Pregiatissimo Direttore,
l’approssimarsi della scadenza del 30 ottobre, prevista dall’art. 19 del D.P.C.M. 13 febbraio 2001 n.123, per l’adozione del decreto del Ministero della Giustizia contenente le regole tecnico-operative del processo telematico, impone qualche breve riflessione.
Il regolamento dovrà disciplinare le modalità di accesso degli Avvocati al dominio giustizia, vale a dire al complesso del sistema informatico del Ministero e, in specie, agli archivi informatici degli uffici giudiziari.
Tra le norme di cui si dovrà tenere conto, è possibile menzionare il D.P.R. 318/1999, regolamento previsto dall’art.15 della L.675/1996, e contenente la norme per l’individuazione delle misure minime di sicurezza per il trattamento dei dati personali.
Dalla lettura della norma, e particolarmente degli artt. 3 co.1 lett.b e 5 co.1 e 2, si evince come, allo stato, l’accesso non può avvenire attraverso la mera attribuzione di una userid e della relativa password, ma è necessaria, e penalmente sanzionata a carico del responsabile per l’inottemperanza, l’identificazione dei singoli elaboratori che accedono alla rete, ciò che, anche in tempi recenti, ha indotto ad immaginare lo sviluppo di sistemi in grado di riconoscere il microprocessore dell’utente.
La norma è certamente discutibile sotto molteplici punti di vista, e riscrivibile da parte del Legislatore, ma sulla sua applicazione al processo civile telematico non sembra che vi sia alcun dubbio, nemmeno da parte dell’ Ufficio del Responsabile del Sistema di Informatizzazione ed Automazione del Ministero, che infatti ne richiama l’applicazione all’art.7 del D.M. 24 maggio 2001, recante regole procedurali relative alla tenuta dei registri informatizzati dell’Amministrazione della Giustizia.

Del resto, la sicurezza e la riservatezza sono vieppiù diventati argomenti di fondamentale importanza in conseguenza delle modalità di tenuta dei registri presso gli uffici giudiziari, e della formazione ordinaria dei fascicolo d’ufficio, entrambi su supporto informatico. Ai sensi dell’art. 12 del D.P.C.M. 123, la cancelleria dovrà procedere alla copia informatica dei documenti che saranno stati depositati su supporto cartaceo, non l’inverso; né è dato capire la portata dell’obbligo, contenuto all’ultimo comma della stessa disposizione, di formazione del fascicolo d’ufficio su supporto cartaceo.

 Dagli interventi che si sono succeduti nel tempo, la intenzione conclamata del Ministero appare quella di onerare i Consigli dell’Ordine dell’accesso alla rete e della identificazione degli utenti; nello svolgimento di tale incombente i Consigli dovranno ovviamente certificare l’abilitazione degli Avvocati, vale a dire attestare con firma digitale che i soggetti sono iscritti e non sottoposti a provvedimenti di sospensione o radiazione.

 Le firme digitali saranno consegnate ai legali rappresentanti dei Consigli entro il prossimo mese di ottobre.

Tuttavia, l’assunzione da parte dei Consigli dell’Ordine dell’onere di consentire l’accesso degli utenti alla rete e di identificarli, ha delle ricadute pesanti nei confronti dei Consigli stessi in termini di responsabilità ed oneri economici, che non sono giustificati, né da esigenze di architettura del sistema, né da funzioni istituzionali proprie, né, infine, da concreti provvedimenti di carattere economico; in altre parole, non c’è alcuna ragione per la quale i Consigli dell’Ordine dovrebbero togliere le castagne dal fuoco al Ministero della Giustizia, e farsi carico di impegni che certamente non sono i loro.

La confusione tra l’attestazione della abilitazione professionale e l’identificazione dell’utente, costituisce il tentativo di scaricare a valle, vale a dire proprio sui Consigli, la risoluzione di problematiche che allo stato renderebbero assai arduo il rispetto del termine del 2 gennaio 2002 per l’entrata in vigore del processo civile telematico.

Ci si doveva pensare prima, piuttosto che improvvisare convergenze con soggetti il cui scopo è quello pubblicamente dichiarato di rispondere alle esigenze di bilancio di una società per azioni, totalmente controllata, peraltro, da un’azienda di certificazione di firma digitale.

Inoltre, il piano di E-government, che forse consentirebbe di racimolare qualche centinaio di milioni per i Consigli dell’Ordine, prevede un’architettura di sistema completamente diversa: un’Amministrazione di front-office che, all’atto dell’accesso dell’utente, reperisce le informazioni necessarie presso le banche dati delle ammnistrazioni di back-office.

In altre parole, i Consigli dell’Ordine potrebbero limitarsi a rendere disponibile l’elenco aggiornato degli iscritti all’albo, finanziandosi attraverso fondi pubblici, declinando responsabilità che non sono di loro competenza, risparmiando investimenti rilevanti per infrastrutture hardware e software, per la formazione di personale specializzato.
Né possiamo ignorare che tali investimenti, in ipotesi, finirebbero ingiustificatamente per gravare sui singoli professionisti.

E’ di fondamentale importanza che sia reclamata nettamente, da parte di tutte le Istituzioni dell’Avvocatura, e prima dell’adozione di un provvedimento che potrebbe avere ricadute così pesanti, l’affermazione del principio di concertazione dei provvedimenti normativi e regolamentari in materia, e specificamente di quelli che riguardano direttamente l’Avvocatura.

Con i migliori auguri per il Suo importante contributo alla divulgazione delle idee, Le invio i più cordiali saluti.


Avv. Mario Savini
Presidente della Associazione Avvocati in rete.


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