatosi il quale non è dubbio che l’effetto di trasferimento è da ricondurre all’atto di autonomia. A rigore, non potrebbe neppure porsi in questo caso una dicotomia «operazione-esecuzione» in relazione all’effetto traslativo. Questo si produce ipso iure al verificarsi della condizione e non costituisce momento esecutivo dell’operazione.

Una lettura in chiave giuridico-formale, che attribuisca rilievo ai profili sopra detti, condurrebbe perciò all’immediata nascita dell’obbligo di comunicazione in capo all’acquirente e alla società conferitaria (e correlativamente, se scende al di sotto di soglie rilevanti, al venditore e al conferente), obbligo che sarebbe da assolvere nei cinque giorni di mercato libero successivi alla stipula del contratto condizionato o all’atto di conferimento [33]. Si tratta, però, di una soluzione irrealistica, non essendo il contratto o il conferimento ancora di per sé sufficienti a dare certezza circa il verificarsi della condizione e, quindi, circa la finale produzione dell’effetto di superamento delle soglie di partecipazione rilevante in capo al compratore o alla conferitaria [34].

Occorre al riguardo razionalizzare l’impropria formulazione del regolamento e ritenere esclusa dall’obbligo di comunicazione qualunque ipotesi di trasferimento a formazione progressiva, nella quale, pur se giuridicamente da riferire all’atto-fonte e in ipotesi perfino senza necessità di «esecuzione» in senso giuridico, il superamento della soglia di rilevanza avverrà eventualmente solo all’esito di un procedimento che scaturisce bensì da un’operazione e che si dipana tuttavia in successivi fatti, eventi, situazioni aventi diretta rilevanza sostanziale sulla produzione del trasferimento.

L’obbligo di comunicazione, in questi casi, sorgerà a carico dei soggetti previsti dal regolamento a partire dal momento in cui si sia realizzata la complessiva operazione, e cioè sia intervenuto, oltre all’atto-fonte, il complesso delle circostanze di fatto o di diritto da esso presupposte per la produzione dell’effetto. I cinque giorni decorreranno perciò dal verificarsi della condizione nella vendita sospensivamente condizionata, dall’iscrizione nel registro delle imprese della società costituita con l’apporto in natura consistente in azioni di società quotata, nel conferimento iniziale, dall’acquisto di definitiva efficacia dell’aumento di capitale [35], nel conferimento successivo.

La conclusione del procedimento di trasferimento si ha, nel caso di fusione e scissione, con l’acquisto di efficacia dell’atto finale. Non basta la delibera né l’iscrizione nel registro, né la stipula dell’atto di fusione o scissione. La fusione infatti ha effetto solo quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni nel registro delle imprese dell’atto di fusione (art. 2504-bis, 2° co., c.c.) e la scissione, se la società beneficiaria non è neocostituita, potrebbe averlo anche in data successiva (art. 2504-decies, 1° co., c.c.).

La decorrenza del termine di cinque giorni dovrebbe pertanto aversi solo dal momento dell’iscrizione (o nella scissione a favore di società preesistente, da quello eventualmente successivo previsto nell’atto) e non dal perfezionamento dell’atto [36] di fusione o scissione.

L’interpretazione secondo cui la ratio della previsione regolamentare consiste nell’esaurimento del procedimento di trasferimento, fino al punto in cui si richieda esclusivamente l’esecuzione materiale dello stesso ovvero esso diventi certo e automatico, è confermata dalla norma sulla decorrenza dell’obbligo di comunicazione in caso di offerta pubblica di acquisto. In relazione ad esso, la Consob ha disposto che la comunicazione debba effettuarsi entro cinque giorni dalla data del pagamento del corrispettivo dovuto [37], data che, giusta l’art. 35, 1° co., lett. c), reg. n. 11971/1999, rappresenta la fine del procedimento di offerta.

Minore coerenza all’impostazione sopra illustrata deve riconoscersi, invece, alla previsione contenuta nelle Istruzioni [38] circa la decorrenza del termine per la comunicazione dalla data del deposito per l’iscrizione nel registro delle imprese della richiesta di cancellazione in caso di assegnazione di azioni di società quotata in sede di liquidazione della società socia. È vero, infatti, che l’iscrizione della richiesta di cancellazione deve avvenire dopo l’approvazione del bilancio finale di liquidazione (art. 2456, 1° co., c.c.) e che l’approvazione di esso presuppone il decorso dei tre mesi dal suo deposito (art. 2454 c.c.), con la conseguenza che nello stesso periodo deve avvenire l’assegnazione degli asset non ancora distribuiti e il deposito di quelli non riscossi (art. 2455 c.c.). Tuttavia l’assegnazione delle azioni ai soci della società in liquidazione può avvenire anche prima dell’iscrizione della richiesta di cancellazione, mentre quest’ultima non implica di per sé l’assegnazione degli asset di liquidazione ai soci che non si siano ancora recati a farli propri, obbligando essa invece semplicemente il liquidatore a depositarli. Pertanto più coerente sembrerebbe ritenere che la comunicazione da parte dell’assegnatario vada effettuata a decorrere dall’atto di assegnazione e quindi, per i ritardatari, dall’atto in cui il depositario proceda alla consegna.

4.  Pluralità di soggetti obbligati alla comunicazione

Se in relazione alla stessa partecipazione sono tenuti alla comunicazione più soggetti, l’art. 121, 2° co., reg. n. 11971/1999 autorizza che gli obblighi siano assolti da uno solo di essi, purché sia garantita la completezza delle informazioni dovute da tutti i soggetti interessati.

Deve subito osservarsi che gli obblighi gravanti su più soggetti devono riguardare la stessa partecipazione. Deve cioè trattarsi di un superamento di soglia che, pur realizzato da un certo soggetto – che sarà perciò obbligato alla comunicazione – abbia rilievo anche per uno o più altri soggetti, pur formalmente non detentori della partecipazione. È il caso, ad esempio, di chi eserciti il controllo sulla società che acquisisca nella quotata la partecipazione rilevante.

Deve tuttavia, al riguardo, segnalarsi la portata forse eccessiva della disposizione regolamentare, che obbliga anche il controllante ad effettuare la comunicazione della partecipazione rilevante acquisita dalla controllata entro cinque giorni di mercato aperto dal compimento di essa. La norma presuppone un’osmosi tra controllante e controllata che spesso non esiste, nel senso che, pur entro un rapporto di controllo, gli organi della controllata possono – e anzi dovrebbero – agire in autonomia e dar corso agli acquisti senza nulla dire (o comunque senza dirlo in tempo reale) alla controllante.

Sarebbe stato allora più razionale prevedere un obbligo degli organi della controllata di informare tempestivamente il controllante di qualunque acquisto di partecipazioni, onde metterlo in condizione di apprezzare se in solido con la controllata, o addirittura solo in proprio (se la controllata non abbia superato le soglie e il controllante detenga altre partecipazioni tramite altre controllate o interposti), egli sia tenuto alla comunicazione. E sarebbe stato logico far decorrere il termine di cinque giorni, a carico del controllante, dal momento in cui l’acquisto della controllata fosse pervenuto nella sua conoscenza.

Il sistema attuale (e infatti, come vedremo, per evitare rischi a carico del Ministero del tesoro in ordine alle acquisizioni delle controllate, il 6° co. dell’art. 120 TUF ha introdotto un’esenzione generale a suo favore) penalizza i soggetti che sono al vertice di gruppi ampi e gerarchicamente non integrati, obbligandoli a soffrire conseguenze di atti che essi possono perfino ignorare.

La contraddizione di tale sistema è di imporre – contro la logica di tutela dell’autonomia delle unità operative – un’accentuazione dei vincoli gerarchici e, soprattutto, dei flussi informativi circa il compimento di atti gestionali, che in realtà non dovrebbero essere comunicati a uno dei soci (benché controllante) attraverso canali preferenziali, con distorsione dei normali rapporti tra organo amministrativo e compagine sociale propri del sistema della società capitalistica.

Non rientra invece nella previsione del 2° co. dell’art. 121, reg. il caso in cui l’acquisto della partecipazione non integri i presupposti di rilevanza per chi l’acquisisca, mentre li integra in capo ad altri. È il caso, ad esempio, del soggetto che controlli più società, ciascuna delle quali detenga partecipazioni in società quotate meno che rilevanti. L’incremento di partecipazione nella società quotata da parte di una di esse può ben essere lontano dal superare la soglia di rilevanza per la società acquirente, ma realizzare il superamento in capo al controllante, sommando l’incremento a tutte le partecipazioni da questi indirettamente detenute tramite tutti i controllanti. In questo caso, unico soggetto obbligato alla comunicazione è il controllante, tanto più che le singole controllate legittimamente potrebbero ignorare il superamento complessivo della soglia realizzato tramite l’operazione che riguardi una sola di esse.

Reciprocamente, non riguarda la stessa partecipazione l’acquisto ultrarilevante effettuato da una società controllata e la posizione del controllante di essa che, direttamente o tramite il controllo su altre società, già detenga una partecipazione rilevante nella quotata.

Altro è il superamento delle soglie da parte della controllata, altro l’in­ cremento della partecipazione – già rilevante – che il suo controllante, all’esito di tale incremento, complessivamente detiene nella società quotata.

Tale incremento potrà dar luogo a obblighi di comunicazione ad altro titolo (perché superate, ad esempio, le soglie di variazione rilevanti ex art. 117, reg. n. 11971/1999). A provocare tale obbligo sarà bensì la partecipazione acquisita dalla controllata, ma l’obbligo di comunicazione ex art. 120, 2° co., TUF graverà esclusivamente sulla controllata.

Non si verifica la situazione di obbligo plurisoggettivo prevista dalla norma in esame neppure quando il superamento della soglia sia effettuato da un soggetto aderente a patti parasociali con altri. L’obbligo di comunicazione grava in questo caso solo sul primo e non sugli altri sottoscrittori dei patti. L’acquisto, infatti, non investe partecipazioni in relazione alle quali costoro versino in un rapporto di controllo. Ciò è testualmente da escludere alla luce della nozione di controllo offerta dal­ l’art. 93 TUF, che la restringe al solo soggetto che, in forza di accordi con altri soci, disponga di voti sufficienti a esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria.

Pertanto, o il patto parasociale pone uno dei sottoscrittori in simile situazione, e allora costui controlla la società ma non attraverso la partecipazione degli altri sottoscrittori bensì in proprio grazie agli accordi in essere con costoro [39]: la conseguenza è che l’acquisto ultrarilevante fatto da un altro sottoscrittore è irrilevante in ordine al suo controllo, riguarda cioè, una partecipazione diversa rispetto a quella oggetto di controllo e non la stessa.

O, invece, il patto parasociale non colloca alcuno dei sottoscrittori in posizione di influenza dominante autonoma sulla società: ne consegue che chiunque compri una partecipazione rilevante lo fa senza che la stessa possa sommarsi a quelle altrui.

Non si pone neppure, infine, il problema nel caso di un sottoscrittore che, grazie al patto, esercita la influenza dominante, poiché l’obbligo di comunicare la soglia di rilevanza sarebbe sorto in capo a lui – e, salvo quel che si dirà oltre in ordine all. 120, reg. n. 11971/1999, non in capo agli altri aderenti – fin dal momento in cui egli avesse acquisito l’influenza dominante con la stipula del patto.

Né d’altra parte può configurarsi unitariamente come detentore della partecipazione il «patto» nel suo complesso, cioè il gruppo degli aderenti unitariamente considerato, e riferirsi ad esso l’obbligo di comunicazione in caso di superamento della soglia di rilevanza in forza di incrementi delle partecipazioni di singoli aderenti che le facciano confluire nel patto.

Mancano disposizioni normative che facciano assurgere il «patto» in quanto tale a entità giuridicamente distinta dagli aderenti. Quando pure si prevedono conseguenze per essere raggruppate in un patto partecipazioni complessivamente superiori a certi limiti (ad esempio, il 30% del capitale della quotata, nell’ipotesi di offerta pubblica di acquisto obbligatoria per acquisto di concerto), esse non sono mai previste in capo al «patto» ma ai singoli aderenti che, ai fini della specifica disposizione, vengono solidalmente obbligati a certi comportamenti (nell’esempio dato, al lancio dell’offerta).

Nessuna delle ipotesi di obbligo di comunicazione di partecipazioni rilevanti previste dal reg. Consob n. 11971/1999 è del resto riconducibile, né testualmente né sistematicamente, all’ipotesi di mera partecipazione a un patto parasociale.

Esclude, peraltro, ogni possibilità di dubbio l’art. 120 reg. Consob n. 11971/1999, che obbliga gli aderenti a patti che raggruppino più del 5% del capitale della quotata a darne comunicazione alla Consob. La norma conferma che non il «patto», ma l’aderente è l’unico soggetto rilevante sul piano degli obblighi informativi e, soprattutto, che la rilevanza, nel caso, non è quella della soglia del 2% – come nell’obbligo di comunicazione ex art. 120, 2° co., TUF – bensì del 5% del capitale della quotata. Rimangono cioè escluse dall’obbligo di comunicazione a carico degli aderenti le situazioni in cui il patto raggruppi meno di detta soglia, e perciò né il «patto» che detenesse più del 2% né i suoi aderenti sarebbero tenuti a comunicare alcunché.

In sintesi, l’obbligo di comunicazione è strettamente ancorato alla sussistenza di una relazione specifica – diretta o indiretta – di un dato soggetto con la partecipazione acquisita nella società quotata.

Perciò, intanto può darsi un’ipotesi di obbligo plurisoggettivo di comunicazione, in quanto in capo a più soggetti si verifichi contemporaneamente una relazione specifica giuridicamente rilevante in ordine alla partecipazione. In questo caso è sufficiente l’assolvimento dell’obbligo da parte di un solo soggetto (sempre che concerna pure i dati che deve comunicare anche l’altro).

Ciò, peraltro, non sembra limitato alle ipotesi in cui la relazione dipenda dal rapporto di controllo esistente tra un soggetto e la società che acquisti la partecipazione rilevante. La formula del regolamento è sufficientemente ampia per ricomprendere anche situazioni diverse (ad esempio, obbligo del titolare del diritto di voto non proprietario e obbligo del proprietario privato del voto).

Anche in questi casi l’informazione data da uno degli obbligati, purché completa anche in relazione ai dati dovuti dall’altro, basta all’ottemperanza all’art. 121, 2° co., reg. n. 11971/1999 [40].

Naturalmente, anche a questo riguardo occorrerà che l’obbligo informativo riguardi la stessa partecipazione. Se, dunque, l’incremento di partecipazione sia avvenuto da parte di un soggetto che deteneva altra partecipazione meno che rilevante priva del diritto di voto (o che deteneva invece il diritto di voto su partecipazione meno che rilevante altrui), l’obbligo di comunicazione graverà sul solo soggetto che abbia acquisito la partecipazione incrementale. Colui che deteneva la partecipazione del soggetto che oggi la incrementa a titolo diverso da questi (proprietario l’uno, legittimato al voto l’altro) non vede sommare quella partecipazione a quella nuova, che non è la stessa da lui detenuta e alla quale egli resta estraneo.

Ultima osservazione sul 2° co. dell’art. 121, reg. riguarda l’ammissibilità di una comunicazione completa – contenente, cioè, tutti i dati concernenti i diversi soggetti obbligati a comunicare – offerta da un soggetto che, pur non essendo al vertice di una catena di controllo, disponga dei dati e li inserisca nella propria comunicazione. Appaiono al riguardo ingiustificatamente restrittive le diverse conclusioni cui giunge la Consob nelle Istruzioni [41].

Completa il quadro delle modalità informative il 3° co. dell’art. 121 reg., secondo cui gli intermediari che, nell’esercizio della loro attività di gestione del risparmio, hanno acquisito una partecipazione superiore al 2%, ma inferiore al 5%, possono, anziché effettuare la comunicazione nei cinque giorni di mercato aperto, farlo entro sette giorni dalla pubblicazione dell’avviso di convocazione della prima assemblea successiva. In questo caso essi sono tenuti a comunicare anche la partecipazione ad essi imputabile alla data della comunicazione. La ratio della norma sembra consistere in un’agevolazione degli obblighi a carico di chi, in ragione dell’attività professionale svolta, potrebbe detenere partecipazioni superiori al 2% in via temporanea e mira perciò a far consolidare l’obbligo informativo solo quando sia prossima un’assemblea nella quale, benché transitoriamente detenuta, la partecipazione dell’intermediario potrebbe legittimarne il voto.

5.  Modalità di pubblicazione delle informazioni. Rinvio al regolamento Consob

Disciplina il tema l’art. 122 reg., cui si rinvia.

La Consob è tenuta a pubblicare le informazioni acquisite entro tre giorni di mercato aperto successivi al ricevimento della comunicazione, anche tramite strumenti informatici di diffusione.

La pubblicazione deve essere effettuata anche tramite la società di gestione del mercato presso cui è quotata la società partecipata. In tal caso è la Consob a concordare con la società di gestione le modalità di informazione al pubblico.

6.       L’esenzione delle partecipazioni detenute, per il tramite di società controllate, dal Ministero del tesoro

Gli obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti previsti dall’art. 120, 2° co., TUF non si applicano alle partecipazioni detenute, per il tramite di società controllate, dal Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. I relativi obblighi devono essere assolti dalle società controllate anziché dal Ministero controllante (art. 120, 6° co., TUF).

La norma mira a evitare che il Ministero, che formalmente si trova al vertice di catene partecipative complesse tali da rendere pressoché incontrollabile, tanto più nei tempi ristretti fissati dalla Consob, l’avvenuto superamento di soglie di rilevanza complessivamente detenute, sia soggetto all’obbligo di comunicazione e alle relative sanzioni per effetto di acquisti incrementali di singole controllate, che in ipotesi potrebbero essere di ammontare minimo.

Si è osservato già come una norma di esenzione avrebbe forse risposto meglio alle esigenze di tutti i soggetti che si collocano al vertice di gruppi ampi e polifunzionali, non gerarchicamente compatti. Di fatto, l’eccezione a favore del Ministero – razionale e apprezzabile – aggrava la disparità di trattamento tra controllante pubblico e controllanti privati, secondo una logica difficilmente condivisibile.

 

 

 

 



[1] Cfr. R. Maviglia, Commento all’art. 120, in Il Testo Unico della intermediazione finanziaria, Commentario al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, a cura di C. Rabitti Bedogni, Giuffrè, Milano, 1998, p. 638 ss., ivi, p. 642.

[2] Rispetto alla prospettiva strettamente nazionale dell’art. 5, d.l. 8 aprile 1974, n. 95, conv. con l. 7 giugno 1974, n. 216 (d’ora in avanti «l. n. 216/1974») sottolinea la novità Assonime, nel commento Partecipazioni rilevanti e partecipazioni reciproche nel Testo Unico della Finanza, in Riv. soc., 2000, p. 588 ss., ivi, p. 591. V. anche la comunicazione Consob 18 ottobre 1999, n. 99075915.

[3] Ritiene convincentemente che, nonostante la diversa formulazione rispetto all’art. 5, 2° co., l. n. 216/1974, anche la nuova disciplina si riferisca al capitale «sottoscritto», V. Donativi, Obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti, in Intermediari finanziari, mercati e società quotate, a cura di A. Patroni Griffi-M. Sandulli-V. Santoro Passarelli, Giappichelli, Torino, 1999, p. 679 ss., ivi, p. 698.

[4] L’art. 5, l. n. 216/1974, conteneva una norma analoga in ordine alla partecipazione al capitale di società quotate in borsa o negoziate al mercato ristretto. Anche nel previgente regime il capitale in ordine a cui doveva calcolarsi la percentuale di partecipazione rilevante era quello rappresentato da azioni con diritto di voto (art. 5, 2° co.). Veniva anche specificato che agli stessi fini la partecipazione rilevante dovesse determinarsi senza tenere conto delle azioni o quote prive del diritto di voto.

[5] La norma è innovativa rispetto al previgente art. 5, 1° co., ultima parte, l. n. 216/1974, secondo cui la Consob aveva il dovere «di dare immediata pubblica notizia della comunicazione ricevuta».

[6] Anche sotto questo profilo la disciplina del Testo Unico innova rispetto all’art. 5, 1° co., l. n. 216/1974, a norma del quale (secondo le modifiche apportate dall’art. 7, l. 4 giugno 1985, n. 281 e, poi, dall’art. 11, l. 18 febbraio 1992, n. 149) la comunicazione alla Consob e alla società partecipata doveva farsi «entro 48 ore dall’operazione a seguito della quale la partecipazione ha superato il detto limite percentuale».

[7] V. già, anche a questo riguardo, art. 5, 1° co., l. n. 216/1994.

[8] V. Donativi, Obblighi di comunicazione, cit., p. 681 e ivi, nt. 3.

[9] Quest’ultima disposizione testimonia che, a differenza di quanto avveniva nel regime previgente, nel quale era la stessa legge a disciplinare la comunicazione per l’acquisto di partecipazioni rilevanti in società quotate e da parte di società quotate, la delegificazione a favore della competenza regolamentare della Consob apre la strada a un trattamento diverso delle partecipazioni passive e attive riguardanti società quotate.

Ciò vale non soltanto per l’ipotesi, testualmente prevista dal legislatore, di tempistica e modalità dell’informazione del pubblico, ma anche quanto ai criteri di calcolo delle partecipazioni rilevanti, in ordine ai quali la Consob è vincolata ad «avere riguardo» alle partecipazioni indirette e a quelle in cui vi sia scissione tra titolarità e voto, potendo avervi riguardo in modo diverso a seconda che la partecipazione di cui si discuta sia in società quotata o in società non quotata da parte di società quotata. La possibilità di una disciplina regolamentare difforme sussiste anche in ordine al contenuto e alle modalità della comunicazione e dell’informazione del pubblico, nonché in ordine alle deroghe consentite in punto di informazione, che ben possono essere giustificate da logiche differenti a seconda che società partecipata sia una quotata o una non quotata da parte di una quotata. Vedremo subito che la Consob ha fatto puntualmente uso di tale differenziazione.

[10] Cfr. Assonime, Partecipazioni rilevanti, cit., p. 591.

[11] È questo il caso del pegno e usufrutto di azioni in difetto di convenzione contraria (art. 2352, 1° co., c.c.). L’allegato 4B al reg. n. 11971/1999 precisa, al riguardo, che usufruttuario e creditore pignoratizio devono effettuare la segnalazione solo nel caso in cui spetti loro il diritto di voto (ivi, sub 2.1.3.), con l’ulteriore previsione che la comunicazione sia comunque dovuta, oltre che dal titolare, anche al creditore pignoratizio nei casi in cui il contratto costitutivo del pegno abbia previsto «particolari clausole inerenti l’esercizio del diritto di voto in relazione agli argomenti che figurano all’ordine del giorno dell’assemblea». È questo il caso, ad esempio, degli obblighi di concordare l’atteggiamento da tenere in relazione a certe materie, nonché degli obblighi di informazione circa l’intenzione di voto da parte del titolare, con potere di veto del creditore, e simili. Dubbia è invece la possibilità di ritenere ricomprese in tale previsione le clausole di consultazione preventiva. Tenderei a distinguere, al riguardo, tra clausole di consultazione mera, in cui cioè il titolare resta libero di votare come crede senza conseguenze sul piano del rapporto di credito e di garanzia (in cui la consultazione ha semplici finalità informative del creditore), e clausole in cui la consultazione serva per determinare eventuali situazioni di dissenso del creditore pignoratizio rilevanti sul piano del rapporto di credito sottostante (es.: facoltà di accelerazione, modificazione delle condizioni, ecc.) o del rapporto di garanzia (es.: obbligo di ampliare o modificare qualitativamente la garanzia, ecc.). In altri termini il criterio discretivo sembra doversi ricondurre all’esistenza o meno, nella clausola, di un effetto di incidere sulla libertà del titolare nella formazione del contenuto del voto, libertà che, ove pur indirettamente condizionata dalle conseguenze il voto può avere sul rapporto corrente con il creditore, giustifica che questi sia soggetto a sua volta agli obblighi di comunicazione. Pienamente condivisibile, al riguardo, appare la previsione del § 2.1.3. dell’allegato 4B al reg. n. 11971/1999, secondo cui nello spazio del modello per la comunicazione intitolato alle «Eventuali osservazioni» sia il titolare che il creditore pignoratizio devono specificare le situazioni rilevanti al fine dell’esercizio del diritto di voto. Vanno inserite qui, a mio avviso, le indicazioni circa l’eventuale diritto del creditore pignoratizio a votare in assemblea in luogo del socio debitore in caso di inadempimento di questi, specificando le condizioni contrattuali per la sostituzione nel voto. Viceversa, riterrei che gli obblighi di comunicazione in capo al creditore pignoratizio scattino solo dopo che egli, valendosi delle clausole contrattuali, abbia deciso di sostituirsi nel voto (il termine decorrendo dal momento – che dovrà stabilirsi alla luce del contratto in concreto – in cui il diritto di voto sia stato riacquisito in capo al creditore).

Il fatto che si costituisca un pegno o un usufrutto senza attribuzione del voto al creditore o all’usufruttuario è invece indifferente ai fini informativi sulle partecipazioni rilevanti. Il titolare non è tenuto ad alcuna comunicazione dell’evento costitutivo.

[12] È questo il caso dell’attribuzione per atto negoziale del voto a terzi  (in tal caso l’obbligo incombe sia sul cedente che sul cessionario: v. sul punto allegato 4B al reg. Consob n. 11971/1999, sub 2.1.7.). Sul caso del deposito con attribuzione del voto al depositario v. il § 2.1.5., che obbliga il depositario alla comunicazione solo qualora possa esercitare il voto discrezionalmente.

[13] Come nel caso di azioni proprie (v. allegato 4B al reg. Consob n. 11971/1999, sub 2.1.1.), di azioni della controllante possedute dalla controllata o di azioni per le quali il socio sia in mora nei conferimenti (cfr. Assonime, Partecipazioni rilevanti, cit., p. 591).

[14] E quindi le azioni di risparmio e le azioni di godimento che escludano integralmente il voto: cfr. Assonime, Partecipazioni rilevanti, cit., p. 590 s.

[15] Non è possibile qualificare come titolare sostanziale, e quindi ritenerlo obbligato alla comunicazione, il soggetto che abbia alienato le azioni a scopo di finanziamento con patto di riacquisto (sul punto, da ultimo, M. Torsello, Partecipazione a scopo di finanziamento e patto leonino parasociale, in Contr. e impr., 2000, p. 896 ss.). Nel periodo in cui si protrae il rapporto di finanziamento, infatti, il finanziatore riveste in via esclusiva la qualità di socio, sia sul piano formale sia su quello sostanziale, perdendola solo all’esito dell’esercizio della facoltà di rivendita. Ciò vale anche quando sia prevista con apposito patto parasociale (sulla cui validità v. Cass., 29 ottobre 1994, n. 8927, in Giur. comm., 1995, II, p. 478; Collegio arbitrale, 7 aprile 2000, in Contr. e impr., 2000, p. 959) l’esclusione del finanziatore dalle perdite e/o dagli utili. Infatti tale circostanza non è sufficiente a far venir meno l’interesse del finanziatore al corretto esercizio del voto (su ciò la giurisprudenza sopra citata fonda il giudizio di validità del patto di esclusione), che rientra sostanzialmente e formalmente nella sua esclusiva sfera di potere discrezionale. Naturalmente diverso discorso dovrebbe svolgersi se il patto parasociale che prevede l’esclusione del finanziatore dagli utili e/o dalle perdite preveda anche il coinvolgimento del finanziato nelle determinazioni in ordine al voto che il primo debba esprimere nelle assemblee sociali. Sul punto v. appresso nel testo.

[16] § 2.1.6., allegato 4B al reg. n. 11971/1999.

[17] V. ancora, ad esempio, § 2.1.5., allegato 4B al reg. n. 11971/1999.

[18] Già l’art. 5, 2° co., l. n. 216/1974 stabiliva che ai fini del calcolo della percentuale rilevante dovesse tenersi conto anche «delle azioni o quote possedute indirettamente da una persona fisica o giuridica per il tramite di ... società fiduciarie o per interposta persona».

[19] La regola deve farsi risalire all’art. 7 della direttiva del Consiglio delle Comunità Europee del 12 dicembre 1998 (n. 88/627/CEE) (v. la pubblicata in Banca, borsa e tit. cred., 1989, I, p. 469 ss.), ove si stabilisce l’opportunità che a carico del controllante vengano computati i diritti di voto detenuti dalle imprese controllate. La norma posta dalla Consob è tuttavia più restrittiva, poiché comporta a carico del controllante, oltre alle azioni in relazione a cui spetti alla società controllata il diritto di voto, anche quelle di cui la società controllata sia titolare, pur ove essa non goda del diritto di voto in quanto spettante o attribuito a terzi.

[20] V. Consob, Istruzioni per l’assolvimento degli obblighi informativi ai sensi dell’art. 120 del Decreto Legislativo n. 58/1998, allegato 4B al reg. n. 11971/1999, ivi § 1.2. Sul punto v. V. Donativi, Obblighi di comunicazione, cit., p. 704.

[21] V. Donativi, Obblighi di comunicazione, cit., p. 703; G. Sbisà, Commento all’art. 120, in Commentario al Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, diretto da G. Alpa e F. Capriglione, t. 2, Padova, Cedam, 1998, p. 1112 ss., ivi, p. 1115 s.; M.S. Spolidoro, Disciplina delle partecipazioni reciproche, in Riv. soc., 1998, p. 1039 ss., ivi, p. 1057, ivi, nt. 41. Da ultimo G.F. Campobasso, Commento all’art. 120, in Testo Unico della Finanza. Commentario diretto da G.F. Campobasso, t. 2, Utet, Torino, 2002, p. 977 ss., ivi, p. 120. E v. già Assonime, Partecipazioni rilevanti, cit., p. 592.

[22] Giova ricordare che la direttiva comunitaria n. 88/627/CEE all’art. 8, stabilisce al § 1 intendersi ai sensi della medesima direttiva per «impresa controllata» ogni impresa nella quale una persona fisica o un ente giuridico:

«a) ha la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti e dei soci, ovvero

b) ha il diritto di nominare o revocare la maggioranza dei membri dell’organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza ed è allo stesso tempo azionista o socia di tale impresa, ovvero

c) è azionista o socia e esercita da sola, in virtù di un accordo concluso con altri azionisti o soci dell’impresa, il controllo sulla maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o dei soci di quest’ultima».

La norma prosegue al § 2 stabilendo che per «diritti di voto, di nomina o di revoca dell’impresa madre devono essere sommati i diritti di qualsiasi altra impresa controllata, nonché delle persone o degli enti che agiscono a nome proprio ma per conto del­ lmadre o di un’impresa controllata».

[23] V. già l’art. 5-quater, l. n. 216/1974, nella parte in cui estendeva la nozione di controllo rilevante rispetto a quella contenuta nell’art. 2359 c.c.

[24] L’ammissione di un simile potere della Consob è stata riferita al mio pensiero da alcuni commentatori (V. Donativi, op. loc. ult. cit.; M.S. Spolidoro, op. loc. ult. cit.). Nel luogo ove ho usato un’espressione che, letta oggi, riconosco non chiara (v. il mio lavoro Gli incroci azionari e la riforma dell’o.p.a., in Riv. soc., 1998, p. 530 ss., ivi, p. 538) non intendevo questo. Volevo dire invece che, come ai fini di stabilire le soglie di rilevanza ex art. 120, 4° co., TUF deve tenersi conto anche del controllo indiretto (la Consob deve tenerne conto perché espressamente stabilito dall’art. 93, 2° co., TUF), così lo si deve ai fini degli incroci cosiddetti «triangolari» (su cui v. il capitolo apposito dedicato al tema).

[25] Cfr. G. Olivieri, Il bilancio consolidato, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, vol. VII, t. 1, Utet, Torino, 1994, p. 664 ss., ivi, p. 670, ove richiami.

[26] A. Pavone La Rosa, Le società controllate, in Trattato per le società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, vol. II, t. 2, Utet, Torino, 1991, p. 581 ss., ivi, p. 582 e in particolare, nt. 2.

[27] M. Lamandini, Qualche spunto esegetico sulla nozione di «controllo» ai fini del consolidamento integrale, in Riv. soc., 1996, p. 1453 ss., ivi, p. 1461.

[28] M. Miola, Commento all’art. 93, in Testo Unico della Finanza, cit., t. 2, p. 763 ss., ivi, p. 766.

[29] Il problema è venuto alla ribalta in un recente caso giudiziario (Pirelli c/ Consob) anche in relazione all’obbligo, ritenuto sussistente dalla Consob, della controllata quotata di indicare il controllante di fatto nel prospetto di emissione di strumenti finanziari in sede di aumento di capitale ed emissione di prestito obbligazionario convertibile.

[30] Il 1° co. dell’art. 2359 c.c., richiamato dall’art. 93, 1° co., TUF, infatti, definisce come società controllata quella in cui un’altra società disponga della maggioranza di voti esercitabili in assemblea ordinaria, e il 2° co. dell’art. 2359 c.c., anch’esso richiamato dalla citata disposizione del TUF estende la nozione a quelle società in cui un’altra dispone di voti sufficienti per esercitare in assemblea ordinaria un’influenza dominante. La lett. a) dell’art. 93, 1° co., TUF prescinde bensì dal voto (è il caso dell’accordo di dominio) e però anche dall’esistenza di una partecipazione del dominante al capitale del dominato. La lett. b) della stessa disposizione infine, contempla il controllo solitario tramite accordo con altri soci, richiedendo comunque che un soggetto, attraverso il patto, disponga da solo di voti sufficienti ad esercitare un’influenza dominante in assemblea ordinaria.

[31] Non è questo il caso, peraltro, dell’intestazione a fiduciaria o a intermediario incaricato dalla gestione individuale del risparmio. In questi casi tra il titolare sostanziale e quello formale, legittimato al voto, corre un rapporto idoneo a conservare in capo al primo le determinazioni in ordine al voto. Se, dunque, la titolarità formale basta a obbligare il fiduciario e l’intermediario, che sono anche legittimati al voto, a rendere la comunicazione quali controllanti di società detentrice di partecipazioni rilevanti, nondimeno la titolarità sostanziale delle azioni obbliga il controllante sostanziale a renderla a sua volta: così, correttamente, le Istruzioni, allegato 4B al reg. n. 11971/1999, cit., sub 1.5., esempio b).

Più in generale, ai fini degli obblighi di comunicazione il voto deve comunque riferirsi ai titolari sostanziali, ogni volta che il soggetto legittimato ad esercitarlo non abbia il potere di farlo discrezionalmente, o per l’esistenza di appositi vincoli contrattuali o per la natura stessa del rapporto in forza del quale egli sia investito della legittimazione e/o della titolarità formale al voto.

[32] Condizionato all’iscrizione della costituenda società nel registro delle imprese o all’acquisto di definitiva efficacia dell’aumento di capitale (e quindi, negli aumenti inscindibili, all’integrale sottoscrizione di esso ovvero all’accettazione della minore percentuale sottoscritta da parte della società).

[33] Così sembrerebbe evincersi dal riferimento alla «data di perfezionamento dell’atto», contenuto nel § A) 3.2. delle Istruzioni Consob, allegato 4B al reg. n. 11971/1999.

[34] Si aggiunga che nell’impostazione che qui si respinge la conferitaria potrebbe non essere neppure venuta ad esistenza o potrebbe non aver ancora completato l’aumento di capitale, divenendo in tal modo certa l’acquisizione delle azioni conferitele, quando nondimeno scatterebbe l’obbligo di comunicazione dell’acquisto di partecipazione rilevante a suo carico.

[35] Occorrerà distinguere, al riguardo, tra aumenti scindibili e aumenti inscindibili. Questi ultimi acquistano efficacia con l’integrale sottoscrizione (o con l’atto unilaterale con cui la società accetta la inferiore percentuale sottoscritta). Per i primi, occorre verificare caso per caso il contenuto della delibera di aumento. Questa può prestabilire una data a decorrere dalla quale i conferimenti divengono efficaci o invece prevedere che lo diventino istantaneamente, man mano che vengano eseguiti. In assenza di espressa previsione, occorre interpretare la delibera secondo le comuni regole ermeneutiche degli atti di autonomia (art. 1352 ss. c.c.). È da escludere, in ogni caso, che abbia rilievo ai fini della comunicazione l’iscrizione nel registro delle imprese dell’avvenuto aumento ai sensi dell’art. 2444 c.c., che ha efficacia di mera opponibilità ai terzi.

Si osserva appena che non è questo (che riguarda il conferimento di azioni quotate dall’originario titolare alla società beneficiaria e, quindi, gli obblighi di comunicazione gravanti sulla società beneficiaria dell’apporto) il caso previsto dal § A) 3.3. delle Istruzioni Consob, allegato 4B al reg. n. 11971/1999, che riguarda invece il superamento delle soglie nella società quotata dipendente da modifiche del capitale deliberate dalla quotata.

Ivi si prevede che ai fini degli obblighi di comunicazione valga come data di decorrenza quella in cui è diffusa dalla società di gestione del mercato la comunicazione effettuata dalla società quotata ex art. 98, reg. n. 11971/1999. Tale ultima comunicazione deve avvenire entro il giorno successivo al deposito presso il registro delle imprese dell’attestazione dell’aumento di capitale prevista dall’art. 2444, 1° co., c.c. (art. 98, 1° co., lett. a). La soluzione prescelta dal regolamento è, in questo caso, perfettamente comprensibile: obbligato alla comunicazione, infatti, è il soggetto che in forza della modifica del capitale attuata dalla società quotata si trova ad aver superato la soglia di partecipazione rilevante; tale circostanza egli può conoscere solo a seguito della pubblicità del perfezionamento dell’aumento, che costituisce circostanza nota soltanto alla società emittente fino alla pubblicità ex art. 2444 c.c.

Nel caso esaminato nel testo, invece, l’aumento di capitale è deliberato da una società che riceve per conferimento azioni emesse da una quotata. La società beneficiaria è perciò il soggetto obbligato alla comunicazione e non v’è ragione che l’obbligo decorra dal verificarsi di una pubblicità che non perfeziona il procedimento di aumento bensì semplicemente lo porta a conoscenza dei terzi. La beneficiaria dell’apporto in natura, pertanto, è tenuta alla comunicazione entro cinque giorni di mercato aperto da quello in cui l’aumento è divenuto, per sé e per il conferente, efficace.

[36] Così sembrerebbero invece richiedere le Istruzioni Consob, § A) 3.2. dell’allegato 4B al reg. n. 11971/1999, salvo a ritenere - con una certa forzatura - che per «perfezionamento dell’atto, secondo la rispettiva disciplina civilistica», la Consob intenda l’acquisto dell’efficacia giuridica da parte dell’atto di fusione e scissione, anziché lo strutturale completamento della formazione dell’atto di autonomia.

[37] § A) 3.4. Istruzioni, allegato 4B al reg. n. 11971/1999.

[38] § A) 3.2., 2° co., allegato 4B al reg. n. 11971/1999.

[39] Cfr. P. Marchetti, Note sulla nozione di controllo nella legislazione speciale, in Riv. soc., 1992, p. 1 ss., ivi, p. 13. Del resto sarebbe incongruo ritenere gli aderenti obbligati – e sanzionarli in caso di omessa comunicazione – a comunicare incrementi partecipativi dei quali possono non sapere nulla perché effettuati da un altro aderente in piena autonomia, o comunque dei quali possono non essere in grado neppure di valutare se siano tali da implicare il superamento della soglia del 2% in capo all’aderente acquirente (se, ad esempio, egli abbia superato la soglia attraverso il complesso delle partecipazioni detenute, tramite controllate e interposte persone).

[40] Non sembrano giustificati i dubbi mossi in proposito da Assonime, Partecipazioni rilevanti, cit., p. 595, sulla base del fatto che nell’allegato 4B al reg. n. 11971/1999, sub I A) 1.5., esempio a), la Consob applichi la regola a un’ipotesi di controllo.

[41] Esempi a) e b) sub I A) 1.5., allegato 4B al reg. n. 11971/1999.

 

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