"Condizione" e disciplina del contratto.

La condizione unilaterale, la condizione illecita

 

di Maria Costanza (*)

 

 

Condizione sospensiva e risolutiva

 

La norma dell’art. 1353 cc. stabilisce che la condizione può alternativamente, sospendere gli effetti dell’atto o farli cessare.

La scelta del legislatore del 1942 si differenzia da quella del precedente codificatore (art. 1158, c. 1° e 2°, c.c. 1865) che regolava in separate disposizioni le due fattispecie.

Questa separazione portava a distinguere sotto il profilo strutturale i due tipi di condizione. In particolare, si era affermato che, mentre la condizione sospensiva, in quanto evento destinato ad incidere sull’efficacia iniziale dell’atto, poteva considerarsi come un fatto marginale al negozio, la condizione risolutiva doveva riferirsi ad un fatto estraneo all’atto stesso, ma capace di farlo venire meno. A fronte di questa tesi stava la opposta conclusione di chi preferiva unificare il fenomeno condizionale, ravvisandovi un’identità di atteggiamento volitivo, ancorché diretto alla produzione di conseguenze diverse.

Questa opinione è stata successivamente ripresa, con il supporto del nuovo tenore normativo, ma in un’ottica meno legata all’intento degli stipulanti. In particolare, partendo dalla norma in cui si stabilisce che il contratto ha forza di legge fra le parti (art. 1372 c.c.), si è cercato di dimostrare che la previsione di una condizione, sia essa sospensiva o risolutiva, costituisce in ogni caso una mera espressione della autonomia privata attraverso la quale le parti definiscono l’efficacia spazio-temporale del loro atto.

La concezione unitaria della fattispecie condizionale sembra smentita, però, dallo stesso diritto positivo. Sebbene la disposizione dell’art. 1353 c.c., simmetrica alla norma sulla condizione apposta alle disposizioni testamentarie (art. 633 c.c.), non differenzi le due specie di condizione, il loro regime non è unitario.

Così, non è omogenea la disciplina della condizione impossibile.

Analogamente l’invalidità della condizione potestativa è stabilita solo con riferimento a quella sospensiva (art. 1358 c.c.).

L’invalidità della condizione potestativa è stabilita solo con riferimento a quella sospensiva (art. 1358 c.c.).

Relativamente agli atti sottoposti al regime di pubblicità si distinguono le ipotesi dei trasferimenti subordinati al verificarsi (o al mancare) di un dato evento da quelli destinati a perdere efficacia in ragione dell’avverarsi di analoghe situazioni.

L’art. 2655 prevede l’annotazione della risoluzione del contratto determinata dal verificarsi dell’evento risolutorio, mentre tace, con riguardo alla fattispecie del mancato avverarsi della condizione sospensiva, differenza, per altro spiegabile in relazione alla necessaria cancellazione dell’intero atto sospensivamente condizionato.

Egualmente differenziata, anche se per obbligato riflesso del diverso modo di operare delle due condizioni, è pure la regola contenuta nell’art. 2668 c.c. relativa alla pubblicità della vicenda condizionale.

Queste differenze non sono solo la conseguenza del tipo di incidenza che le due specie di condizione hanno sugli effetti dell’atto; esse costituiscono altrettanti indici della diversa funzione assolta, rispettivamente, dalla condizione sospensiva e da quella risolutiva. Lo scopo della condizione sospensiva è quello di consentire un differimento degli effetti dell’atto, mentre con la condizione risolutiva si formula una previsione di scioglimento del vincolo negoziale, in concomitanza di eventuali circostanze sopravvenute dopo la stipulazione.

Attraverso la condizione sospensiva, gli stipulanti possono eliminare il fattore di rischio dell’operazione economica che intendono porre in essere; attraverso la condizione risolutiva, invece, si offre la facoltà di definire l’ambito delle circostanze nelle quali l’atto può continuare a produrre i suoi effetti.

Conseguentemente, mentre la condizione sospensiva è uno strumento per la determinazione delle componenti del contratto, o, più in generale, dell’atto giuridico, la condizione risolutiva opera come uno strumento preventivo di definizione dei fatti che possono interagire con l’assetto di interessi.

La riprova di questa affermazione si trova nella stessa disciplina positiva.

Il Codice civile contiene più di una fattispecie riconducibile al modello del­ l’atto, sia sospensivamente che risolutivamente, condizionato; esse possono essere utilizzate come referenti, per evidenziare le diversità che intercorrono fra condizione sospensiva e condizione risolutiva.

Fra le varie ipotesi codificate, a titolo di esempio, consideriamo la vendita con riserva della proprietà (art. 1520 c.c.) e la vendita con patto di riscatto (art. 1500 c.c.).

Sebbene in entrambi i casi sia possibile cogliere delle peculiarità, che giustificano la loro autonomia normativa, è innegabile che, mentre nella fattispecie contemplata dall’art. 1526 c.c. il differimento dell’effetto traslativo è funzionale alla completa realizzazione dello scambio fra le prestazioni, e alla eliminazione o attenuazione dei rischi di inadempimento dell’acquirente, nel caso di riscatto il ripristino delle originarie situazioni di appartenenza è conseguenziale al venir meno delle ragioni che avevano determinato il trasferimento.

La non omogeneità del fenomeno condizionale si rivela ancora più marcata qualora si abbia riguardo alla disciplina degli effetti (art. 1360 c.c.) e, in particolare, alla regola della retroattività.

In genere si afferma che la retroattività degli effetti della condizione è una conseguenza disponibile delle parti. Ma è bene fin d’ora sottolineare che questa disponibilità rimane necessariamente limitata alla condizione risolutiva.

Nel caso di atto sottoposto a condizione sospensiva, infatti, una previsione di irretroattività equivale a smentire il fenomeno condizionale: cadrebbe la situazione di «pendenza» con tutte le regole che la governano.

Se le parti hanno inteso vincolarsi immediatamente, ma differire ogni effetto del loro atto al verificarsi dell’evento dedotto in condizione, escludendo la retroattività significa che le loro aspettative non possono riguardare il periodo intercorrente fra la conclusione dell’accordo e il momento dell’avveramento. Con l’esclusione della retroattività degli effetti della condizione sospensiva, gli stipulanti hanno, del resto, inteso evidenziare la loro volontà di impegnarsi solo se sussistono determinate circostanze e di non voler anticipare alcuna situazione negoziale.

Sul piano pratico la scelta si traduce nell’impossibilità di qualificare come inadempimento di obblighi contrattuali i comportamenti impeditivi dell’efficacia dell’atto. Questi configurano, se mai, violazione dell’impegno di assumere un vincolo contrattuale, non già di eseguirlo.

Nel caso di condizione risolutiva, invece, la caducazione, ex nunc, degli effetti, impedisce che si determini una situazione di incertezza sulla titolarità dei diritti nascenti dal contratto con la conseguente completa certezza dell’assetto di interessi, fino al momento del verificarsi dell’evento risolutivo.

La natura sospensiva o risolutiva della clausola condizionale non sempre viene indicata con chiarezza dagli stipulanti.

In tale eventualità si dovrebbe ricercare quale sia stata la reale intenzione dei contraenti, procedendo all’interpretazione della manifestazione di volontà.

Il problema, invero, è stato risolto seguendo un metodo diverso.

Alcuni autori hanno, infatti, proposto di optare a priori per la condizione risolutiva, in ragione della attuazione immediata degli effetti contrattuali.

Da altri, invece, si preferisce la soluzione di segno opposto, per una sorta di privilegio della condizione sospensiva.

Solo alcuni autori, più correttamente, suggeriscono di riportare la questione all’interpretazione del contratto, secondo i canoni ermeneutici. In questa prospettiva si è, però, profilata la possibilità di stabilire le esatte intenzioni dei contraenti, avendo riguardo principalmente al tipo di assetto che le parti si sono date, per il periodo di pendenza della condizione. Applicando questo criterio, però, si elimina la ricerca delle reali intenzioni degli stipulanti, a favore di un metodo che è proprio più delle operazioni qualificatorie che di quelle ermeneutiche. Il che può anche rappresentare una soluzione utile e condivisibile, ma solo se si chiarisce il tipo di risultato a cui si vuole pervenire.

Da ultimo, sempre in ragione della distinzione fra condizione sospensiva e condizione risolutiva, si segnala che la identificazione dell’una o dell’altra specie di condizione è rilevante non solo in relazione alla sorte del contratto, ma anche ai fini della sua validità, sia per la diversità di regime previsto negli artt. 1354 e 1355 c.c., sia per la possibilità che dalla natura sospensiva o risolutiva della condizione dipenda un diverso atteggiarsi della volontà delle parti, come accade nelle alienazioni a scopo di garanzia.

    

La condizione unilaterale

 

La condizione di norma è pattuita in funzione dell’interesse di tutte le parti contrattuali.

La giurisprudenza è, però, concorde nell’affermare che, in forza del principio dell’autonomia privata, sia ammissibile anche una condizione pattuita a favore di una sola delle parti. In questi casi, l’unilateralità deve risultare espressamente o per lo meno da elementi immediatamente percepibili. L’unilateralità, cioè, non può dedursi in base all’interpretazione del contratto condotta secondo le norme di ermeneusi contenute negli art. 1362 ss. c.c.

Sempre secondo la giurisprudenza l’unilateralità della condizione consente alla sola parte nel cui interesse la condizione è prevista, di rinunciare o di avvalersi di essa, facendone rilevare l’avveramento.

Inoltre la rinuncia all’avveramento della condizione potrebbe essere manifestata in qualsiasi forma anche tacitamente e anche prima del termine finale di pendenza.

Recentemente la giurisprudenza ha mutato orientamento.

Il cambiamento è stato determinato da un ripensamento sulla figura della condizione unilaterale e, soprattutto, sulla sua incidenza sulla determinazione degli effetti dell’atto al quale è apposta.

In questa direzione, per altro, la dottrina si era già mossa da tempo. Si è infatti messo in evidenza che nel caso di condizione unilaterale l’efficacia del­ l’atto non è legata esclusivamente alla vicenda condizionale e quindi al suo avveramento, ma anche alla scelta del contraente interessato. Il verificarsi del­ l’evento dedotto in condizione non determinerebbe l’automatica efficacia del contratto. Questo dipenderebbe da un fatto successivo: la dichiarazione del contraente interessato di avvalersi della condizione o al contrario, di rinunciarvi. Il meccanismo sarebbe molto simile a quello del patto di opzione o meglio del patto di opzione sottoposto a condizione. L’atto sottoposto a condizione unilaterale diventerebbe efficace e vincolante soltanto per il contraente «non interessato». L’altra, invece, rimarrebbe libera di aderire o meno alla proposta della controparte.

Attraverso questa ricostruzione si riqualifica la dichiarazione di avvalersi o di rinunciare all’avveramento. La dichiarazione con la quale si manifesta la volontà di avvalersi o di non avvalersi alla condizione diventa rilevante ai fini della conclusione dell’accordo definitivo o forse meglio è essenziale perché fra le parti insorga un vincolo negoziale definitivo. In questa prospettiva la dichiarazione del contraente interessato assume il ruolo e la funzione di una vera e propria manifestazione negoziale di volontà diretta alla conclusione di un accordo definitivo. Per tale motivo ad essa si dovrebbero applicare le norme sulla forma legale o convenzionale, previste per la validità del contratto.

Questa conclusione, come già sopra accennato è stata recepita dalla giurisprudenza, che l’ha però estremizzata.

Il problema della ricostruzione della figura in termini di opzione condizionata non aderisce a tutti i tipi di condizione.

Se la condizione è sospensiva il riferimento all’opzione è appropriato.

Il caso emblematico può essere quello del contratto di compravendita di un bene immobile sottoposto, nell’interesse del solo acquirente, alla condizione del­ l’approvazione di una variante di piano regolatore o della attribuzione di una data destinazione. L’avveramento dell’evento dedotto consolida l’impegno del venditore, mentre l’acquirente rimane libero di profittare o meno del­ l’avveramento. Nel caso in cui questi decida di avvalersi della condizione, la sua manifestazione di volontà equivale nella sostanza ad una accettazione, capace di determinare la formazione dell’accordo, con la necessità che tale dichiarazione sia sottoposta, a pena di nullità, agli oneri di forma prescritti per la validità del contratto.

La soluzione non è identica se il contraente interessato decide di rinunciare ad avvalersi della condizione. In questo caso la dichiarazione è diretta a impedire la conclusione dell’accordo definitivo. Come tale essa non determina alcun effetto dispositivo. Non vi è ragione, pertanto, che essa venga manifestata in forma particolare. Nel caso di opzione infatti il promissario che non eserciti il diritto può restare inerte e rivelare le sue intenzioni anche con il silenzio, equivalente ad una manifestazione tacita, o attraverso fatti concludenti.

Altre considerazioni ancora debbono svolgersi con riferimento alla condizione risolutiva. In caso di condizione bilaterale se la condizione si avvera il contratto dovrebbe sciogliersi. Qualora la condizione manchi, invece, il contratto conserva i suoi effetti.

Quando la condizione è unilaterale le conseguenze dell’avveramento o del mancare dell’evento dedotto non sono automatiche, perché il contraente interessato ha la facoltà di profittare o meno della vicenda condizionale.

Un esempio, ricalcato sul caso giurisprudenziale che ha segnato la «svolta» del­ l’orientamento giurisprudenziale sulle modalità della dichiarazione di rinuncia ad avvalersi dell’avveramento della condizione, può rendere più comprensibili le conclusioni che si propongono.

Si può ipotizzare che un contratto di compravendita immobiliare sia risolutivamente subordinato all’approvazione del progetto predisposto dal compratore e che la condizione sia prevista nell’interesse di quest’ultimo.

Se la condizione si avvera, ma l’acquirente decide di non mantenere egualmente in vigore l’accordo, la sua dichiarazione equivale ad una rinuncia alla facoltà di recesso attribuitagli con la clausola condizionale unilaterale. La condizione risolutiva unilaterale si risolve, infatti, sostanzialmente nell’attribuzione ad uno dei contraenti di restare vincolato o di sottrarsi al vincolo in conseguenza dello svolgersi della vicenda condizionale. La dichiarazione di non avvalersi delle condizioni avrebbe la funzione di determinare la ricostituzione del vincolo negoziale, venuto meno in conseguenza dell’avveramento. Sotto questo profilo la dichiarazione potrebbe considerarsi come «modificativa» di una situazione giuridica e quindi sottoposta agli oneri formali del contratto che viene ripristinato. Questa fusione «ricostruttiva» implicherebbe il rispetto della medesima forma nella quale è stato concluso l’accordo.

Se, però, si legge la dichiarazione come una mera rinuncia ad avvalersi del diritto di recesso l’osservanza di prescrizioni di forma non dovrebbe essere necessaria al meno se si esclude che la dichiarazione di recesso sia svincolata da oneri di forma.

Invero, la volontà di recedere è, per quanti considerano tale dichiarazione un atto di secondo grado, sottoposto agli stessi vincoli previsti per la validità del contratto dal quale discende. Per il principio di identità della forma dell’atto positivo e del suo contrario, anche la eventuale dichiarazione di rinuncia potrebbe essere sottoposta alle stesse regole. La individuazione della forma del­ l’atto di rinuncia ad avvalersi della condizione risolutiva si risolve non solo in ragione della funzione che essa svolge ma anche attraverso il richiamo alla disciplina degli atti unilaterali e alle soluzioni che si adottano interpretando in modo più o meno estensivo le norme sulla forma e il correlativo principio di libertà.

In termini sostanzialmente analoghi ma forse più semplici si pone, conseguentemente, il problema della dichiarazione connessa con il mancare della condizione risolutiva. Infatti se l’evento dedotto si avvera il contratto dovrebbe mantenere i suoi effetti. In presenza di condizione unilaterale la sorte del contratto risulta invece rimessa all’ulteriore decisione del contraente interessato. Questi, infatti, può decidere alternativamente o di adeguarsi alla vicenda condizionale o di rinunciarvi. In questa eventualità il contraente che rinuncia alla condizione opera un vero e proprio recesso dal contratto in quanto determina lo scioglimento di un rapporto che altrimenti sarebbe rimasto in vigore. La disciplina della forma della dichiarazione di rinuncia dovrà necessariamente seguire le regole che si applicano alla manifestazione di volontà di recedere.

Le osservazioni che precedono evidenziano che la condizione unilaterale non aderisce esattamente alla fattispecie tipica della condizione. L’incidenza sugli effetti dell’atto è, infatti, diversa da quella che normalmente svolge la vicenda condizionale. Questa situazione, come già rilevato con riferimento alla condizione in cui è dedotto l’adempimento o l’inadempimento della prestazione suggerisce una lettura più articolata dell’istituto, il quale può, talvolta, operare come uno strumento per la realizzazione di scopi non completamente coincidenti con quelli tipici della fattispecie. In tale eventualità si ripropone un interrogativo che per altro può sintetizzarsi così: la condizione è uno schema unitario o plurimo.

Per rispondere a questa domanda è necessario stabilire se il modello condizionale tracciato nel Codice sia idoneo a risolvere anche interessi diversi o ulteriori rispetto alla definizione automatica degli effetti del contratto.

Nell’ipotesi di condizione unilaterale la sorte del rapporto contrattuale è legata a fatti diversi dall’avveramento o dal mancare dell’evento dedotto. Il rilievo potrebbe di per sé essere già indicativo del fatto che la fattispecie della condizione unilaterale non aderisce al modello normativo. Ma a tale rilievo se ne aggiungono altri.

Riportando il meccanismo della condizione unilaterale alla fattispecie della opzione e del recesso si viene a creare una sorta di concorrenza fra gli effetti propri della condizione e quelli degli istituti sopra menzionati. Poiché le norme che disciplinano tali effetti non sono coincidenti fra loro, si deve verificare se ci sia fra di esse compatibilità oppure se alle une o alle altre spetti un ruolo prevalente.

Il principio dell’autonomia privata impone di rispettare, almeno tendenzialmente, la specifica volontà delle parti. Qualora le parti abbiano utilizzato lo strumento della condizione si dovrebbe assecondare tale scelta a meno che essa non sia in contrasto con norme inderogabili.

Assecondare la scelta delle parti, però, significa esclusivamente accordare rilevanza giuridica ai loro patti e non anche ricollegarvi necessariamente le conseguenze che le stesse parti si sono prefigurate di raggiungere.

Qualora, infatti, risulti che la determinazione di autonomia sia qualificabile in termini differenti rispetto a quelli indicati dagli stipulanti, la regola giuridica da applicare è quella che appartiene alle figure alle quali il patto realmente aderisce.

Riportando questo ragionamento al problema che qui si è proposto risulta che con l’adozione della condizione unilaterale in realtà si determinano situazioni speculari a quelle del patto di opzione, nel caso di condizione sospensiva, e del recesso, quando la condizione è risolutiva.

La normativa di riferimento diventa perciò quella che regola questi istituti, non già quella che governa la figura della condizione.

Il richiamo a norme diverse da quelle contenute negli art. 1353 ss. c.c. non comporta una totale differenziazione tra gli effetti della condizione propria e quelli della condizione unilaterale.

Il patto di opzione, infatti, produce conseguenze che retroagiscono fino al momento della conclusione dell’accordo. Nel recesso, la irretroattività degli effetti assume un significato poco rilevante, stante la disponibilità della norma contenuta nell’art. 1360 c.c. dal quale emerge la relativa retroattività della condizione risolutiva.

Qualche disparità di regime si riscontra, se mai, in relazione alla rilevanza nei confronti dei terzi del patto. La condizione, in quanto assistita da efficacia reale, è sempre opponibile ai terzi, come opponibili ai terzi sono le sue vicende.

Nel caso di opzione invece e soprattutto di recesso l’opponibilità è limitata alle sole situazioni in cui è possibile trascrivere o il patto o le domande giudiziali eventualmente connesse con l’esercizio della facoltà di recesso.

Il limite alla rilevanza della condizione unilaterale nei confronti dei terzi sembra, per altro, una necessaria conseguenza del principio di relatività degli effetti degli atti giuridici (art. 1372 c.c.), principio che può essere derogato solo in presenza di una indicazione normativa.

Nel corso della condizione questa circostanza esiste, in quanto la sorte del contratto dipende da vicende estranee alla volontà delle parti. Quando la condizione è unilaterale, invece, la sorte del contratto dipende dalla volontà del contraente interessato al quale per il principio di relatività non è consentito disporre di interessi ulteriori rispetto a quelli propri e della controparte.

Nella limitazione degli effetti della condizione unilaterale ai soli rapporti fra i contraenti si rileva dunque una restrizione della autonomia privata che dipende, più che dalla qualificazione del patto in termini diversi rispetto alla fattispecie condizionale tipica, dalla indisponibilità da parte dei contraenti dei diritti appartenenti a soggetti terzi.

 

La condizione illecita

 

La disposizione dell’art. 1354 c.c. stabilisce che è nullo il contratto al quale sia apposta una condizione (sia sospensiva che risolutiva) illecita.

Il contenuto della norma ricalca nella sostanza la definizione di causa illecita data nell’art. 1343 c.c.

A differenza di quest’ultima disposizione che pone esclusivamente problemi di identificazione delle ipotesi concrete di illiceità dello scopo negoziale, la norma qui commentata non chiarisce, invece, se l’attributo debba essere riferito all’evento dedotto ovvero alla clausola condizionale.

Qualche autore intende la regola riferita solo alla clausola. Potrebbe, perciò, essere valida una clausola condizionale, nella quale l’evento dedotto consista in un fatto illecito, qualora la sua presenza nel contratto non porti alla realizzazione di una finalità riprovevole. Mentre potrebbe essere invalida la clausola condizionale, in cui l’evento, pur lecito, realizzi un intento illecito.

Per chiarire queste proposizioni si possono fare due esempi: un contratto di compravendita, subordinato al verificarsi del furto di un oggetto diverso da quello scambiato; il conferimento di un mandato risolutivamente condizionato all’adesione ad un partito politico.

Invero, la conclusione qui riferita non sembra tener conto che l’evento dedotto, nella più parte dei casi, esprime un interesse rilevante nell’economia del­ l’operazione economica, non già un fatto estraneo al rapporto negoziale. La determinazione contrattuale deve soddisfare interessi che possono trovare riconoscimento e protezione da parte dell’ordinamento giuridico. In particolare, se la condizione esprime un interesse delle parti, è assai difficile scindere l’illiceità dell’evento dall’illiceità dell’intento che ha ispirato la introduzione della clausola condizionale nel regolamento contrattuale.

Di ciò si ha conferma nelle considerazioni di chi richiama, ad ulteriore sostegno della tesi che riferisce l’illiceità alla clausola e non all’evento, la disciplina del motivo illecito (art. 1345 c.c.).

Il motivo comune assume, infatti, un rilievo causale; come tale se illecito rende invalido l’atto che ha determinato.

Nell’evento dedotto in condizione però non si esprime sempre una ragione immediatamente coincidente con le finalità dell’atto. Di conseguenza solo nel­ l’eventualità in cui il fatto dedotto sia parte dell’assetto di interessi designato dagli stipulanti, diventano rilevanti i suoi connotati di illiceità.

L’interdetto contenuto nella norma dell’art. 1354 c.c. può colpire solo le clausole negoziali che subordinano gli effetti dell’atto alla attuazione, da parte degli altri stipulanti, di un comportamento o, più in generale, di un fatto illecito.

Seguendo questo ragionamento si risolve automaticamente anche il problema della censura di illiceità per una clausola condizionale nella quale l’evento dedotto sia di per sé lecito. Se l’attributo della illiceità riguarda la clausola condizionale, intesa come mezzo di regolamento di interessi, le qualità dell’evento non possono rilevare di per se stesse, ma solo in quanto riferibili allo specifico atteggiarsi della relazione negoziale condizionata.

Non ha perciò senso distinguere fra evento, considerato nella sua oggettività fenomenica, e clausola condizionale, intesa come definizione di interessi. L’evento rileva in quanto dedotto in condizione e, quindi, quale fatto che influenza l’efficacia del contratto in relazione agli scopi perseguiti dai contraenti.

Diversa rispetto a quella condizione illecita è la disciplina della condizione impossibile.

In particolare, il Codice distingue fra condizione impossibile sospensiva e risolutiva, stabilendo solo nel caso di condizione sospensiva impossibile la nullità del contratto.

La ragione di questa differenza è palese: l’apposizione di una condizione è espressione dell’intenzione di delineare l’efficacia dell’atto. Se questa delimitazione è, però, illimitata nel tempo, per l’impossibilità della condizione. è chiaro che la volontà degli stipulanti sia incontrovertibilmente nel senso della definitiva efficacia dell’atto.

Il significato del termine «impossibile» contenuto nella disposizione del­ l’art. 1354 c.c. è analogo a quello che assume il medesimo vocabolo nella disposizione dell’art. 1346 c.c., relativo ai requisiti dell’oggetto del contratto. L’accostamento fra le due disposizioni, l’art. 1354 c.c. e l’art. 1356 c.c., sarebbe indicativo non solo ai fini dell’esplicitazione del senso dell’attributo, ma anche ai fini della individuazione del suo referente.

Il requisito della impossibilità non riguarderebbe infatti la clausola condizionale, ma l’evento dedotto.

Anche se l’oggetto del contratto non si identifica, almeno secondo larga parte della dottrina, con la cosa, o il bene o, più genericamente, il valore al quale si riferisce l’obbligo o il trasferimento, sarebbe difficile contestare che la norma dell’art. 1346 riguardi il regolamento negoziale inteso come determinazione dell’assetto di interessi.

Letta in questa prospettiva la disposizione qui commentata si imporrebbe il collegamento fra l’attributo e l’evento dedotto in condizione.

Questa conclusione non sembra, però, del tutto convincente. Innanzitutto risulta strano che il legislatore nell’ambito della stessa norma abbia assunto diversi termini di riferimento per la illiceità e poi per la impossibilità. In secondo luogo, poiché i requisiti dell’evento condizionante sono già indicati nell’art. 1353 c.c., non avrebbe senso aggiungere elementi che siano assorbiti nei connotati della futurità e dell’incertezza. Più ragionevole sembra, perciò, riferire anche l’attributo della possibilità alla clausola condizionale e quindi al regolamento degli interessi che le parti si sono dato.

Solo in questa prospettiva la norma in commento acquista un senso.

Seguendo la soluzione qui censurata, infatti, la disposizione sarebbe inutile: l’evento dedotto, in quanto irrealizzabile, lascerebbe in ogni caso gli effetti del­ l’atto perpetuamente sospesi.

Nella soluzione qui proposta, invece, la norma qui commentata risulta meglio armonizzata con la disciplina del contratto e soprattutto con la regola di interpretazione e, in particolare, con il principio di conservazione. Rispetto a questo principio, l’estensione dell’invalidità può spiegarsi solo rilevando la assenza della volontà di vincolarsi sul piano giuridico.

I problemi interpretativi della norma non si esauriscono qui.

L’attributo impossibile non ha un significato univoco.

Alcuni intendono impossibilità come qualità necessariamente oggettiva ed assoluta. Altri considerano rilevante l’impossibilità soggettiva e relativa. Per altri l’impossibilità è sinonimo di improbabilità.

La prima conclusione non aderisce alla logica della fattispecie condizionale e al suo regime giuridico.

Come già rilevato, inserendo nel regolamento contrattuale una clausola condizionale, le parti esprimono una regola di amministrazione degli effetti del contratto. Ciò implica la consapevolezza delle scelte operate e quindi delle caratteristiche dell’evento dedotto.

Invero, la legge può anche non assecondare la manifestazione di volontà. Ma qualsiasi sia la rilevanza positiva o negativa, che la determinazione di autonomia assuma, è necessario che la volontà si sia formata sulla base di una esatta conoscenza dei fatti a cui essa si riferisce. Se così non fosse, le parti potrebbero invocare i rimedi stabiliti dall’ordinamento nell’eventualità di manifestazione volitiva viziata da errore.

Ma l’impugnazione per errore delle clausole condizionali non è facilmente armonizzabile con il contenuto dell’art. 1429 c.c. Infatti, nell’eventualità qui considerata non si tratterebbe, come ha sottolineato la dottrina, di un errore di fatto sulla natura dell’oggetto dell’atto ovvero di una sua qualità essenziale, sibbene di un errore di diritto ma irrilevante. L’errore invocato dai contraenti potrebbe, infatti, riguardare solo il regime della condizione impossibile.

L’ignoranza o la falsa conoscenza delle norme di legge non è tutelata dall’ordinamento.

Altrettanto inaccettabile è la tesi secondo la quale impossibile è sinonimo di improbabilità.

L’improbabilità di un evento è solo un più alto livello di incertezza, in ordine al verificarsi o al mancare dell’evento dedotto.

L’incertezza è un connotato necessario dell’evento condizionante e come tale non può costituire un ulteriore attributo e, per di più, con conseguenze specifiche.

In definitiva all’«impossibilità» deve attribuirsi un significato legato a situazioni oggettive pur se relative.

D’altra parte, questa conclusione è coerente con l’interpretazione di altre disposizioni in cui compare il termine «impossibile».

L’oggetto del contratto è impossibile, non già in assoluto, ma in ragione delle specifiche condizioni degli stipulanti.

Analogamente la prestazione è considerata impossibile e, come tale, idonea a determinare la liberazione dell’obbligato, in ragione della sua situazione soggettiva, non già in base ad un giudizio astratto.

Deve soggiungersi che solo una condizione «relativamente» impossibile è compatibile con la norma dell’articolo in esame, che vuole essere rispettosa della intenzione degli stipulanti con il solo limite imposto dalla inderogabilità delle regole che proteggono interessi generali ed irrinunciabili (segue).

 

(*) Queste pagine sono parte di capitolo del volume collettaneo in tema di disciplina generale del contratto (AA.VV., Gli effetti del contratto,Torino, 2003) compreso  nel Trattato di diritto privato in corso di pubblicazione presso la casa editrice Giappichelli, volume dove sono considerati gli argomenti che si indicano nel suo circostanziato indice.

 

 

 

                                                                                            indice

Parte Prima

EFFETTI DEL CONTRATTO

  

Capitolo I

LA vincolatività

(di Giuseppe Vettori)

 

1.   Forza di legge e contratto giusto

2.   I contratti dei consumatori

3.   I contratti fra imprese

4.   Il contratto usurario

5.   Un nuovo ordine in formazione

  

Capitolo II

IL mutuo consenso allo scioglimento del contratto

(di Massimo Franzoni)

 

1.   Premessa

2.   Struttura e natura del mutuo dissenso: eliminazione giuridica dell’atto da sciogliere o cancellazione dei suoi effetti?

      2.1.   Le diverse tesi sul mutuo dissenso: il contrarius actus ed il contrarius consensus

      2.2.   La soluzione più rispettosa dell’art. 1372, c. 1º, c.c.

3.   Mutuo dissenso: effetti ex tunc oppure ex nunc

4.   Il mutuo dissenso di un contratto invalido, inefficace, risolubile, rescindibile o revocabile

5.   L’opponibilità ai terzi dello scioglimento di un contratto invalido

       5.1.   Il mutuo dissenso di donazione confermata: art. 799 c.c.

6.     Il mutuo dissenso di contratti ad effetti reali

7.     Il regime di pubblicità del mutuo dissenso

8.     La forma del mutuo dissenso

        8.1.    Il mutuo dissenso mediante distruzione materiale del contratto da sciogliere e la forma richiesta per fini diversi dalla validità

9.     Le parti del mutuo dissenso

10.   Il mutuo dissenso o la modifica dei contratti associativi

11.   La capacità di contrattare nel mutuo dissenso

12.   Le vicende del mutuo dissenso: il ripristino conseguente allo scioglimento dell’atto

13.   L’opponibilità ai terzi del mutuo dissenso

14.   Casistica sul mutuo dissenso: il contratto concluso dal falsus procurator, per persona da nominare, la cessione del contratto, il contratto a favore di terzo

15.   Il mutuo dissenso nei contratti con rilevanza verso i terzi: la cessione del credito, la locazione

16.   Il mutuo dissenso e la prelazione legale

17.   Il mutuo dissenso e la simulazione

        17.1.  La simulazione assoluta

        17.2.  La simulazione relativa

 

Capitolo III

GLI Effetti del contratto nei confronti dei terzi

(di Giuseppe Vettori)

 

1.    Il c. 2° dell’art. 1372

2.    Rilevanza ed opponibilità

3.    La responsabilità del terzo per violazione del contratto

  

Capitolo IV

I contratti ad effetti reali

(di Giuseppe Vettori)

 

1.    Premessa

2.    La circolazione dei beni: le soluzioni adottate negli ordinamenti europei. La tensione verso soluzioni uniformi

3.    L’acquisto di cose mobili e la Convenzione di Vienna

4.    L’acquisto dei titoli di credito

5.    Gli acquisti di cose immobili e la trascrizione: gli atti trascrivibili e la trascrizione del preliminare

6.     Principio consensualistico e autonomia privata

7.     Effetto traslativo e individuazione

8.     Il ruolo del contratto nell’assetto dei beni: obbligazioni reali e vincoli di destinazione

 

Capitolo V

Rilevanza ed opponibilità del contratto nel fallimento

(di Massimo Franzoni)

 

1.     Premessa

2.     Il fallimento come terzo avente causa

3.     L’inopponibilità dei contratti che presuppongono l’esercizio di un’impresa

4.     L’inopponibilità dei contratti personali e fiduciari

5.     L’inopponibilità dei contratti la cui esecuzione è incompatibile con una procedura concorsuale

6.     L’inopponibilità dei contratti privi di interesse per la massa dei creditori

7.     L’inopponibilità e la rilevanza dell’appalto

8.     Opponibilità e rilevanza della locazione

9.     L’opponibilità dell’assicurazione contro i danni

10.   Opponibilità ed inopponibilità di altri contratti

        10.1.   L’inopponibilità dell’arbitrato o della clausola arbitrale al fallimento

11.   Efficacia ed opponibilità, quando la scelta di subentrare è effettuata a posteriori: i contratti a prestazioni corrispettive, ineseguiti

12.   Il fallimento del compratore

13.   Il fallimento del venditore

14.   Opponibilità e rilevanza del contratto preliminare

15.   L’opponibilità della vendita a rate con patto di riservato dominio e con patto di riscatto

16.   L’opponibilità nella vendita di cosa mobile

17.   Opponibilità e rilevanza del contratto di somministrazione

18.   Gli artt. 72 e 74 l. fall. sono espressioni del principio generale di opponibilità nei rapporti giuridici pendenti

19.   L’art. 45 l. fall.: l’opponibilità mediante la trascrizione

20.   L’art. 45 l. fall. e gli atti non soggetti a trascrizione: quale regola per l’opponibilità nel trasferimento dei titoli di credito e delle quote di società?

21.   L’art. 45 l. fall. e l’art. 1519 c.c

22. Il fallimento e la data certa delle cambiali: l’opponibilità negli atti unilaterali

23. L’inopponibilità del contratto simulato al fallimento

 

 

Parte Seconda

condizione, termine e modo

(di Maria Costanza) 

 

Capitolo VI

condizione, termine e modo

 

1.     Premessa

2.     L’evento deducibile in condizione

3.     L’evento deducibile in condizione e la deducibilità dell’adempimento

4.     Condizione sospensiva e risolutiva

5.     La condizione unilaterale

6.     La condizione illecita

7.     Vitiatur et vitiat e nullità parziale

8.     L’invalidità della condizione apposta ad una singola clausola

9.     La norma dell’art. 1355 c.c.

10.   Condizione meramente potestativa e condizione potestativa

11.   La condizione potestativa risolutiva

12.   La pendenza della condizione

13.   Gli atti conservativi

14.   Condizione risolutiva e atti conservativi (rinvio)

15.   Atti di disposizione

16.   Il comportamento delle parti in pendenza della condizione

17.   La finzione di avveramento

18.   La causa imputabile

19.   Ambito di applicazione della norma e la finzione di non avveramento

20.   La retroattività

21.   Il limite della retroattività

22.   Limiti di opponibilità della condizione

23.   Condizione legale

24.   Termine

25.   Modo

Parte Terza

Recesso dal contratto

(di Federico Roselli) 

 

Capitolo VII

Il recesso dal contratto

 

1.     Nozione

2.     Il recesso quale atto impeditivo dell’adempimento

3.     Recesso successivo all’adempimento

4.     Figure contigue e variazioni terminologiche

5.     Irrevocabilità del recesso

6.     Recesso e forza legale del contratto

7.     L’inizio dell’esecuzione del contratto

8.     Efficacia temporale del recesso

9.     Le funzioni del recesso

10.   I presupposti del recesso

11.   Il recesso come negozio giuridico

 

  

Parte Quarta

contratto e terzi

(di Aldo Checchini) 

 

Capitolo VIII

il divieto contrattuale di alienare (art. 1379 c.c.)

 

1.     Spunti etimologici

2.     I divieti negoziali nella pratica

3.     I divieti legali di alienare

4.     Cenni storici

5.     La questione dogmatica

6.     Le direttive fondamentali contenute nell’art. 1379 c.c.

7.     Norma di principio o norma residuale?

8.     La pretesa «efficacia reale» di alcuni divieti negoziali di alineare: a) Il divieto di cessione dell’usufrutto.

9.     (Segue) b) Il divieto di cessione del credito

10.   (Segue) c) Il divieto di cedere la quota di s.r.l.

11.   (Segue) d) I divieti condominiali

12.   Il requisito dell’interesse apprezzabile nelle «opzioni» previste dalla legge

13.   Conclusione: l’art. 1379 c.c. richiama principi inderogabili

14.   Il significato dell’interesse apprezzabile

15.   I convenienti limiti di tempo

16.   Ulteriori problemi di validità della clausola

17.   L’inadempimento del divieto

18.   Soggezione di altre figure negoziali alla regola dell’art. 1379 c.c. 

 

Capitolo IX

il conflitto fra più diritti personali di godimento (art. 1380 c.c.)

 

1.     Cenni introduttivi

2.     L’interpretazione riduttiva

3.     L’interpretazione giurisprudenziale «eversiva»

4.     Il problema della natura dei diritti personali di godimento e la revisione critica delle categorie dogmatiche; cenni

5.     I diritti personali di godimento come categoria autonoma: a) L’attribuzione del godimento e la conseguente soggezione del dante causa

6.     (Segue) b) Le vicende del diritto personale di godimento e la necessità di una legittimazione a disporre; critica

7.     La distinzione in base al criterio della opponibilità: la pretesa natura reale di alcuni diritti personali di godimento

8.     La critica alla tesi realistica e la riaffermazione della natura relativa dei diritti personali di godimento

9.     La distinzione che fa capo alla disciplina del possesso e dell'acquisto a titolo originario

10.   L’ambito di applicazione dell’art. 1380 c.c.

11.   Il conflitto e l’acquisto del godimento

12.   La soluzione del conflitto secondo la dottrina e le questioni dogmatiche irrisolte: il c. 1° dell’art. 1380. c.c.

13.   (Segue) Il c. 2° e 3° dell’art. 1380 c.c.

14.   L’art. 1380 c.c. e le azioni spettanti al concessionario 

 

Capitolo X

la promessa del fatto del terzo (art. 1381 c.c.)

 

1.     Il codice attuale e le vicende precedenti

2.     Le questioni principali da chiarire

3.     Fattispecie non regolate dall’art. 1381 c.c.: promessa di fare, promessa in nome altrui, promessa di un indennizzo

4.     Le giustificazioni dogmatiche: norma interpretativa; conversione legale

5.     Teorie tradizionali

6.     L’indennizzo garantisce l’oblato per ciò che rischia nell’interesse del promittente

7.     L’obbligazione di adoprarsi, intesa come «cura sine effectu», quale conseguenza eventuale della promessa

8.     Il significato della promessa è quello di un impegno negoziale di protezione dell’oblato

9.     La promessa del fatto altrui garantisce che l’utilità della prestazione fornita al promissario non sarà inferiore al sacrificio dal lui affrontato

10.   Il significato dell’affidamento

11.   Il fatto promesso

12.   La ricostruzione dell’istituto, le lacune dell’art. 1381 c.c. e la tesi della Cassazione

13.   Questioni in tema di indennizzo

14.   Cenni sulla struttura del negozio

  

 

Parte Quinta

clausola penale e caparra

(di Federico Roselli)

 

Capitolo XI

Clausola penale e caparra

 

1.    La clausola penale. Nozione

2.    Funzione risarcitoria e funzione sanzionatoria della clausola penale

3.    Aspetti pratici della disputa circa la funzione, risarcitoria o sanzionatoria, della clausola penale

4.    Accessorietà della clausola penale all’obbligazione

5.    Imputabilità dell’inadempimento sanzionato con la clausola penale

6.     L’oggetto della clausola penale

7.     Penale per il ritardo nell’inadempimento (pena moratoria)

8.     Divieto di cumulo della prestazione principale con la penale

9.     Riduzione della penale

10.   Se la riduzione possa essere disposta dal giudice d’ufficio

11.   Riducibilità della clausola nei contratti stipulati con la pubblica amministrazione

12.   Se la clausola penale possa essere compresa tra le clausole vessatorie

13.   La caparra confirmatoria. Nozione

14.   Funzione della caparra confirmatoria

15.   Accessorietà e realità del patto di caparra confirmatoria

16.   Effetti della consegna della caparra

17.   La caparra e la multa penitenziale

  

 

Parte Sesta

Simulazione

(di Aurelio Gentili)

 

Capitolo XII

simulazione e teoria giuridica

 

1.    Il compito della teoria giuridica in materia di simulazione

2.    L’oggetto della teoria e la definizione della fattispecie

3.    Metodo descrittivo e metodo prescrittivo nella ricostruzione della disciplina

4.    Teoria e dottrine della simulazione: teoria della nullità e teoria dell’inefficacia dell’atto simulato

 

Capitolo XIII

la simulazione nella storia del pensiero giuridico: la teoria della nullità e la teoria dell’inneficacia

 

1.    La simulazione nelle codificazioni ottocentesche

2.    Dalla pandettistica al B.G.B.: la teoria della simulazione in Germania

3.    La teoria volontaristica di F. Ferrara

4.    La teoria dichiarativistica di G. Messina

5.     La teoria precettivistica di E. Betti

6.     La teoria causale di S. Pugliatti

7.     L’eclettismo della metà del secolo

8.     La teoria dell’inefficacia per inesecuzione preordinata nel pensiero di S. Romano

9.     La simulazione tra «fattispecie» ed «autoregolamento» nel pensiero di A. Auricchio

10.   La simulazione nella dottrina francese 

 

Capitolo XIV

La nozione giuridica della simulazione del contratto

 

1.     Premesse metodologiche

2.     Volontà, dichiarazione, causa nel contrasto fra contratto simulato e accordo simulatorio

3.     Nozione dell’accordo simulatorio e delle controdichiarazioni in senso sostanziale e loro natura negoziale

4.     Simulazione totale e parziale

5.     Simulazione soggettiva e oggettiva: l’interposizione

6.     Simulazione assoluta e relativa: il contratto dissimulato

7.     Causa simulandi, illiceità, frode, falso

8.     Simulazione e riserva mentale

9.     Simulazione e fiducia: inconsistenza della distinzione tradizionale 

 

Capitolo XV

simulazione, invalidità, inefficacia

 

1.     Incoerenza e inutilità della tesi della nullità

2.     Nel contratto simulato non manca la «volontà» nel senso rilevante per la validità

3.     Nel contratto simulato non manca la causa, né rileva per la validità un intento contrastante

4.     Soggetti e oggetto: la natura strutturale del «vizio» di simulazione

5.     Diversità di disciplina tra simulazione e nullità

6.     Duplice significato e inconsistenza della tesi della inefficacia

7.     Simulazione e inesistenza

8.     L’«inefficacia» del contratto simulato

 

Capitolo XVI

Le regole di soluzione dei conflitti

 

1.   Regole di prevalenza e conflitti fra le parti

2.   Il conflitto con il subacquirente di buona fede

3.   I conflitti con i creditori e gli altri terzi

4.   La disciplina delle situazioni «fiduciarie»

5.   Sintesi della regola di prevalenza 

 

Capitolo XVII

La simulazione nelle ipotesi diverse dal contratto di scambio

 

1.   La simulazione oltre i confini del contratto a prestazioni corrispettive

2.   La simulazione nella materia delle società

3.   Sull’ammissibilità logica di una simulazione del contratto di società e l’inammissibilità della simulazione dell’ente

4.   La simulazione nel sistema delle impugnative della società fissato nel codice

5.   La simulazione del matrimonio nell’opinione tradizionale e la riforma del diritto familiare

6.   La disciplina della simulazione del matrimonio

7.   Simulazione ed atti unilaterali 

 

Capitolo XVIII

il giudizio di simulazione

 

1.   Premesse

2.   L’azione di simulazione: natura, interesse, legittimazione, irrilevabilità d’ufficio, litisconsorzio

3.   La sanatoria

4.   La prescrizione

5.   La prova

 

 

 

 

 


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