I “punitive damages” nella giurisprudenza di
alcuni Paesi dell’Europacontinentale e della
Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo

 

 

La sintesi dell’intervento dell’avv. Andrea Sirotti Gaudenzi al

Convegno “I danni punitivi – ipotesi di applicabilità, modalità, limiti”

Santarcangelo di Romagna – Rimini – 05.03.2000

 

-pubblicato sulla rivista giuridica "Diritto e Diritti"-

 

 

 

”Punitive damages” in Europa

relatore: avv. Andrea Sirotti Gaudenzi (foro di Forlì – Cesena)

 

1.      Introduzione

 

Il principio che sta alla base del ”danno punitivo” è lo stesso che regge l‘intero sistema dell‘Equity anglosassone.

La nascita dell‘Equity è una vicenda complessa, che non è il caso di esaminare dettagliatamente in questa sede. Eppure, sento la necessità di individuare i tratti fondamentali della genesi di questa forma di giustizia, sviluppatasi di fronte all‘impossibilità dimostrata dai principi contenuti dal sistema di ius commune medievale di poter fornire efficaci risposte a tutte le domande di giustizia collegate allo sviluppo delle strutture politiche, economiche e sociali dell‘epoca.

Nell‘Inghilterra del sec. XII, appariva necessario tutelare rapporti in relazione ai quali il sistema di common law non prevedeva il sorgere di alcun diritto, o –anche se riconosceva un preciso diritto- non lo tutelava in maniera adeguata (è il caso dei c.d. ”uses”); inoltre, vi erano situazioni che davano luogo al sorgere di un diritto riconosciuto  tale dal common law e per il quale la legge scritta prevedeva una tutela che in astratto appariva perfettamente adeguata, ma che in pratica non poteva essere esercitata da tutti per la sacralità delle forme (si pensi alla storia narrata da Gaio di un cives che aveva perso una causa solo perché durante il processo aveva pronunciato la parola ”arboribus” invece di ”vitibus”).

Si afferma una nuova sensibilità, una diversa visione degli strumenti giuridici: i giudici iniziano ad applicare un sistema che deve portare a fare giusitiza, senza che sia necessario seguire schemi precostituiti.

I cittadini, anche quelli privi di cultura giuridica, hanno la possibilità di chiedere l‘intervento del giudice il quale deve far rispettare i principi dell‘ordinamento scritto, nonché quelli di un sistema non scritto, ma fatto di regole ben definite nella coscienza dell‘uomo.

Il danno punitivo nasce così, in un sistema giudiziario che non conosce bene (o, rectius, ha dimenticato) la distinzione tra diritto civile e diritto penale, dove la condanna al risarcimento dei danni  deve anche assolvere ad una funzione pedagogica: la condanna deve rappresentare un deterrente da utilizzare non solo nei confronti del condannato, ma anche nei confronti dell‘intera comunità (la condanna ”esemplare”). Inoltre, la condanna deve rappresentare un risarcimento pieno, in cui le esigenze di giustizia prendono il sopravvento.

 

Appare particolarmente utile esaminare quale sia stata la reazione tenuta dalla giurisprudenza di alcuni Paesi dell‘“area romanista“, nel momento in cui è stata chiamata ad esprimersi sulla possibilità di rendere esecutive pronunzie straniere contenenti condanne relative ai c.d. danni punitivi.

Nei Paesi di lingua tedesca le reazioni sono state le più svariate; il prof. Kurt Sierh in un suo recente intervento (pubblicato sulla rivista ”Recht der internationalen Wirtschaft” del settembre 1991, pagg. 705 e ss.), classificando i casi giurisprudenziali in relazione alla delibazione e dichiarazione di esecuzione di condanne al risarcimento dei ”danni punitivi” provenienti dal mondo anglosassone, ha ravvisato come i giudici di Germania e Svizzera non abbiano tenuto un comportamento univoco: si passa dalle pronunce che hanno consentito una piena delibazione delle sentenze straniere sui danni punitivi a quelle che hanno consentito di configurare un parziale riconoscimento, fino alle decisioni che non hanno permesso l‘esecuzione delle sentenze straniere contenenti condanne per il risarcimento dei danni punitivi, per contrarietà ai principi della lex fori.

 

 

 

 

2.      Un caso svizzero: la sentenza del Tribunale di Basilea 1.02.89 confermata dalla Corte d‘Appello di Basilea il 1.12.89.

 

Nel 1989, il Tribunale civile di Basilea fu investito di una questione di delibazione relativa ad una sentenza americana di condanna al risarcimento dei danni, che aveva riconosciuto a carico della parte svizzera che si opponeva all‘esecuzione il pagamento di una somma pari a 50.000 dollari a titolo di condanna al risarcimento dei danni punitivi. In questo giudizio, le parti erano l‘americana Security Fowards Inc. di San Francisco e la svizzera Trans Containers Services A.G. di Basilea.

I fatti riguardavano un contratto di trasporto concluso tra le parti, con cui la società svizzera si era obbligata a trasportare l‘attrezzatura da campo dell‘esercito americano dagli Stati Uniti all‘Inghilterra. Le parti avevano convenuto l‘applicazione del diritto inglese.

La società statunitense aveva messo a disposizione del vettore nuovi container da utilizzare per lo stanziamento del materiale.

Dato che non aveva pagato interamente il servizio, la Security Forwarders fu chiamata in giudizio dalla società svizzera davanti al Giudice federale della California che chiedeva il risarcimento di 70.000 dollari.

Tuttavia, la convenuta avanzò domanda riconvenzionale e fece valere una pretesa risarcitoria sulla base dell‘indebita appropriazione da parte dell‘attrice dei container ad essa consegnati per il trasporto. Si chiedeva, inoltre, il risarcimento dei danni punitivi da ”cynical disregard“ per fraudolenta lesione del diritto di proprietà dei container.

 

Il Giudice condannò la società svizzera al risarcimento di 135.000 dollari a titolo di risarcimento danni e di 50.000 dollari a titolo di danni punitivi. La sentenza fu sostanzialmente confermata dalla Corte d‘Appello.

Nel processo di delibazione, il giudice civile adito dichiarò eseguibile la sentenza americana; il giudice federale di secondo grado confermò la decisione e la Corte federale (Bundesgericht), con pronuncia datata 12 luglio 1990, ritenne di non dover intervenire nella sentenza d‘appello e considerò inammissibile dare un‘interpretazione diversa.

In sostanza, nessun problema fu sollevato in relazione all‘esecuzione di una sentenza contenente una condanna per ”danni punitivi”.

Infatti, sulla base della considerazione che, in virtù della legislazione svizzera, la società Trans Containers Services A.G. di Basilea avrebbe dovuto restituire il guadagno realizzato con l’appropriazione dei beni altrui, non vi era alcuna obiezione al riconoscimento dei  “punitive damages”, visto che tendevano a sanzionare e, soprattutto, risarcire l’ingiustificato arricchimento.

 

 

 

 

3.      Un caso tedesco: la complessa analisi della sentenza della Budesgerichshof tedesca del 4.06.92

 

Nel 1984 il convenuto, condannato da un tribunale americano per abuso sessuale di minori ad una lunga pena detentiva, aveva lasciato gli Stati Uniti d'America per trasferirsi in Germania, dove disponeva di proprietà immobiliare.

Nella sentenza del Superior Court of the State of California del 24 aprile 1985 fu concesso all'attore, nato nel 1968, e indicato con lo pseudomino "John Doe" un risarcimento dei danni, nei confronti del convenuto, dell'ammontare di ben 750.260 dollari.

Si deve subito precisare che la pronuncia non faceva riferimento alle modalità di quantificazione dei danni e non venivano indicati i motivi della decisione. Tuttavia, sulla base dei verbali di causa della Superior Court, si risaliva ai gravi abusi sessuali posti in essere dal convenuto nei confronti dell'attore, che al tempo dei fatti non aveva ancora  compiuto i 14 anni. Inoltre, erano stati indicate le voci che costituivano la somma totale del risarcimento: spese mediche (past medical damages), spese mediche future (future medical), spese per una probabile futura sistemazione dell'attore (cost of placement), risarcimento per l'angoscia, i dolori e le sofferenze provate ed altri simili danni (anxiety, pain, suffering and general damages of that nature). Oltre a queste somme di denaro, la sentenza prevedeva il pagamento di 400.000 dollari per i "danni punitivi" (exemplary and punitive damages).

 

Il Landgericht (Tribunale) di Düsseldorf aveva dichiarato esecutiva la sentenza in Germania, riconoscendo anche gli interessi. In seguito all'appello proposto dal convenuto, la Oberlandesgericht (Corte d'appello) di Düsseldorf ritenne di confermare la dichiarazione di esecutività per una somma ridotta.

 

Innanzitutto, la Budesgerichshof (vale a dire, la Cassazione tedesca), con sentenza del 4 giugno 1992 (ISDGS vs ES – IX ZR 149/91) ha ritenuto che l‘accordo di “quota lite“ stipulato tra l‘attore ed il proprio avvocato (pari al 40% di tutte le somme da percepire in corso di causa) non contrastasse i limiti imposti dall‘ordine pubblico internazionale, nonostante il fatto che la stipulazione di tale patto in Germania debba intendersi nullo ex § 138 BGB.

 

Passando all’esame dei “punitive damages”, la Cassazione ha rilevato come la dichiarazione di esecutività della condanna al pagamento dei danni punitivi contenuta nella sentenza statunitense fosse ostacolata dal limite d’ordine pubblico espresso dal § 723, co. II, secondo periodo e § 328, co. I, n.4 ZPO. Infatti, l’ordinamento tedesco prevede quale conseguenza di un’azione illecita il risarcimento del danno e non anche l’arricchimento del danneggiato. La Budesgerichshof, quindi, nel suo articolato esame ha ritenuto fondamentale sottolineare come la funzione punitiva e la funzione pedagogica, configurabili nell’istituto dei “punitive damages”, siano propri del diritto penale.

E’ giusto ritenere che la fattispecie proveniente dagli ordinamenti anglosassoni operi nell’ambito del diritto civile, ma –come rilevato dalla Corte di Cassazione tedesca- non è ammissibile che, all’interno di un ordinamento come quello tedesco, un cittadino possa assumere la funzione di un pubblico ministero, pretendendo che vengano comminate sanzioni di fronte ad un illecito civile. E’ altrettanto evidente che la funzione punitiva non è del tutto estranea al diritto privato, dato che il diritto tedesco conosce l’istituto della “penalità contrattuale”; non si possono, però, tralasciare le considerazioni della Budesgerichshof, quando fa presente che in quest’ultima fattispecie viene presupposta una pattuizione negoziale tra le parti, per cui non può essere ricondotta ai principi su cui si poggia la sanzione penale.

La Corte ha osservato che la funzione “pedagogica” dei danni punitivi non può essere equiparata in alcun modo a quella di procurare soddisfazione prevista dal risarcimento del danno morale ex § 847 BGB, nonché dalle norme in tema di diritti della personalità. Pertanto, il danno morale non deve confondersi con il danno punitivo.

La ratio del primo è ben diversa da quella del secondo: il danno morale ha funzione squisitamente risarcitoria, mentre l’istituto proprio del diritto anglosassone ha come funzione precipua quella di punire il responsabile del danno, nonché di costituire un deterrente nei confronti di quest’ultimo e della collettività intera (“punitive or exemplary” damages).

Il tenore letterale della pronunzia della Budesgerichshof,  però, sembra non escludere del tutto la possibilità che sentenze contenenti condanne per “danni punitivi” possano essere delibate e rese esecutive anche in Germania. Infatti, con riferimento ai limiti imposti dall’ordinamento pubblico internazionale, la Corte ha stabilito che “l’aspetto della pretesa al risarcimento del danno morale di procurare soddisfazione può essere chiamato in causa solo nella misura in cui i danni punitivi sono diretti a compensare anche eventuali danni immateriali”.  Nell’ipotesi de qua, ciò era già avvenuto, dato che era stata prevista un’indennità a titolo di “pain and suffering”. Le conclusioni sarebbero state diverse se, attraverso la condanna al risarcimento dei “punitive damages”, fosse stato possibile risarcire gli “svantaggi economici non compensati separatamente o di difficile prova”(quali le spese processuali, i danni dovuti al ritardo non risarcibili in via autonoma, etc.).

Eppure, né la sentenza, né i verbali di causa della Superior Court contenevano indizi dai quali fosse possibile dedurre che il giudice avesse inteso liquidare le spese legali. Inoltre, si doveva rilevare come le somme liquidate per compensare sia le spese mediche, che i danni morali (damages for pain and suffering) fossero di un importo tale da consentire il risarcimento.

Giungiamo quindi al vero nodo dell’intera questione: la Cassazione tedesca rileva come non sia possibile l’esecuzione di una condanna per danni punitivi (peraltro di notevole entità) in assenza di precise indicazione da parte del tribunale straniero in ordine ai criteri di determinazione della condanna. Il giudice americano non fornisce le motivazioni che lo spingono alla condanna per danni punitivi, rectius non consente di individuare l’oggetto del risarcimento.

Nell’ordinamento tedesco appare inaccettabile la condanna civile al pagamento di una notevole quantità di denaro che non abbia la funzione di consentire l’effettiva compensazione di un danno subito. L’ulteriore arricchimento non è consentito.

E’ evidente che la conclusione della Budesgerichshof, pur mostrando timide aperture all’istituto anglosassone, non avrebbe potuto permettere il riconoscimento di una fattispecie così lontana dal sistema contenuto dal BGB; una soluzione diversa avrebbe fatto saltare ogni limite posto ai principi in tema di risarcimento.

 

 

 

4.      I c.d. “danni punitivi” nella giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo.

 

Al termine di questa analisi del “danno punitivo” in alcune realtà europee, mi sembra opportuno un riferimento alla giurisprudenza della Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo.

 

La Corte europea dei Diritti dell’Uomo è un organismo di giustizia internazionale che decide sui ricorsi presentati contro gli Stati, allorquando si configuri una violazione dei diritti garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti, ratificata da 41 Paesi, tra cui l’Italia.

Quando un cittadino ritiene che lo Stato abbia violato uno degli obblighi assunti con la sottoscrizione della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, può presentare ricorso alla Corte europea di Strasburgo.

I diritti riconosciuti dalla Convenzione quali beni preminenti dell’Uomo sono sintetizzati dal dal Titolo I della Convenzione, che elenca –tra gli altri-  il diritto alla vita, il diritto alla libertà e alla sicurezza, il diritto ad un equo processo, il principio del nullum crimen sine lege, le libertà di pensiero, coscienza, religione, espressione, riunione e associazione …

 

Nel presentare il ricorso, il cittadino può proporre una richiesta di risarcimento dei danni materiali e morali subiti.

A questo proposito, appare particolarmente interessante la formulazione dell’art. 41 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali che stabilisce che “se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette che in modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, quando è il caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”

 

La Corte ha costantemente respinto le richieste avanzate dai ricorrenti di ottenere condanne al pagamento dei danni punitivi. La dott.ssa Elena Malagoni, membro della segreteria della Corte di Strasburgo –che sento il dovere di ringraziare pubblicamente per la grande disponibilità- mi ha fornito dati inequivocabili: a questo riguardo, possono essere citate le sentenze Akdivar c. Turchia del 1 aprile 1998 (par. 38), Selçuk e Asker contro Turchia del 24 aprile 1998 (par. 119), Mentes e altri contro Turchia del 24 luglio 1998 (par. 21), nonché Cable e altri contro Regno Unito del 18 febbraio 1999 (par. 30).

Con ognuna di queste pronunce, la Corte di Strasburgo ha rigettato le istanze presentate per ottenere la liquidazione dei “punitive and exemplary damages”.

Solo in una recente occasione, il giudice Matscher ha espresso un’opinione dissenziente, dichiarandosi favorevole al riconoscimento dei “danni punitivi” (nella sentenza Gaygusuz contro Austria del 16 settembre 1996).

 

Di fronte a queste conclusioni della Corte, sembra che non ci sia molto spazio per discutere.

Eppure, sono dell’avviso che sia necessario soffermarsi sulla natura delle sentenze con le quali la Corte di Strasburgo condanna gli stati che si rendono responsabili di violazioni dei diritti fondamentali dell’uomo.

Infatti, se guardiamo alla ratio delle sentenze, si può sostenere che, al di là del risarcimento (peraltro non sempre riconosciuto in capo al cittadino leso nei suoi diritti), la funzione della condanna è quella di produrre un effetto dissuasivo.

E’ ben vero, d’altra parte, che non sempre gli Stati condannati si uniformano alle indicazioni fornite dalla Corte di Strasburgo.  L’Italia, per esempio, condannata in varie occasioni a causa della costante violazione dell’art. 6 della Convenzione (che sancisce il diritto di ogni cittadino ad un processo equo in termini ragionevoli), ha preferito pagare le condanne, piuttosto che attuare un’efficiente riordino del sistema giudiziario. Al contempo –però - sono dell’avviso che non si debba guardare tanto agli effetti prodotti dalle sentenze, quanto alla ratio delle stesse.

Quando la Corte di Strasburgo condanna uno Stato, non si può non avvertire quell’effetto “pedagogico” che sta alla base dell’istituto dei “punitive damages”: la condanna al risarcimento dei danni patiti dal cittadino leso passa quasi in secondo piano, dato che ciò che rileva è che la pronuncia possa essere un forte monito affinché la violazione non si ripeta.

 

 

 

 

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Un particolare ringraziamento all’avv. Stefano Argnani del foro di Ravenna e al dott. Lorenz Felderer del foro di Bolzano per la segnalazione delle fonti in lingua tedesca.

Si esprime particolare gratitudine alla dott.ssa Elena Malagoni, DG II – Droits de l’Homme – Division “Exécution des arréts CEDH” Conseil de l’Europe – Strasbourg – Cedex

 

Fonti essenziali:

Giovanni Criscuoli, “Introduzione allo studio del diritto inglese”, Milano, 1994

Aldo Grassi, “Danni Punitivi – intervento all’VIII Congresso medico giuridico internazionale” in “Diritto – Concorsi e Professioni”, rivista telematica all’indirizzo: http://users.iol.it/udibenedetto

Aldo Grassi, “Il concetto di danno punitivo”, in “Tagete”, marzo 2000, pagg. 107 e ss.

Rodolfo Sacco, “Introduzione al diritto comparato”, Torino, 1990

Kurt Siehr,”Zur Anerkennung und Vollstreckung ausläischer Verurteilungen zu “punitive damages” in “Recht der internationalen Wirtschaft”, settembre 1991, pagg. 705 e ss.

 

Si segnala il materiale pubblicato sul sito www.dannipunitivi.com