Il servizio di gestione individuale di portafoglio finanziario

di Giovanna Sara Russo

 

Tra i servizi di investimento disciplinati dal D. Lgs. 24  febbraio 1998, n. 58, Testo unico dell’intermediazione finanziaria (di seguito il  t.u.f.) è compresa l’attività di “gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi”.

Si tratta di un’ attività che si differenzia dagli altri servizi elencati dall’ art. 1, 5° comma t.u.f., soprattutto in considerazione del trasferimento formale del potere decisionale dall’investitore all’intermediario e, quindi, per la discrezionalità di cui gode l’intermediario nell’esecuzione dell’incarico.[1] Del resto, gli indizi della peculiarità di tale servizio emergono con evidenza già dalla previsione di una specifica disciplina dettata appositamente dal legislatore del 1998 (art. 24 t.u.f.).

Il testo normativo, tuttavia, non fornisce alcuna formula definitoria dell’attività in parola, limitandosi ad offrire una mera indicazione evocativa di una determinata realtà economica ed operativa. La nozione di gestione individuale, pertanto, può essere ricavata solo dallo studio delle norme del testo unico finanziario, talvolta dalle disposizioni regolamentari delle autorità di vigilanza e altra volta ancora dalle prassi di mercato.

 

I. La nozione di gestione individuale tra il sistema comunitario ed il diritto nazionale

 

 La gestione individuale consiste nell’incarico affidato da un cliente all’intermediario di adottare, entro margini di discrezionalità più o meno ampi, decisioni di investimento, mediante operazioni su strumenti finanziari finalizzate alla valorizzazione del patrimonio gestito ed i cui risultati positivi o negativi ricadono direttamente sul patrimonio del cliente[2].

Il termine “portafoglio”, che trascorre nel lessico legislativo dal vocabolario degli economisti, trova corrispondenze nella direttiva comunitaria n. 93/22/CEE, relativa ai servizi di investimento in valori mobiliari (cd. ISD), nel testo italiano, inglese (portfolio of investiment) e francese (portefeuille). Il legislatore italiano, già dal d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415 (cd. Decreto Eurosim), ha preferito adeguarsi alla scelta terminologica della direttiva, accogliendo la nozione di portafoglio, meno “compromettente” da un punto di vista dogmatico di quella di patrimonio presente nella previgente legge del 2 gennaio 1991, n. 1 (cd. Legge sulle SIM), giacché non allude ad una categoria civilistica, ma semplicemente alla “composizione strutturale di un investimento”. Autorevole dottrina[3], infatti, definisce il “portafogli” come insieme di valori fungibili, quali sono il denaro e gli strumenti finanziari, rispetto ai quali coesistono “un vincolo di indisponibilità del valore del coacervo e una libertà di alienazione delle specie ivi presenti”.

Occorre, peraltro, sottolineare alcune differenze tra il sistema comunitario e quello del testo unico in ordine alla nozione del servizio di investimento in esame. La gestione individuale, infatti, è qualificata dalla ISD come discrezionale e avente ad oggetto portafogli di investimento che includono uno o più strumenti finanziari. La stessa definizione è riportata dall’attuale direttiva n. 2004/39/CE relativa ai mercati degli strumenti finanziari (nota anche come Mifid o ISD2): ai sensi dell’art. 4, paragrafo 1, n. 9) della suddetta direttiva la “gestione del portafoglio” è definita come “gestione, su base discrezionale ed individualizzata, di portafogli di investimento nell’ambito di un mandato conferito dai clienti, qualora tali portafogli includano uno o più strumenti finanziari”.

Ad un’attenta analisi della nozione su riportata, da un lato, sembrano assoggettate alla disciplina comunitaria le sole gestioni discrezionali e non quelle esercitate con il preventivo assenso dell’investitore; dall’altro, si ammette la possibilità di gestioni di portafogli misti, che comprendono (“includono”) strumenti finanziari, ma anche altri beni. Nella disciplina italiana, invece, formano oggetto di riserva di attività tutte le gestioni individuali, più o meno discrezionali, mentre è dubbia l’ammissibilità di gestioni di portafogli misti.

La questione sulla suddetta difformità è stata rimessa in via pregiudiziale[4] alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee.

Nella relativa pronuncia[5], il giudice comunitario ha evidenziato gli elementi distintivi del rapporto di gestione: l’esistenza di un mandato, l’investimento in valori mobiliari, la possibilità per l’impresa di investimento di svolgere scelte discrezionali, nel rispetto delle linee strategiche scelte dall’investitore. Nulla osta a che il legislatore nazionale adotti una definizione più ampia del servizio in questione.

Sul punto è intervenuta anche la Consob, precisando che l’attività di gestione patrimoniale individuale si connota principalmente per la finalità di valorizzazione di un determinato patrimonio, perseguita mediante il compimento di una serie di atti unitariamente volti al conseguimento di un risultato utile dell’attività di investimento e disinvestimento in valori mobiliari[6].

Anche la dottrina[7] ha individuato gli elementi caratterizzanti della gestione individuale di portafogli  nella destinazione a terzi del servizio, nella finalità di valorizzazione del patrimonio, nell’attribuzione all’intermediario di uno spazio di discrezionalità, nella natura dei beni oggetto del servizio e nella personalizzazione di quest’ultimo.

Pur nella laconicità delle definizioni normative, risulta chiaro che la gestione consiste in un’attività di investimento e disinvestimento, volta a valorizzare il capitale investito, che si realizza attraverso scelte più o meno discrezionali del gestore, laddove l’ampiezza della discrezionalità dipenda dalle linee strategiche scelte dal cliente[8].

 

II. La gestione individuale e le altre attività di intermediazione finanziaria

 

La dottrina[9] è solita individuare lo specifico del servizio di gestione individuale analizzando le caratteristiche che lo distinguono dalle altre attività di intermediazione finanziaria, in particolare dalla gestione collettiva del risparmio.

Nonostante la presenza di fattispecie di confine, le gestioni individuali si distinguono da quelle collettive, o “in monte”, per il carattere potenzialmente personalizzato della gestione. Questa viene svolta nell’interesse del singolo cliente che ha conferito l’incarico, sia pure con la standardizzazione derivante dal ricorso a “linee” di gestione predeterminate, e non indifferenziatamente, nell’interesse della collettività degli investitori, come negli organismi di investimento collettivo del risparmio su base contrattuale (fondo comune di investimento) o societaria (SICAV). Indice della distinzione in parola è il potere di impartire istruzioni vincolanti, spettante al cliente nelle gestioni individuali e che incide necessariamente sull’individuazione degli obblighi del gestore e sulle relative responsabilità. È opportuno, peraltro, sottolineare la presenza di indici normativi (il modello del “gestore unico” introdotto dal testo unico finanziario[10]) e della prassi (il diffondersi di “gestioni patrimoniali in fondi” ed i “fondi di fondi”), tali da legittimare l’ipotesi di un graduale processo di omologazione tra la gestione individuale e la gestione in monte e l’ideale convergenza verso un’unica figura di gestore[11].

Ai fini di una corretta individuazione del servizio in esame, è opportuno individuare, inoltre, una concettuale distinzione tra l’attività di gestione individuale e la negoziazione per conto terzi: la prima si distingue dalla negoziazione per l’attribuzione all’intermediario di elementi di discrezionalità[12] nella scelta delle operazioni da porre in essere, tali che, in mancanza di un apporto decisionale dell’intermediario stesso, l’operazione da porre in essere non sarebbe neppure individuabile[13].

L’attività di gestione si differenzia anche dalla consulenza in materia di investimenti finanziari, poiché l’obbligo di gestire comprende sia quello di effettuare discrezionalmente valutazioni professionali circa le opportunità di investimento, sia quello di predisporre la possibilità che dette valutazioni si traducano in operazioni. In sostanza, è previsto in capo al gestore anche un potere-dovere dispositivo. Pertanto, si tratterà di un servizio di mera consulenza se la scelta di tradurre in operatività i consigli rimane in capo al cliente[14].

 

III. L’attività di gestione individuale ed il relativo contratto

 

Le modalità di svolgimento dell’attività di gestione individuale hanno creato da sempre rilevanti problemi nella elaborazione della disciplina del mercato finanziario, come testimoniato dal sofferto iter normativo da cui è stata contrassegnata. Solo il testo unico finanziario ha posto definitivamente in luce la vera natura del fenomeno gestorio, consistente nell’investimento a carattere finanziario e nel corrispondente interesse del cliente alla redditività dell’investimento[15].

Nell’impostazione del d.lgs. 58/1998, il legislatore ha previsto, accanto alle regole generali di comportamento dettate per tutti i servizi di investimento nell’art. 21 t.u.f., regole specifiche ed ulteriori per l’attività di gestione di portafogli di investimento e per la disciplina del relativo rapporto.

Le motivazioni di tale speciale disciplina sono di immediata evidenza. I poteri che si conferiscono all’impresa di intermediazione con il relativo contratto e le prestazioni di servizio che se ne ricevono presentano caratteri del tutto peculiari. Infatti, l’investitore consegna all’intermediario denaro (o denaro e valori), chiedendo una allocazione di risorse e una loro successiva movimentazione; si tratta, dunque, di attività ampiamente discrezionali dell’impresa “gestore”[16]. La scelta di una disciplina normativa più complessa, articolata e in ultima analisi, più stringente, rispetto a quella prevista per gli altri servizi di investimento dovrebbe avere, pertanto, l’obiettivo primario di tutelare la fiducia che il cliente ripone nell’intermediario, affinché quest’ultimo utilizzi correttamente la discrezionalità conferitagli[17].

In particolare, l’art. 24, 1° comma t.u.f. contiene doveri di comportamento specifiche per il contratto relativo alla prestazione del servizio di gestione di portafogli di investimento. Tali regole risultano più elastiche della precedente disciplina, senza al contempo comportare una riduzione della tutela offerta agli investitori; esse sono infatti a loro volta integrate dalla normativa secondaria contenuta negli artt. 37 e ss. del regolamento Consob n. 11522/1998.

La lett. a) del medesimo art. 24, 1°comma t.u.f. prevede, inoltre, l’obbligo di forma scritta. Anche se non indicato espressamente, deve ritenersi che tale forma sia richiesta ad substantiam, argomentando dalla disposizione del 2°comma, che commina la nullità dei patti contrari alle disposizioni dell’articolo in esame. L’obbligo di forma scritta va posto sullo stesso piano di quello disposto in via generale per i contratti relativi ad altri servizi di investimento dall’art. 23, 1°comma. Secondo autorevole dottrina[18], però, l’importanza della forma scritta nel servizio di gestione individuale è testimoniata dalla specifica riproduzione di tale precetto, finalizzata a sancirne l’inderogabilità in sede regolamentare anche in caso di contratto concluso con operatori qualificati (art. 31, 1° comma regolamento Consob n. 11522/1998), a differenza dell’esonero consentito dall’art. 23 per gli altri servizi di investimento, per ragioni tecniche o per la natura professionale dei contraenti.

Quanto al contenuto minimo del contratto di gestione, esso è fissato dalla normativa secondaria, in particolare dall’art. 37 del regolamento Consob n. 11522/98). Le indicazioni richieste sono finalizzate a delimitare la discrezionalità dell’intermediario ed a consentire al cliente di essere edotto dei rischi che gravano sulla conservazione del patrimonio gestito.

In aggiunta a quanto fissato dall’art. 30 regolamento Consob n. 11522/98 per tutti i servizi di investimento, il contratto di gestione deve indicare le “caratteristiche della gestione”; il potere del cliente di impartire istruzioni vincolanti; le operazioni vietate senza preventiva autorizzazione del cliente; la delega a terzi dell’attività di gestione; l’ammissibilità di operazioni speculative su strumenti derivati. Si noti che le “caratteristiche della gestione” si sostanziano nella predeterminazione di linee di gestione, con riferimento alle categorie di strumenti finanziari oggetto di gestione, a loro volta suddivise in relazione alla divisa in cui sono espressi, al mercato in cui sono negoziati; all’emittente, ove si tratti di un organismo di investimento collettivo, o in genere quando si tratti di titoli di debito (art. 39); alla tipologia delle operazioni (compravendita a pronti e a termine; vendite allo scoperto; compravendite a premio; operazioni di prestito titoli e di riporto; pronti contro termine: art. 40); alla misura massima della leva finanziaria utilizzabile (art. 41); al parametro oggettivo di riferimento per valutare il rendimento della gestione (art. 42).

Queste indicazioni, unitamente a quelle richieste in tema di conoscenza delle caratteristiche del cliente e di realizzazione dei flussi informativi prima e durante lo svolgimento del rapporto (art. 28, 1° comma, lett. a) e 2° comma, regolamento Consob n. 11522/98), consentono di fissare il carattere personalizzato della gestione[19].

 

IV. La disciplina del rapporto di gestione

 

Alcune disposizioni dell’art. 24, 1° comma t.u.f. sono rivolte, invece, alla disciplina del rapporto di gestione, attraverso la definizione dei diritti e degli obblighi dei contraenti. In particolare, sono contenute previsioni finalizzate a limitare, nell’interesse del cliente, il rischio del compimento di operazioni di investimento in grado di incidere negativamente sul patrimonio gestito.

In questa prospettiva rientra innanzitutto la regola di cui alla lett. b), secondo la quale il cliente può impartire “istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da compiere”. Con l’attribuzione del potere di impartire istruzioni si rende l’investitore consapevole di conservare il potere di disposizione dei propri beni e si contribuisce a delimitare la discrezionalità del gestore. L’individuazione delle operazioni che l’intermediario non può compiere senza la preventiva autorizzazione dell’investitore deve essere effettuata nel contratto di gestione, così come in esso deve essere indicata l’assenza di tali limitazioni (art. 37, 1° comma, lett. b) regolamento Consob n. 11522/98); rientra, infatti, nel potere di impartire istruzioni, in positivo, quello di indicare le operazioni che il gestore deve sottoporre al preventivo assenso dell’investitore.

Nella stessa prospettiva della tutela dell’interesse del cliente attraverso il regolamento contrattuale va inserita la regola della lett. c), con la quale si vieta alle imprese di investimento, alle società di gestione del risparmio ed alle banche di contrarre obbligazioni per conto del cliente che lo impegnino oltre il patrimonio gestito, salvo “specifica istruzione scritta” del cliente stesso. La violazione di tale obbligo comporterà l’applicazione della disciplina della rappresentanza senza poteri (art. 1398 c.c.), per cui il contratto con il terzo non sarà valido, mentre il gestore dovrà risarcire il terzo nei limiti del cd. interesse contrattuale negativo. In ogni caso, ed in via esclusiva nell’ipotesi di gestione in nome proprio, sarà configurabile nei rapporti interni la fattispecie dell’eccesso dai limiti del mandato (art. 1711 c.c.); con la conseguenza che l’operazione, in sé valida, finirà per vincolare il gestore per la parte eccedente, salvo la ratifica del cliente.[20]

A rafforzare il divieto intervengono le previsioni regolamentari. Tra queste rientrano l’obbligo di indicare nel contratto se gli strumenti finanziari derivati possano essere utilizzati per “finalità diverse da quella di copertura dei rischi connessi alle posizioni detenute in gestione (cd. hedging), in quanto l’uso con finalità speculative comporta il rischio di perdite superiori al valore del patrimonio (art. 37, 1° comma, lett. d) regolamento Consob n. 11522/1998). Sullo stesso piano si pone l’obbligo di autorizzare l’intermediario a fare uso della leva finanziaria in misura superiore all’unità, con l’indicazione della misura relativa.

Nella disciplina del rapporto rientra, infine, la previsione della lett. d), relativa al diritto di recesso dal contratto di gestione sia da parte del cliente che dell’intermediario. Al cliente è attribuito il diritto di recedere dal contratto in ogni momento, anche in mancanza di giusta causa, nonostante si tratti di contratti a tempo indeterminato (v anche art. 37, 1° comma, lett. e), regolamento Consob n. 11522/98). Inoltre, risolvendosi una questione controversa, si stabilisce che al cliente non è addebitata alcuna penalità, onde il carattere gratuito del recesso. In alternativa al recesso viene previsto espressamente il diritto del cliente di trasferire o di ritirare in tutto o in parte le somma o i valori mobiliari di cui è titolare. Ciò discende dalla disciplina introdotta dall’art. 21, 2° comma, secondo cui la gestione, così come gli altri servizi di investimento, può essere svolta dall’intermediario anche in nome proprio; pertanto, tale diritto non è più ricollegabile alla preesistente titolarità in capo al risparmiatore del denaro e dei valori conferiti in gestione. È tuttavia pacifico che il cliente recedente potrà giovarsi a tale fine del regime di separazione patrimoniale previsto nell’art. 23. Il recesso ha efficacia immediata e sospende il compimento dell’intermediario di operazioni sul patrimonio gestito, salvo gli atti necessari alla conservazione del patrimonio gestito e le operazioni non ancora eseguite, già disposte dall’investitore e da costui non revocate (art. 37, 1° comma, lett. f) regolamento Consob n. 11522/1998).

La lett. d) fa salvo inoltre il diritto di recesso della banca, dell’impresa di investimento e della società di gestione del risparmio, sulla base dell’art. 1727 c.c.; e dunque se il contratto di gestione è a tempo determinato prevede un obbligo di risarcimento del danno al cliente in mancanza di una giusta causa del recesso, mentre in caso di contratto a tempo indeterminato richiede un congruo preavviso, salvo il risarcimento dei danni. Nell’ipotesi in cui, però, il cliente vada configurato come consumatore, occorrerà rispettare le regole previste dall’art. 1469-bis, 4° comma c.c., per i contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi finanziari, e quindi, nel caso di recesso senza preavviso dal contratto di gestione a tempo determinato, sarà richiesta, affinché la relativa clausola non rivesta carattere vessatorio, di un “giustificato motivo” e dell’immediata comunicazione del recesso al cliente.[21]


 

[1] Cfr., sul punto, SARTORI, F. Le regole di condotta degli intermediari finanziari, 2004, Milano, pagg. 98 e ss.

[2] MIOLA, M. Commento all’art. 24, in Testo unico della Finanza, Commentario diretto da CAMPOBASSO, G. F., Torino, 2002, 213.

[3] Cfr., sul punto, COSSU, M. La “gestione di portafogli di investimento” tra diritto dei contratti e diritto dei mercati finanziari, Milano, 2002, 197 ss.

[4] Cfr. TAR Toscana, sez. I, 11 luglio 2000, n. 6225, Giur. Comm., 2001, II, 62, con nota di MINERVINI, G., Gestione di portafogli di investimento con preventivo assenso.

[5] Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, del 21 novembre 2002, C-365/2000, Testa c. Consob.

[6] Comunicazione Consob, n. DAL/RM/95010385 del 5 dicembre 1995.

[7] Cfr., anche per ulteriori riferimenti, SEPE, M., Il risparmio gestito, Bari, 2000, 121.

[8] BASSO, M., Gestioni patrimoniali garantite, in Mondo bancario, 2003, 3, 70.

[9] Cfr., inter ceteros, MIOLA, M. Commento all’art. 24, in Testo unico della Finanza, Commentario diretto da CAMPOBASSO, G. F., Torino, 2002, 214; COSTI, R. Il mercato mobiliare, Torino, 2000; FALCONE - GRECO – ROTONDO, La responsabilità nella prestazione dei servizi di investimento, 2004, Milano, 72 e ss.

[10] Ai sensi dell’art. 33, 2° comma, lett. a), t.u.f. le società di gestione del risparmio possono prestare anche il servizio di gestione individuale oltre quello di gestione collettiva.

[11] Cfr., sul punto, VALENTINO, P. Intermediari e servizi di investimento, Milano, 2000, 287-288.                                            

[12] Da intendere in riferimento al rapporto complessivo, e non alla singola operazione, considerato che nella gestione individuale non è affatto escluso che il cliente dia istruzioni vincolanti al gestore, anzi è un tratto distintivo rispetto alla gestione collettiva.

[13] MACCARONE, M., La regolamentazione e i controlli dell’attività di gestione di patrimoni mobiliari, in Dir. banc., 1989, 56.

[14] Cfr. comunicazione Consob, n. BOR/RM/94005134 del 23 maggio 1994, Bollettino Consob, 1994, fasc. 5, 223. Sul punto, anche De MARI, M., Orientamenti in tema di intermediari e promotori finanziari, in Foro it., 2002, I, 579.

[15] MIOLA, M., Commento all’art. 24, in Testo unico della Finanza, Commentario diretto da CAMPOBASSO, G. F., Torino, 2002, 214.

[16] BESSONE, M., I mercati mobiliari, cit., 154.

[17] Cfr., sul punto, SARTORI, F. Le regole di condotta degli intermediari finanziari, 2004, Milano, pag. 106.

 

[18] Cfr., MIOLA, M. Commento all’art. 24, in Testo unico della Finanza, Commentario diretto da CAMPOBASSO, G. F., Torino, 2002, 216.

 

[19] Cfr., MIOLA, M. Commento all’art. 24, in Testo unico della Finanza, Commentario diretto da CAMPOBASSO, G. F., Torino, 2002, 217.

[20] Cfr., MIOLA, M. Commento all’art. 24, in Testo unico della Finanza, Commentario diretto da CAMPOBASSO, G. F., Torino, 2002, 219.

[21] MAZZINI, F. Regole prudenziali e obblighi di comportamento nella prestazione dei servizi di investimento, in Intermediari finanziari, mercati e società quotate, a cura di PATRONI GRIFFI-SANDULLI-SANTORO, Torino, 1999, 178.

 


Torna alla Home Page