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Anno secondo - numero cinque - diffusione gratuita - maggio 2000

 

Sommario

NIENTE TRIONFALISMI PER CARITA'
di Orazio Dente Gattola

BILANCIO DI 150 GIORNI
di Mario Cicala

OCCORRE MODIFICARE L’ATTUALE SISTEMA ELETTORALE DEL C.S.M. ?
di Sergio Visconti

DELLA NUOVA GIUNTA E DEL CONVEGNO DI CAGLIARI
di Sergio Gallo

POSTILLA SULLA PROPOSTA TABELLARE PER IL TRIBUNALE DI NAPOLI
di Gercasab

QUALE DEMOCRAZIA? ...
di Sergio Zazzera

A MARGINE DELLA SENTENZA ANDREOTTI
di Nick

DONNE MAGISTRATO E MATERNITA’, UNA PRIMA APPLICAZIONE DELLA LEGGE 53/2000 SULLA POSTICIPAZIONE DEL CONGEDO OBBLIGATORIO
di Geremia Casaburi

 

 

 

 

 

NIENTE TRIONFALISMI
PER CARITA’

di Orazio Dente Gattola

 

Il mancato raggiungimento del quorum da parte dei referendum che hanno avuto luogo domenica scorsa indu ce a brevi preliminari consi derazioni. Tutti i quesiti refe rendari avevano una chiara valenza politica e cioè quella di determinare un riassetto dei rapporti di forza all'inter no della Nazione. Ebbene il risultato di domenica deve essere letto anche e soprat tutto sotto questo angolo visuale: l'estrema tecnicità dei quesiti che, unita alla stanchezza del corpo elettora le, ha indotto parecchi elet tori ad andare al mare non deve paralizzare la nostra capacità di analisi.
Che siano necessari adatta menti e temperamenti dell’at tuale assetto della magistra tura è indiscutibile ma ciò non deve ne può esimerci da un esame della situazione quale emerge dal la recentissima consultazione. Appare evidente come larghi settori della pubblica opinione continuino a mani festare - non tanto uno scarso attaccamento alle istituzioni – quanto piuttosto una scarsa considerazione - e, ancor meno, fiducia nelle stesse. Le bassissime percen tuali di votanti per i vari referendum stanno a dimos trarlo. Anche l'ordine giudi ziario subisce le conseguenze di questa situazione e le subisce "pesantemente" poiché è evidente come la mancata capacità critica della lettura delle vicende degli ultimi anni e la convinzione – solo apparente a questo punto - di aver vinto una battaglia con la gestione Paciotti durante la stagione della Bicamerale, hanno di fatto appannato la nostra capacità di lettura degli eventi. Il risultato elettorale potrebbe indurre più d’uno ad una sottovalutazione della gravità della situazione.
Evitiamo di commettere l’errore di leggere il dato delle percentuali dei votanti come una vittoria elettorale e riflettiamo piuttosto su quello costituito dal raffronto tra le percentuali di coloro che hanno detto sì alla separa zione delle carriere, al sistema elettorale e agli incarichi e quelle di coloro che hanno detto no ai referendum sulla giustizia : Si tratta tutto sommato di maggioranze che oscillano non poco quanto alle percentuali ma che sono pur sempre di dimensioni "bulgare" il che dovrebbe farci riflettere sulla possibi lità che tra un anno questa maggioranza od un’altra ad essa contrapposta possa pre sentarci il conto e preten derne il pagamento.
Il termine di paragone sul quale poggia quest’ultima considerazione è dato dal risultato del referendum sui licenziamenti che è stato "bocciato" sonoramente lad dove i tre referendum sulla giustizia hanno avuto ben diversa sorte. In buona sostanza una percentuale rilevantissima di cittadini ha manifestato la propria decisa avversione per tutto ciò che riguarda il pianeta giustizia ed il suo funzionamento. Occorre al più presto cominciare a riflettere sugli errori sinora commessi e sui rimedi da approntare. Se analizziamo il dato politico che emerge dai sette referen dum e non solo da quelli che ci riguardano: orbene ci si rende subito conto del fatto che i pericoli non sono alle nostre spalle ma che essi si stanno invece avvicinando pericolosamente.
Quello che oggi non è stato possibile conseguire oggi con tre referendum potrebbe esserlo in un domani molto vicino con una o più leggi eventualmente addirittura concordate tra maggioranza ed opposizione.

 

 

 

BILANCIO DI 150 GIORNI

di Mario Cicala

 

La Giunta Esecutiva Centrale eletta il 7 novembre aveva obbiettivi ambiziosi, complessi e difficili.

Voleva essere una "Giunta ponte" per traghettare la ANM verso il congresso e verso una giunta unitaria, e questo la ha distinta rispetto all’esecutivo che ho presieduto nel 1992-1994 e che diventò espressione di una organica e stabile maggioranza.

Tuttavia la giunta del 7 novembre doveva anche essere una "Giunta di programma" che sapesse lanciare indicazioni chiare e forti, alternative rispetto alla "linea Martone"; in grado di tenere aperto un dialogo, con le istituzioni, con la società, ed in particolare con quelle aree (centro-destra, mondo cattolico) che nutrono verso la magistratura diffidenza, se non malanimo.

Ciò con il sostegno pieno soltanto di due componenti su quattro della ANM: Mi ed MD per di più separate da una ostilità antica ora tramutata in cordiale diffidenza. Con la imbronciata opposizione di una parte della corrente di maggioranza relativa, che non ha formulato alcuna critica di sostanza alle iniziative ed alle valutazioni della Giunta (che hanno invece avuto l'avallo unanime del CDC) e, per dare segni di vitalità, non ha trovato di meglio che strumentalizzare episodi marginali, quali la mia partecipazione ad una cena privata cui erano presenti Storace e Berlusconi.
Ci hanno guidati un metodo ed un'idea. Il metodo è stata la collegialità. Mentre l'idea di fondo, che ha costituito la differenza rispetto al Presidente che mi ha preceduto, è stata : il dialogo deve essere portato sul piano dei valori e dei principi istituzionali, e non della critica a singoli provvedimenti giudiziari.
Abbiamo proposto ed accettato un confronto con le forze politiche basato sui principi e sulle idee. Ed in questo confronto abbiamo tentato di dimostrare che una magistratura autonoma ed imparziale, al servizio della legge e della verità, è patrimonio di tutti: cattolici ed atei, uomini di destra e uomini di sinistra.
Non è oggetto di discussione se il GIP Rossato abbia fatto bene o male a rinviare a giudizio Silvio Berlusconi il giovedì e se fosse più opportuno che aspettasse il lunedì successivo (o la settimana dei due venerdì): il dialogo con il Polo o con l'Ulivo non può assumere ad oggetto gli atti giudiziari di Rossato o di Caselli o dei colleghi di Sassari, e neppure le esternazioni di Davigo- deve coinvolgere l'assetto della giustizia in Italia. Ciò senza escludere a priori che alcune sentenze, o che i comportamenti di singoli colleghi siano inopportuni, o criticabili, o errati, ma chiedendo che simili valutazioni, marginali rispetto al problema centrale, non entrino a far parte del dibattito fra ANM e mondo politico, e siano affrontate con razionalità e pacatezza.
Per questo l'incontro della ANM con il Polo (9 dicembre 1999) ha avuto una considerevole importanza; ha dimostrato che è possibile avviare una riflessione operativa comune su posizioni di estrema chiarezza, e che questa riflessione è costruttiva proprio perché non è svilita da concessioni piccine: io critico Rossato mentre tu ammetti che io sono un giudice "dabbene", ben diverso da certi facinorosi...
Si deve poi prendere atto che nei mesi successivi si è avuto un "abbassamento di tensione", forse contingente, ma certo positivo, che ha svelenito ed ammorbidito il confronto referendario. Il che significa che la nostra fermezza quanto meno non ha arrecato danni.
Importante e significativo è stato, mi sembra, anche l'incontro di un folto numero di noi con il Santo Padre, in concomitanza con il XXV congresso ANM. La solennità della udienza e la ampiezza e specificità del documento letto dal Papa hanno costituito un riconoscimento del ruolo della ANM.

Alcuni passi del testo pontificio hanno offerto lo spunto per polemiche contingenti, e mi pare francamente meschine, in cui anche qualcuno di noi si è inserito per tirar un poco d'acqua al suo piccolo mulino. Ma ritengo occorra gettar lo sguardo oltre l'orizzonte della "rassegne stampa" della singola giornata.
Non siamo andati in Vaticano in visita turistica o per un privato atto di devozione. Abbiamo portato il ricordo dei nostri caduti, proponendo con umiltà la convinzione secondo cui servire lo Stato come magistrati è opera di giustizia, è adempimento di un dovere umano che per i cristiani assume carattere religioso; e perciò chi muore per essere fedele al suo dovere di magistrato è martire.

Questa visione spezza il riduttivo assioma secondo cui il giudice cattolico è un giudice "amico dei preti", i cui atti si connotano perché contengono un certo tasso di clericalità. I provvedimenti di Paolo Borsellino e Rosario Livatino, che hanno colpito interessi potenti ed omicidi, non erano diversi da quelli redatti da colleghi che non nutrivano una fede religiosa, e che hanno parimenti affrontato la morte come prezzo della fedeltà alle regole di giustizia. E simile visione ha trovato, specie nei giorni successivi, l'avallo della Santa Sede, che ha inserito Paolo Borsellino e Rosario Livatino fra i "martiri" del XX° Secolo.

Questi fatti non cancellano certo ostilità e diffidenze; è probabile che molti cattolici continuino a farsi trascinare dal rimpianto per la DC che (sbagliando) credono sia stata distrutta dai processi penali, dall'irritazione per accuse contro prelati e parenti di prelati; è molto probabile che Forza Italia -se giungerà al potere- pensi soprattutto a farci pagare i processi Berlusconi.
Noi però abbiamo quanto meno tentato di impostare il problema nei termini corretti: come possono cittadini che abbia a cuore un qualche valore superiore all'egoismo individuale (il mercato, il Progresso, la Patria ... ), cattolici che amino veramente il loro prossimo, tollerare che una cospicua parte della società sia sotto il governo di poteri criminali, che le risorse destinate al bene comune siano deviate per la ricchezza di pochi? Il problema della legalità, dell'efficienza della giustizia, non può essere circoscritto nei limiti angusti della polemica sui comportamenti di singoli, ma costituisce nodo centrale della vita del nostro Paese.
La ricerca appassionata di proposte, strumenti, atteggiamenti che consentano un funzionamento migliore del servizio giustizia, ed una maggior fiducia dei cittadini, ha costituito il terreno su cui abbiamo in questi cinque mesi tentato di portare il dibattito, in un dialogo a tutto campo.

Il documento sull'ambito e sui limiti del "diritto (e dovere) di parola" dei magistrati (22 novembre), la Conferenza Nazionale del 16 febbraio sulla ragionevole durata dei processi, le proposte concrete che in tale occasione sono state formulate (gli atti sono sul "Bollettino" I/2000) la stessa tematica congressuale, sono stati gli strumenti per presentare all'opinione pubblica un corpo giudiziario pacato, sollecito agli interessi della collettività. L'apprezzamento del Capo dello Stato (che ci ha ricevuti in udienza pubblica il 22 novembre, ci ha indirizzato il 16 febbraio 2000 un significativo messaggio di incoraggiamento, ha voluto -nonostante le polemiche dei Radicali- assistere alla inaugurazione dei lavori congressuali), dei Presidenti della Camera (che ha concluso i lavori della Conferenza del 16 febbraio) e del Senato, l'adesione alle nostre iniziative, ad esempio sul processo del lavoro, delle confederazioni sindacali, della Unione Industriali... hanno costituito senza dubbio un risultato positivo, il segnale che possediamo una qualche autorevolezza.

Il "messaggio" è giunto, pur se non nella misura che avremmo voluto, anche sugli organi di informazione, purtroppo costantemente distratti da eventi in realtà di poco conto ma cui ritiene di dedicare le prime pagine: come le elucubrazioni del Colonnello (ora Generale) Pappalardo. Né sono mancate forme di censura specie sui mezzi di informazione televisiva.
Non ci ha poi certo giovato la concomitanza delle polemiche referendarie e delle elezioni amministrative. I referendum sono stati fissati prima del previsto (a maggio e non a giugno) mentre le elezioni sono state ritardate ad aprile. Così -contro le nostre ragionevoli speranze- il XXV° congresso è stato celebrato in un momento in cui molti esponenti politici erano impegnati nella campagna elettorale e la domanda che più interessava ai giornalisti era "come vi atteggerete nei referendum"?.
Ma chi ha esperienza di vita associativa sa che non esistono tempi difficili, perché tutti i tempi sono per i magistrati italiani "difficili".

Proprio queste inevitabili e costanti difficoltà , che sono del resto una conseguenza del considerevole ruolo che oggi la ANM esercita, debbono far apprezzare -mi sembra- il risultato di aver posto fine ad una crisi che era iniziata negli ultimi mesi del 1998; e soprattutto di avervi posto fine dimostrando che un appassionato e leale lavoro in comune nella collegialità della Giunta consente a magistrati di idee politiche, sociali e filosofiche profondamente diverse di elaborare una linea di azione che non è frutto di compromessi o paralizzanti mediazioni, ma di una sincera volontà di perseguire l'interesse delle istituzioni. Questa linea consente di evitare (o per lo meno di tentar di evitare) l'isolamento della magistratura.
Sotto il profilo della collegialità e degli scopi che attraverso la collegialità si perseguono, la Giunta che ho avuto l'onore di presiedere ha costituito una significativa correzione rispetto al recente passato ed ha preparato la Giunta eletta il 14 aprile.
Che -per raggiungere questo risultato- siano stati necessari sacrifici di carattere politico e personale, o sia stata costituita una giunta sbilanciata sul piano geografico o delle funzioni esercitate dai suoi membri, mi appare in fondo secondario.

 

 

OCCORRE MODIFICARE L’ATTUALE
SISTEMA
ELETTORALE DEL C.S.M. ?

di Sergio Visconti

 

 

L’attuale Consiglio Superiore della Magistratura, eletto il 5 e 6 luglio 1998, è quasi giunto al giro di boa, e va, quindi, posto per tempo il problema della validità o meno del sistema elettorale vigente, non avendo rilievo l’esito referendario, stante l’incongruenza del quesito proposto, che non centrava alcuna delle perplessità derivanti dalla prevalenza del voto di lista rispetto a quello per la persona.

Affermo subito che – a mio giudizio – non preoccupa tanto il vincolo del candidato con la lista che lo ha proposto, quanto invece il vincolo con gli elettori. Infatti, il voto per la lista merita rispetto se è conseguenza di un’adesione ideologica ai programmi di un gruppo dell’A.N.M., considerato che nel Consiglio si riflettono orientamenti differenti, in diversa misura apprezzabili, ma che, se non scadono in bieco clientalismo, sono portatori di culture utili e di confronti costruttivi.
Pertanto, non vedo ragioni per abolire il voto di lista, che permette di conservare una valenza ideale oggettiva, e non strumentalizzata per fini opportunistici. Invece, la ricerca del consenso personale e la creazione dell’illusione di un vincolo diretto tra elettore e candidato rappresenta il fenomeno più pericoloso di scadimento dell’attività del C.S.M., in quanto l’interesse personale supera sicuramente quello pubblico. In questo modo si moltiplicheranno le nomine di dirigenti inadeguati, le promozioni di colleghi non meritevoli, e le concessioni di generose cause di servizio.
Una vera e propria ipocrisia è poi ritenere che le correnti non avranno influenza nell’ipo tesi di scelte uninominali senza voto di lista sia su scala nazionale che distrettuale. E’ evidente che il collegio unico nazionale comporterebbe necessariamente il sostegno di una struttura potente, attual mente non ravvisabile se non nei gruppi dell’A.N.M. (chi conoscerebbe a Napoli, Genova o Campobasso un pur ottimo giudice civile di Verona o di Palermo ?). Ma fenomeno almeno analogo si verificherebbe con i collegi distrettuali, dove, essendovi un unico eletto, il rappresentante del gruppo più forte realizzerebbe facilmente la maggioranza dei consensi.
Ne consegue che – a mio avviso – o si lascia il voto di lista, che almeno attenua il sistema clientelare, che, secondo alcuni (e non pochi), inquina l’attività del C.S.M., o si perviene ad una scelta rivo luzionaria e coraggiosa, che trova sempre più sostenitori, e che è l’unica utile per demoli re il "malefico" rapporto tra elettore ed eletto, e cioè il sorteggio.

Tale sistema, che mi trova consenziente, comporta neces sariamente una normativa per pilotare il sorteggio. Già fin d’adesso si possono indivi duare dei criteri limitativi per evitare che "tutti i magistrati" possano concorrere al sorteg gio, ma allo stesso tempo dei sistemi idonei a consentire anche la più larga rappresen tatività dei magistrati all’interno del Consiglio.

La prima limitazione riguarda tutti i magistrati sottoposti a sanzioni penali, disciplinari e paradisciplinari, ovvero nei cui confronti sia stata iniziata l’azione disciplinare o quella di trasferimento di ufficio per incompatibilità o ancora quella di dispensa. La seconda attiene all’anzianità di servi zio, che dovrebbe essere al più di sette anni per i magistrati di tribunale, mentre i colleghi dichiarati idonei alle funzioni direttive superiori dovrebbero garantire, al momento dell’ele zione, sette od otto anni di servizio, in modo da non concludere la carriera subito dopo il mandato al C.S.M..

La garanzia di rappresen tatività di tutti i settori della magistratura implica la defi nizione di una percentuale proporzionale agli organici non solo tra giudicanti e requirenti, ma anche tra magistrati che lavorano in Cassazione, nelle Corti di Appello e nei Tribunali, ovvero nei rispettivi uffici di Procura, nonché un rappresen tante degli uffici minorili, e forse anche uno della magistra tura di sorveglianza. Infine, è necessaria la ripartizione ter ritoriale, che il sistema vigente non garantisce, favorendo sia il Centro-Sud e Milano che i grandi uffici. Infatti, le piccole Corti di Appello non hanno alcun rappresentante, e le medie ne hanno pochissimi.

In conclusione, mi rendo conto di avere indicato una soluzione non condivisa da molti, e che certamente va approfondita, ma ritengo che o si fanno vere riforme con finalità che sopprimono il vero profilo negativo dell’attuale sistema elettorale, e cioè il clientalismo, o – tanto vale – si lasciano le cose come stanno, non procedendo ad ipocrite e gattopardesche modifiche parziali, essendo il vero problema non il voto di lista, ma il vincolo tra elettore e candidato.

 

 

 

DELLA NUOVA GIUNTA E
DEL CONVEGNO DI CAGLIARI

di Sergio Gallo

 

 

Gli avvenimenti si succedono febbrilmente e, quindi, riesce difficile avere il tempo per procedere a brevi riflessioni su talune vicende associative che riguardano la magistratura tutta e Magistratura Indipendente in particolare.

E' a tutti noto come subito dopo la chiusura del Congresso Nazionale dell'Associazione Nazionale Magistrati a fine marzo, sulla base di un documento conclusivo sottoscrit to dai segretari delle maggiori componenti ed approvato quasi all'unanimità, è stata varata una Giunta unitaria dell'Associazio ne, con nuovo Presidente il collega Gennaro, di Unicost, e segretario Lo Voi, di Magistra tura Indipendente.

Non senza significato parlo di "giunta unitaria" poichè composta appunto da Unicost, M.I. ed M.D. mentre sempre meno chiare appaiono le dinamiche interne e le prospettive associative dei Movimenti Riuniti da tempo arroccati su posizioni "aventiniane" e prive, a mio modesto avviso, di uno sbocco strategico propositivo.

La soluzione unitaria e la pronta adesione di M.I. conferma quanto da noi sostenuto subito dopo la nascita della Giunta Cicala e cioè che l'accordo tra M.I. e M.D. era del tutto temporaneo, frutto di una spiccata sensibilità associativa che preferiva, dinanzi alla prospettiva davvero "tragica" di nuove elezioni, fornire un contributo costruttivo e di decantazione di una situazione a dir poco incandescente venutasi a determinare tra le varie componenti associative dopo il Convegno nazionale di Sorrento.

Siamo convinti che la Giunta Cicala ha ben operato ed ascriviamo al suo Presidente il merito di aver consentito, tra l'altro, a tanti magistrati e loro familiari di aver potuto parteci pare ad una udienza davvero straordinaria e commovente concessa dal Santo Padre.

Sul discorso pronunciato dal Papa ci riserviamo di ritornare e purtuttavia dobbiamo con molta serenità osservare, avendo avuto il privilegio di essere presenti nella Sala Nervi, come non sia stato affatto percepito come un attacco o rimprovero all'attività giurisdizionale svolta dai magistrati.

Si è trattato di un discorso di princìpi e così elevato nei contenuti che lascia davvero perplessi il tentativo di strumen talizzazione operato non solo dagli organi di stampa ma anche da taluni autorevoli colleghi che vi hanno visto quasi una conferma alle proprie tesi.

Dunque, tornando ad argomenti  a più noi vicini, non possiamo non dichiararci soddisfatti del varo di una nuova Giunta unitaria, i cui primi passi sembrano ripercorrere il lavoro già svolto dalla precedente.
Questa continuità è anche negli uomini che rivestono incarichi apicali nella nuova formazione: basti pensare al nostro Lo Voi che diventa segretario nazionale dell'ANM dopo esser stato nella Giunta Cicala direttore della rivista "La Magistratura".
Per concludere su questo argomento vorrei solo segnalare come però questa Giunta abbia una composizione prettamente "meridionale" o "centro-meridionale":i problemi della magistratura sono comuni a tutto il territorio nazionale, tuttavia credo che si debba dare spazio anche alle esigenze e alle necessità dei magistrati che lavorano nel Nord.
Non vorrei che anche nella magistratura, come nel Paese, prendesse corpo una "questione settentrionale" con effetti dirompenti sull'omoge neità e la coesione della magistratura italiana.
Qualche breve considerazione occorre riservare anche al Convegno nazionale di Magistratura Indipendente che ha avuto luogo a Chia Laguna (circa 45 KM da Cagliari) dal 5 al 7 maggio.

Si è trattato di un convegno di alto profilo culturale nel quale si sono dibattute questioni che riguardano non solo il processo civile e il processo penale, ma anche la magistratura onoraria e il cd. "spazio giuridico europeo" nella prospettiva dell'efficacia e dell'efficienza del "sistema giustizia".
Sono state elaborate talune proposte estremamente signifi cative ed è stato sollecitata l'elaborazione di una "linea politica" del Gruppo in relazione a tali questioni.
Tuttavia il protrarsi degli inter venti ha impedito sia l'elabora zione di un documento finale contenente le nostre proposte sia l'indicazione di una chiara linea politica di M.I. sulla giurisdizione e sulla giustizia.
Questo compito, come segna lato anche dai dirigenti nazionali di M.I., dovrà essere portato a compimento dalla prossima Assemblea naziona le che, sotto questo profilo, appare essere la sede "natu rale" per l'elaborazione di una linea politica complessiva del Gruppo per i prossimi anni.

Magistratura Indipendente anche in questa occasione ha saputo dimostrare di percepire ed analizzare i veloci muta menti in corso anche nel mondo della giustizia ma soprattutto ha saputo fornrire valide risposte "operative" che possono contribuire a rendere la magistratura componente essenziale di una Nazione mo derna e pronta a raccogliere la sfida della modernizzazione.

 

 

 

POSTILLA SULLA PROPOSTA TABELLARE
PER IL TRIBUNALE DI NAPOLI

di Gercasab

 

 

Lo stile fa l’uomo, e si vede nei dettagli, erano soliti dire i gentiluomini del passato.

Ho pensato con una certa malinconia a questa massima "belle époque" leggendo le controduduzioni della Presi-denza del Tribunale di Napoli alle osservazioni depositate da numerosi magistrati, tra cui il sottoscritto, alla proposta tabellare 2000- 2001.

Infatti, nel complesso, per quanto riguarda il civile, le controdeduzioni sono asso-lutamente inconferenti, e del tutto innocue.

E’ evidente che le nostre osservazioni non sono state degnate neanche di una distratta lettura, ma ciò non mi interessa, perchè "c’è un giudice a Berlino", o meglio a Roma, che - a mio avviso - farà "giustizia" di questa proposta tabellare.

Mi hanno però colpito alcuni dettagli delle controdeduzioni, specie ove si difende la Presidenza del Tribunale dall’accusa (mossa anche da me) di non aver coinvolto i magistrati nell’elaborazione della proposta.

La lingua batte dove il dente duole...

Si parla di ampia parteci-pazione e cionvolgimento dei colleghi...attraverso (in primo luogo) la costituzione di un ristretto gruppo di lavoro.

Di tale gruppo (peraltro non previsto da alcuna norma) NESSUNO (se non gli "addetti ai lavori") ha saputo alcunchè; si è trattato di una com-missione segretissima non dico nella composizione, ma nella esistenza. Si mormorava sì di qualche "consigliere del principe" ma addirittura un gruppo di lavoro... Ovviamente chiederemo al più presto tutta la docu-mentazione relativa (vorrei anche avere i nominativi dei componenti, per sapere con chi "prendermela"...).

Non riesco invece a com-prendere che intendano gli estensori delle controdeduzioni (i componenti il gruppo di studio?) quando si richiamano, sempre a supporto della ampia partecipazione dei colleghi, a <<continue intese con i presidenti di sezione ed i magistrati più interessati>>.

Mi viene un dubbio: che, con umorismo anglosassone, si vogliano prendere in giro, amichevolmente si intende, i po-veri magistrati comuni, quelli che hanno invano sollecitato infor-mazioni.

Oppure si vuole dire che la mancata informazione è stata colpa nostra, perchè non eravamo davvero interessati?. Eppure io, personalmente, sarei stato disposto a sottopormi ad un "esame" di interesse, anche rispondendo a qualche doman-da di cultura generale...

Ma c’è un punto, nelle contro-deduzioni, che può confermare l’interpretazione in chiave umo-ristica della attività del gruppo di studio surrichiamato: a pag. 2 si afferma che la proposta ta-bellare si fonda sui <<criteri generali fissati dalla circolare approvata dalla assemblea plenaria del CSM nella seduta dell’8 aprile 1999 forse non sostituita (almeno per il Tribunale di Napoli) dalla circolare del dicembre 1999>>.

Quale fine umorismo, che buontemponi, questi componenti del gruppo di studio!!.

Me li immagino seduti ad un tavolo di piazza Sannazzaro, davanti ad una bottiglia di Gragnano e ad una impepata di cozze, a elaborare la loro proposta ed allegati facendosi un sacco di risate alle spalle di noi, poveri magistrati comuni!!!.

 

Vogliono farci credere di aver redatto una proposta tabellare di centinaia di pagine, per uno dei più grandi uffici giudiziari d’Italia, senza sapere bene quale sia l’atto normativo di riferimento.

E’ come se io scrivessi una sentenza senza sapere bene se in applicazione del codice civile del 1865, di quello del 1942, di qualche novella successiva o anche del codice borbonico.

Quest’ultimo richiamo non è ca-suale, perchè - come accennato - vi è il richiamo, dubitativo, alla vigenza, solo per Napoli, della circolare di aprile 1999.

Un privilegio giubilare, un ""effetto Bassolino"?. Io conoscevo solo la legge Napoli sulle espropriaizioni, di circolare Napoli, invece, non avevo mai sentito neanche solo mormorare... Il principe della risata, Totò, avrebbe commentato dicendo: <<Ma ci faccia il piacere...>>

Mi viene però il dubbio che il gruppo di studio possa essere perplesso sul serio: e perplesse sono le stesse controdeduzioni, ove a pag. 10 si afferma espressamente che le tabelle si sono uniformate, nell’organiz-zazione dell’Ufficio, alla circolare del Csm di dicembre, e non a quella di aprile.

Ed allora?

Beh, allora, se così fosse, mi ritroverei ammutolito; potrei certo ricordare che il § 115 della cir-colare di dicembre espres-samente enuncia : le direttive della presente circolare sosti-tuiscono ogni altra direttiva con esse incompatibili, contenuta nelle precedenti circolari in tema di tabelle, tabelle infradistrettuali, applicazioni e supplenze>>; tut-tavia mi sento come un cacciatore che usa un cannone contro gli uccelletti.

No, basta: non ho più l’animo per infierire ulteriormente; un altro giudice, di grado superiore, ha già suggerito di perdonare quelli che non sanno ciò che fanno...

 

 

 

QUALE DEMOCRAZIA ? ...
di Sergio Zazzera

 

Questa volta non ho votato. E non me ne vergogno. Sia chiaro, subito, che la mia non è stata una decisione influenzata da esortazioni di "politici"; viceversa, essa è stata presa dopo lunga riflessione, dopo averne discusso in famiglia, con colleghi, con amici: e da queste discussioni è emerso il convincimento che il referendum, così, com'è strutturato nel nostro ordinamento, non è, affatto, nella sostanza, uno strumento di democrazia e mi spiego. Prescindo dalle modalità di formulazione dei quesiti, che, per la loro lunghezza, per il linguaggio adoperato, ma, soprattutto, per lo stretto tecnicismo dei loro contenuti, già non mi sembrano granché rispettosi del livello culturale marginale dei cittadini: se una consultazione vuoi essere democratica, è necessario che tutti gl'interpellati, dal primo, all'ultimo, siano posti in grado di comprendere su che cosa li s'interroga. senza che sia necessaria l'intermediazione d'interpreti - imbonitori- L 'argomento che. però. più d'ogni altro, m'ha convinto dell'antidemocraticità di questo istituto referendario è il suo meccanismo di validità: se, infatti, la consultazione è valida, quando v'abbia partecipato la maggioranza assoluta degli elettori, e il suo risultato s'identifica con la volontà espressa dalla maggioranza assoluta dei partecipanti, ciò significa che il potere d'abrogazione delle leggi è rimesso alla volontà d'un venticinque per cento all'incirca, degli elettori, con buona pace per la rappresentatività: ma, al/ora, m'ingannava il mio vecchio maestro di diritto costituzionale, quando, un bel po' d'anni fa, m’insegnava che "la maggioranza governa e la minoranza controlla"? O, nel frattempo, è cambiato qualcosa, visto che, oltretutto, la maggioranza, anziché governare, sostiene i referendum, così restituendo al popolo la delega ch'esso le aveva conferita?

A proposito: in una trasmissione televisiva ho udito un giornalista esultare parche -si, è vero -ha votato soltanto un trentadue per cento. press'a poco, degli elettori, però l’ottanta per cento di castoro s'è espresso per il "sl"- Ma, allora, è diventata un'opinione anche la matematica.

 

 

 

 

Il crescente consenso dal quale e’ circondata questa pubblicazione ci ha convinto della necessita’ di costituire un comitato di redazione del quale sono entrati a far parte da questo numero i colleghi Valter Brunetti, Geremia Casaburi e Sergio Gallo. A TUTTI: BENVENUTI E BUON LAVORO.

 

 

 

A MARGINE DELLA SENTENZA ANDREOTTI
di Nick

 

Leggo su Repubblica del 17 maggio che i giudici del Tribunale di Palermo che hanno assolto il senatore Andreotti perché il fatto non sussiste avrebbero con la loro decisione compiuto un’opera di mera "giustizia formale" in ossequio al principio "cane non mangia cane".
Premetto di non avere letto la mastodontica sentenza (4370 pagine, 13 volumi e 18 capitoli a quanto dice Bocca Giorgio autore dell’articolo) e di non prevedere, quanto meno per ragioni di tempo, la lettura di uno scritto di siffatta mole.
Non conosco nessuno dei giudici che hanno assolto il senatore Andreotti né conosco quest’ultimo.
Rispetto troppo il lavoro altrui per potermi permettere di valutarne l’opera. Ritengo che l’unica maniera consentita per commentare il lavoro di un magistrato sia quella di annotarne le decisioni (sempre che vi sia materia per farlo) sulle riviste scientifiche.
Dopo aver fatto la premessa il nostro ha lanciato ogni sorta di contumelie nei confronti dei giudici di Palermo che, ripeto, non conosco, e che, in ogni caso, non mi hanno incaricato della loro "difesa".
Ad avviso del Bocca il Tribunale di Palermo avrebbe inteso dimostrare che ciò che per la morale comune è un reato non lo è per la giustizia e così di seguito.
Orbene è difficilmente credibile che l’articolista possa avere letto in poche ore ben 4370 pagine di una motivazione che costituisce il frutto, come egli stesso ammette, di "un anno e mezzo di paziente lavoro" e seguire quindi l’evolversi delle argomenta zioni che, come ben sa anche il più sprovveduto degli studenti univer sitari, devono essere necessariamen te correlate alle risultanze processuali.
Come Bocca Giorgio abbia potuto metabolizzare una così ponderosa decisione in così poco tempo resta un mistero.
Non è un mistero, invece, il livore con il quale egli da sempre ha guardato alla magistratura. Non è un mistero la sua collocazione politica così come non è un mistero il fatto che la decisione non sia piaciuta a sinistra.
Appare chiaro che il suo giudizio è il frutto di una valutazione fatta non in termini giuridici ma in termini di astioso preconcetto tanto più che l’articolo è apparso all’immediata vigilia della consul-tazione referendaria.
Occorreva, e questo Bocca Giorgio non cerca nemmeno di nasconder lo, che si desse comunque addosso alla magistratura lanciando accuse di collusione, di copertura da parte della stessa del mondo politico.
Sfugge, però, al nostro che i detentori del potere politico sono nel frattempo cambiati e che il giudizio storico e quello politico sono cosa ben diverso da quello che culmina nelle sentenze.
Quello che importava ed importa a Bocca Giorgio è dare addosso ...all’untore (rectius: al magistrato).

 

 

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La morte di Mino Cornetta avvenuta a Salerno, città nella quale rivestiva la carica
di Procuratore della Repubblica, rattrista profondamente tutti noi di Magistratura
Indipendente che lo abbiamo sempre visto tra gli aderenti più attivi.
La redazione del periodico è vicina alla famiglia e ne condivide il dolore.
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DONNE MAGISTRATO E MATERNITA’, UNA PRIMA
APPLICAZIONE DELLA LEGGE 53/2000 SULLA
POSTICIPAZIONE DEL CONGEDO OBBLIGATORIO

di Geremia Casaburi

 

 

E’ entrata in vigore da poco più di un mese la legge 8 marzo 2000 n. 53, disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità (il testo integrale è in Guida al Diritto, 2000, fasc. 12, pag. 13), che effettivamente ha introdotto importanti e credo positive innovazioni ad una materia tanto delicata (ad esempio si è riconosciuto anche al padre lavoratore il diritto di astenersi dal lavoro nei primi mesi di vita del bambino).

Voglio però concentrarmi su una norma, l’art. 12 (che ha introdotto l’art. 4 bis della legge 30 dicembre 1971 n. 1204), "flessibilità dell’astensione obbligatoria".
Fino ad oggi, i 5 mesi di astensione obbligatoria erano così ripartiti: 2 mesi prima della data presunta del parto e 3 mesi dopo.
Con la riforma la durata complessiva dell’astensione obbligatoria resta di 5 mesi, ma la donna ha la facoltà di scegliere la ripartizione di tale periodo rispetto al parto.

Ciò nel senso che può adeguarsi alla ripartizione "tradizionale" (2 mesi prima, 3 dopo), ma può anche scegliere di astenersi dal lavoro solo un mese prima della data presunta del parto (su cui, peraltro, la legge- a seguito di interventi della Corte Cost. pure ha introdotto novità), recuperando il mese "perduto" dopo il parto, astenendosi per 4 mesi e non 3.
In altri termini, la madre lavoratrice, restando al lavoro nella fase finale della gravidanza un mese in più, potrà recuperare l’altro mese dopo la nascita del figlio, potendo così restare con il bambino, in una fase cruciale della primissima infanzia, per un periodo più lungo.

Si tratta di un diritto soggettivo, ma condizionato, nel senso che la donna dovrà avere un duplice "nulla osta" medico (mentre invece alcuna discrezionalità deve riconoscersi al datore di lavoro).
Ho personalmente seguito la primissima applicazione di questa norma per una donna magistrato, mia moglie, giudice al Tribunale di Napoli (sezione penale), in attesa di nostro figlio Lorenzo.
Penso sia utile dare qualche indicazione pratica a chi intenderà avvalersi in futuro della stessa facoltà; ritengo, d’altronde, che si tratta di norma destinata a grande successo, per professioni - come la nostra - usuranti sotto il profilo emotivo ed intellettuale, ma non fisico, e quindi non incompatibili con una fase anche avanzata della gravidanza.

Al riguardo, segnalo che l’art. 4 bis cit. prevede sì la futura emanazione di un decreto indicante i lavori cui la nuova disciplina non si applica; ma si tratta dei lavori fisicamente usuranti (già indicati in un decreto del 1976, di cui è previsto l’aggioramento). Ciò non toglie, in altri termini, l’immediata applicazione della norma ai lavori sicuramente non usuranti, quali quelli d’ufficio e sedentari.
E’ opportuno presentare la dichiarazione relativa allo stato di gravidanza, contenente la opzione per lo spostamento dell’astensione obbligatoria, con un certo anticipo, per ovvie ragioni "burocratiche".
Ad esempio, per mia moglie la data presunta del parto è il 24 giugno, sicchè l’astensione obbligatoria - in base alla vecchia normativa - doveva avere inizio il 23 aprile (due mesi prima); abbiamo presentato la dichiarazione, indirizzata al Presidente del Tribunale, i primissimi giorni di aprile.
Va allegata una certificazione di un medico specialista, ovviamente ginecologo, del Servizio Sanitario Nazionale o con esso convenzionato, attestante che tale opzione (lo spostamento del congedo) non arrechi pregiudizio alla salute del gestante e del nascituro.

Consiglio di far leggere al medico (se non è quelo di fiducia) il testo della legge: gli sarà più "facile" rilasciare l’attestazione in parola; questa’ultima, poi, dovrebbe riprodurre esattamente l’espressione della legge, sopra riportata.

Questa attestazione però non è sufficiente legge: gli sarà più "facile" rilasciare l’attestazione in parola; questa’ultima, poi, dovrebbe riprodurre esattamente l’espressione della legge, sopra riportata.
Questa attestazione però non è sufficiente, in quanto la legge ne richiede una, analoga, rilasciata dal medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro.
Si tratta di una figura per molti di noi misteriosa, ma prevista dalle leggi sulla tutela della salute dei lavoratori; la donna, nella dichiarazione al Presidente del Tribunale, deve espressamente chiedere che sia disposta la visita presso tale medico.

Per la Corte d’Appello di Napoli, il Ministero della Giustizia non ha un proprio medico di "prevenzione e tutela", ma si avvale di una convenzione con la direzione sanitaria delle Ferrovie dello Stato.
Nel nostro caso, la visita è stata fissata a circa una settimana dal deposito dell’istanza, e si è svolta presso il centro medico della stazione centrale di Napoli; posso affermare che il responsabile, dott. Sagnelli, persona di grande cortesia e disponibilità, ha visitato in modo accurato mia moglie, prima di rilasciare l’attestazione di cui alla legge.

Il Tribunale ha trasmesso l’incartamento al CSM, e nel frattempo mia moglie ha continuato a lavorare, pur essendo nel frattempo iniziato il secondo mese prima del parto (già di astensione obbligatoria, per la vecchia disciplina).
IL CSM ci ha contattati la mattina dello scorso 9 maggio (il pomeriggio la pratica doveva andare al PLENUM); destava perplessità il fatto che l’attestazione del medico delle FS, consigliava comunque di evitare la posizione seduta per troppo tempo. Validamente consigliati da Sergio Visconti, contattato d’urgenza, il Presidente della sezione penale ove mia moglie lavora ha immediatamente faxato una sua dichiarazione, ove riferiva che le udienze erano interrotte di frequente, per consentire a mia moglie una breve passeggiata, e che le poltrone sono ergonomiche (dati tutti, inutile dirlo, corrispondenti a verità; inviterei però le future mamme di pregare i medici "attestanti" ad evitare, nel documento, "consigli" che possono creare difficoltà solo burocratiche).

Infine, e si tratta della primissima applicazione per la magistratura, l’OK consiliare è arrivato, con soddisfazione nostra e , ritengo, del bambino che, potrà godersi la mamma, in tutta tranquillità, un mese in più!.

 

 

 

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Edito il 23 maggio 2000