Libertà negoziale ed eterodeterminazione del contenuto
del contratto nel diritto comunitario dei contratti
di Giuseppe Chinè
Magistrato
Omessi gli apparati di note e di riferimento bibliografico, queste pagine (cortesemente messe a disposizione dal prof. Mario Bessone) sono una sezione di capitolo del primo tomo dell'opera a cura di Antonio Tizzano, AA.VV., Il diritto privato dell'Unione europea, che è parte del Trattato di diritto privato in corso di pubblicazione per iniziativa dell'editore Giappichelli.
In un sistema fondato sul principio di autonomia privata, corollario delle dottrine liberiste secondo cui solo l’autonomia e la libertà dell’individuo di decidere se stipulare, con chi farlo ed a quali condizioni possono garantire la reale giustizia dell’accordo, si colloca in evidente controtendenza rispetto al passato il filone normativo di provenienza comunitaria che riserva alla fonte legislativa, espropriando le parti del rapporto, la facoltà di determinare ampi settori del contenuto dello stipulando accordo contrattuale.
Spesso tale filone si
caratterizza per l’individuazione di un vero e proprio contenuto, per così dire,
«minimo» consistente in clausole che le parti non possono omettere, perché
ritenute dal legislatore sovranazionale essenziali per realizzare i superiori
obiettivi di tutela e riequilibrio dei rapporti di forza tra contraenti.
Obiettivi che oggi appaiono imprescindibili, una volta entrata definitivamente
in crisi l’equazione che faceva coincidere giustizia ed autonomia privata,
inibendo alla legge qualsiasi intervento nella sfera riservata in via esclusiva
alle decisioni e scelte dei contraenti che fosse diversa dalla mera fissazione
delle regole del gioco e dall’indicazione dei limiti insuperabili della liceità,
possibilità, determinatezza o determinabilità.
L’agnosticismo del legislatore per il contenuto degli accordi interprivati ha tradizionalmente comportato un generale divieto per il giudice ordinario di sindacare le clausole su cui si fosse perfezionato il consenso, fatte salve alcune ipotesi ritenute da sempre affatto eccezionali nel panorama codicistico e giustificate da prevalenti ragioni connesse alla stessa liceità del contratto ovvero a squilibri tra prestazioni conseguenti a vizi del consenso od a fattori esterni imprevedibili.
L’attenzione crescente per il contenuto dell’accordo contrattuale si ascrive a pieno titolo all’interno della nota politica correttiva di riequilibrio delle posizioni di forza dei contraenti, rappresentando lo strumento più efficace per smascherare quelle situazioni di abuso e sopraffazione ai danni della parte debole del rapporto che il dogma della libertà negoziale, rivelatosi fallace nelle relazioni tra soggetti di diversa condizione economica, aveva originato nella prassi negoziale corrente. Tale strumento muove dal disconoscimento della capacità della parte economicamente più debole, la quale agisce per soddisfare bisogni personali e familiari, di pattuire condizioni conformi ad un parametro di normale equità e giustizia contrattuale in una libera contrattazione, cosicché diventa imprescindibile l’intervento esterno diretto ad imporre nel testo sottoscritto dal consumatore un nucleo di clausole senza il quale può anche scattare la massima sanzione della nullità del contratto.
Per garantire gli effetti
della stipulazione nell’interesse del contraente debole e per evitare che la
mera sanzione della nullità si ripercuota negativamente proprio sul soggetto
destinatario di tutela, impedendogli di ottenere il bene o di usufruire del
servizio dedotto in contratto, spesso la legge si spinge sino a prevedere
meccanismi automatici di integrazione del contenuto contrattuale ovvero di
sostituzione delle clausole nulle ai sensi dell’art. 1339 c.c., indicando i
criteri ed i parametri cui improntare la predetta copertura delle lacune del
regolamento contrattuale.
Altre volte il legislatore comunitario, pur mantenendo la validità
dell’operazione contrattuale in assenza di quelle clausole ritenute essenziali
per una corretta stipulazione, attribuisce alla parte debole la facoltà di
recedere dal contratto in un termine decorrente dal perfezionamento
dell’accordo. Tale ius poenitendi è lo strumento di cui dispone il
contraente per ritirarsi da una transazione cui difettino quelle clausole che,
nell’ottica legislativa, avrebbero dovuto cristallizzare tutte quelle
informazioni necessarie per renderlo effettivamente edotto dei contorni della
stipulazione nonché limitare sul piano negoziale i poteri di autotutela della
controparte.
Si rinvengono poi casi in cui l’obiettivo di indurre la parte economicamente più
forte ad accogliere nel testo del contratto determinate clausole prescinde dalla
sanzione contrattuale della nullità, in quanto a questa vengono preferite
sanzioni amministrative aventi una più diretta ripercussione sul patrimonio
della parte stessa.
Esempi della descritta tendenza normativa possono essere rinvenuti nelle recenti
discipline dei contratti di credito al consumo, dei contratti di vendita di
pacchetti turistici e di quelli relativi all’acquisizione di un diritto di
godimento parziale di beni immobili.
L’art. 124, d.lgs. n.
385/1993, seguendo le linee guida tracciate dalla direttiva n. 87/102/CEE,
predetermina in modo minuzioso le clausole che, a pena di nullità, devono essere
contenute in un contratto di finanziamento stipulato tra un operatore
commerciale o professionale ed una persona fisica che agisce per scopi estranei
alla propria attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta La
medesima norma definisce ulteriormente i confini dell’accordo contrattuale
imponendo il divieto di inserimento di alcune clausole ritenute particolarmente
gravose per il debitore.
Il contratto di finanziamento dovrà esattamente indicare quale sia l’ammontare
dell’importo finanziato, entità e tempi delle singole rate di rimborso, il tasso
annuo effettivo globale (TAEG) da intendersi quale costo totale del credito a
carico del consumatore espresso in percentuale annua del credito concesso, il
dettaglio delle condizioni analitiche secondo cui tale tasso può essere
modificato, l’importo e le clausole degli oneri che sono esclusi dal calcolo del
tasso stesso, le eventuali garanzie e coperture assicurative richieste al
consumatore.
Qualora il contratto di
finanziamento sia strumentale all’acquisto di beni o servizi, tali beni dovranno
essere analiticamente descritti nel contratto, ivi dovrà farsi menzione del
prezzo e dell’eventuale acconto nonché delle condizioni che disciplinato il
passaggio di proprietà, ove non questo non fosse immediato.
La mancanza delle citate clausole determina la nullità del contratto, ma in
ossequio al principio di conservazione strumentale al soddisfacimento delle
esigenze del consumatore l’art. 124, c. 5°, d.lgs. n. 385/1993 permette
all’accordo di sopravvivere qualora sia possibile colmare la lacuna del
regolamento negoziale mediante parametri legalmente imposti: così, in mancanza
di fissazione del tasso annuo effettivo globale, questo viene fatto equivalere
al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari
eventualmente indicati dal Ministro del tesoro, emessi nei dodici mesi
precedenti la conclusione del contratto, mentre in mancanza di indicazione della
scadenza del credito, questa viene imperativamente fissata in trenta mesi.
Nei casi residui la lacuna
potrà essere colmata attraverso i generali rimedi di integrazione previsti dalla
normativa codicistica, i quali devono prevalere sull’applicazione dei principi
della nullità parziale di cui all’art. 1419 c.c. A questa conclusione spinge
l’intenzione del legislatore di restringere quanto più possibile gli effetti
negativi della nullità e di salvaguardare gli interessi del consumatore connessi
con l’operazione contrattuale, i quali verrebbero irrimediabilmente pregiudicati
da una diffusa estensione della invalidità del contratto
Che la nullità sia strumentale agli interessi del contraente debole, ai quali
deve in ogni caso piegarsi qualora possa trasformarsi in ostacolo
all’approvvigionamento di determinati beni o alla fruizione di determinati
servizi, lo dimostra l’art. 127, c. 2°, d.lgs. n. 385/1993 che attribuisce al
solo «cliente» (rectius: consumatore) la legittimazione a farla valere.
Nullità relativa e criteri
legali di integrazione – sostituzione del contenuto contrattuale rappresentano
perciò gli strumenti di cui si avvale il legislatore per ricondurre
contrattazioni tra parti diversamente connotate sul piano economico a contenuti
minimi che ne impediscano la trasformazione in mezzi di abuso e sopraffazione.
Una eterodeterminazione ancora più analitica del contenuto contrattuale è
contemplata dalla disciplina dei contratti di vendita di pacchetti turistici,
aventi ad oggetto i viaggi, le vacanze ed i circuiti «tutto compreso». L’art. 7
del d.lgs. n. 111/1995 contiene una elencazione di clausole la cui presenza dà
corpo al modello di stipulazione oggetto di disciplina: in altri termini il
legislatore nazionale, nel recepire la direttiva comunitaria n. 90/314/CEE, ha
tradotto in norma quel contenuto minimo che connota un contratto di vendita di
pacchetti turistici, espropriando del relativo potere di determinazione
l’organizzatore o il venditore del pacchetto.
La vendita di un pacchetto turistico è infatti contratto il cui contenuto non può non essere predeterminato dalla parte venditrice, avendo ad oggetto un prodotto già confezionato da chi lo pone in vendita o da un soggetto terzo (appunto, l’organizzatore) e, anche per tale motivo, normalmente concluso mediante l’utilizzo di moduli o formulari secondo la tecnica delle stipulazioni per adesione. Una scorsa alle informazioni che necessariamente devono essere contenute nel contenuto del contratto di vendita del pacchetto turistico evidenzia la preoccupazione di fornire al consumatore – viaggiatore una visione chiara e trasparente dei termini dell’accordo, in tutti i suoi aspetti soggettivi ed oggettivi, tenendo conto anche di eventuali modifiche future dipendenti da condotte del venditore o da eventi accidentali ed imprevedibili.
Oltre alla identificazione
dell’organizzatore o venditore, di cui dovrà essere nota l’autorizzazione
amministrativa all’esercizio dell’attività, il contratto deve contenere una
dettagliata descrizione del pacchetto turistico (itinerario e tappe del viaggio,
mezzi e tipologie del trasporto, ubicazione, categorie e tipo di sistemazione
alberghiera, pasti forniti, visite, escursioni, presenza di accompagnatori o
guide turistiche), il prezzo del pacchetto 59 e gli altri oneri economici posti
a carico del consumatore (diritti e tasse sui servizi portuali ed aeroportuali),
l’indicazione delle eventuali garanzie (polizze assicurative, fondo di garanzia
previsto dall’art. 21, d.lgs. n. 111/1995), le modalità della cessione del
contratto ad un terzo, della modifica di condizioni contrattuali e di esercizio
della facoltà di recesso, il termine per proporre reclamo per inadempimento o
inesatto adempimento.
La predetta disciplina, a differenza di quella sul credito al consumo, non
sanziona con la nullità la violazione dell’obbligo di munire di un determinato
contenuto minimo il contratto di vendita di pacchetti turistici, omettendo
quindi di prevedere meccanismi di sostituzione – integrazione autoritativa del
regolamento contrattuale. Né sembra possibile ipotizzare un potere giudiziale di
intervento sul contenuto negoziale guidato dai principi desumibili dal d.lgs. n.
111/1995, il quale si tradurrebbe, nel silenzio legislativo sul punto, in una
inammissibile interferenza del giudice ordinario in una sfera riservata
all’autonomia dei privati.
Rimane l’indubbia rilevanza della previsione normativa sul piano della certezza dei rapporti e su quello probatorio, poiché, tenuto anche conto dell’obbligo formale prescritto dall’art. 6, d.lgs. n. 111/1995, il consumatore è certamente facilitato nell’onere conoscitivo dei termini dell’accordo.
La estrema analiticità della previsione normativa relativa al contenuto del contratto di vendita di pacchetti turistici ha fatto dubitare degli effetti benefici per il consumatore alla luce dell’art. 1469 ter, c. 3°, c.c., secondo cui sfuggono al controllo di vessatorietà quelle clausole che riproducono disposizioni legislative o che siano riproduttive di disposizioni o attuative di principi contenuti in convenzioni internazionali delle quali siano parti tutti gli Stati del l’Unione europea o l’Unione stessa.
Il sospetto è che la strada percorsa dalla direttiva n. 90/314/CEE nel sollecitare una politica di massiccia eterodeterminazione del contenuto contrattuale abbia prodotto l’effetto di precludere al consumatore l’accesso a forme di tutela sostanziale, quali quella del controllo di vessatorietà ex art. 1469 bis ss. c.c. . Per fugarlo è sufficiente, però, ricordare che la valutazione di vessatorietà non può non coinvolgere, oltre alla singola clausola, l’intero regolamento contrattuale cui accede, di talché potrebbe ipotizzarsi un sindacato negativo su alcune clausole di fonte legale svantaggiose per il consumatore, ma in concreto inserite in un contesto negoziale cui difettino altre previsioni normative obbligatorie a cui il legislatore aveva riconosciuto un effetto calmieratore a favore del consumatore stesso.
La valutazione positiva di una
o più clausole contenuta in un testo normativo (che, addirittura, le imponga)
non può essere astratta dal complessivo regolamento contrattuale nel cui ambito
è scaturita, cosicché qualora si modifichi tale regolamento, mediante semplice
cancellazione ovvero mediante la sostituzione delle clausole previste dalla
legge con altre predisposte dal contraente professionale, non sembra residuino
limiti al sindacato giurisdizionale contemplato dagli artt.
1469 bis e
ter c.c.
Anche la direttiva n. 94/47/CE relativa ai contratti di acquisto di un diritto di multiproprietà immobiliare si è orientata verso l’imposizione di un determinato contenuto minimo costituito da un insieme di clausole analiticamente indicate nell’allegato alla direttiva stessa. Tali clausole, aventi carattere spiccatamente informativo, essendo finalizzate a fornire all’acquirente una visione realistica dell’affare che va a concludere, cosicché il consenso espresso possa scaturire da una effettiva ponderazione degli effettivi costi e benefici 65 assurgono, anche nel testo legislativo di attuazione della direttiva, a «contenuto minimo necessario» del contratto di acquisto di un diritto di multiproprietà.
L’art. 3, c. 2°, d.lgs. n. 427/1998 stabilisce che tale contratto, oltre ad indicare le generalità ed il domicilio dell’acquirente, debba contenere l’indicazione del periodo di tempo durante cui può essere esercitato il diritto di godimento, la clausola che escluda a carico dell’acquirente altri oneri, obblighi o spese diversi da quelli previsti dal contratto, i termini di un eventuale sistema di scambio o di alienazione del diretto oggetto della pattuizione nonché la data ed il luogo della stipulazione.
A questi elementi devono
essere aggiunti, in forza del l’apposito rinvio contenuto nell’art. 3, c. 2°,
d.lgs.cit., quelli indicativi precedente art. 2, c. 1°, lett. da a) a
i).
Trattasi di notizie «precise» riguardanti l’identità ed il domicilio del
venditore, l’immobile ed il suo stato, gli estremi della concessione edilizia e
delle leggi regionali che regolano l’uso dell’immobile con destinazione
turistico-ricettiva, i servizi e le strutture comuni ai quali l’acquirente avrà
accesso; il prezzo di vendita nonché l’importo stimato delle spese per
l’utilizzazione dei servizi e delle strutture comuni, le condizioni di esercizio
del diritto di recesso, le quali devono essere cristallizzate in un documento
informativo che il venditore è tenuto a consegnare ad ogni persona che richieda
informazioni sul bene immobile su cui verte il diritto oggetto del contratto.
La violazione dell’obbligo informativo da parte del venditore, da cui discende
un contratto lacunoso perché privo di quelle clausole imposte dal legislatore,
non comporta la nullità, ma, ai sensi dell’art. 5, c. 2°, d.lgs. n. 427/1998,
legittima l’acquirente a recedere dal contratto entro tre mesi dalla stipula,
senza alcun onere economico a carico del receduto. Anche in tale contesto ad una
sanzione automaticamente incidente sul contratto, si preferisce un rimedio che
lasci alla discrezionalità della parte tutelata di decidere se mantenere in vita
o liberarsi dal vincolo negoziale. (continua)