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La partecipazione dell"incandidabile" alle elezioni per il rinnovo dei consigli comunali (e provinciali): nullità dei voti o delle elezioni?
dell' avv. Salvatore Cinnera Martino
Sommario 1. Premessa - 2. Lincandidabilità: una nuova incapacità giuridica 3. La doppia giurisdizione 4. Linteresse a ricorrere e la cosiddetta prova di resistenza 5. La nullità dellatto che ammette lincandidabile. 6. I vizi del procedimento: nullità dei voti o annullamento delle elezioni. 7 Sempre sulla nullità dei voti o annullamento delle elezioni: una questione processuale.
1 Premessa.
La giurisprudenza non sera occupata, sin qui, degli effetti della cd. incandidabilità sul procedimento elettorale, se non con riguardo allelezione dell<<incandidabile>> alla carica di sindaco.
La vanificazione del procedimento elettorale, nel caso dellelezione dellincandidabile alla carica di sindaco (o, è lo stesso, alla carica di presidente della Provincia) era stata sancita come conseguenza, indiretta, dellannullamento dellelezione del sindaco, che porta con sé lo scioglimento del consiglio comunale. In tali ipotesi, cioè, non vera stata una statuizione immediatamente riferibile alla legittimità del procedimento elettorale ed alla sua validità (meglio, alla sua invalidità), giacché lo "scioglimento" del Consiglio Comunale era conseguenza delle norme che disciplinano il funzionamento, e non lelezione, degli organi rappresentativi delle comunità locali, che prevedono lo scioglimento quando, per qualsiasi ragione, venga a cessare il Sindaco, o il Presidente.
La sentenza in commento, invece, prende in esame e risolve la questione inerente alle conseguenze della partecipazione al procedimento elettorale (per il rinnovo del consiglio comunale e del sindaco) dei cosiddetti incandidabili; di quei soggetti, cioè, che <<non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali>>. Questione, questa, che non ha soluzione nel testo legislativo e che perciò necessita la considerazione della funzione della norma che lha introdotta nel sistema e, primancora, una lettura sistematica della norme che disciplinano laccesso al procedimento elettorale.
Lart. 15 della legge 19.3.1990 n° 55 nel testo modificato dalla L. 16.1.1990 n° 16- che statuisce che <<non possono essere candidati>> alle elezioni amministrative coloro che hanno riportato condanne per alcuni reati contro lordine pubblico e contro la pubblica amministrazione o nei cui confronti il tribunale ha applicato una misura di prevenzione (v. infra), non si occupa, infatti, delle conseguenze sul procedimento elettorale della partecipazione dell<<incandidabile>>; ma, soltanto, delle conseguenze (recte: degli effetti) della <<incandidabilità>> sullelezione o, anche, sulla nomina ad alcune cariche di coloro che sono colpiti da quella "sanzione": il 4° comma sanziona di nullità lelezione o la nomina di coloro che si trovano nella "situazione" di incandidabilità.
Gli effetti della partecipazione dellincandidabile sul procedimento elettorale, così, sono stati considerati, per la prima volta dal Tar catanese, e, ora, dal C.G.A, sotto una diversa ottica. La questione sottoposta a quei giudici, infatti, riguardava oltre, ovviamente, alla nullità dellelezione dellincandidabile, sottoposta al vaglio dellA.g.o.- la legittimità del procedimento elettorale.
Le questioni poste, prima, al Tar catanese, e, poi, in appello, al C.G.A. erano, infatti, sostanzialmente tre e possono, così, riassumersi:
Nelloccasione offerta dall<<incandidabilità>> di un candidato al Consiglio Comunale- è stata possibile una riflessione sulle conseguenze della partecipazione dellincandidabile sul procedimento elettorale, oltre ché sulla elezione dellincandidabile -questa, sì, normativamente considerata- capace di espandersi, oltre i confini del caso pratico e dinvestire, direttamente, il criterio tradizionalmente affermato in riguardo al riparto di giurisdizione in materia elettorale.
2 Lincandidabilità: una nuova ipotesi di incapacità giuridica speciale.
Limportanza della sentenza in rassegna è data, non tanto dal fatto che non esistono precedenti giurisprudenziali, quantomeno pubblicati, ma, soprattutto, dalla "nuova" soluzione data alle questioni sottoposte a quei giudici, che ha avuto, ed ha, come presupposto la sistemazione dogmatica della cd. incandidabilità.
Ciò che si coglie, immediatamente, nella sentenza del Tar catanese è, infatti, la percezione e laffermazione della diversità della figura dell<<incandidabilità>> rispetto a quelle altre "situazioni", già note allordinamento, sanzionate con la nullità dellelezione o della nomina (ineleggibilità) o della decadenza (incompatibilità): <<laccertamento, della condizione di non candidabilità rifluisce indubbiamente a ritroso nel procedimento elettorale sin dal momento in cui tale qualità doveva essere accertata, vale a dire sin dal momento del controllo sui candidati delle liste ammesse alla competizione. A sua volta, poi, la nullità di un atto del procedimento si comunica agli atti successivi quando questi come nel caso in specie, si trovano in un rapporto di dipendenza causale e necessaria con latto nullo l'illegittima partecipazione, perchè non candidabile ab initio, di un candidato in una competizione elettorale inficia e travolge tutti gli atti successivi (a quello che lo inserisce fra i candidati della competizione), che in quello annullato trovano il loro antecedente necessario determinando la necessità di ripristinare la situazione anteatta>>.
Limportanza di tali affermazioni, confermate dal giudice dappello, sta nel fatto che si è riconosciuta nellincandidabilità una nuova figura di incapacità giuridica (speciale), una situazione, cioè, che, a differenza dellineleggibilità e dellincompatibilità, che come essa afferiscono al diritto di elettorato passivo, incide direttamente quel diritto (meglio, sulla legittimazione rispetto ad a quel diritto) e non, semplicemente, lesercizio dello stesso.
Un contributo importante per la sistemazione del concetto di incandidabilità, sconosciuto allordinamento nazionale fino allemanazione della L. n° 16/92, era venuto dalla Corte Costituzionale che lha, dapprima, ricondotto nella figura della ineleggibilità e, poi, ne ha sottolineato la specialità e specificità.
Ovviamente, lo sforzo ricostruttivo compiuto dalla Corte, siccome limitato alla considerazione delle questioni rimessegli, ed attinenti alla legittimità costituzionale della norma che ha introdotto la <<non candidabilità>>, non è giunto, e nemmeno poteva, alla definitiva sistemazione dellistituto. La Corte Costituzionale, infatti, si è limitata ad assumere, in riguardo alla ratio legis, che il fenomeno inerisce a quello della eleggibilità (descritta come capacità di essere eletti o nominati ad alcune cariche negli enti locali) e, più, in generale alla capacità giuridica: la l. n. 16 del 1992 per la prima volta introduce fattispecie di non candidabilità che incidono sulla costituzione delle assemblee elettive che interferiscono sulla formazione della rappresentanza ora, la previsione della ineleggibilità, e della conseguente nullità dellelezione è misura che comprime, in un aspetto essenziale, le possibilità che lordinamento costituzionale offre al cittadino di concorrere al processo democratico.
Lalterità, che pure la Corte Costituzionale riconosce allincandidabilità rispetto allineleggibilità cui laccomuna, per il fatto di inerire, entrambe, al diritto di elettorato passivo- è data, però, non soltanto dal momento, dalla fase, del procedimento elettorale, rispetto alla quale quella situazione giuridica esplica i suoi effetti; e che attiene, tutto sommato, al momento funzionale. La diversità ontologica della figura in discussione rispetto allineleggibilità e, ancor più, rispetto alla incompatibilità, è, infatti, costituita dalla indisponibilità della fattispecie che genera limpossibilità di adire una carica elettiva negli enti locali o di mantenerla.
Come, giustamente, si afferma nelle sentenze in rassegna, lincandidabilità è, quindi, una nuova "incapacità giuridica speciale"; come tale, ontologicamente e teleologicamente, diversa da quelle "situazioni" che, come essa, impediscono lelezione o la permanenza in una carica pubblica, perché limitano, pongono delle condizione per lesercizio del diritto di elettorato passivo.
Ed in ciò sta la novità. I fatti che importano lincandidabilità, cioè, escludono il diritto di elettorato passivo (rispetto alle elezioni amministrative) e non soltanto lesercizio dello stesso; e poiché escludono quel diritto, impediscono ai soggetti che ne sono colpiti, persino, di adire la situazione giuridica prodromica rispetto allelezione: la candidatura.
La differenza, non è, quindi, da poco. Il non poter <<essere candidati>>, in tale prospettiva appare, comè in effetti, la conseguenza, non la causa, della perdita del diritto di elettorato passivo; che non è, invece, riscontrabile riguardo allineleggibilità o lincompatibilità. Lineleggibilità e lincompatibilità, infatti, se, come si diceva, limitano lesercizio di quel diritto, discendono da situazione che linteressato può (e deve) rimuovere prima di essere candidato o al momento in cui viene eletto, e che vanno perciò ascritte alla categoria della "incompatibilità", che lordinamento pone in riguardo al possibile contrasto dinteressi tra leleggendo e lente che esso dovrebbe rappresentare.
A conferma di ciò è il fatto che le condanne per i reati di cui allart. 15 della L. n° 55/90, non soltanto escludono il diritto di essere candidati, ma, anche, la permanenza nelle cariche indicate nella stessa norma.
Accade, così, che rispetto allelezione o alla nomina ad alcune cariche può riscontrarsi come a differenza della soggettività giuridica, che è un quid semplice (non può che esistere o non esistere)- la capacità giuridica è per sua natura un quantum, misurabile per gradi. Possiamo, cioè, notare come la generale capacità <<ad essere titolari di situazioni giuridiche soggettive>> possa essere graduata, tanto che, in riguardo a talune situazioni qualificanti, lordinamento esclude determinati soggetti (giuridici) da alcune situazioni giuridiche o da interi settori dellordinamento.
E la c.d. <<incandidabilità>> è proprio la manifestazione di come (della tecnica con cui) lordinamento opera la discriminazione fra i soggetti, cui pure riconosce la generale capacità giuridica, ponendoli in una situazione diseguale rispetto agli altri.
3 La doppia giuridisdizione.
Il problema, di ordine pratico, che si pone con riguardo alla fattispecie considerate dalla sentenza in rassegna, è, innanzitutto, lindividuazione del giudice "competente" a conoscere delle controversie nelle quali sia dedotta lillegalità del risultato elettorale, siccome determinato dalla partecipazione di chi non può essere candidato.
La riconduzione della <<non candidabilità>> nellambito dei fenomeni che ineriscono al diritto di elettorato passivo, ha indotto i giudici a ritenere che la giurisdizione su tale questione appartiene al giudice ordinario; e ciò perché lart. 82 Dpr 570\60 e art. 6 L. 1034\71 attribuiscono a quel giudice le questioni inerenti il diritto di elettorato passivo, quandanche siano introdotte a mezzo dellimpugnazione della delibera che, ad esempio, in conseguenza dellaccertamento di quello status, ne ha decretato la decadenza dalla carica.
Da tale considerazione, ed in ragione del fatto che l'art. 84 del Dpr 570\1960, attribuisce al giudice ordinario, così come al giudice amministrativo, il potere di correggere il risultato elettorale, potrebbe adirsi alla soluzione che il giudice ordinario, investito dellaccertamento dellincandidabilità del componente di una lista, possa, anche, "ricondurre alla legalità" il risultato elettorale. Ciò, ovviamente, sarebbe possibile sol ché si ritenesse che le schede recanti voti per lincandidabile, in quanto dati ad un soggetto "non candidato" sono nulli (v., però, infra)
L'individuazione dei limiti del potere del giudice ordinario in subiecta materia e, quindi, delle modalità con le quali realizzare quel risultato, dipende, infatti, dal coordinamento delle norme che attengono al riparto di giurisdizione in materia elettorale (art. 82 Dpr 570\60 e art. 6 L. 1034\71), lart. 5 L. n° 2248 all. E del 1865, che riconosce al giudice ordinario il potere di conoscere dei provvedimenti amministrativi allorché "si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione e ancorché siano stati emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell'autorità amministrativa" (art. 2 L. 20.3.1865 n° 2248 all. E) e, infine, le norme che disciplinano la formazione degli organi rappresentativi degli enti locali.
Ovviamente, la giurisdizione del giudice ordinario dovrebbe escludersi nel caso che comè stato affermato dal Tar catanese, prima, e dal CGA, ora- allillegittimità del risultato elettorale si possa rimediare, soltanto, mediante lannullamento dellatto che ne ha proclamato il risultato: al giudice ordinario, infatti, è normalmente precluso la pronunzia di annullamento del provvedimento amministrativo e nemmeno lart. 84 Dpr n° 570/60 consente a quel giudice una pronunzia demolitoria: il giudice ordinario può soltanto correggere il risultato elettorale, non annullarlo.
Nella controversia decisa con la sentenza in commento sè, però, dovuta registrare una pronunzia con la quale il G.O. ha declinato la propria giurisdizione sulla domanda di correzione del risultato elettorale, che era stata posta in uno con la richiesta di accertamento dellincandidabilità, ancor prima che fosse negata la possibilità di corregere il risultato elettorale.
Il Tribunale di Patti, che pure ne era stato richiesto, passando dallannullamento delle schede recanti voti di preferenza in favore dellincandidabile, trasponendo alla questione dedotta innanzi a sé, laffermazione, tradizionale, secondo la quale "competente" a conoscere delle (recte: la giurisdizione sulle) controversie riguardanti la regolarità del procedimento elettorale è il giudice amministrativo, ha declinato la propria giurisdizione su quella domanda.
Seppure deve condividersi il risultato (v. infra), non può, invece, condividersi il metodo. Quel giudice, infatti, non essendosi posto il problema del modo con cui lillegalità del risultato doveva essere rimediata, non ha colto la novità della questione, e, quindi, non è riuscito ad apprezzare le differenze rispetto a quelle altre decise con le pronunzie che, prima dellintroduzione dellincandidabilità, serano imposte di delimitare la potestas iudicandi del giudice ordinario e del giudice amministrativo in materia elettorale, attribuendo a questultimo le questioni inerenti la legittimità dei voti espressi dagli elettori, giacché inerivano alla regolamentazione del procedimento elettorale ed alla determinazione del risultato, piuttosto che al diritto di elettorato passivo dei candidati.
In riguardo a ciò, deve sottolinearsi come al giudice ordinario (al pari del giudice amministrativo) è dato di correggere il risultato delle elezioni e sostituire ai candidati illegalmente proclamati coloro che hanno diritto di esserlo (art. 84 Dpr 570\1960). Il giudice ordinario può, cioè, intervenire con poteri sostitutivi sul risultato elettorale, e non soltanto limitatamente al candidato (o ai candidati) in relazione al quale (o ai quali) è stata sollevata la questione di ineleggibilità, incompatibilità o di decadenza.
Ad aderire alla tesi sposata da quel Tribunale, dovrebbe, al contrario, negarsi che il Giudice Ordinario possa, in nessun caso, influire sul risultato elettorale. Necessario presupposto di quell'affermazione è, infatti, l'asserita incapacità del Giudice ordinario di conoscere dei vizi del procedimento elettorale -ancorché connessi alla partecipazione al procedimento elettorale e, quindi, all'elezione di chi é incandidabile e\o ineleggibile- e di correggerli.
Riconosciuto, però, al Giudice Ordinario il potere di intervenire (per correggerlo) sul risultato elettorale, con poteri sostitutivi, è ovvio riconoscergli anche il potere di conoscere delle illegittimità del risultato elettorale che deriva dalla partecipazione di chi versa nelle condizioni cui la legge riconnette una limitazione al diritto di elettorato passivo o al suo esercizio. Ed infatti, se quel potere, discende dall'art. 84 del Dpr 570\1960, l'individuazione dei limiti e, quindi, delle modalità con le quali realizzarlo, dipende dal coordinamento della norma in parola con quelle che incidono (in vario modo) sul diritto di elettorato passivo e con quelle che disciplinano la determinazione del risultato elettorale, e non, semplicemente, dalle norme sul riparto della giurisdizione in materia elettorale. Queste, infatti, riguardano solo indirettamente quel potere, giacché attengono ad un momento preliminare all'introduzione del giudizio: l'individuazione del giudice "capace" di conoscere della controversia.
Il Tribunale, per declinare la propria giurisdizione, doveva, quindi, accertare che, nel caso de quo, non era possibile la correzione del risultato elettorale, e che lillegalità dello stesso era rimediabile, soltanto, con lannullamento delle elezioni che gli era precluso.
In tal senso l'art. 84 Dpr 570\60 consente al giudice ordinario di conoscere di questioni altrimenti rimesse al giudice amministrativo. In ogni altra ipotesi, infatti, al Giudice ordinario -in quanto non può pronunziare sentenze che incidano il provvedimento amministrativo (art. 4 della L. 20.3.1865 n° 2248 all. E)- é sottratta la giurisdizione sulle controversie nelle quali sia chiesto di revocare o modificare l'atto che si assume illegittimo.
Ciò trova conferma nel fatto che (prima dellentrata in vigore della L. 16/92, modificativa dellart. 15 della L. n° 55/90) il giudice ordinario aveva, senza difficoltà, affermato il potere di sostituire il "candidato (o i candidati) in relazione al quale (o ai quali) è stata sollevata la questione di ineleggibilità, incompatibilità o di decadenza", senza preoccuparsi dellincidenza della pronunzia sullatto amministrativo che, così, veniva ad essere modificato.
I limiti di quel potere erano, così, individuati in considerazione dei vizi che inficiavano il risultato elettorale e di cui poteva conoscere l'A.G.O., costituiti dalle cause di ineleggibilità e incompatibilità, per rimediare ai quali era sufficiente sostituire a chi era impedito di essere eletto, o di permanere nella carica elettiva, colui che era meglio graduato fra i non eletti della stessa lista: non essendo impedito agli ineleggibili ed agli incompatibili di partecipare alle elezioni, l'illegalità del risultato era rappresentata dall'illegittima composizione dell'organo.
Ma se ciò è vero, lintroduzione della cd. incandidabilità necessitava di riconsiderare i limiti di quel potere e del modo di attualrlo, specie nel caso in cui si ritenga che il rimedio rispetto allillegalità così determinatasi fosse lannullamento delle schede votate, anche, per lincandidabile (v. infra). Infatti, il criterio di riparto della giurisdizione elaborato dalla S.C., fuori della materia che qui ci occupa, prevede il concorso di due criteri: a) il criterio c.d. della <<causa petendi>>, secondo cui é competente l'A.G.O. a conoscere delle controversie che riguardano diritti soggettivi e il G.A. conosce delle controversie in cui si dibatta su interessi legittimi; e b) il criterio del c.d. <<petitum sostanziale>>, secondo cui é competente il giudice amministrativo se si chiede l'annullamento, mentre é competente il giudice ordinario se si chiede il risarcimento del danno.
Tale criterio, elaborato in relazione agli artt. 2 e 4 della L. 2248 all. E cit., sconta i limiti normalmente posti all'A.G.O., che può soltanto disapplicare, ma non anche revocare o modificare l'atto amministrativo. L'art. 84 Dpr 570\60, in quanto incide sui limiti entro cui va contenuta la decisione del giudice ordinario e, così, sul criterio c.d. del <<petitum sostanziale>>, elaborato dalla giurisprudenza, ricomprende nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie in cui, ancorché si chieda la revoca o la modifica dellatto amministrativo illegittimo (art. 84 Dpr 570), si faccia questione del diritto di elettorato passivo (art. 2 L. 2248 all. E cit. e art. 82 Dpr 570\60 cit.). Con riguardo alla materia elettorale, cioè, il criterio di riparto è costituito unicamente dalla <<causa petendi>> e non, anche, dal <<petitum sostanziale>>; con esclusione, ovviamente, delle domande dannullamento, proprio perché il potere di correggere il risultato elettorale, riconosciuto tanto al giudice amministrativo quanto al giudice ordinario, non comprende la pronunzia demolitoria.
Lart. 1 della L. 16\92, nel caso si fosse assunto la possibilità di annullare le schede votate per lincandidabile, avrebbe, così, indirettamente "ampliato" i poteri riconosciuti al giudice ordinario per la correzione del risultato elettorale (art. 84 Dpr 570 cit.), proprio perché il potere sostitutivo di quel giudice è teleologicamente orientato alla restituzione del risultato elettorale alla legalità. Lart. 84 del D.p.r. n° 570/60, cioè, ha anticipato la tendenza con la quale, recentemente, si tende a concentrare innanzi ad un solo giudice, per assicurare celerità alla tutela giurisdizionale, le controversie in ragione della "materia" cui esse attengono, evitando, così, la necessità di far ricorso a due diversi (ordini di) giudici. E daltronde, le esigenze di celerità della decisione sono più dei giudizi elettorali rispetto ad ogni altro, giacché in tali ipotesi la necessità di ricorrere al giudice ordinario e poi a quello amministrativo, percorrendo tutti i gradi del giudizio, renderebbe inutile la decisione finale.
Affermare, quindi, come ha fatto il Tribunale di Patti, che l'individuazione dei limiti del potere di cui all'art. 84 Dpr 570 cit. é affidata al criterio di riparto della giurisdizione è, infatti, unevidente petizione di principio; infatti, quel criterio, tutt'al più potrebbe escludere la giurisdizione del giudice ordinario, non, anche, segnare i limiti al potere dell'A.G.O. di intervenire sul risultato elettorale.
Affermata la giurisdizione del Giudice ordinario, il criterio per la delimitazione del potere di quel giudice di "sostituire ai candidati illegalmente proclamati quelli che hanno diritto di esserlo" va ricercato nelle norme che disciplinano l'accesso alle cariche elettive e la determinazione del risultato elettorale.
Altrimenti si finirebbe con l'affermare che al Giudice Ordinario é impedito di conoscere della legalità del risultato che esso è chiamato a correggere e, quindi, della legalità del procedimento che l'ha determinato. L'A.G.O. dovrebbe, così, limitarsi a dichiarare l'esistenza di una causa ostativa del diritto di elettorato passivo o del suo esercizio; cosicché sarebbe, sempre, devoluto al G.A., verificare le illegittimità da cui é inficiato il procedimento elettorale e, quindi, porvi rimedio. Ma una tale interpretazione -seppure mascherata dal riconoscimento al giudice ordinario di limitati poteri di intervento- é tale da rendere inutili sia l'art. 84 Dpr 570\60 che l'art. 2 della L. 2247 all. E.
Altra cosa, ovviamente, è dire che le norme che disciplinano il riparto di giurisdizione in materia elettorale -e che hanno riguardo unicamente alla causa petendi- concorrono dall'esterno, a delimitare il potere del Giudice ordinario di sindacare la legittimità dell'atto di proclamazione del risultato elettorale. Il Giudice ordinario, infatti, può conoscere del provvedimento di proclamazione degli eletti solché sia in contestazione la candidabilità, l'eleggibilità o la compatibilità di taluno di essi. Di conseguenza, potrà conoscere soltanto dei vizi che la partecipazione o l'elezione di chi é incandidabile, ineleggibile o incompatibile ha determinato sul risultato elettorale; mentre, ogni altra questione che attenga alla legalità del risultato elettorale é rimessa al Giudice Amministrativo.
Daltronde, fin qui, non si é mai avuto alcun dubbio sul fatto che le questioni riguardanti le delibere in materia di incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità, in quanto attengono al diritto di elettorato passivo, sono devolute alla giurisdizione ordinaria.
Fenomeno, di certo, non nuovo né ripudiato dalla dottrina e dalla giurisprudenza é la c.d. doppia tutela, cui può farsi ricorso azionando innanzi all'A.G.O. ed al G.A., rispettivamente, posizioni di diritto soggettivo e di interesse legittimo, ove gli atti coinvolti da quelle domande incidano su entrambi tali "tipi" di situazioni. Sicché, assunto che la partecipazione dellincandidabile comporta lillegittimità del procedimento e del risultato elettorale, ma non anche la nullità delle schede votate per lincandidabile (v. infra), riemerge la necessità di far ricorso alla <<doppia giurisdizione>>: al giudice amministrativo va proposta la domanda di annullamento delle elezioni ed al giudice ordinario la domanda, pregiudiziale rispetto a quella, di accertamento dellincandidabilità., che è, comunque, sottratto, anche in via incidentale, alla giurisdizione del giudice amministrativo, giacché l'art. 82 del Dpr 570\1960 riserva la cognizione delle questioni attinenti a quel diritto al giudice ordinario.
Ed infatti, quantunque le cause di incandidabilità e quelle di ineleggibilità debbano ascriversi a categorie necessariamente diverse -essendo ontologicamente diversi i fatti da cui nascono ed il meccanismo con il quale il legislatore ha previsto fossero realizzati gli interessi pubblici sottesi alle norme che le individuano-, esse, comunque, afferiscono ed entrambe al diritto di elettorato passivo, come anche affermato dalla S.C. , che, allorché ha avuto modo di pronunziarsi sulle cause di incandidabilità e\o di decadenza individuate dall'art. 1 della L. 16.1.1992 n° 16 ha statuito che "la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere delle controversie in tema di eleggibilità o decadenza dalla carica ... non trova limitazioni e deroghe per il caso in cui venga introdotta mediante impugnazione del provvedimento di decadenza, perché anche in tale ipotesi, la decisione verte non sull'annullamento dell'atto amministrativo, ma sul diritto soggettivo perfetto inerente all'elettorato passivo".
4 Linteresse a ricorre e la cd. prova di resistenza.
Un momento (recte: criterio) decisivo nel giudizio sullammissibilità dei ricorsi elettorali è, tradizionalmente, dato dalla cd. prova di resistenza, dalla verificazione, cioè, dellincidenza dei vizi e, soprattutto, del rimedio di quelli sul risultato elettorale: linteresse al ricorso, cioè, è affermato o negato quando, secondo un giudizio prognostico, la richiesta correzione è capace o incapace di ribaltare il risultato elettorale.
Le opinioni palesate dal Tar e dal C.G.A. riguardo alla necessità del superamento della c.d. prova di resistenza quando, comera nel caso dedotto in giudizio, lillegittimità del risultato elettorale è determinata dalla partecipazione dellincandidabile sembrano essere diverse.
Infatti, il giudice di primo grado, pur affermando lillegittimità del risultato elettorale e, quindi, la necessità del suo annullamento sulla scorta della (sola) partecipazione dellincandidabile, sè dato carico di dimostrare, ad abbundantiam, e quasi per giustificarsi, che, comunque, il ricorso avrebbe superato la c.d. prova di resistenza; il Cga ha ritenuto, invece, si possa prescindere da quella "prova", perché in tali ipotesi non è in considerazione lillegittima attribuzione del voto, lillegittimità del risultato elettorale, ma del procedimento elettorale.
Il criterio impiegato dal giudice dappello per la verificazione dellinteresse a ricorrere, sembra però eccessivamente formalistico, giacché, per assurdo, potrebbe essere invocato da chi, pur giovandosi dellapporto dellincandidabile, abbia perso le elezioni, nel mentre, come chiarito dalla Corte Costituzionale, la ratio della norma sullincandidabilità è posta per impedire che il risultato elettorale possa essere determinato da chi è <<non candidabile>>.
Con ciò non si vuol certo riabilitare la c.d. prova di resistenza, la rigida applicazione della quale potrebbe condurre come mostra di ritenere il C.G.A.- ad un risultato iniquo: laffermazione della lista che annovera lincandidabile non potrebbe essere scalfito quando lapporto di quello non sia determinante.
Detto ciò si pone la necessità di verificare se, rispetto allipotesi in considerazione, non debba, invece, farsi ricorso ai normali criteri per giudicare dellammissibilità del ricorso, adattandoli alla peculiarità della stessa. E in ipotesi, il criterio che potrebbe risultare determinante per quel giudizio potrebbe essere, non tanto il computo numerico dei voti dati allincandidabile per rapportarli allo scarto fra le liste proprio perché la scelta di voto alla lista potrebbe non essere determinata, come ha affermato il C.G.A., unicamente, dal voto di preferenza, ma, anche, dalla presenza in lista dellincandidabile- quanto dal fatto che la lista risultata vittoriosa annoveri o meno lincandidabile.
Il problema, evidentemente, si pone in maniera diversa nellipotesi in cui si tratti delle elezioni in comuni con un numero di abitanti inferiore o superiore a 10.000. In questultimo caso linteresse a ricorrere potrebbe ritenersi positivamente accertato quando la lista che annovera lincandidabile, seppure non sia risultata vittoriosa, abbia condotto il candidato sindaco ad essa collegato alla fase di ballottaggio, a detrimento di altre.
Rispetto a tale ipotesi, linteresse alla legalità e, quindi, linteresse a ricorrere, è dato dal fatto che, dovendo impedirsi che il risultato elettorale sia determinato dalla partecipazione dellincandidabile, non è possibile prescindere dallapporto di quello sulla scelte dei candidati sindaci (o presidenti) così come determinatesi nella prima fase del procedimento elettorale.
5 La nullità dellatto (amministrativo) che ammette lincandidabile alle elezioni.
Lincapacità giuridica (speciale), l'incapacità ad essere candidato alle elezioni amministrative, introdotta dallart. 1 della L. 16\92, esclude, come si diceva, il diritto di elettorato passivo rispetto a quelle elezioni.
Ciò ha una corollario necessario: l'atto di ammissione di chi versa in una delle condizioni previste dall'art. 15 co. 1° L. 55\90 è radicalmente nullo, e non, semplicemente, annullabile. Latto che accerta lesistenza\inesistenza di quel requisito non può, infatti, ascriversi alla categoria dei provvedimenti amministrativi, essendo, invece, un atto meramente ricognitivo dellesistenza\inesistenza di un diritto che, per dover essere accertato da unautorità amministrativa, non degrada ad interesse legittimo. La conferma di ciò si ha nel fatto che, come affermato dalla Corte Costituzionale, la sentenza di condanna ostativa di quel diritto <<è ... presa in considerazione come mero presupposto oggettivo ... viene configurata quale "requisito negativo" ai fini della capacità>> di essere candidato.
Ed è su tale presupposto che le S.U., chiamate per regolare la giurisdizione, hanno confermato la giurisdizione del giudice ordinario, come sui ricorsi in materia di eleggibilità e compatibilità, anche, riguardo alle ipotesi di decadenza disciplinate dall'art. 15 L. 55\90, rilevando come "la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere delle controversie in materia di eleggibilità o decadenza dalla carica ... non trova limitazioni e deroghe per il caso in cui venga introdotta mediante impugnazione del provvedimento di decadenza, perché, anche in tali ipotesi, la decisione verte non sull'annullamento dell'atto amministrativo, ma sul diritto soggettivo perfetto inerente all'elettorato passivo", ed il Consiglio di Stato ha ritenuto nulla - e non semplicemente annullabile- la candidatura di chi aveva omesso di "presentare, contestualmente alla dichiarazione di accettazione della candidatura, la dichiarazione antimafia ex art. 15 comma 1 L. 19 marzo 1990 n° 55", giacché non era acquisito al procedimento la certezza dell'esistenza in capo al "candidato" del requisito richiesto da quella norma: il diritto di elettorato passivo rispetto a quelle elezioni.
A tali insegnamenti sembra si siano adeguati il Tar catanese e il C.g.a.. La nullità dellatto ammissivo della candidatura, infatti, se è determinato dalla mancata presentazione della dichiarazione antimafia, a fortiori deve ritenersi ove sia accertato in capo a chi è stato "formalmente" candidato la carenza del requisito che "la dichiarazione antimafia" è destinato a dimostrare.
6 I vizi del procedimento: nullità dei voti o annullamento delle elezioni.
La sentenza del Tar catanese aveva affermato che la nullità dellatto di ammissione della candidatura si ripercuote, inficiandone la legittimità, su tutti gli atti che hanno in quello il loro presupposto. Dalla nullità di quellatto, cioè, deriva lillegittimità di tutti quelli che ad essa seguono, fino alla proclamazione del risultato. Ciò perché la <<nullità di un atto del procedimento si comunica agli atti successivi quando questi, come nel caso di specie, si trovano in un rapporto di dipendenza causale e necessaria con latto nullo. Si tratta, più precisamente, di un rapporto di causa ed effetto, potendosi escludere solo un eventuale nesso semplicemente occasionale o accidentale>>. Da ciò aveva tratto la necessita dellannullamento del risultato elettorale.
Lassunto appare, però, criticabile sulla base della fondamentale considerazione che latto nullo, a differenza di quello annullabile, non produce effetti, cosicché, il ragionamento doveva spingersi oltre; doveva, cioè, accertarsi se non era possibile depurare il risultato elettorale dallapporto del candidato-non candidato, che quel giudice ha riconosciuto determinante, rispetto allaffermazione della lista in cui era inserito e del candidato sindaco ad essa collegato, proprio perché, come, ora, dice il C.g.a., <<loggettiva indimostrabilità dei meccanismi psicologici che possono aver indotto gli elettori a votare congiuntamente il candidato [-incandidabile] Arcodia e la lista nella quale il medesimo risultava inserito>>. Limpossibilità di discernere quale fosse stata la motivazione determinante la scelta dellelettore, infatti, avrebbe dovuto, secondo un consolidato orientamento del Cga, far ritenere nulle le schede contenenti voto di preferenza per lincandidabile, perché, in ragione della nullità dellatto di ammissione, esso non poteva compreso nelle liste elettorali e, quindi, i voti attribuitigli, dati ad un soggetto non compreso nelle liste elettorali.
E, peraltro, il Tar catanese, nel tentativo di dar giustificazione al disposto annullamento dellelezioni, dandosi carico di ritenere superata la c.d. prova di resistenza, aveva affermato che <<la verificazione ha permesso di accertare che 129 schede in cui lelettore ha votato sia per la lista che esprimendo la preferenza per Arcodia in tale ipotesi il voto si è trasferito anche al candidato sindaco per conseguenza del collegamento alla lista votata sia la normativa elettorale che dispone il collegamento, sia la logica che il senso comune depongono per un rapporto di stretta interdipendenza tra lespressione della preferenza ed il voto di lista che (a sua volta) si trasmette al sindaco collegato; ciò determina la necessaria comunicazione dellillegittimità conseguente al voto espresso per il non candidabile anche al voto alla lista cui appartiene e quindi a tutta la scheda>>. Il Tar, cioè, aveva ritenuto illegittime le schede votate per lincandidabile, pur se poi non ne ha saputo o voluto trarne le logiche e necessarie conseguenze.
Il giudice dappello sembra, ad una prima lettura, aver fatto un passo indietro rispetto allaffermazione della nullità dellatto di ammissione di quella candidatura. Si legge, infatti, in sentenza che <<invero, lespressione di un voto di preferenza in favore di un candidato che, nel momento storico in cui si svolgeva la votazione, risultava a tutti gli effetti inserito in una delle liste in competizione, ancorché sia stato successivamente dichiarato non candidabile, non può essere equiparata allipotesi in cui lelettore abbia invece votato un nominativo estraneo, in quanto non compreso in alcuna delle predette liste. Mentre infatti questultima espressione costituisce, per la sua anomalia, unindicazione vietata tale da comportare la totale nullità della scheda della scheda, nel caso in esame si è invece in presenza di una normale e fisiologica espressione congiunta di voto di lista e di preferenza, con oggettiva ed assoluta impossibilità di discernere se ed in quale misura la preferenza abbia influito sulla scelta della lista, o viceversa>>. Lassunto del C.g.a. postula, così, che latto di ammissione dellincandidabile non sia nullo, ma, semplicemente, illegittimo, capace perciò di produrre gli effetti suoi propri, che vengono ad essere caducati per effetto del successivo accertamento giurisdizionale.
A ben vedere, però, è lo stesso giudice che, confortando la linea argomentativa del Tar catanese, aveva mostrato di condividerne i risultati. Le schede votate in favore dellincandidabile, stante limpossibilità di individuare i <<meccanismi psicologici che possono aver indotto gli elettori a votare congiuntamente il candidato [-incandidabile] e la lista nella quale il medesimo risultava inserito>>, potevano così essere annullate, facendo salvo, per il resto, il procedimento elettorale. Tale principio, daltronde, come detto anche nella sentenza in rassegna, è stato più volte affermato e ribadito dal C.g.a., proprio per affermare la nullità delle schede contenenti una preferenza per chi "non era compreso nelle liste elettorali", anche se, nel caso di specie, non avrebbe potuto farsi applicazione dellart. 38, 7° co. D. P. Reg. Sic. n° 3/1960, se non dopo avere affermato la nullità dellatto di ammissione dellincandidabile e, quindi, linidoneità dello stesso a produrre effetti.
La norma da ultimo citata, infatti, anche nellinterpretazione fattane dallo stesso Cga, non ha soltanto funzione sanzionatoria rispetto alle modalità di espressione del voto, ma pone, innanzitutto, un criterio per lattribuzione dei voti: così, ad esempio, ha consentito lannullamento delle schede che recavano la preferenza per il candidato sindaco collegato alla lista votata, ma non candidato per il consiglio, perché era incerta la volontà dellelettore e non perché lelettore avesse inteso farsi riconoscere.
7 Sempre sulla nullità dei voti e delle elezioni: una questione processuale.
In verità, il risultato cui è pervenuto il giudice dappello sembra determinato dal fatto che lincandidabile è stato riammesso al procedimento elettorale per effetto di unordinanza cautelare, pronunziata nel giudizio da quello promosso contro la sua esclusione dalle liste.
Il giudicato formatosi sulla sentenza che ha accertato la condizione di <<non candidabilità>> di quello, infatti, seppure ha determinato laccertamento di un "fatto"da cui il G.a. non poteva prescindere, non era, invece, capace di effetti caducanti rispetto allordinanza cautelare che aveva riammesso lincandidabile al procedimento elettorale.
Il giudicato formatosi sulle pronuncie a contenuto processuale, e quindi anche sul capo riguardante la giurisdizione, ha, infatti, efficacia soltanto interna quando siano rese da giudici di merito e non dalla Cassazione. Il <<capo>> della sentenza che ha deciso, anche implicitamente, sulla giurisdizione circa la questione della legittimità dellesclusione dellincandidabile, pronunziata dal Tribunale di Patti, non poteva, quindi, condurre a ritenere invalidata lordinanza cautelare resa dal G.a. e, così, lincandidabile <<risultava a tutti gli effetti in una delle liste in competizione>> e le schede votate in favore di quello non potevano essere annullate.
Avv. Salvatore Cinnera Martino