L’attività di moral suasion della CONSOB

di Filippo Durante

 

Sommario: 1. Consob fonte e Consob formante: il potere normativo multiforme  dell’Autorità di vigilanza; 2. Gli atti di soft law tra diritto internazionale e diritto    interno: espressione del capitalismo maturo o dell’economia mista?; 3. Gli atti di persuasione morale della CONSOB: le risposte ai quesiti e le comunicazioni generali, astratte e non vincolanti; 4. La non vincolatività e il sindacato giurisdizionale.

 

 

 

  1. Consob fonte e Consob formante: il potere normativo multiforme dell’Autorità di vigilanza.

Il potere normativo della CONSOB è multiforme e, in quanto tale, non si presta a considerazioni complessive che non siano eccessivamente generiche.

La partecipazione della CONSOB al rule making si esprime con modalità diverse, in relazione alle quali è possibile operare una summa divisio: esistono, infatti, occasioni nelle quali la Commissione realizza manifestazioni decisionali formali, vincolate e vincolanti, assurgendo al ruolo di vera e propria fonte del diritto, ed occasioni in cui, viceversa, essa è semplicemente una formante del diritto, senza tuttavia essere fonte[1].

Il primo blocco di attribuzioni è particolarmente incisivo. E’ evidente, infatti, che lo strumento mediante il quale l’Autorità di vigilanza sui mercati finanziari risulta essere maggiormente pregnante è costituito dall’attività propriamente normativa e, dunque, vincolante.

In questo caso la CONSOB è fonte nel senso tradizionale, ruolo che assolve principalmente mediante l’attività regolamentare, sebbene non manchino norme prodotte da comunicazioni non meramente persuasive.

All’interno della potestà regolamentare, poi, va distinta la normazione di auto-organizzazione – la quale è pur sempre fonte del diritto, nonostante lo scetticismo di qualche autore – e quella, oggetto principalmente del d.lgs. 58/1998 (di seguito TUF), destinata a disciplinare i rapporti esterni.

Taluni autorevoli esponenti della dottrina, confondendo essere e dover essere, hanno ritenuto che la differente procedura di adozione dei regolamenti interni – che, a differenza di quelli esterni, presuppongono il controllo di legittimità ed il visto di esecutività del Presidente del Consiglio dei Ministri – sia espressione di una duplicità di natura della CONSOB. La Commissione, insomma, sarebbe Autorità indipendente dal Governo quando veste i panni del “regolatore” dei mercati e, viceversa, semplice ente reggente dell’ordinamento sezionale di Borsa quando viene in rilievo come “regolamentatore” dell’apparato organizzativo di cui è parte integrante[2].  Ancorché erronea, tale bipartizione è comunque utile per evidenziare la spiccata importanza che rivestono i regolamenti funzionali a disciplinare i rapporti interprivati e, dunque, a limitare diritti e libertà di imprese ed altri operatori economici.

Il secondo blocco di attribuzioni è altrettanto eterogeneo.

Esistono casi in cui, infatti, la CONSOB è formante del diritto in quanto contribuisce solo indirettamente alla creazione di disposizioni che sono pur sempre scaturigine di norme. Sono i casi nei quali la CONSOB, che solitamente è organismo deputato a tirare le somme dalla consultazione dei soggetti interessati, è invece essa stessa consulente e, dunque, soggetto incaricato di svolgere una funzione propulsiva e propositiva della normazione di altri soggetti istituzionali[3].

A sua volta, vanno distinte le occasioni in cui tale ruolo è svolto a livello comunitario – è il caso della partecipazione, mediante il CESR, alla procedura di Lamfalussy – e quelle – audizioni, interrogazioni, relazioni – nelle quali invece la CONSOB offre al Parlamento ed al Governo input per modificazioni della normativa. La Commissione in questo caso contribuisce, sebbene in un ruolo defilato, alla produzione di norme primarie, che a sua volta possono inerire alla propria organizzazione ovvero ai rapporti esterni: ruolo che le è assegnato in virtù del patrimonio conoscitivo di cui dispone e della rilevanza dell’enforcement delle norme nel settore dei mercati finanziari[4].

Patrimonio conoscitivo che, ancora, è considerato particolarmente utile anche nelle copiose occasioni in cui la Commissione deve essere previamente “sentita”, con parere obbligatorio e non vincolante, dal Ministero dell’economia e dalla Banca d’Italia nell’esercizio del rispettivo potere di normazione secondaria[5]

La CONSOB è, in altro senso, formante del diritto anche quando “produce” atti di persuasione morale: in questo caso essa svolge un ruolo da protagonista, e tuttavia non compie attività vincolante, bensì attività interpretativa, pur sempre capace di influenzare gli operatori economici e in qualche occasione propedeutica ad interventi precettivi. Si tratta di moduli importati da esperienze giuridiche diverse, ma che in Italia si caratterizzano ancor di più per la quasi-normatività in quanto, sebbene di natura persuasiva, tali atti sono molto spesso generali ed astratti.

L’esame di una simile prassi non può prescindere da talune considerazioni più complessive sul fenomeno della soft law.

 

 

 

 

 

  1. Gli atti di soft law tra diritto internazionale e diritto interno: espressione del capitalismo maturo o dell’economia mista?

Gli atti di soft law sono sempre più frequenti nello scenario internazionale, anche come risposta alla difficile legittimazione di molte organizzazioni che si prefiggono l’obiettivo di uniformare la regolazione[6]: basti considerare, nel settore dei mercati finanziari, gli standard di vigilanza elaborati dall’IOSCO – in particolare il documento “Objectives and principles of securities regulation” del 1998 - [7], ma anche gli atti persuasivi del Financial Stability Forum e del Joint Forum of Financial Conglomerates[8].

Il fenomeno è massiccio anche nel diritto comunitario[9] e si è affermato prepotentemente anche in quello interno, nel quale ultimo spiccano gli atti di moral suasion o dissuasion delle Autorità indipendenti. Le istruzioni della Banca d’Italia[10], i formulari dell’Autorità Garante della Concorrenza ed il Mercato[11], gli atti persuasivi dell’ISVAP sulle condizioni contrattuali[12], le risposte ai quesiti del Garante per la Protezione dei dati personali[13], gli orientamenti interpretativi della COVIP[14] costituiscono solo la punta di un iceberg  che coinvolge in modo crescente anche la Pubblica Amministrazione tradizionale. Basti considerare, a titolo meramente esemplificativo, le linee-guida in materia di adozioni, le disposizioni che elencano possibili “figure sintomatiche” di violazioni di norme prescrittive, le fonti di cognizione concernenti prassi consolidate, le Carte dei servizi delle ASL: tutte espressioni di droit prétorien,  in taluni casi suscettibili di creare aspettative legittime. Diversa e più pregnante tipologia di diritto morbido è quella che, quantunque non vincoli il cittadino, determina su di lui un’inversione dell’onere della prova. Gli esempi più eclatanti sono rintracciabili nel diritto tributario: la risposta da parte dell’Agenzia delle Imposte all’interpello in materia elusiva e d’interposizione reale e la risposta da parte degli organi periferici al diritto d’interpello previsto dall’art. 11 della l. 212/2000 (Statuto dei Diritti del Contribuente).

 Gli atti di soft law non creano in nessun caso norme – nell’accezione di regole vincolanti, di diritto solido esplicitato mediante la formula del command and control[15] -, ma risulta evidente come i loro “prodotti” non siano privi di efficacia giuridica, incorporando sollecitazioni provenienti da soggetti particolarmente qualificati. Per l’assenza di prescrittività, non sono fonti del diritto stricto sensu[16]: tuttavia il sistema dell’efficacia giuridica non può considerarsi adiaforo rispetto a questo nuovo modo di rule making.

Considerazioni, queste, che spingono la migliore dottrina a considerare tali atti come delle “fonti terziarie”, in virtù dell’intento normativo che contraddistingue molti di essi, finalizzato proprio a condizionare i contegni dei destinatari[17]: non sono mancati, d’altra parte, tentativi di sostituire alla nozione tradizionale di sistema delle fonti quella più vasta e duttile di “spazio regolatorio”, attesa l’irruzione imponente di formanti del diritto nel panorama giuridico italiano[18].

 Risulta evidente, infatti, che esortazioni, consigli, ammonimenti, ancorché non coercitivi, indicano ciò che è ritenuto desiderabile o deprecabile da parte di soggetti istituzionali particolarmente autorevoli, che in quanto tali non possono non essere tenuti in debito conto dalla giurisprudenza.

Il panorama degli atti persuasivi e collaborativi, d’altra parte, è particolarmente eterogeneo: un’eterogeneità che si manifesta anche in relazione alle cause che spingono un’istituzione ad emanare atti di “diritto morbido”, anziché disposizioni da cui si traggano diritti pienamente giustiziabili. Nella maggior parte dei casi, l’atto di persuasione morale è un “ripiego” obbligato per l’istituzione, che avrebbe desiderato emanare un atto vincolante, ma risulta priva di tale potere. Non mancano casi in cui, tuttavia, l’atto di soft law  costituisce una scorciatoia volta ad indicare una modalità per colmare una lacuna o serve ad anticipare un successivo atto vincolante, ovvero casi nei quali l’atto persuasivo è frutto di una scelta meditata volta a non irrigidire eccessivamente una materia.

Un dato è certo. La soft law rappresenta un grimaldello per introdurre discipline particolarmente efficaci e flessibili, in grado di parametrarsi in maniera duttile alle fattispecie concrete, nonché uno strumento utile  per colmare vuoti di legittimazione e per rispondere celermente ad una realtà in perenne evoluzione, che il regolatore fatica ad inseguire utilizzando le consuete, formalistiche procedure. L’altra faccia della medaglia è costituita, nel più classico dei trade off, da un difetto di certezza del diritto, che si sconta fisiologicamente allorché si rinuncia ad atti dotati d’imperatività e, in quanto tali, pienamente giustiziabili.  

Di qui le valutazioni discordanti circa l’utilità di tali atti e, soprattutto, circa la loro compatibilità con un sistema di capitalismo maturo.

La dottrina maggioritaria sostiene la coerenza di tali formanti del diritto con l’economia di mercato, in quanto essi s’inseriscono nel più vasto genus della soft reguation, che comprende anche l’utilizzo delle clausole elastiche e la normazione per principi[19]. In modo conforme a tali modelli, l’uso di atti solo persuasivi consente di non sacrificare, sull’altare della generalità e dell’astrattezza, fattispecie concrete ultronee rispetto alla ratio legis. Ne consegue che le clausole elastiche, ad esempio la buona fede, e la non vincolatività dei suggerimenti consentono, in forme diverse, la non applicazione di una regola ad un fatto, allorché non c’è ragione di esporre tale fatto alla disciplina eteronoma. La soft law, insomma, sarebbe coerente con il principio di proporzionalità, o di sussidiarietà orizzontale, e a testimonianza di ciò si adduce l’esplosione di tale fenomeno proprio in settori sensibili nei quali più pressante è l’esigenza di evitare approcci dirigisti da parte dello Stato-persona. La teoria, inoltre, sarebbe ulteriormente confermata dal fatto che le Autorità nazionali hanno importato tali moduli da esperienze sedimentatesi proprio in Paesi  fondati sul libero mercato: la vasta congerie di atti di moral suasion, caratterizzati da un grado di persuasività differenziata, adottati dalla SEC (Securities and Exchange Commission), l’Autorità statunitense di vigilanza sui mercati finanziari, rappresenta a tale riguardo il paradigma dell’importanza del diritto morbido nel diritto vivente nordamericano[20].

Altra dottrina, invece, critica l’utilizzo degli atti collaborativi di suggerimento con diversi rilievi, tra cui la difficile azionabilità e l’informalità che, lungi dal costituire espressione di agilità, tralignerebbe in assenza di procedimenti e, dunque, di garanzie. Risposte a quesiti e raccomandazioni, inoltre, si contrapporrebbero al principio di trasparenza ed alla policy volta a ridurre le asimmetrie informative, caratterizzandosi viceversa per una perniciosa opacità. Procedure oscure e assenza di garanzie, inoltre, costituirebbero una miscela esclusiva tale da rendere le istituzioni vulnerabili alle strumentalizzazioni operate dalle controparti che vantano maggiore forza contrattuale[21].

La moral suasion, insomma, sarebbe ontologicamente inconciliabile con un’economia a capitalismo compiuto[22]: la vasta diffusione di tale modello nella law in action anglosassone e nordamericana, invece, si giustificherebbe con l’aderenza al sistema di common law, nel quale la giurisprudenza è tendenzialmente riconosciuta come fonte del diritto.

Con il “trapianto” degli atti di persuasione morale anche nel diritto italiano,  la giurisprudenza tende ad assumere un ruolo sempre maggiore  nella formulazione della “regola del caso”, decidendo discrezionalmente sul peso da attribuire nella fattispecie concreta ad una “quasi-norma” come l’atto di soft law. Ciò che, in un sistema di civil law, potrebbe accentuare i problemi di disparità connessi al sacrificio della certezza del diritto.

E se va rimarcato che proprio la giurisprudenza, sebbene una giurisprudenza sui generis come quella della Corte Costituzionale, ha generato delle sentenze con un contenuto molto simile agli atti di soft law - le sentenze-monito[23] -, occorrerebbe anche approfondire il problema del sindacato giurisdizionale.

Essendo quello degli atti di “diritto morbido” un universo così articolato, non si può tuttavia dare una risposta univoca circa la necessità che essi seguano procedure tassative e circa la loro impugnabilità.                                 

 

 

  1. Gli atti di persuasione morale della CONSOB: le risposte ai quesiti e le comunicazioni generali, astratte e non vincolanti.

In una panoramica minimamente approfondita delle manifestazioni del potere normativo della CONSOB, non può mancare un  richiamo agli atti di moral suasion e dissuasion predisposti dalla medesima Commissione.

Si tratta di atti persuasivi di tipo interpretativo che hanno assunto nella prassi dell’Autorità di vigilanza una straordinaria rilevanza. La CONSOB – anche a prescindere da una previa delega legislativa - emana infatti disposizioni non regolamentari, prive di autoritatività e sanzionabilità, volte ad orientare i contegni degli operatori. Atti di soft law, dunque, che non possono essere definiti fonti del diritto nel senso tradizionale, ma che sul piano dell’effettività condizionano i comportamenti  e che di fatto incidono nella sfera giuridica dei soggetti operanti sul mercato[24]: si tratta, talvolta, di atti di indirizzo, che tendono a persuadere, e la cui efficacia pratica è correlata alla ragionevolezza del suggerimento[25].

Tali effetti sono assunti in correlazione direttamente proporzionale all’immagine di autorevolezza della CONSOB come percepita dagli operatori, nonché all’idoneità di tali deliberazioni ad assurgere a precedenti, quantomeno persuasivi, nei confronti della Commissione medesima. E’ proprio la capacità di condizionare di fatto le dinamiche – senza cioè che lo Schuld sia accompagnato dall’Haftung -, che consente a simili manifestazioni di rifuggire dalla tassonomia tradizionale.

Si tratta di atti chiarificatori[26] ed esortativi che, in quanto non muniti di prescrittività, non sono scaturigine di norme nel senso tradizionale: eppure, anche a prescindere dalla loro idoneità ad incidere sui comportamenti, molti autori evidenziano come in alcune occasioni si tratti di attività creativa, tanto che “il contenuto interpretativo trascolora spesso in un vero e proprio contenuto normativo”[27].

E se la più recente giurisprudenza tende ad equipararli, seppure con qualche distinguo, agli atti amministrativi[28], la dottrina evidenzia la natura ontologicamente nomofilattica di tali manifestazioni, al punto da parlare di “giurisprudenza interpretativa”[29] e di “droit prétorien[30].

L’insucettibilità ad essere ricondotti alle forme tradizionali di esercizio del potere[31], d’altra parte, è condizionata anche dall’eterogeneità degli atti di moral suasion. A parte le determinazioni manifestate mediante la partecipazione ai convegni e la pubblicazione di brochure, studi, analisi, articoli documentati, comunicati-stampa[32],  due sono gli strumenti con cui la CONSOB esercita il suo potere “commendatorio”:  le risposte ai singoli quesiti e le comunicazioni[33]. Non si ritiene, invece,  che  atto di soft law sia la raccomandazione di principi e criteri della revisione contabile emanata, previo parere del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e del Consiglio nazionale dei ragionieri, ex art. 162 del TUF[34].

Le risposte ai quesiti sono responsi a domande poste direttamente – o in loro nome e per loro conto – dagli operatori del mercato, in merito a fattispecie non del tutto ipotetiche, mediante le quali gli uffici della Commissione espongono i propri orientamenti: esse costituiscono la più fedele riproduzione delle no-action letters e degli staff legal bullettins della SEC,  s’ispirano parzialmente anche ai rescrits della COB[35] e, pur essendo inerenti a questioni specifiche, assumono mediante la pubblicazione, che in Italia avviene in forma anonima,  una capacità persuasiva che esplica i propri effetti ben al di là del caso singolo.

Ben più pregnanti sono, tuttavia, le “comunicazioni” di soft law, che definiscono indirizzi interpretativi ed elaborano moniti di contenuto complessivo, quantunque non lesinino talvolta di produrre accenni a casi singoli: si tratta di uno strumento tipicamente italiano, che coinvolge le associazioni di categoria e pone intriganti interrogativi circa la collocazione nel panorama delle formanti. Le comunicazioni italiane, rispetto agli omologhi atti delle Autorità di altri Paesi, si caratterizzano da una parte per una più spiccata quasi-normatività, essendo generali ed astratte, dall’altra per una minore attitudine normativa, non vincolando neanche la CONSOB in merito alla proposizione o alla comminazione di sanzioni amministrative.

Va segnalato, tuttavia, che non tutte le “comunicazioni” della CONSOB sono atti interpretativi o di moral suasion, essendo utilizzato tale modello di deliberazione anche per atti deliberatamente vincolanti[36]: occorrerebbe, onde generare chiarezza in un campo che già di per sé si presenta magmatico, modificare quantomeno la nomenklatura, distinguendo le comunicazioni che sono fonte del diritto non regolamentare da quelle meramente persuasive.

In ogni caso, queste ultime costituiscono espressione di un potere che - a differenza dei rescrits utilizzati in passato dalla COB - non è preventivamente procedimentalizzato, bensì si caratterizza per un’intrinseca asistematicità: né può dirsi che incidono sulla struttura fondamentalmente libera di tali atti quelle guide-lines, come la comunicazione n. DIS/97012083/1997, con cui timidamente la CONSOB stessa inizia ad irrigimentare  la propria attività di soft law, sul modello degli  interpretative releases  adottati  dalla SEC[37].

Le comunicazioni, ancora, sono deliberate generalmente dal collegio, e non dagli uffici, come d’altra parte accade per i regolamenti: la natura generale ed astratta le rende molto più assimilabili agli atti normativi rispetto alle no-action letters statunitensi, le quali non solo costituiscono risposte ai quesiti, ma – a differenza degli omologhi atti italiani e conformemente alle sentenze giurisprudenziali – richiedono necessariamente l’intervento di un avvocato difensore[38].

Gli orientamenti e le massime della CONSOB, inoltre, sono pubblicati nel bollettino mensile e, nel caso in cui siano particolarmente rilevanti, anche nella newsletter e nel sito della Commissione, dove opportunamente costituiscono, assieme alla voce “normazione”, una species nel genus della “regolamentazione”.

Inoltre, come si è già evidenziato, si tratta di atti non solo non vincolanti, ma altresì tendenzialmente non vincolati al rispetto di una precisa formula, sia essa di origine legislativa ovvero regolamentare. Ciò costituisce una novità rispetto al passato, quando l’iter delle deliberazioni commendatorie della CONSOB era rigidamente disciplinato dall’art. 24 del regolamento di organizzazione interna deliberato il 10 ottobre 1986[39]. Una soluzione insoddisfacente, scartata già nel 1994 in Italia e che nel 2004 - con l’entrata a pieno regime dell’attività dell’Autorité des Marchés Financiers -  sembra essere stata abbandonata anche in Francia, dove precedentemente i rescrits della COB erano assoggettati a formalistiche procedure dettate dal regolamento 1990/07[40]. Perfino le deliberazioni della CONSOB emanate sulla base del regolamento del 1986, tuttavia, adottavano la via italiana dell’atto non vincolante, ma generale ed astratto: ecco perché si assegnava a chiunque, differentemente da ciò che accedeva Oltralpe, la legittimazione a sollecitare la CONSOB e si prevedeva la pubblicazione di tali deliberazioni addirittura in Gazzetta Ufficiale.

Tre sono i motivi fondamentali per cui la CONSOB, al pari di ogni soggetto istituzionali, può preferire una comunicazione persuasiva ad un atto vincolante: la necessità di verificare sul campo l’opportunità di una regola prima di renderla precettiva, considerazione evidente nelle ipotesi di atti di soft law che si sono rivelate antesignane della deliberazione di omologhi regolamenti[41]; la scelta di preferire celerità e flessibilità alla certezza del diritto, valore che d’altra parte non sempre risulta compromesso; la mancanza di un rinvio legislativo al potere normativo, e dunque l’affermazione della moral suasion come scelta di second best.

La dottrina, tuttavia, si divide sulla legittimità della prassi dell’adozione di comunicazioni come grimaldello con cui la CONSOB partecipa alla creazione del diritto anche in materie nelle quali essa è priva di attribuzioni di potere normativo.

Taluni autori ritengono tale prassi coerente con la funzione della soft law e con la sua natura non tipicamente normativa, espressione di un potere implicito che estende il suo raggio a tutto il settore latamente di competenza dell’Autorità; altri autori, viceversa, negano la legittimità di un atto di moral suasion in assenza di una specifica delega al potere regolamentare della Commissione.

Ancora differente è la posizione di coloro i quali ritengono che vi debba essere una relazione chiara con le attività istituzionali della Commissione, ma anche che la questione possa attivare, se irrisolta, i suoi poteri interdettivi o sanzionatori, e dunque innescare un rapporto verticale tra Autorità ed operatori: in mancanza di poteri di divieto, di proposta o di comminazione di sanzioni, invece, le risposte a quesiti – e non anche le comunicazioni - sarebbero legittime solo se se le parti – come in un arbitrato preventivo – s’impegnassero ad uniformarsi al responso della Commissione[42].

 

 

  1. La non vincolatività e il sindacato giurisdizionale.

La generalità e l’astrattezza incidono considerevolmente sugli effetti prodotti dalle comunicazioni.

Tali atti non vincolano gli operatori, per quanto di fatto riescano ad orientarne efficacemente i comportamenti, né precludono la loro possibilità di adire la giustizia ordinaria.

Non solo: essi costituiscono un precedente solamente persuasivo anche per la stessa Commissione, che non è tenuta obbligatoriamente a conformarsi ai suoi precedenti orientamenti, come dimostra qualche sporadico revirement della CONSOB. Anche in questo caso, tuttavia, nella sostanza le comunicazioni – ma anche le risposte ai quesiti – assumono una funzione nomofilattica e probabilmente, anche nella forma, si presentano come fortemente persuasive, richiedendo eventuali mutamenti un’apposita motivazione.

Il carattere non specifico delle comunicazioni, inoltre, non preclude alla CONSOB di poter proporre sanzioni o di rivolgersi alla Magistratura in casi singoli pur caratterizzati dall’ottemperanza all’ammonimento contenuto nei suoi atti di soft law: un’altra volta, tuttavia, si tratta di casi più unici che rari, perché la Commissione si guarda bene dal compromettere prestigio e ragionevolezza e dal rischiare di incorrere in responsabilità per l’affidamento creato.

Simili atti di moral suasion, ancora, non costituiscono diritto oggettivo per il Ministero dell’Economia e, sebbene sporadiche, non sono mancate occasioni in cui il dicastero ha comminato sanzioni amministrative, ad onta del parere contrario della CONSOB fondato sul rispetto dei suoi suggerimenti[43]: il problema, tuttavia, dovrebbe sgonfiarsi con il progettato potenziamento del potere sanzionatorio della Commissione stessa.

La vera vexata quaestio, tuttavia, consiste nell’ammissibilità del sindacato giurisdizionale sugli atti di moral suasion della CONSOB[44].

Se non sono mancate aperture dottrinarie a favore di un controllo giurisprudenziale su determinati tipi di risposte ai quesiti[45], nel caso in cui questi siano potenzialmente lesivi di situazioni giuridiche soggettive, gli autori hanno storicamente ritenuto incompatibile un simile sindacato sulle comunicazioni in assenza di atti puntuali che ne costituiscano espressione[46].  Nello stesso senso si muove un recente disegno di legge, l’atto della Camera 4639/2004, che – coerentemente con un approccio fondato su un’accountability diffusa e su un sindacato blando da parte della Magistratura – nega a priori il controllo giurisprudenziale sugli atti di soft law di CONSOB e Banca d’Italia[47].

 La giurisprudenza, viceversa, va maturando un orientamento differente: la possibilità di adire i tribunali contro le comunicazioni sarebbe giustificata dal rispetto dell’art. 113 della Cost., dalla riconduzione del potere della CONSOB al suo ruolo istituzionale di diritto pubblico e dall’individuazione della delega in rinvii amplissimi come quelli presenti agli artt. 6, 74 e 91 del TUF[48]. Il Consiglio di Stato, inoltre, è supportato nel suo atteggiamento dal pericolo che si affermi l’aporia risultante dal famoso caso americano New York Employees vs. SEC del 1995: vale a dire dal rischio che l’astratta affermazione della prevalenza delle norme sugli atti di moral suasion sia, paradossalmente, compromessa proprio dalla inimpugnabilità di questi ultimi[49].

Se dovesse affermarsi l’orientamento favorevole al sindacato, inoltre, si discute sul riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in ordine al controllo sulle comunicazioni[50].

Indipendentemente da tale riparto, tuttavia, un dato è certo: gli atti di soft law non vincolerebbero il giudice. Perfino in questo caso, tuttavia, non si potrebbe disconoscere l’affidamento generato da simili deliberazioni, ad esempio nella valutazione della buona fede.

 


 

[1] Sull’eterogeneità delle forme di manifestazione della funzione normativa, abbondantemente, ha scritto N. MARZONA, Il potere normativo delle Autorità indipendenti, in I garanti delle regole, Bologna, 1996, p. 87.

[2] Così, tra gli altri, A. PREDIERI - La posizione istituzionale della CONSOB nell’apparato amministrativo, in CONSOB. L’istituzione e la legge penale, Milano, 1987, a cura di G.M. FLICK, p. 214 -  sottolinea come – almeno originariamente – la CONSOB costituiva l’anello strutturale di congiunzione tra queste due anime. La tesi è ancora oggi sostenuta proprio sul presupposto del diverso regime di controllo presente per gli atti interni rispetto a quelli esterni. Lo ricordano anche F. CAPRIGLIONE e G. MONTEDORO, Società e borsa (CONSOB), Enciclopedia del Dir. Aggiorn. VI,, p. 1034, allorché affermano che “si è anche rilevato che nella distinzione fra regolamentazione e regolazione troverebbe una conferma la distinzione fra i due modelli di base della CONSOB: quello dell’ordinamento sezionale…e quello di un ente amministrativo non dipendente dal Governo”.

[3] E’ la tesi di E. CARDI e P. VALENTINO, L’istituzione CONSOB. Funzioni e struttura, in Mercati Finanziari, testi e materiali a cura di M. BESSONE,  p. 43, secondo cui “accanto alla funzione normativa principale…ve n’è un’altra:…ci si intende riferire a quell’attività, propositiva o consultiva, assegnata alla Commissione all’interno di momenti normativi attribuiti ad altre strutture”.

[4] L’importanza che rivestono i problemi applicativi della fase esecutiva è evidenziata da N. MARZONA, Il potere normativo delle Autorità indipendenti, cit, p. 87

[5] Sulla rilevanza di queste previsioni, A. SEGNI, I mercati e i valori mobiliari, in Trattato di Dir. Amm., a cura di S. CASSESE, Milano, 2003, p. 2981. I regolamenti di cui all’art. 6 del TUF sono emanati dalla Banca d’Italia solo dopo aver sentito la CONSOB: si tratta di regolamenti dal contenuto vario, dall’adeguatezza patrimoniale ai controlli interni, dalle modalità di deposito ai criteri e i divieti dell’attività d’investimento degli OICR, dalle norme di contenimento del rischio ai criteri per valutare i beni in cui è investito il patrimonio. La Banca Centrale deve tener conto della consultazione della CONSOB nei regolamenti previsti all’art. 11 (disposizioni per l’individuazione del gruppo) e all’art. 26 (disposizioni sul mutuo riconoscimento e sulle attività non ammesse allo stesso da parte di società italiane). Anche il Ministero dell’Economia deve sentire Banca d’Italia e CONSOB nell’esercizio del potere regolamentare, ad esempio in materia di requisiti di onorabilità,  professionalità e indipendenza o di individuazione di nuovi strumenti e servizi e di attuazione e di integrazione delle riserve di attività.

[6] Diversi sono gli effetti che scaturiscono dagli atti di soft law del diritto internazionale: al normale contenuto di indicazione o di ammonimento, infatti, può aggiungersi l’effetto di liceità, vale a dire la sicurezza di non commettere illecito nei confronti di altri Stati membri dell’organizzazione per lo Stato che si conforma ad un’indicazione. Effetto di liceità che, per B. CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli, 2002, p. 178, sussiste nei rari casi in cui c’è un organo che giudica sulla legittimità dell’atto di soft law, oltre che nei confronti degli Stati che hanno votato favorevolmente all’adozione dello stesso atto.

[7] L’IOSCO, International Organisation of Securities Commissions, è un’associazione internazionale che riunisce centottantuno Autorità di vigilanza sui mercati mobiliari istituita nel 1983: oltre a promuovere lo scambio di informazioni e il coordinamento internazionale, realizza memorandum d’intesa e pubblica parametri di vigilanza non vincolanti. Rilevante è  il documento “Objectives and principles of securities regulation” del 1998, commentato da C. BIANCHIERI, in Banca Imp. Soc., 1999, p. 161, il quale definisce tale atto come “una carta costituzionale dei mercati mobiliari”. Si tratta di trenta principi che afferiscono anche al ruolo delle Autorità, all’esercizio del rule making e agli organismi di auto-regolazione. Sostiene l’Autore che “sebbene gli atti della IOSCO non siano dal punto di vista formale atti giuridicamente vincolanti, gli aderenti si sono impegnati a rispettarli e ad adoperarsi ove non dispongano dei necessari poteri a richiedere modifiche legislative” affinché i rispettivi Stati vi si conformino. In effetti tali principi sono divenuti dei benchmark per le organizzazioni internazionali, tanto che nel 2003 è stata approvata la “IOSCO Assessment Methodology”, volta ad implementare il numero dei principi e la loro applicazione. Vanno considerati, inoltre, i principi su analisti finanziari ed agenzie di rating, fatti propri dal CESR.

[8][8] Sono sempre più rilevanti gli standard operativi internazionali di regolazione e di vigilanza predisposti dai Comitati che riuniscono le Autorità tecniche di differenti Paesi. Si tratta di organismi internazionali sorti sulla base di accordi stipulati tra le istituzioni nazionali competenti in materia e che emanano best practises nella maggior parte dei casi non vincolanti. L’IOSCO è un componente del Financial Stability Forum, un forum istituito nel 1999 in esito al cosiddetto Tietmeyer Report che riunisce numerose istituzioni nazionali ed internazionali competenti, promuove la cooperazione nella vigilanza ed emana atti di persuasione morale rivolti ai regolatori nazionali.  Standard di vigilanza sono emanati anche  dal BIS, Bank of International Settlements, in relazione al settore bancario, e dall’IAIS, International Association of Insurance Supervisors, nel campo assicurativo: quest’ultima organizzazione, assieme all’IOSCO e al Basel Comittee, è parte integrante del  Joint Forum on Financial Conglomerates. Il BIS, inoltre, ha contribuito alla costituzione dell’FSI, Financial Stability Institute, e del CGFS, Committee on the Global Financial System, anch’essi deputati a promuovere la cooperazione e ad emanare atti di soft law. Si tratta di una fenomenologia molto interessante, anche perché le Autorità di vigilanza s’impegnano nel trasporre all’interno gli standard pattuiti: essa involge problemi non ancora approfonditi dalla dottrina, quali la natura giuridica di tali standard, la personalità giuridica di diritto internazionale delle Autorità di vigilanza, le possibili antinomie con le regole dei legislatori nazionali e delle Autorità medesime, gli eventuali profili di responsabilità..

[9] Il panorama degli atti di soft law è davvero multiforme ed insuscettibile di un’elencazione completa: si va da pareri e raccomandazioni, elencati dall’art. 249 del Trattato delle Comunità Europee come principali atti di diritto morbido, ad una “vegetazione” impressionante di altri atti quasi-normativi, a volte legittimati dai Trattati e altre volte sviluppatisi nella prassi,  a volte formati dalle istituzioni principali ed altre volte da quel coacervo proteiforme di “comitati” con cui si manifesta l’Unione Europea. I pareri – interpretativi - le raccomandazioni –esortative - possono essere adottati in determinate materie da tutte le principali istituzioni comunitarie: come ricorda F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo,Tomo I, p. 29, Milano, 2004, la Corte di Giustizia della Comunità Europea ha rilevato – nella cd. Sentenza GRIMALDI, 13 dicembre 1998 – che “i giudici nazionali sono tenuti a prendere in considerazione le raccomandazioni ai fini della risoluzione di controversie loro sottoposte”. Talvolta tali atti assumono valenza propedeutica rispetto a deliberazioni  vincolanti, anche  nel caso in cui atti di soft law siano stati emanati proprio  in virtù dell’impossibilità da parte della Comunità di dettare regole precettive. In questi ultimi casi, la Comunità - riscontrato l’ostracismo dei destinatari e la necessità di un’azione rispetto ai suoi scopi – può infatti ricorrere alla norma di chiusura presente all’art. 308 del Trattato della Comunità e “risucchiare” competenze non attribuitele a priori dal Trattato. Una disposizione interpretata da una parte della dottrina perfino come l’affermazione in nuce della kompetenz kompetenz e, dunque, del valore costituzionale del Trattato della Comunità Europea. Esempi di soft law che “si indurisce”, diventando successivamente vincolante, esistono anche ad un livello gerarchicamente sovraordinato: basti solo pensare alla cosiddetta Carta di Nizza e alla valenza del suo possibile inserimento nel futuro Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa o alla regola de minimis circa i massimali oltre i quali sono proibiti gli aiuti di Stato. Sono davvero molteplici gli atti della Comunità Europee: le risoluzioni del Consiglio; le dichiarazioni comuni di Parlamento, Consiglio e Commissione; le opinioni di Consiglio e Commissione; i programmi, i comunicati, i memorandum di molte istituzioni. E ancora: le comunicazioni informative, interpretative e talvolta decisorie della Commissione; le decisioni del Comitato sull’Iva, le cui interpretazioni hanno solo valenza di pressione politica;  i pareri e le raccomandazioni affidati dall’art. 110 del Trattato comunitario alla Banca Centrale Europea in materia di politica monetaria; i libri verdi della Commissione; i codici di condotta..

[10] S. NICODEMO, Gli atti normativi delle Autorità indipendenti, Padova, 2000, p. 141 e  M.CLARICH, Per uno studio sui poteri normativi della Banca d’Italia, in Riv. Impr. Soc. 2003, p. 47 evidenziano la portata dell’intensa attività di moral suasion della Banca d’Italia: l’art. 4, primo comma, del Testo Unico Bancario distingue i regolamenti, da emanarsi nei casi previsti dalla legge, e le istruzioni, generalmente funzionali ad interpretare ed individuare la normazione vigente, ma all’interno delle quali – così come per le comunicazioni della CONSOB – sono presenti anche atti sostanzialmente regolamentari. Viceversa, le risposte ai quesiti della Banca d’Italia non sono pubblicate, per cui si tratta di atti persuasivi minor generis.

[11] L’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato – benché dotata di poteri di accertamento della liceità e della illiceità dei fatti, piuttosto che di poteri normativi – dispone del potere di emanare atti di persuasione morale, in particolare i  formulari previsti con il d.P.R. 461/199, come sostituito con il d.P.R. 217/1998. Tali formulari – non vincolanti, ma vincolati - hanno costituito il grimaldello con cui l’Autorità antitrust ha sopperito proprio all’assenza del potere di emanare atti generali, astratti e vincolanti: non a caso talvolta l’Autorità ha preferito i formulari all’altro strumento mediante il quale essa  è indirettamente partecipe del potere normativo. Il riferimento è all’art. 21 della l. 287/1990, in virtù del quale segnala a Parlamento, Governo ed altri decisori le correzioni da apportare a provvedimenti normativi vigenti o in corso di formazione suscettibili di restringere la concorrenza; nonché all’art. 22 della stessa legge, in virtù del quale detta pareri sulle iniziative legislative e regolamentari altrui. Atto d’indirizzo dell’Autorità antitrust è anche lo schema di segnalazione di presunta ingannevolezza di un messaggio pubblicitario o illiceità di una pubblicità comparativa, emanato per interpretare il dPR 284/2003.

[12] Un vasto utilizzo di atti di suggerimento, soprattutto in materia di clausole vessatorie nei contratti standard, è stato infatti effettuato dall’ISVAP mediante circolari: si è trattata di una scelta di second best, non essendo dotato l’Istituto di attribuzioni specifiche di potere normativo in tale settore.  

[13] Il Garante per la Privacy emana pareri, pronunce, risposte ai quesiti: un’ennesima riprova della suscettibilità degli atti di soft law a costituire la prima tappa nella prospettiva dell’adozione successiva di atti vincolati è data, a tale riguardo, dal d.lgs. 196/2003, che ha sistematizzato e recepito a livello di fonte primaria talune regole in passato suggerite dall’Autorità Garante. 

[14] La deliberazione COVIP del 16 settembre 1997 costituisce l’esempio più eclatante di atto di moral suasion della Commissione , in quanto stabilisce gli orientamenti interpretativi in materia di regolamenti dei fondi pensione in regime di contribuzione definita, dichiaratamente “allo scopo di dare all’attività di valutazione dei regolamenti celerità e uniformità”. Più di recente, va segnalato il documento del 4 settembre 2001 denominato “orientamenti interpretativi sul vincolo di destinazione del TFR a previdenza complementare ai fini della deducibilità dei contributi”. Orientamenti interpretativi, linee giuda, indirizzi sono pubblicati sul bollettino della COVIP, che tuttavia svolge attività di persuasione morale anche quando sviluppa relazioni con le formazioni sociali, con le associazioni dei consumatori, con le associazioni rappresentative dei fondi-pensione.

[15] A. LA SPINA e G. MAJONE, Lo Stato regolatore, Bologna, 2000, p. 86

[16] G. VISENTINI, Lezioni di teoria generale del diritto, Padova, 2000, pp. 34-35, il quale sostiene che “carattere del diritto è la giuridica sanzionabilità delle norme”, in quanto “la norma è di diritto se sul suo presupposto può essere discussa la rilevanza giuridica di un comportamento umano: o in quanto comportamento illecito, che rende passibile di pena l’agente; o in quanto comunque comportamento assunto produttivo di effetti giuridici”.

[17] A. LA SPINA e G. MAJONE, Lo Stato regolatore, p. 87

[18] M. CLARICH, Per uno studio sui poteri normativi della Banca d’Italia, cit, p. 88, segnala l’opportunità di un esame fondato sull’effettività e sull’induzione alla conformazione, preferendo alla nozione di sistematica delle fonti quella statunitense di regulatory space, idonea a contemperare anche i rapporti informali.

[19] La soft law sarebbe una delle molteplici espressioni della soft regulation, intendendosi per tale l’atteggiamento dell’ordinamento a non regolare intrusivamente e nel dettaglio: atteggiamento importato dagli Stati Uniti e che va nel segno della “privatizzazione” del sistema, perché consente che la regola sia plasmata anche in relazione alle esigenze del caso concreto. Tutte le espressioni di questa tendenza – dal patteggiamento all’accordo di volontà tra il Fisco inglese e lo straniero, dalle clausole elastiche al ricorso ai principi – consentono, da una parte, di recuperare efficienza, evitando che una norma per essere generale e astratta “fulmini” anche comportamenti considerati legittimi ex post; dall’altra, ripropongono con forza il problema della creatività della giurisprudenza e delle disparità di trattamento.

[20] Una panoramica dell’eterogenea congerie degli atti della SEC è offerta da L. D. SODERQUIST e T. A. GABALDON, Securities Law, NEW YORK, 2003. L’autorità nordamericana fa un largo uso di atti di moral suasion: delle interpretative letters e delle no-action letters - con cui le Divisioni forniscono raccomandazioni in merito alla legittimità delle soluzioni proposte dagli avvocati degli operatori del mercato - si riferirà successivamente, mediante il parallelismo con le risposte ai quesiti e con le comunicazioni della CONSOB. Merita ricordare, tuttavia, che il panorama degli atti di moral suasion della SEC è più complesso: in alcuni settori la divisione della Corporation Finance pubblica gli staff legal bullettins, definiti super no-action letters, mentre formante del diritto sono anche le “interpretazioni telefoniche” fornite in maniera informale dalla stessa Divisione, tanto che la SEC ha pubblicato finanche un manuale di raccolta di tali risposte telefoniche. Atti quasi-normativi di ben altra importanza, invece, sono le policy and interpretative releases, con cui la Commissione statunitense annuncia indirizzi politici e soluzioni ermeneutiche circa gli Statuti o circa i propri atti normativi ovvero stabilisce procedure per l’emanazione delle proprie pronunce: l’effetto pratico è tale per cui, secondo SODERQUIST e GABALDON, “a litigator…must consider them not far below the rules in the real-world hierarchy of securities regulation”. Funzione nomofilattica e in qualche modo normativa assumono anche gli atti di aggiudicazione della SEC – espressione di una quasijudicial capacity, emanati dai Commissari e suscettibili di impugnazione presso le Corti d’Appello -, ma effetto pratico assumono perfino prese di posizione e comportamenti non ufficiali della Commissione, che la dottrina nordamericana usa definire lore.

[21] Critica la moral suasion con questi ed altri argomenti G. VISENTINI, La legalità nell’organizzazione dell’economia, Milano, 1995. In particolare, VISENTINI sostiene che il destinatario del suggerimento potrebbe “servirsi dello stesso strumento invertendone la direzione, confidando su situazioni di fatto informali”, come le sue dimensioni, l’accordo con altri destinatari, “la naturale vicinanza a sensibilità politiche”.

[22] G. VISENTINI, Economia mista ed economia di mercato. Il caso italiano, in Bollettino semestrale Ceradi, n. 4/2001, p. 66, addirittura sottolinea l’incompatibilità tra atti di moral suasion ed economia di mercato: “la persuasione morale”, il dialogo informale, la “concertazione riservata” costituiscono “manifestazione tipica, e quindi sintomatica, dell’economia mista” e “strumento fondamentale del suo operare, …fenomeno intrinseco al suo modo di essere”.

[23] Le sentenze-monito rigettano la questione di legittimità, ma invitano il legislatore ad intervenire sulla materia in un determinato senso, prefigurando l’eventualità di una dichiarazione d’incostituzionalità nel caso in cui la normazione resti immutata. Anche gli obiter dicta possono assumere i connotati di un “diritto morbido”, intendendo per obiter dictum – secondo P. CHIASSONI, Il fascino discreto della common law, in I metodi della giustizia civile, a cura di M. BESSONE, E. SILVESTRI e M. TARUFFO, Padova, 2000, p. 9 -  “un enunciato…espressamente formulato all’interno di una sentenza, il quale risulti però del tutto irrilevante ai fini della decisione adottata”.

[24] Per apprezzare l’importanza degli atti di moral suasion della CONSOB, è sufficiente considerare l’impatto di una serie di orientamenti in materia di collocamento a distanza, attività disciplinata dall’art. 32 del TUF e dagli artt. da 71 a 77 del regolamento 11522/1998, come in parte modificato dalla delibera 13710/2002. La risposta a quesiti n. 99052838/1999 configura Internet e posta elettronica come tecnica di comunicazione a distanza. La risposta a quesiti n.  99091709/1999, ai fini di ritenere tecnica di comunicazione a distanza effettuata in Italia quella realizzata mediante Internet, stabilisce elementi di primo e di secondo livello. Tra quelli principali, la configurazione in Italia è esclusa dall’“esistenza di avvertenze esplicite che chiariscono che il contenuto del sito è diretto solo a residenti in stati diversi dell’Italia”. Ai sensi della risposta n. 99076449/1999 un sistema on-line che non offre strumenti diretti o indiretti per l’accensione di rapporti non è tecnica a distanza. La delibera DI/30396/2000, infine, ha fugato ogni residuo dubbio circa l’applicazione delle norme sull’informativa preventiva all’investitore e sulla valutazione dell’adeguatezza delle operazioni nei casi di prestazione on-line di un servizio d’investimento.

[25] Ne parlano F. PIGA e A. SEGNI, Società e Borsa (CONSOB), in Encicl. Del Dir., p.1032  affermando che si tratta di raccomandazioni non normative e non autoritative. Per F. CAPRIGLIONE e G. MONTEDORO, Società e Borsa (CONSOB), Encicl. Del Dir. Aggiorn. VI, p. 1035, sono “particolari comunicazioni, dirette ai soggetti sottoposti alla sua vigilanza, anche prive di efficacia obbligatoria, perché non previste dalla legge e sprovviste di sanzioni”: si tratterebbe di “un’intensa opera di chiarificazione ed integrazione dell’ordinamento di settore”.  E. CARDI e P. VALENTINO, L’istituzione CONSOB. Funzioni e struttura, p. 38, parlano di atti funzionali a “collegare struttura di controllo e soggetti passivi nell’esercizio delle funzioni di vigilanza”, che tuttavia a volte trasbordano in attività propriamente innovativa: i due Autori adducono, come esempio più significativo relativo alla fase antecedente al TUF, la comunicazione n. BOR/RM/92006158 del 1992, che ha fornito chiarimenti in materia di collocamento dei valori mobiliari. S. NICODEMO, Gli atti normativi delle Autorità indipendenti, cit, p. 207 parla di guide-lines simili al modello americano dei garplaind, che tuttavia sfociano a volte in quasi-normatività. E ciò accade non solo, com’è naturale per atti interpretativi, nel senso che il loro mancato rispetto può determinare una violazione indiretta di regole, ma anche perché spesso utilizzati – piuttosto che per orientare gli operatori – per ampliare la sfera di regolamentazione generale e vincolante. 

[26] Basti considerare la comunicazione DEM 2064231/2002, che chiarisce la nozione di “parti correlate” come introdotta dalla delibera 13616/2002, mediante novellazione, all’art. 71 bis del regolamento n. 11971/1999.

[27] Così F. ANNUNZIATA, Interpretare o legiferare? Le comunicazioni persuasive delle Autorità di controllo sui mercati finanziari, in Riv. Soc., 1995, p. 908, che continua sostenendo che “la Consob espone sì il proprio parere sulle norme, ma, al contempo, le specifica e le integra, talvolta innovandole”.

[28] Basti considerare l’ordinanza 1924/1999 della sesta sezione del Consiglio di Stato in materia di dies a quo della passivity rule nelle offerte pubbliche di acquisto, questione affrontata nel caso INA-GENERALI. Il sindacato concerneva non solo l’allora art. 35 lett. c del regolamento 11971/1999 - nella parte in cui istituiva come dies a quo il momento della comunicazione, da effettuare senza indugio al mercato e all’emittente, prevista dall’originario art. 37 dello stesso regolamento -, ma anche la comunicazione n. 990719/1999. E se il TAR Lazio nell’ordinanza 2964 del 21 ottobre 1999 – in Banca Bor.Tit. Cred.  2000, p. 130 - aveva sostenuto a spada tratta la sua sindacabiltà, anche i giudici di Palazzo Spada sostennero che “avuto riguardo alla sostanziale natura ed agli effetti” di tale atto, esso era stato emanato “nell’esercizio di un potere amministrativo la cui effettività è garantita, tra l’altro, dalla sanzione di cui all’art. 192” del TUF.

[29] Così R. RORDORF, La Consob come autorità indipendente nella tutela del risparmio, in Il Foro italiano, Parte V, 2001, p. 148, parla di “una sorta di attività giurisdizionale (nel senso etimologico del iuris dicere) forse praeter legem, perché non trova nella legge alcun preciso appiglio”. Anche F. ANNUNZIATA, Interpretare o legiferare? Le comunicazioni persuasive delle Autorità di controllo sui mercati finanziari, cit, p. 929, sostiene che la prassi delle comunicazioni “si colloca più esattamente in una zona grigia, al confine tra la funzione più tipicamente nomofilattica e la vera e propria produzioni di regole”. L’Autore specifica “che il termine di giurisprudenza deve impiegarsi in senso atecnico”.

[30] F. CAPRIGLIONE e G. MONTEDORO, Società e Borsa (CONSOB), cit, p. 1035.

[31] Per G. D. MOSCO, incontro L’attività collaborativa delle Autorità indipendenti, Università LUISS, Cattedra di Diritto Civile - Metodologia dell’Analisi Casistica, 14 gennaio 2003, si tratta di un’attività quantitativamente rilevante, insuscettibile di una definizione diversa dalla caratterizzazione in negativo, che ha come unico trait d’union quello di concorrere in forme non precettive alle attribuzioni istituzionali della CONSOB. Per MOSCO occorrerebbe tuttavia distinguere gli atti meramente interpretativi, quelli volti a colmare lo scollamento presente tra enunciazioni astratte e casi concreti e quelli volti ad indirizzare e persuadere.

[32] Attività a sua volta oggetto della comunicazione n. 2043766 del 2000, atto interno che disciplina l’attività di esposizione della CONSOB mediante convegni, articoli e pubblicazioni dei Commissari. Anche la SEC utilizza lo strumento degli  interpretative realases per disciplinare i propri atti di soft law, che ben possono essere vincolati pur non essendo vincolanti, e anche nella prassi della SEC articoli e relazioni ai convegni – i lore – costruiscono espressioni del regulatory space.

[33] Così A. SEGNI, I mercati e i valori mobiliari, cit, p. 2967, che parla di comunicazioni “indirizzate a volte a singole parti dietro la manifestazione di quesiti, a volte ad associazioni di categoria su temi di interesse dei rispettivi associati” e che, dunque, “svolgono diverse funzioni, sia di natura particolare, per la risoluzione di questioni individuali, che generale”.

[34] L’inosservanza di tale regola, infatti, determina direttamente l’esercizio del potere interdittivo della CONSOB. Diversamente S. NICCOLAI, I poteri garanti della Costituzione e le Autorità indipendenti, Pisa, 1996, p. 205, secondo cui la raccomandazione deliberata ex art. 11 del dPR 136/1975 – l’antesignana di quella prevista dall’art. 162 del TUF – era non solo  “manifestazione di volontà…a carattere non normativo”, ma anche un “esempio classico di una modalità di agire persuasiva e non autoritativa della Consob”. Secondo questa discutibile ricostruzione, si tratterebbe di un atto vincolato dalla legge (o, meglio, previsto dalla legge, atteso che la CONSOB è libera di emanarlo o non emanarlo), ma non vincolante.

[35] Si tratta della Commission des Opération de Bourse, l’Autorità di vigilanza sui mercati finanziari francese istituita con ordinanza 833/167 ed assorbita – assieme al Conseil des Marchés Financiers ed al Conseil de Discipline de la Gestion Financière – nell’Autorité des Marchés Financiers, istituita con la l. 706/2003.

[36] Così N. MARZONA, I poteri normativi delle Autorità indipendenti, cit, p. 92, la quale evidenzia che ci possono essere comunicazioni che non sono atti di soft law, ma viceversa  sono atti a contenuto particolare e vincolanti. Un esempio è emblematico: la comunicazione interpretativa DM 99057703/1999, atto di moral suasion, chiarisce in via interpretativa il rapporto di accessorietà tra negoziazione in conto proprio e gestione di mercati non regolamentati, nonché i connessi obblighi di trasparenza, come previsti viceversa dalla comunicazione n. 98097747/1988, che invece è atto vincolante.

[37] Tale comunicazione tende a distinguere le risposte ai quesiti dagli atti a contenuto generale e a porre un freno alla prassi per cui dottrina e studi forensi, con l’escamotage dei quesiti, richiedono chiarimenti su fattispecie astratte di carattere ipotetico. “I quesiti posti da studi legali e professionisti in genere saranno, d’ora in poi, presi in considerazione solo se inoltrati in nome e per conto degli operatori del mercato, risparmiatori o relative associazioni…e qualora non abbiano ad oggetto fattispecie del tutto ipotetiche ed astratte”. Questo per perseguire compiutamente la finalità precipua delle risposte ai quesiti, “uno strumento che concorre allo svolgimento delle attribuzioni istituzionali, in quanto consente di fornire indirizzi interpretativi e applicativi di norme e di rendere i comportamenti omogenei” in relazione a casi singoli. Anche le comunicazioni possono essere sollecitate, ma la risposta non è automatica come per quella ai quesiti: è la CONSOB che “si riserva di esaminare anche quesiti relativi a fattispecie ipotetiche astratte”, opera che svolge “nei casi in cui, a suo giudizio, la risposta a tali quesiti” sia “di particolare rilevanza e d’interesse generale”.

[38] Interessantissimo è il parallelismo offerto da F. ANNUNZIATA, Interpretare o legiferare? Le comunicazioni persuasive delle Autorità di controllo sui mercati finanziari, cit, p.p. 913 e ss., che evidenzia come le maggiori differenze tra atti di moral suasion della CONSOB e no-action letters della SEC sono conseguenze del fatto che le prime possono anche essere a contenuto generale e astratto. Entrambi i modelli sono nati dalla prassi, sono a struttura libera, non hanno limiti di oggetto nell’ambito della materia dei mercati finanziari. Gli atti nordamericani, tuttavia, riguardano sempre una singola operazione, come accade anche in Francia, dove tuttavia i rescrits della COB erano solo a struttura vincolata. Per porre un quesito all’autorità statunitense, tuttavia, occorre l’assistenza di un avvocato, che deve fornire la sua interpretazione e chiedere se essa risulta corretta. ANNUNZIATA evidenzia anche che, proprio per la specificità della questione, alla SEC è anche formalmente precluso di comminare sanzioni o adire il giudice nel caso di rispetto, da parte del singolo operatore, della regola contenuta nella no-action letter. Tali atti, che – a differenza delle comunicazioni e conformemente alle risposte ai quesiti – sono deliberati dagli uffici, sono pubblicati nel giro di centoventi giorni: tuttavia la natura non intrinsecamente generale è evidenziata dal fatto che la prassi della pubblicazione si è sviluppata solo negli anni Settanta e che tuttora tali atti sono pubblicati con il nome dei soggetti destinatari.

[39] In tal senso A. SEGNI, I mercati e i valori mobiliari, cit, p. 2967 e  F. ANNUNZIATA, Interpretare o legiferare? Le comunicazioni persuasive delle Autorità di controllo sui mercati finanziari, cit, p. 902, che osservano come tale potere si distingueva dal modello francese perché era a contenuto generale, perché chiunque era legittimato a sollecitarlo, perché poteva avere ad oggetto sia leggi e sia atti della CONSOB e, infine, per l’assenza di effetti specifici ricondotti dall’atto istitutivo direttamente alle delibere in questione.

[40] F. ANNUNZIATA, Interpretare o legiferare? Le comunicazioni persuasive delle Autorità di controllo sui mercati finanziari, cit, p. 902, sottolinea come tale atto – oltre ad essere vincolato e riguardare una specifica operazione – era vincolante per il destinatario fino all’impugnazione e comportava, nei confronti di chi si fosse conformato, l’impossibilità per la COB di stabilire sanzioni o di ricorrere in giudizio. Inoltre, i rescrits della COB potevano essere solo d’interpretazione autentica e, dunque, non potevano compiere direttamente l’ermeneusi della legge. Secondo ANNUNZIATA, il mancato successo di tali atti è ascrivibile proprio alla loro formalizzazione.

[41] A. LA SPINA e G. MAJONE, Lo Stato regolatore, cit, p. 87, parlano di “un progetto, un conato di hard law, che aspira a solidificarsi”. E’ accaduto così in molte occasioni: ad esempio, la comunicazione n. 94002094/1994, in materia di attività di gestione, che fu interamente sussunta nel regolamento n. 8850/1994.

[42] R. RORDORF, La Consob come autorità indipendente nella tutela del risparmio, cit., p. 148, il quale ritiene che il compito di emanare atti di soft law “non va inteso nel senso che la Consob possa trasformarsi in una sorte di oracolo, cui chiedere responsi su ogni genere di questione afferente al diritto delle società o dei mercati finanziari”. In particolare RORDORF ritiene che gli atti persuasivi debbano avere ad oggetto materie nella quale la CONSOB può esercitare suoi poteri interdettivi o latamente sanzionatori. E’ il caso della richiesta sul dies a quo della passivity rule, formulata nei casi Olivetti-Telecom e INA-Generali, in quanto, pur concernendo rapporti interprivati, era questione che avrebbe potuto generale l’intervento della CONSOB in relazione alla correttezza dei comportamenti. In presenza di controversie, potenziali o reali, insuscettibili di far venire in gioco i poteri sanzionatori ed interdettivi, la CONSOB potrebbe rispondere ai quesiti solo se le parti s’impegnino a rispettare il responso della Commissione. E’ stato questo il caso dell’OPA di Compart su Montedison, circa la necessità di realizzare – ex art. 45 del regolamento 11971/1999 – l’offerta anche su Edison, controllata dalla Montedison. Per RORDORF, invece, opportunamente la CONSOB non ha risposto ad un quesito circa l’interpretazione di una clausola dello statuto nel caso dell’OPA di Olivetti su Telecom, in quanto si trattava di questione che concerneva solo i rapporti interprivati ed in cui le parti non si erano impegnate a conformarsi al rispetto della risposta.   

[43] E’ stato il caso della comunicazione SGE/RM 92006448/1998, che, in materia di promotori finanziari, interpretava l’art. 13 della l.1/1991. L’allora Ministero del Tesoro inflisse la sanzione nonostante il suo rispetto.

[44] In tal senso, F. CAPRIGLIONE e G. MONTEDORO, Società e Borsa (CONSOB), cit, p. 1035, i quali affermano che, a chi sostiene la giustiziabilità, si contrappongono coloro che affermano il valore solo deontologico, ovvero il valore giuridico solo indiretto, di tali atti. Per G. D. MOSCO, incontro L’attività collaborativa delle Autorità indipendenti, cit, non è ammesso il sindacato giurisdizionale sugli atti puramente interpretativi, mentre lo è quello sugli atti che, pur non vincolanti, assumono valore giuridico in quanto ledono sul mercato l’immagine di chi non vi si conforma. Anche in questo caso, tuttavia, per MOSCO bisognerebbe evitare un clima di sindacato permanente sugli atti di persuasione morale: d’altra parte, la CONSOB dovrebbe eliminare l’uso improprio di tale potere per non pregiudicare certezza del diritto e pari trattamento.

[45] E’ la tesi di ANNUNZIATA, secondo il quale anche in tale caso vanno vagliati esattamente presupposti, contenuto dell’atto ed effetti per verificare se vi è davvero lesione di situazioni giuridiche soggettive.

[46] La dottrina ritiene non solo che tali atti non siano in grado di ledere direttamente le situazioni giuridiche soggettive dei cittadini, ma anche che la loro nascita nella prassi ha avuto come scopo proprio un effetto deflattivo e preventivo rispetto ad eventuali controversie giurisdizionali.

[47] L’art. 15 di tale progetto – che ha tra i relatori gli onorevoli FASSINO, VIOLANTE, BERSANI e VISCO - intende modificare la l. 216/1974 delegando al Governo l’emanazione di un decreto legislativo, vincolato a prevedere che “gli atti della Consob…che non abbiano natura di regolamento non siano impugnabili né davanti all’autorità giudiziaria ordinaria né davanti al giudice amministrativo”.  Il ddl precisa che “non devono essere impugnabili, in particolare, gli atti cd. di collaborazione, quali risposte a quesiti, raccomandazioni o comunicazioni”.

[48] La citata ordinanza 1924/1999 del Consiglio di Stato, in materia di passivity rule, ha equiparato gli atti di moral suasion sostanzialmente ad atti amministrativi. Ancor più esplicita, in materia di sindacabilità di tali atti, è l’ord. 2964/1999 del TAR Lazio, vale a dire l’ordinanza che ha sospeso proprio la comunicazione sulle azioni difensive contro l’OPA, da cui poi è scaturito il pronunciamento del Consiglio di Stato. Il giudice di primo grado, infatti, aveva sostenuto che la comunicazione era espressione di una potestà attribuita istituzionalmente alla CONSOB, e che come tale era suscettibile di impugnazione. A. SEGNI, I mercati e i valori mobiliari, cit, p. 2967 afferma a tal riguardo che “la giurisprudenza ha riconosciuto che…simili atti” sono impugnabili, “rappresentando espressione di una funzione che non è riconducibile all’autonomia o a una posizione di autorità fondata sul diritto privato, ma risale pur sempre ad una posizione di supremazia pubblicistica”. Infatti, “anche se mirati a rendere nota l’interpretazione che l’amministrazione fa…”, tali atti “esprimono un punto di vista qualificato ed imparziale che esplica la funzione prevista dall’art. 91 t.u.f. di tutelare l’investitore, orientandone l’attività”.

[49] Se gli atti di moral suasion non fossero impugnabili, infatti, il giudice non potrebbe ritenerli invalidi.

[50] R. RORDORF, La Consob come autorità indipendente nella tutela del risparmio, cit., p. 150, contesta la sindacabilità degli atti e, pur ammettendola per assurdo, ritiene impropria la giurisdizione del giudice amministrativo. Sulla passivity rule, in particolare, RORDORF ritiene che il giudice amministrativo – con il grimaldello della comunicazione della CONSOB – ha deciso, seppure con misure cautelari, “una questione controversa di diritto privato”, che altrimenti sarebbe stata di spettanza del giudice ordinario. Non solo: anche se, anziché con una comunicazione ex ante, la CONSOB fosse intervenuta con un intervento sanzionatorio ex post sulla base dell’art. 195 del TUF, la giurisdizione sarebbe stata  del giudice ordinario. 

 

 


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