Il regime probatorio
dell'inadempimento
di Luca Sansone *
Anche
in relazione a tale tema ho potuto registrare da parte di molti concorrenti la
convinzione che esso non potesse essere svolto se non conoscendo le sentenze
recenti della Suprema Corte; tra l’altro ho notato che alcuni docenti ed
autori di pubblicazioni in materia di diritto civile hanno rivendicato la
paternità del merito di aver riportato nei loro testi le “preziose”
sentenze. Tutto ciò mi pare risibile, sia detto in
tutta umiltà, per le seguenti ragioni:
1.
l’onere della prova, fino a prova contraria (mi si perdoni il bisticcio
di parole), è materia che ogni manuale di diritto civile deve trattare perché
la sua disciplina riguarda il diritto sostanziale (altra affermazione che ho
ascoltato è che il tema fosse di procedura civile e ciò mi conferma come sia
basso il livello di preparazione dei concorrenti sui principi fondamentali del
diritto!); ad esempio l’ormai secondo alcuni obsoleto “dottrine generali del
diritto civile” del Maestro Santoro Passatelli,
vi dedica un’intera sezione: ebbene, sarebbe bastato leggere e
comprendere il contenuto del primo paragrafo di questa sezione per essere in
condizione di ricostruire in maniera dignitosa il tema: quello che voglio
sottolineare in questa premessa è la diseducatività del diramare la
convinzione che per vincere un concorso bisogna divorare giurisprudenza su
giurisprudenza;
2.
le sentenze citate della Suprema Corte non toccano tutti i problemi presi
in considerazione dalla traccia e comunque non operano una trattazione
sull’argomento dell’onere della prova secondo me assolutamente necessaria
per rispondere alla domanda della traccia.
Come
per il tema di Amministrativo, proviamo a svolgere quindi anche la traccia di
civile senza riferimenti particolari alle recenti sentenze, cercando di
ragionare sui principi fondamentali della materia.
Premessi
brevi cenni sull’inadempimento delle obbligazioni, indichi il candidato quale
sia il regime probatorio ad esso applicabile. Precisi in particolare il criterio
di riparto dell’onere della prova nel caso di domanda di adempimento,
risoluzione o risarcimento del danno; nel caso in cui sia dedotto non
l’inadempimento dell’obbligazione ma il suo inesatto adempimento; nel caso
in cui il debitore convenuto si avvalga dell’eccezione di inadempimento di cui
all’art. 1460. Indichi infine su chi incomba l’onere della prova in caso di
inadempimento di obbligazione negativa.
_________
1.
L’inadempimento
dell’obbligazione è fatto giuridico dal quale
scaturiscono diverse possibili conseguenze; per quelle non legate a
contro obbligazioni ad esse avvinte da rapporto sinnallagmatico,
può essere causa di estinzione dell’obbligazione se dovuto ad
impossibilità sopravvenuta o ragione per domanda da parte del creditore di
condanna all’adempimento in forma specifica se possibile e voluto o fondare
sempre in capo a quest’ultimo la possibilità di agire per il risarcimento
danno; se poi l’obbligazione inadempiuta è parte di un rapporto
sinnallagmatico, al contraente c.d. fedele è data la facoltà ulteriore di
chiedere la risoluzione per inadempimento della controparte a patto che
l’inadempimento sia di seria rilevanza in relazione alle sua caratteristiche
qualitative e cronologiche. Le obbligazioni che hanno una fonte diversa dal
contratto richiedono un accertamento giudiziale
(responsabilità extra contrattuale, per ingiustificato arricchimento,
pagamento indebito, gestione di affari, fattispecie di indennizzo come nel caso
di immissioni superiori alla soglia ma consentite) che pone sul soggetto che le
reclami in caso di controversia l’onere di provarne la presenza dei fatti
costitutivi al fine di ottenere una sentenza di condanna. Inoltre avendo ad
oggetto una somma di denaro o al più nel caso di pagamento dell’indebito la
restituzione di una cosa determinata, una volta formato il titolo esecutivo
potranno trovare soddisfazione nel processo d’esecuzione che presuppone
ovviamente quale unica condizione il titolo esecutivo. Ove nel frattempo fosse
avvenuto un qualsiasi fatto impeditivo dell’esecuzione, tra cui lo spontaneo
adempimento,
questo sarebbe fatto presente dal debitore in un’opposizione
all’esecuzione. L’obbligazione contrattuale invece, spesso contrapposta ad
altra corrispettiva, può avere diversi oggetti ed inoltre il suo inadempimento
può consistere nella modalità della completa omissione di adempimento o in
quella dell’adempimento inesatto. Inoltre esso può rilevare in un primo
momento come ritardo, quando il creditore abbia ancora interesse alla
prestazione, con tutte le conseguenze giuridiche della mora, o come
inadempimento definitivo nel caso opposto. In fine l’oggetto
dell’obbligazione in alcuni casi
è descritto come un facere di un certo livello qualitativo, seppur
finalizzato indirettamente al perseguimento di un risultato (obbligazioni di
mezzo), altre nel risultato (obbligazioni di risultato). Per quanto detto
risulta evidente che in relazione alle obbligazioni ex contractu
l’applicazione del principio dell’onere della prova richieda delle
riflessioni complesse ed articolate.
2.
L’onere
della prova è principio fondamentale in qualsiasi ordinamento giuridico che si
pone come cesura tra il diritto sostanziale e quello processuale. Il suo
contenuto è facilmente percepibile mettendosi nella posizione del soggetto che
esercita la funzione giurisdizionale: egli conosce tecnicamente le situazioni
dotate dal legislatore di giuridica rilevanza ma non i fatti che ad esse hanno
dato vita
per cui è necessario che questi ultimi su cui si fondano le istanze
processuali delle parti e sui quali determinerà il suo giudizio, vengano
portati alla sua conoscenza. L’onere della prova è ben visualizzato da quelle
che la dottrina chiama le condizioni dell’azione in contrapposizione ai
presupposti processuali, vale a dire quegli elementi necessari all’ottenimento
di una pronuncia favorevole nel merito: mentre ai fini dell’instaurazione di
un giudizio di merito è necessario descrivere una situazione che, se esistente,
sarebbe dotata di giuridica rilevanza e tutela (prospettazione), per ottenere
ragione occorre dimostrare che quella situazione prospettata è realmente
esistente così come descritta. Referente normativo di questo principio è
l’articolo 2697 del c.c. che si rivolge ad entrambe le parti processuali
distribuendo l’onere in corrispondenza delle rispettive istanze processuali di
attacco e di difesa. Tale principio risulta perimetrato in relazione alla
categoria del fatto notorio e, sia pure in parte, in tutti i casi nei quali al
giudice è accordato un potere inquisitorio che deroga al principio processuale
dell’impulso di parte, come nei casi di giurisdizione onoraria (processi di
interdizione, inabilitazione) o di processo di lavoro.
3.
Per quanto sopra detto l’esame del presente lavoro sarà limitato alle
obbligazioni ex contractu. La fonte contrattuale è dotata di specifiche
peculiarità rispetto alle altre in quanto scaturisce dalla volontà dei
soggetti per regolare interessi patrimoniali ad essi afferenti: per tanto la
necessità di intervento del giudice è limitata ad una ipotesi patologica del
rapporto, a differenza delle altre fonti nelle quali egli è necessariamente
chiamato a valutarne la dichiarata esistenza da parte dell’attore
(responsabilità extra contrattuale). Quindi la prova sull’esistenza della
fonte (rectius del contratto) è una questione solo preliminare rispetto a
quella centrale che riguarda l’aspetto del rapporto che si vuole dedurre per
quanto sia necessaria condizione perché quest’ultima possa essere esaminata.
In relazione alla prova sull’esistenza del contratto è sufficiente ricordare
come il codice limiti al caso di contratto con valori insignificanti la
possibilità che essa sia fornita tramite testimonianza richiedendo normalmente
la prova scritta, tranne se vi sia stata
perdita del documento per fatto non imputabile a chi invoca la prova
testimoniale. Se la domanda consiste nel chiedere l’adempimento, occorre
distinguere a seconda che si tratti di obbligazione di risultato o di mezzi: nel
primo caso l’attore non deve dimostrare altro che l’esistenza del titolo e
se in esso è contenuto un esplicito termine di adempimento che esso
risulti scaduto;
in questo modo ha suffragato il suo onere di rendere noto al giudice i
presupposti sui quali fonda la domanda; infatti, rifacendosi al concetto della
ignoranza da parte del giudice sui fatti concreti, spetta al debitore dimostrare
che egli ha effettuato l’adempimento e sarà suo onere nel momento in cui
compie la prestazione dotarsi di una prova di tale accadimento. E’ questo il
senso della figura della quietanza che il debitore può pretendere all’atto
del suo pagamento. Nel caso in cui il debitore voglia addurre che il suo
inadempimento è dovuto a impossibilità sopravvenuta di compiere la prestazione
a lui non imputabile, dovrà egli fornire la prove della causa del suo
inadempimento mentre sulla natura della non imputabilità
non occorre prova essendo essa oggetto di una valutazione del giudice. Le
cose cambiano allorché l’inadempimento del debitore consista non in una
omissione della prestazione ma in un suo compimento inesatto in quanto, ove il
debitore dimostri che
ha compiuto la prestazione, sarà onere della parte attrice dimostrare
che essa non risponde alle modalità pattuite nel titolo (ex: obbligazione del
depositario che restituisca la cosa deteriorata). Per ciò che concerne la
obbligazioni di mezzi, a parte il caso in cui il debitore abbia del tutto omesso
la sua prestazione, se il creditore deduce l’assenza della qualità di
diligenza richiesta dal titolo dovrà fornire prova di ciò.
Dalla differente disciplina dell’onere della prova tra obbligazioni di
mezzo e di risultato, è nata una tesi che sostiene l’imputazione a titolo
anche soggettivo delle prime esclusivamente oggettiva per le seconde. La
ripartizione dell’onere della prova tra parte attrice e convenuta non muta
rispetto a quanto esposto se la domanda è rivolta ad ottenere il risarcimento
del danno anziché l’adempimento, con l’ulteriore onere per la parte attrice
di dimostrare la quantizzatone del danno nelle due poste previste dalla legge,
con l’ovvia constatazione della difficoltà che spesso comporta la prova del
lucro cessante. Le cose cambiano invece radicalmente quando l’oggetto
dell’obbligazione consista in un non facere; in questo caso infatti, sempre
rifacendosi alla considerazione dell’ignoranza del giudice sui fatti concreti,
per la struttura negativa della prestazione, risulterebbe contraddittorio porre
in capo al debitore l’onere di provare il suo adempimento perché, a
differenza di quanto avviene nelle obbligazioni positive, il fatto concreto da
portare alla conoscenza del giudice consiste nell’inadempimento e fondandosi
su esso la pretesa dell’attore, non può che considerarsi oggetto del suo
onere probatorio. In termini di rigore logico, la disciplina sull’onere della
prova non dovrebbe mutare se l’inadempimento fosse addotto dalla parte attrice
come fondamento di domanda di risoluzione in presenza di contratto a prestazioni
corrispettive in quanto le considerazioni relative all’ignoranza sui fatti da
parte del giudice riguardo alla domanda di adempimento o di risarcimento danno
possono essere ripetute. Le conclusioni potrebbero cambiare ad un esame più
profondo sulla distinzione che intercorre tra domanda di adempimento o di
risarcimento danno e domanda di risoluzione. Infatti mentre con la domanda di
adempimento in forma specifica o di risarcimento danno l’attore tende a
riaffermare la rilevanza giuridica del titolo in presenza di una patologia del
rapporto, chiedendo al giudice di esercitare il suo potere coercitivo nei
confronti del contraente inadempiente, con quella di risoluzione egli chiede al
giudice di demolire il titolo, ossia di erogare un effetto giuridico nuovo
consistente nello scioglimento del contratto. Appare evidente come le componenti
dei due giudizi, pur essendo le stesse (esistenza del contratto e suo
inadempimento) giochino dei ruoli completamente diversi: nella risoluzione il
contratto è l’oggetto sul quale cade la determinazione giudiziale e
l’inadempimento che abbia le caratteristiche richieste all’art. 1455 è
presupposto unico di essa, nella domanda di adempimento e in quella di
risarcimento danno si vuole ottenere il ribadimento del vincolo contrattuale.
Per queste considerazioni si può affermare che l’inadempimento sia fatto
costitutivo del diritto a chiedere la risoluzione ed in quanto tale, vada
dimostrato dall’attore. Tale tesi acquista più forza se legata a quella che
ascrive alla risoluzione per inadempimento la funzione di una facoltà di scelta
dispositiva del credito in capo al contraente fedele, sia pure in presenza del
presupposto dell’inadempimento della contro parte,
simile a quella di accettare una datio in solutum o di alienare il
proprio credito contestando il fondamento sanzionatorio dell’istituto in esame
per molto tempo sostenuto da una consistente parte della dottrina e della
giurisprudenza. Essa avrebbe il pregio di creare una linea di coerenza anche in
relazione al contiguo istituto dell’eccezione di inadempimento, anch’esso
sia pur in maniera diversa posto a tutela dell’equilibrio del sinnallagma, in
quanto consentirebbe di sostenere che anche in questo caso il soggetto che
volesse valersene avrebbe l’onere di provare l’altrui inadempimento. Questa
posizione ha ricevuto il suffragio di una pronuncia della Suprema Corte,
stridente con quanto sostenuto da altre pronunce della stessa sul medesimo
argomento.
E’ stato necessario l’intervento delle Sezioni Unite per sanare
questo conflitto.
Le S.U. hanno optato per la soluzione tradizionale ritenendo che le
considerazioni sopra riportate in relazione alla tesi contraria, non siano
sufficienti ad alterare l’interpretazione della norma sull’onere della
prova: essa richiede che ogni parte dimostri i fatti materiali costituenti
referenti sui quali si basa la propria domanda e non ammette deroghe; trasfusa
nel campo dell’inadempimento delle obbligazioni contrattuali, comporta una
sicura ripartizione a carico delle parti dei fatti da provare: l’attore deve
provare l’esistenza del titolo che fonda l’obbligo di adempiere; se tale
prova è raggiunta, il fatto successivo, che il giudice non conosce è relativo
all’avvenuto adempimento e dato che esso se provato giova al convenuto, la
legge pone a suo carico l’incombenza della dimostrazione. Fuori da qualunque
intenzione di criticare la decisione della Suprema Corte, è possibile notare
quali siano le conseguenze logiche di essa in relazione alla eccezione di
inadempimento: l’attore che agisca in azione di adempimento, esonerato dalla
prova dell’inadempimento, se viene contrastato da un’eccezione di
inadempimento che non richiede la prova dell’inadempimento, per annullarne
l’efficacia è costretto a dimostrare il suo adempimento: in tal modo
surrettiziamente si grava l’attore di un onere processuale ulteriore rispetto
a ciò che prevede la legge.
(*) Luca Sansone. Avvocato e direttore della Scuola di diritto "Jure
Consultus",
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