SENTENZA DELLA
CORTE (Sesta Sezione)
22 giugno 2000 (1)
«Direttiva
89/104/CEE - Art. 5, n. 1, lett. b) - Marchi d'impresa -
Rischio di confusione - Rischio
di associazione tra il segno
e il marchio d'impresa»
Nel procedimento C-425/98,
avente ad oggetto la domanda di
pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma
dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE),
dallo Hoge Raad dei Paesi Bassi, nella causa dinanzi ad
esso pendente tra
Marca Mode CV
e
Adidas AG,
Adidas Benelux BV,
domanda vertente
sull'interpretazione dell'art. 5, n. 1, lett. b) della
prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988,
89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli
Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU L 40,
pag. 1),
LA CORTE (Sesta
Sezione),
composta dai signori J.C.
Moitinho de Almeida, presidente di sezione, C. Gulmann
(relatore), J.-P. Puissochet, G. Hirsch e signora F.
Macken, giudici,
avvocato generale: F.G. Jacobs
cancelliere: H. von Holstein, cancelliere aggiunto
viste le osservazioni scritte
presentate:
-per la Marca Mode CV, dagli
avv.ti O.W. Brouwer, D.W.F. Verkade e D.J.G. Visser, del
foro di Amsterdam, e dall'avv. P. Wytinck, del foro di
Bruxelles;
-per la Adidas AG e la Adidas
Benelux BV, dall'avv. C. Gielen, del foro di Amsterdam;
-per il governo olandese, dal
signor M.A. Fierstra, capo del servizio diritto
comunitario presso il Ministero degli Affari esteri, in
qualità di agente;
-per il governo del Regno Unito,
dalla signora M. Ewing, del Treasury Solicitor's
Department, in qualità di agente;
-per la Commissione delle
Comunità europee, dalla signora K. Banks e dal signor P.
Van Nuffel, membri del servizio giuridico, in qualità di
agenti,
vista la relazione d'udienza,
sentite le osservazioni orali
della Marca Mode CV, rappresentata dagli avv.ti D.J.G.
Visser e C.R.A. Swaak, del foro di Amsterdam, della
Adidas AG e della Adidas Benelux BV, rappresentate
dall'avv. S.A. Klos, del foro di Amsterdam, e della
Commissione, rappresentata dal signor H.M.H. Speyart,
membro del servizio giuridico, in qualità di agente,
all'udienza del 24 novembre 1999,
sentite le conclusioni
dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 27
gennaio 2000,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
- 1.
- Con sentenza 6 novembre 1998,
pervenuta in cancelleria il 26 novembre 1998, lo Hoge
Raad dei Paesi Bassi ha proposto a questa Corte, ai sensi
dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), una
questione pregiudiziale sull'interpretazione dell'art. 5,
n. 1, lett. b), della prima direttiva del Consiglio 21
dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri in materia di marchi
d'impresa (GU L 40, pag. 1; in prosieguo: la
«direttiva»).
- 2.
- Tale questione è sorta nell'ambito
di una controversia tra la Marca Mode CV (in prosieguo:
la «Marca Mode»), con sede in Amsterdam (Paesi Bassi),
da un lato, e la Adidas AG, con sede in Herzogenaurach
(Germania), e la Adidas Benelux BV, con sede in
Etten-Leur (Paesi Bassi), dall'altro, in merito ad un
marchio figurativo registrato dalla Adidas AG presso
l'ufficio marchi del Benelux, marchio che è d'altra
parte oggetto di una licenza esclusiva per il Benelux
concessa dalla Adidas AG alla Adidas Benelux BV.
Il contesto giuridico
- 3.
- L'art. 5 della direttiva relativo ai
diritti conferiti dal marchio d'impresa, prevede, al n.
1, lett. b), che:
«1. Il
marchio di impresa registrato conferisce al titolare un
diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare
ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:
a) (...)
b) un segno che, a motivo
dell'identità o della somiglianza di detto segno col
marchio di impresa e dell'identità o somiglianza dei
prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa
e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione
per il pubblico, comportante anche un rischio di
associazione tra il segno e il marchio di impresa».
- 4.
- La maggior parte delle versioni
linguistiche della direttiva utilizzano in tale
disposizione, la nozione di «rischio» o «pericolo» di
confusione o di associazione. Le versioni olandese e
svedese utilizzano il concetto di possibilità di
confusione e di rischio d'associazione, mentre la
versione inglese impiega la nozione di «probabilità»
di confusione o di associazione.
- 5.
- L'art. 5, n. 2, della direttiva
recita:
«Uno Stato membro
può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto
di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel
commercio un segno identico o simile al marchio di
impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a
quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di
impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l'uso
immotivato del segno consente di trarre indebitamente
vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del
marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi».
- 6.
- L'art. 13 A, punto 1, lett. b) della
legge uniforme del Benelux sui marchi, diretto a
trasporre nella normativa del Benelux l'art. 5, n. 1,
lett. b), della direttiva, prevede:
«Fatta salva l'eventuale applicazione del
diritto comune in materia di responsabilità civile, il
diritto esclusivo sul marchio permette al titolare di
opporsi a:
(...)
b) qualsiasi uso commerciale che
venga fatto del marchio d'impresa o di un segno simile
per i prodotti per i quali il marchio stesso è stato
registrato ovvero per prodotti simili, allorché esista,
per il pubblico, un rischio di associazione tra il segno
ed il marchio d'impresa».
La controversia nella causa
principale
- 7.
- Il marchio figurativo registrato
dall'Adidas AG presso l'ufficio dei marchi del Benelux è
costituito da tre strisce parallele. Esso riguarda in
particolare abbigliamento sportivo ed articoli connessi
allo sport.
- 8.
- La Marca Mode ha messo in vendita,
nel suo stabilimento di Breda (Paesi Bassi), una
collezione di indumenti sportivi alcuni dei quali
recavano sui lati, in tutta la loro lunghezza, due
strisce parallele. Tali indumenti erano bianchi a strisce
nere oppure neri a strisce bianche.
- 9.
- La Marca Mode ha anche messo in
commercio una polo bianca e arancione recante nel mezzo
della parte anteriore, per tutta la lunghezza, tre
strisce parallele e verticali nere, munite sul lato
esterno di un sottile orlo bianco e interrotte, nella
parte anteriore, da un medaglione con l'immagine di un
gatto e recante l'iscrizione «TIM».
- 10.
- Il 26 giugno 1996, la Adidas AG e la
Adidas Benelux BV (in prosieguo denominate congiuntamente
«Adidas»), hanno convenuto in giudizio la Marca Mode
con procedimento sommario dinanzi al presidente del
Rechtbank di Breda. Affermando che la Marca Mode violava
il suo marchio figurativo costituito da tre strisce, la
Adidas ha chiesto che in futuro venisse vietato a tale
ditta l'uso nel Benelux dei segni costituiti da tre o due
strisce.
- 11.
- Il giudice del procedimento sommario
ha concesso il provvedimento richiesto per sette
indumenti e per la polo recante l'iscrizione «TIM».
- 12.
- Il Gerechtshof di s-Hertogenbosch ha
confermato tale ordinanza.
- 13.
- La Marca Mode ha proposto allora
ricorso per cassazione contro la sentenza del Gerechtshof
dinanzi allo Hoge Raad dei Paesi Bassi.
- 14.
- Dinanzi a tale giudice la ricorrente
ha contestato al giudice di appello il fatto di aver male
applicato l'art. 13 A, punto 1, lett. b), della legge
uniforme del Benelux sui marchi d'impresa, fondando la
sua decisione sul solo accertamento dell'esistenza di un
rischio di associazione da parte del pubblico interessato
tra i segni contestati e il marchio registrato. Facendo
valere la sentenza 11 novembre 1997, causa C-251/95,
SABEL, (Racc. pag. I-6191), essa sostiene che, in
conformità dell'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva,
il Gerechtshof, per motivare la sua decisione, avrebbe
dovuto accertare l'esistenza di un rischio di confusione.
- 15.
- Lo Hoge Raad ritiene che, alla luce
della sentenza SABEL, ed in particolare dei punti 18, 22
e 24 di quest'ultima, potrebbe essere giustificato
concludere che, se determinate circostanze, come il
carattere distintivo particolare che possiede il marchio,
intrinsecamente o grazie alla notorietà di cui gode
presso il pubblico, devono condurre ad ammettere che non
sia escluso il rischio di confusione, l'accertamento del
rischio di associazione potrebbe allora essere
sufficiente a giustificare un divieto dell'uso dei segni
controversi.
- 16.
- Secondo lo Hoge Raad, una tale
interpretazione permetterebbe, per quanto riguarda i
marchi notori, di conciliare l'art. 5, n. 1, lett. b), e
l'art. 5, n. 2 della direttiva il quale ultimo autorizza
gli Stati membri ad accordare ai marchi notori una tutela
per i prodotti e servizi non simili «se l'uso immotivato
del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal
carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di
impresa o reca pregiudizio agli stessi». La prospettata
interpretazione dell'art. 5, n. 1, lett. b), della
direttiva offrirebbe ai marchi notori anche una tutela
contro l'eventualità che venga tratto profitto dal loro
potere distintivo particolare o che venga arrecato
pregiudizio agli stessi nel caso in cui siano utilizzati
per prodotti o servizi identici o simili.
- 17.
- Il giudice a quo conclude che, se
l'interpretazione da esso data alla citata sentenza SABEL
fosse esatta, il motivo fatto valere dalla Marca Mode non
potrebbe comportare la cassazione della sentenza del
Gerechtshof. Esso rileva che tale sentenza ha accertato,
oltre all'esistenza di una possibilità di associazione
tra il segno della Marca Mode e il marchio Adidas, la
notorietà di cui quest'ultimo gode. Ora, a suo parere,
tenuto conto di quest'ultimo elemento, non si può
escludere che la possibilità di un'associazione possa
suscitare confusione. Di conseguenza, i fatti accertati
potrebbero giustificare l'accoglimento della domanda
inibitoria presentata dall'Adidas.
- 18.
- Alla luce di tali osservazioni, lo
Hoge Raad dei Paesi Bassi ha deciso di sospendere il
giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione
pregiudiziale:
«Se l'art.
5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104 debba essere
interpretato nel senso che,
a)quando un marchio possiede un
carattere distintivo particolare, intrinsecamente o
grazie alla notorietà di cui gode presso il pubblico, e
b)quando un terzo, senza il
consenso del titolare del marchio, usa nel commercio, per
prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali
il marchio è stato registrato, un segno che assomiglia
al marchio a tal punto da far sorgere la possibilità di
associarlo a quest'ultimo,
il diritto esclusivo del titolare
del marchio consenta a questi di vietare al terzo tale
uso del segno, qualora il carattere distintivo del
marchio sia tale da non escludere che la detta
associazione possa creare confusione».
- 19.
- Con la stessa sentenza, lo Hoge Raad
ha anche sottoposto svariate questioni pregiudiziali alla
Corte di giustizia del Benelux. Secondo le informazioni
fornite dalla Marca Mode, tale giudice, con ordinanza 18
gennaio 1999, ha sospeso l'esame delle questioni
sottopostegli fino a che la Corte non si sia a sua volta
pronunciata.
Sulla
questione pregiudiziale
- 20.
- L'Adidas chiede che la Corte si
pronunci sull'interpretazione dell'art. 5, n. 2, della
direttiva.
- 21.
- Occorre ricordare che, secondo una
costante giurisprudenza, nell'ambito della ripartizione
delle funzioni giurisdizionali fra i giudici nazionali e
la Corte, ripartizione effettuata dall'art. 177 del
Trattato, il giudice nazionale, che è l'unico ad avere
conoscenza diretta dei fatti della causa come pure delle
argomentazioni delle parti, e che dovrà assumersi la
responsabilità dell'emananda pronunzia, è nella
situazione più idonea per valutare, con piena cognizione
di causa, la pertinenza delle questioni di diritto
sollevate dalla causa di cui è investito e la necessità
di una pronuncia pregiudiziale per poter emettere la
sentenza. Ciononostante, in caso di questioni
eventualmente formulate in modo improprio, spetta alla
Corte di giustizia estrarre dal complesso degli elementi
forniti dal giudice nazionale, e in particolare dalla
motivazione del provvedimento di rinvio, gli elementi di
diritto comunitario che richiedono l'interpretazione ,
tenuto conto dell'oggetto della controversia (v. in
particolare sentenza 29 novembre 1978, causa 83/78, Pigs
Marketing Board, Racc. pag. 2347, punti 25 e 26).
- 22.
- Nella presente causa, emerge dalla
sentenza di rinvio che lo Hoge Raad chiede solo
un'interpretazione dell'art. 5, n. 1, lett. b), della
direttiva e che la soluzione della controversia nella
causa principale dipende dalla questione se il
Gerechtshof abbia correttamente considerato che
ricorresse la condizione dell'esistenza di un «rischio
di confusione comportante anche un rischio di
associazione tra il segno e il marchio d'impresa»,
prevista da tale disposizione comunitaria.
- 23.
- D'altra parte, non risulta dalla
sentenza di rinvio che l'Adidas abbia fatto valere nella
causa principale che l'uso immotivato dei segni
controversi consentisse di trarre indebitamente vantaggio
dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio
figurativo da essa registrato o che recasse pregiudizio
agli stessi, condizione alla quale è subordinata
l'eventuale applicazione della disposizione di
trasposizione dell'art. 5, n. 2, della direttiva. Lo Hoge
Raad considera quest'ultimo articolo, non perché la
controversia riguardi concretamente lo specifico
pregiudizio al marchio da esso previsto, ma per sostenere
che l'interpretazione dell'art. 5, n. 1, lett. b), della
direttiva caldeggiata nella sentenza di rinvio
garantirebbe una certa coerenza tra le situazioni
disciplinate da queste due disposizioni.
- 24.
- Pertanto, al fine di fornire una
soluzione utile al giudice nazionale, non occorre
esaminare la questione dell'interpretazione dell'art. 5,
n. 2, della direttiva.
- 25.
- Riguardo alla questione proposta
dallo Hoge Raad, occorre rilevare che l'art. 5, n. 1,
lett. b), della direttiva permette al titolare di un
marchio, a talune condizioni, di vietare ai terzi l'uso
di un segno il quale possa dare adito a un rischio di
confusione per il pubblico, comportante anche un rischio
di associazione tra il segno e il marchio di impresa.
- 26.
- Termini sostanzialmente identici
sono utilizzati all'art. 4, n. 1, lett. b), della
direttiva, che indica i motivi per i quali un marchio
d'impresa può essere escluso dalla registrazione o, se
è stato registrato, può essere dichiarato nullo.
- 27.
- L'art. 4, n. 1, lett. b), della
direttiva è stato oggetto di interpretazione da parte
della Corte, in particolare nella citata sentenza SABEL.
- 28.
- Pertanto, tale interpretazione deve
valere anche per l'art. 5, n. 1, lett. b), della
direttiva.
- 29.
- Secondo lo Hoge Raad, la
giurisprudenza della Corte non esclude che un rischio di
confusione tra il marchio ed il segno possa essere
presunto qualora il marchio possieda un carattere
distintivo particolare, segnatamente a causa della sua
notorietà, e qualora il segno utilizzato dai terzi per
prodotti identici o simili assomigli a tal punto al
marchio da far sorgere la possibilità di associarlo a
quest'ultimo.
- 30.
- Con la sua questione, lo Hoge Raad
cerca di sapere se l'art. 5, n. 1, lett. b), della
direttiva debba essere interpretato nel senso che, in
tali circostanze, il titolare del marchio può vietare ad
un terzo l'uso del segno quando il carattere distintivo
del marchio è tale che non sia escluso che
l'associazione, operata dal pubblico tra il segno e il
marchio, possa suscitare confusione.
- 31.
- Facendo riferimento alla citata
sentenza SABEL, la Marca Mode, i governi olandese e del
Regno Unito, nonché la Commissione, sostengono che la
tutela accordata in forza dell'art. 5, n. 1, lett. b),
della direttiva, come quella prevista dall'art. 4, n. 1,
lett. b),della stessa direttiva, è sempre subordinata
alla prova positiva di un rischio di confusione. Essi
ritengono che, anche per i marchi notori, non sia
sufficiente, in presenza di un semplice rischio di
associazione, che un rischio di confusione non sia
escluso.
- 32.
- Basandosi in particolare sul punto
24 della citata sentenza SABEL, l'Adidas afferma al
contrario che, riguardo ai marchi notori, il rischio di
associazione è sufficiente a giustificare un divieto
qualora un rischio di confusione non sia escluso. In
altri termini, per quel che riguarda tali marchi, il
rischio di associazione condurrebbe a supporre un rischio
di confusione.
- 33.
- A tal proposito, occorre anzitutto
rilevare che, anche in circostanze specifiche come quelle
descritte dallo Hoge Raad nella sua sentenza di rinvio,
un rischio di confusione non può essere presunto.
- 34.
- Infatti, l'art. 5, n. 1, lett. b),
della direttiva è destinato ad applicarsi solo se, a
motivo dell'identità o della somiglianza dei marchi di
impresa e dei prodotti o servizi designati, si «possa
dar adito un rischio di confusione per il pubblico,
comportante anche un rischio di associazione tra il segno
e il marchio di impresa». Da tale formulazione deriva
che la nozione di rischio di associazione non è
alternativa alla nozione di rischio di confusione, bensì
serve a precisarne la portata. I termini stessi di tale
disposizione escludono quindi che essa possa trovare
applicazione se non sussiste nel pubblico un rischio di
confusione [v. a proposito dell'art. 4, n. 1, lett. b),
della direttiva, la citata sentenza SABEL, punto 18]. La
tutela di un marchio registrato dipende così, ai sensi
dell'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva,
dall'esistenza di un rischio di confusione [v. a
proposito dell'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva,
la sentenza 29 settembre 1998, causa C-39/97, Canon,
Racc. pag. I-5507, punto 18].
- 35.
- Tale interpretazione trova conforto
anche nel decimo 'considerando' della direttiva, dal
quale emerge che «il rischio di confusione (...)
costituisce la condizione specifica della tutela»
(sentenza SABEL, citata, punto 19).
- 36.
- Essa non è contraddetta dall'art.
5, n. 2, della direttiva, che introduce, in favore dei
marchi notori, una tutela per la cui attuazione non è
richiesta l'esistenza di un rischio di confusione.
Infatti, tale disposizione si applica a situazioni nelle
quali la condizione specifica della tutela è costituita
da un uso immotivato del segno controverso che consente
di trarre indebitamente vantaggio dal carattere
distintivo o dalla notorietà del marchio oppure arreca
pregiudizio agli stessi.
- 37.
- L'Adidas non può utilmente
riferirsi al punto 24 della citata sentenza SABEL.
- 38.
- In tale punto, la Corte ha rilevato
che il rischio di confusione è tanto più elevato quanto
più rilevante è il carattere distintivo del marchio
anteriore, aggiungendo poi che non può quindi essere
escluso che la somiglianza concettuale derivante dal
fatto che due marchi utilizzino immagini concordanti nel
loro contenuto semantico possa creare rischio di
confusione nel caso in cui il marchio anteriore possieda
un caratteredistintivo particolare, sia intrinsecamente,
sia grazie alla notorietà di cui gode presso il
pubblico.
- 39.
- La Corte ha così sottolineato che
il carattere distintivo particolare del marchio anteriore
può aumentare il rischio di confusione e che, in
presenza di una somiglianza concettuale del marchio e del
segno, può contribuire a far sorgere un tale rischio. La
formulazione negativa, «non può quindi essere
escluso», di cui al punto 24 della citata sentenza
SABEL, mette semplicemente in rilievo la possibilità che
un rischio nasca dalla congiunzione dei due fattori
esaminati. Essa non implica in alcun modo una presunzione
di rischio di confusione che risulti dall'esistenza di un
rischio di associazione in senso stretto. Con una tale
formula, la Corte ha implicitamente rinviato alla
valutazione delle prove che il giudice nazionale deve
svolgere in ciascuna causa dinanzi ad esso pendente. Essa
non lo ha dispensato dallo svolgere il necessario
accertamento positivo dell'esistenza di un rischio di
confusione, il quale costituisce l'oggetto della prova da
apportare.
- 40.
- A questo proposito occorre ricordare
che il rischio di confusione deve essere oggetto di
valutazione globale, in considerazione di tutti i fattori
pertinenti del caso di specie. (sentenza SABEL, citata,
punto 22). La valutazione globale implica una certa
interdipendenza tra i fattori presi in considerazione
(sentenza Canon , citata, punto 17). Per esempio, può
essere accertato un rischio di confusione, nonostante il
minor grado di somiglianza tra i prodotti o servizi
designati, allorché la somiglianza dei marchi è grande
e grande è il carattere distintivo del marchio
anteriore, in particolare la sua notorietà (sentenza
Canon, citata, punto 19).
- 41.
- La notorietà di un marchio, una
volta dimostrata, è quindi un elemento che, tra gli
altri, può rivestire una sicura importanza. In questo
senso, si può osservare che i marchi che hanno un
elevato carattere distintivo, in particolare a motivo
della loro notorietà, godono di una tutela più ampia
rispetto ai marchi il cui carattere distintivo è
inferiore (sentenza Canon, citata, punto 18). Tuttavia,
la notorietà di un marchio non permette di presumere
l'esistenza di un rischio di confusione per il solo fatto
dell'esistenza di un rischio di associazione in senso
stretto.
- 42.
- Occorre pertanto risolvere la
questione pregiudiziale dichiarando che l'art. 5, n. 1,
lett. b), della direttiva non può essere interpretato
nel senso che,
- quando un
marchio possiede un carattere distintivo particolare,
intrinsecamente, oppure grazie alla notorietà di cui
gode presso il pubblico, e
- senza il consenso del titolare
del marchio un terzo usa, nel commercio, per prodotti o
servizi identici o simili a quelli per i quali il marchio
è registrato, un segno che assomiglia a tal punto al
marchio da far sorgere la possibilità di associarlo a
quest'ultimo,
il diritto esclusivo del titolare
del marchio consente a questi di vietare al terzo tale
uso del segno qualora il carattere distintivo del marchio
sia tale da non escludere che la detta associazione possa
creare confusione.
Sulle spese
- 43.
- Le spese sostenute dai governi
olandese e del Regno Unito, nonché dalla Commissione,
che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono
dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella
causa principale il presente procedimento costituisce un
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui
spetta quindi statuire sulle spese.
Per questi motivi,
LA CORTE (Sesta
Sezione),
pronunciandosi sulla questione
sottopostale dallo Hoge Raad dei Paesi Bassi con sentenza
6 novembre 1998, dichiara:
L'art. 5, n. 1, lett. b),
della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988,
89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli
Stati membri in materia di marchi d'impresa non può
essere interpretato nel senso che,
- quando un marchio possiede
un carattere distintivo particolare, intrinsecamente,
oppure grazie alla notorietà di cui gode presso il
pubblico, e
- senza il consenso del
titolare del marchio, un terzo usa, nel commercio, per
prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali
il marchio è registrato, un segno che assomiglia a tal
punto al marchio da far sorgere la possibilità di
associarlo a quest'ultimo,
il diritto esclusivo del
titolare del marchio consente a questi di vietare al
terzo tale uso del segno qualora il carattere distintivo
del marchio sia tale da non escludere che la detta
associazione possa creare confusione.
Moitinho de
AlmeidaGulmann Puissochet HirschMacken
|
Così deciso e pronunciato a
Lussemburgo il 22 giugno 2000.
Il cancelliere Il
presidente della Sesta Sezione
R. Grass J.C.
Moitinho de Almeida