di Aldo Checchini (*)
I convenienti limiti di tempo
La giustificazione più convincente circa la prescrizione di un conveniente limite di tempo per la validità del divieto di alienare stabilito per contratto secondo la regola dell’art. 1379 cod.civ. risiede nel principio della temporaneità dei vincoli obbligatori e, in particolare, nel disfavore verso i vincoli alla libertà di contrarre, assai più che nel pericolo di pregiudicare la proprietà, data la mera efficacia obbligatoria che non tocca la facoltà di disporre.
Si rileva, in dottrina, come siffatta valutazione sia elastica e variabile. Infatti il giudizio circa la convenienza dei limiti di tempo non può non tenere conto degli specifici interessi che, di volta in volta, il patto è diretto a soddisfare.
Osserviamo che ciò induce ad individuare, ancora una volta, l’interesse apprezzabile in ciò che concerne la funzione del divieto.
La mancata osservanza del requisito temporale si concreta, pacificamente, in una nullità del patto, dovuta, secondo alcuno, ad indeterminatezza della prestazione di durata, ma più probabilmente ad illiceità dell’oggetto, secondo una prospettiva che vede nella stipulazione del divieto senza rispettare i requisiti in esame la lesione di interessi protetti inerenti all’autonomia negoziale, piuttosto che una mancanza di causa.
Ove il termine non vi sia o non sia congruo la questione principale concerne, da un lato, la ammissibilità di una conversione del negozio, dall’altro la possibilità di una integrazione da parte del giudice.
Non sembra potersi condividere la tesi che consentirebbe la sostituzione della clausola nulla ex art. 1419, c. 2°, con una norma imperativa, senza far cadere l’intero contratto.
Infatti, in primo luogo non si vede quale norma consentirebbe tale sostituzione. Non può trattarsi dell’art. 1379, che, come si è detto giustamente non contiene alcuna previsione in materia, ma solo la fissazione dei requisiti di validità del negozio.
In secondo luogo non si vede quale sarebbe l’interesse superiore tutelato attraverso siffatta sostituzione.
Se si accoglie, infatti, l’idea che il meccanismo dell’art. 1419, capoverso, protegge un interesse specifico di una delle parti – considerato degno di prevalente protezione dalla norma imperativa – interesse che, altrimenti, ( e cioè se si facesse cadere l’intero negozio applicando la regola dello stesso art. 1419, c. 1°) rischierebbe di soccombere, non si vede perché l’ordinamento debba proteggere più il contraente interessato alla salvezza del patto anziché quell’altro, posto che nel caso in esame, gli interessi dei contraenti si presentano normalmente sullo stesso piano.
Se poi fosse vera la tesi criticata, l’art. 1419 capoverso dovrebbe funzionare in combinazione con qualsiasi norma che impone dei limiti di validità del negozio, aprendo inaspettati e forse incontrollabili campi di applicazione.
Più degno di considerazione è il tentativo di applicare il principio di conservazione che consentirebbe di mantenere in vita il regolamento quando gli interessi in gioco conservano il loro punto di equilibrio, permettendo, tuttavia, alla parte dissenziente di dimostrare la mancanza di utilità del nuovo assetto, snaturato dalla riduzione giudiziale.
Ulteriori problemi di validità della clausola
Oltre ai requisiti di validità richiesti dall’art. 1379 c.c., per quanto concerne il merito e la durata, occorre considerare che il divieto di alienare pone «restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi», e pertanto, ove sia contenuto nella condizioni generali di contratto previste da un imprenditore, rientra fra le clausole vessatorie già ex art. 1341, c. 2°, e per di più oggi, in ragione di tale specifico contenuto, la clausola si «presume» vessatoria, ex art. 1469 bis, c. 3°, n. 18, perdendo efficacia essa sola ex art. 1469 quinquies, mentre il contratto rimane efficace per il resto, a meno che l’imprenditore non dimostri che, pur essendosi concluso il contratto mediante moduli o formulari, il divieto è stato oggetto di una specifica trattativa col consumatore, e salva, comunque, la possibilità di contrastare la suddetta presunzione dimostrando che non si tratta di clausola che determina, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
La nullità del patto inserito come clausola porta con sé il problema della sopravvivenza del contratto.
Si applica, in proposito, l’art. 1419 c.c., sulla nullità parziale, che richiede di determinare se la rilevanza del patto nella complessiva volontà contrattuale, sia tale da rendere nullo l’intero contratto.
L’inadempimento del divieto
Le conseguenze dell’inadempimento, secondo l’opinione comune, darebbero luogo soltanto al risarcimento del danno per violazione di una obbligazione negativa, con il corollario che sarebbe illecita ogni clausola che prevedesse la nullità o la risoluzione dell’atto di trasferimento.
L’inderogabilità della norma, tuttavia, concerne soltanto l’inopponibilità ai terzi senza determinare in altro modo gli effetti, nel senso che si debbano produrre per forza, come conseguenza del divieto, soltanto obblighi di risarcimento e non si possa immaginare una sanzione sul piano della efficacia dell’atto.
Non si può escludere, pertanto, che là dove non sia necessario tutelare terzi aventi causa – ai quali sarebbe sicuramente inopponibile il divieto – il promissario possa far valere l’inadempimento per ottenere la risoluzione con effetto, appunto, inter partes.
Si pone il problema del risarcimento dei danni derivanti da inadempimento, dato che molte volte si stenta a coglierne la dimensione patrimoniale.
Si è osservato, peraltro, che si tratterà, tutt’al più, di quantificare il danno che va oltre la lesione di interessi patrimoniali, problema che è comune alle obbligazioni destinate a soddisfare, per definizione (art. 1174 c.c.) anche interessi di natura diversa. La soluzione, in tal caso, deve essere affidata ad una valutazione equitativa del giudice.
Si è prospettato, inoltre, che possa mancare ogni sanzione dell’inadempimento, ove l’interesse «di una delle parti» richiesto dall’art. 1379 fosse, in realtà, quello dello stesso obbligato. Occorre tenere distinto, tuttavia, l’interesse che deve sussistere per la creazione e per la permanenza di un valido divieto, dall’interesse del creditore della prestazione negativa, che può assumere una autonoma consistenza anche nei casi in cui concorre con l’interesse dell’obbligato.
Ci si è chiesto se possa prevedersi una clausola penale con la funzione di liquidare preventivamente il danno, ed ovviare, in tal modo, alle difficoltà accennate. Secondo la dottrina potrebbe trattarsi anche di una valutazione economica fatta dalle parti in merito ad una prestazione priva di intrinseco valore patrimoniale. Non si vede la ragione di escludere tale strumento, nei limiti generali in cui la clausola penale non appare eccessiva, avuto riguardo all’interesse del creditore all’adempimento (art. 1384 c.c.). Entro tali limiti cade la preoccupazione che si voglia abusare di un istituto di per sé lecito per introdurre una pena privata.
Soggezione di altre figure negoziali alla regola dell’art. 1379 c.c.
Si esclude, da taluno, che il patto di prelazione e di opzione rientrino automaticamente nella previsione del divieto di alienare «incondizionato», di cui all’art. 1379, in quanto, pur determinando restrizioni alla libertà di disporre, tali accordi non svolgerebbero sempre una funzione omogenea.
Si distinguerebbero, pertanto, secondo la teoria accennata, quei patti diretti ad imporre vincoli di destinazione dei beni – che sfuggirebbero alla sfera di disciplina della norma in questione e addirittura sarebbero opponibili ai terzi con una vera e propria efficacia reale – dai patti in cui la limitazione viene imposta all’obbligato per soddisfare un interesse specifico del promissario, ai quali resterebbe applicabile l’art. 1379.
Più che nel riferimento al vincolo di destinazione, ancora troppo generico per poterne dedurre una disciplina uniforme – basti pensare che in una fondazione riconosciuta i beni non inalienabili statutariamente restano pur sempre disponibili – sembra invece preferibile giustificare la durata della preferenza avendo riguardo alla connessione «causale» con lo scopo della prelazione, quale risulta oggettivamente dal rapporto giuridico; in tal caso si ammette che il vincolo possa durare, ad esempio, quanto il rapporto cui funzionalmente inerisce, perché la stessa regola fa ritenere «conveniente» tale limite di tempo.
Esiste una diffusa convinzione che la prelazione non vincoli il potere di disporre, ma ne regoli soltanto le modalità. In giurisprudenza si trova chiaramente affermata tale idea là dove si sottolinea che il patto non incide sulla facoltà di disporre, se non riguardo alla libera scelta della persona con cui contrarre, a condizione che il beneficiario se ne voglia avvantaggiare.
Se ne deduce la validità del patto di prelazione senza limiti di durata. Secondo i giudici non si applicherebbe, infatti, l’art. 1379 perché non si tratta di un obbligo di non alienare, ma di un obbligo di alienare, sia pure a certe condizioni.
Si devono, peraltro, condividere le critiche mosse contro siffatta concezione, che cerca di far passare la prelazione per un atto neutro e non oneroso, mentre essa si traduce in un peso grave per il promittente, sia perché arreca impaccio alla trattativa, allungandone i tempi e sacrificando il prezzo di vendita, sia perché crea disparità di trattamento rischiando di violare le regole di fondo del sistema.
Sembra corretto, pertanto, l’orientamento che suggerisce di applicare, quanto meno per analogia, la prescrizione di un limite di tempo conveniente, contenuta nell’art. 1379, disposizione che è prevista per le clausole di inalienabilità tout-court, ma che appare adattabile anche alle clausole di inalienabilità «condizionata» in cui si concreta il patto di prelazione.
Meno persuasiva appare invece l’opinione di chi ritiene applicabile, in generale, il termine quinquennale previsto per la prelazione nel contratto di somministrazione, termine che sembra più giusto riservare ai casi in cui la prelazione limita la concorrenza fra imprenditori, in applicazione del principio di cui all’art. 2596.
Non è mancato, tuttavia, chi ha sostenuto l’illiceità del patto di prelazione stipulato senza limite di tempo, visto come un attentato alla disponibilità del bene, essenziale al diritto di proprietà.
Questa stessa giustificazione, come è noto, ha condotto più volte la giurisprudenza ad applicare l’art. 1379 ai vincoli contrattuali di destinazione dei beni in tutti i casi in cui non sia ravvisabile una servitù, ma si dia luogo a una compressione della facoltà di disporre.
In un diverso ordine di problemi la questione dell’applicabilità dell’art. 1379 è stata posta con riferimento all’atto di destinazione dei beni, costitutivo di una fondazione, anche qui con soluzione favorevole, ed ai divieti di alienazione originati da atti unilaterali tra vivi.
È discussa, invece, l’applicabilità dell’art. 1379 al divieto testamentario di alienazione. Contro la tesi che, movendo dal nuovo testo dell’art.692 (dove non si riproduce la sanzione della nullità per tale disposizione già prevista prima della Riforma del diritto di famiglia), è favorevole ad ammettere il divieto testamentario nei limiti in cui esista (ex art. 1379) un motivo apprezzabile e un termine ragionevole, si osserva, da un’altra parte, che il Legislatore del 1975 ha operato una riduzione dell’autonomia testamentaria in materia di sostituzione fedecommissaria, sicché sarebbe del tutto incoerente, in siffatto contesto, ammettere un accresciuto potere dispositivo del testatore tale da consentire l’imposizione di un divieto di alienare.
(*) Queste pagine sono parte di capitolo di un volume collettaneo (AA.VV. Gli effetti del contratto, Torino 2002) compreso nel Trattato di diritto privato in corso di pubblicazione presso l’editore Giappichelli, volume dove sono svolti gli argomenti che risultano dal circostanziato indice dell’opera.
indice
Parte Prima
EFFETTI DEL CONTRATTO
Capitolo I
LA vincolatività
(di Giuseppe Vettori)
1. Forza di legge e contratto giusto
2. I contratti dei consumatori
3. I contratti fra imprese
4. Il contratto usurario
5. Un nuovo ordine in formazione
Capitolo II
IL mutuo consenso allo scioglimento del contratto
(di Massimo Franzoni)
1. Premessa
2. Struttura e natura del mutuo dissenso: eliminazione giuridica dell’atto da sciogliere o cancellazione dei suoi effetti?
2.1. Le diverse tesi sul mutuo dissenso: il contrarius actus ed il contrarius consensus
2.2. La soluzione più rispettosa dell’art. 1372, c. 1º, c.c.
3. Mutuo dissenso: effetti ex tunc oppure ex nunc
4. Il mutuo dissenso di un contratto invalido, inefficace, risolubile, rescindibile o revocabile
5. L’opponibilità ai terzi dello scioglimento di un contratto invalido
5.1. Il mutuo dissenso di donazione confermata: art. 799 c.c.
6. Il mutuo dissenso di contratti ad effetti reali
7. Il regime di pubblicità del mutuo dissenso
8. La forma del mutuo dissenso
8.1. Il mutuo dissenso mediante distruzione materiale del contratto da sciogliere e la forma richiesta per fini diversi dalla validità
9. Le parti del mutuo dissenso
10. Il mutuo dissenso o la modifica dei contratti associativi
11. La capacità di contrattare nel mutuo dissenso
12. Le vicende del mutuo dissenso: il ripristino conseguente allo scioglimento dell’atto
13. L’opponibilità ai terzi del mutuo dissenso
14. Casistica sul mutuo dissenso: il contratto concluso dal falsus procurator, per persona da nominare, la cessione del contratto, il contratto a favore di terzo
15. Il mutuo dissenso nei contratti con rilevanza verso i terzi: la cessione del credito, la locazione
16. Il mutuo dissenso e la prelazione legale
17. Il mutuo dissenso e la simulazione
17.1. La simulazione assoluta
17.2. La simulazione relativa
Capitolo III
GLI Effetti del contratto nei confronti dei terzi
(di Giuseppe Vettori)
1. Il c. 2° dell’art. 1372
2. Rilevanza ed opponibilità
3. La responsabilità del terzo per violazione del contratto
Capitolo IV
I contratti ad effetti reali
(di Giuseppe Vettori)
1. Premessa
2. La circolazione dei beni: le soluzioni adottate negli ordinamenti europei. La tensione verso soluzioni uniformi
3. L’acquisto di cose mobili e la Convenzione di Vienna
4. L’acquisto dei titoli di credito
5. Gli acquisti di cose immobili e la trascrizione: gli atti trascrivibili e la trascrizione del preliminare
6. Principio consensualistico e autonomia privata
7. Effetto traslativo e individuazione
8. Il ruolo del contratto nell’assetto dei beni: obbligazioni reali e vincoli di destinazione
Capitolo V
Rilevanza ed opponibilità del contratto nel fallimento
(di Massimo Franzoni)
1. Premessa
2. Il fallimento come terzo avente causa
3. L’inopponibilità dei contratti che presuppongono l’esercizio di un’impresa
4. L’inopponibilità dei contratti personali e fiduciari
5. L’inopponibilità dei contratti la cui esecuzione è incompatibile con una procedura concorsuale
6. L’inopponibilità dei contratti privi di interesse per la massa dei creditori
7. L’inopponibilità e la rilevanza dell’appalto
8. Opponibilità e rilevanza della locazione
9. L’opponibilità dell’assicurazione contro i danni
10. Opponibilità ed inopponibilità di altri contratti
10.1. L’inopponibilità dell’arbitrato o della clausola arbitrale al fallimento
11. Efficacia ed opponibilità, quando la scelta di subentrare è effettuata a posteriori: i contratti a prestazioni corrispettive, ineseguiti
12. Il fallimento del compratore
13. Il fallimento del venditore
14. Opponibilità e rilevanza del contratto preliminare
15. L’opponibilità della vendita a rate con patto di riservato dominio e con patto di riscatto
16. L’opponibilità nella vendita di cosa mobile
17. Opponibilità e rilevanza del contratto di somministrazione
18. Gli artt. 72 e 74 l. fall. sono espressioni del principio generale di opponibilità nei rapporti giuridici pendenti
19. L’art. 45 l. fall.: l’opponibilità mediante la trascrizione
20. L’art. 45 l. fall. e gli atti non soggetti a trascrizione: quale regola per l’opponibilità nel trasferimento dei titoli di credito e delle quote di società?
21. L’art. 45 l. fall. e l’art. 1519 c.c
22. Il fallimento e la data certa delle cambiali: l’opponibilità negli atti unilaterali
23. L’inopponibilità del contratto simulato al fallimento
Parte Seconda
condizione, termine e modo
(di Maria Costanza)
Capitolo VI
condizione, termine e modo
1. Premessa
2. L’evento deducibile in condizione
3. L’evento deducibile in condizione e la deducibilità dell’adempimento
4. Condizione sospensiva e risolutiva
5. La condizione unilaterale
6. La condizione illecita
7. Vitiatur et vitiat e nullità parziale
8. L’invalidità della condizione apposta ad una singola clausola
9. La norma dell’art. 1355 c.c.
10. Condizione meramente potestativa e condizione potestativa
11. La condizione potestativa risolutiva
12. La pendenza della condizione
13. Gli atti conservativi
14. Condizione risolutiva e atti conservativi (rinvio)
15. Atti di disposizione
16. Il comportamento delle parti in pendenza della condizione
17. La finzione di avveramento
18. La causa imputabile
19. Ambito di applicazione della norma e la finzione di non avveramento
20. La retroattività
21. Il limite della retroattività
22. Limiti di opponibilità della condizione
23. Condizione legale
24. Termine
25. Modo
Parte Terza
Recesso dal contratto
(di Federico Roselli)
Capitolo VII
Il recesso dal contratto
1. Nozione
2. Il recesso quale atto impeditivo dell’adempimento
3. Recesso successivo all’adempimento
4. Figure contigue e variazioni terminologiche
5. Irrevocabilità del recesso
6. Recesso e forza legale del contratto
7. L’inizio dell’esecuzione del contratto
8. Efficacia temporale del recesso
9. Le funzioni del recesso
10. I presupposti del recesso
11. Il recesso come negozio giuridico
Parte Quarta
contratto e terzi
(di Aldo Checchini)
Capitolo VIII
il divieto contrattuale di alienare (art. 1379 c.c.)
1. Spunti etimologici
2. I divieti negoziali nella pratica
3. I divieti legali di alienare
4. Cenni storici
5. La questione dogmatica
6. Le direttive fondamentali contenute nell’art. 1379 c.c.
7. Norma di principio o norma residuale?
8. La pretesa «efficacia reale» di alcuni divieti negoziali di alineare: a) Il divieto di cessione dell’usufrutto.
9. (Segue) b) Il divieto di cessione del credito
10. (Segue) c) Il divieto di cedere la quota di s.r.l.
11. (Segue) d) I divieti condominiali
12. Il requisito dell’interesse apprezzabile nelle «opzioni» previste dalla legge
13. Conclusione: l’art. 1379 c.c. richiama principi inderogabili
14. Il significato dell’interesse apprezzabile
15. I convenienti limiti di tempo
16. Ulteriori problemi di validità della clausola
17. L’inadempimento del divieto
18. Soggezione di altre figure negoziali alla regola dell’art. 1379 c.c.
Capitolo IX
il conflitto fra più diritti personali di godimento (art. 1380 c.c.)
1. Cenni introduttivi
2. L’interpretazione riduttiva
3. L’interpretazione giurisprudenziale «eversiva»
4. Il problema della natura dei diritti personali di godimento e la revisione critica delle categorie dogmatiche; cenni
5. I diritti personali di godimento come categoria autonoma: a) L’attribuzione del godimento e la conseguente soggezione del dante causa
6. (Segue) b) Le vicende del diritto personale di godimento e la necessità di una legittimazione a disporre; critica
7. La distinzione in base al criterio della opponibilità: la pretesa natura reale di alcuni diritti personali di godimento
8. La critica alla tesi realistica e la riaffermazione della natura relativa dei diritti personali di godimento
9. La distinzione che fa capo alla disciplina del possesso e dell'acquisto a titolo originario
10. L’ambito di applicazione dell’art. 1380 c.c.
11. Il conflitto e l’acquisto del godimento
12. La soluzione del conflitto secondo la dottrina e le questioni dogmatiche irrisolte: il c. 1° dell’art. 1380. c.c.
13. (Segue) Il c. 2° e 3° dell’art. 1380 c.c.
14. L’art. 1380 c.c. e le azioni spettanti al concessionario
Capitolo X
la promessa del fatto del terzo (art. 1381 c.c.)
1. Il codice attuale e le vicende precedenti
2. Le questioni principali da chiarire
3. Fattispecie non regolate dall’art. 1381 c.c.: promessa di fare, promessa in nome altrui, promessa di un indennizzo
4. Le giustificazioni dogmatiche: norma interpretativa; conversione legale
5. Teorie tradizionali
6. L’indennizzo garantisce l’oblato per ciò che rischia nell’interesse del promittente
7. L’obbligazione di adoprarsi, intesa come «cura sine effectu», quale conseguenza eventuale della promessa
8. Il significato della promessa è quello di un impegno negoziale di protezione dell’oblato
9. La promessa del fatto altrui garantisce che l’utilità della prestazione fornita al promissario non sarà inferiore al sacrificio dal lui affrontato
10. Il significato dell’affidamento
11. Il fatto promesso
12. La ricostruzione dell’istituto, le lacune dell’art. 1381 c.c. e la tesi della Cassazione
13. Questioni in tema di indennizzo
14. Cenni sulla struttura del negozio
Parte Quinta
clausola penale e caparra
(di Federico Roselli)
Capitolo XI
Clausola penale e caparra
1. La clausola penale. Nozione
2. Funzione risarcitoria e funzione sanzionatoria della clausola penale
3. Aspetti pratici della disputa circa la funzione, risarcitoria o sanzionatoria, della clausola penale
4. Accessorietà della clausola penale all’obbligazione
5. Imputabilità dell’inadempimento sanzionato con la clausola penale
6. L’oggetto della clausola penale
7. Penale per il ritardo nell’inadempimento (pena moratoria)
8. Divieto di cumulo della prestazione principale con la penale
9. Riduzione della penale
10. Se la riduzione possa essere disposta dal giudice d’ufficio
11. Riducibilità della clausola nei contratti stipulati con la pubblica amministrazione
12. Se la clausola penale possa essere compresa tra le clausole vessatorie
13. La caparra confirmatoria. Nozione
14. Funzione della caparra confirmatoria
15. Accessorietà e realità del patto di caparra confirmatoria
16. Effetti della consegna della caparra
17. La caparra e la multa penitenziale
Parte Sesta
Simulazione
(di Aurelio Gentili)
Capitolo XII
simulazione e teoria giuridica
1. Il compito della teoria giuridica in materia di simulazione
2. L’oggetto della teoria e la definizione della fattispecie
3. Metodo descrittivo e metodo prescrittivo nella ricostruzione della disciplina
4. Teoria e dottrine della simulazione: teoria della nullità e teoria dell’inefficacia dell’atto simulato
Capitolo XIII
la simulazione nella storia del pensiero giuridico: la teoria della nullità e la teoria dell’inneficacia
1. La simulazione nelle codificazioni ottocentesche
2. Dalla pandettistica al B.G.B.: la teoria della simulazione in Germania
3. La teoria volontaristica di F. Ferrara
4. La teoria dichiarativistica di G. Messina
5. La teoria precettivistica di E. Betti
6. La teoria causale di S. Pugliatti
7. L’eclettismo della metà del secolo
8. La teoria dell’inefficacia per inesecuzione preordinata nel pensiero di S. Romano
9. La simulazione tra «fattispecie» ed «autoregolamento» nel pensiero di A. Auricchio
10. La simulazione nella dottrina francese
Capitolo XIV
La nozione giuridica della simulazione del contratto
1. Premesse metodologiche
2. Volontà, dichiarazione, causa nel contrasto fra contratto simulato e accordo simulatorio
3. Nozione dell’accordo simulatorio e delle controdichiarazioni in senso sostanziale e loro natura negoziale
4. Simulazione totale e parziale
5. Simulazione soggettiva e oggettiva: l’interposizione
6. Simulazione assoluta e relativa: il contratto dissimulato
7. Causa simulandi, illiceità, frode, falso
8. Simulazione e riserva mentale
9. Simulazione e fiducia: inconsistenza della distinzione tradizionale
Capitolo XV
simulazione, invalidità, inefficacia
1. Incoerenza e inutilità della tesi della nullità
2. Nel contratto simulato non manca la «volontà» nel senso rilevante per la validità
3. Nel contratto simulato non manca la causa, né rileva per la validità un intento contrastante
4. Soggetti e oggetto: la natura strutturale del «vizio» di simulazione
5. Diversità di disciplina tra simulazione e nullità
6. Duplice significato e inconsistenza della tesi della inefficacia
7. Simulazione e inesistenza
8. L’«inefficacia» del contratto simulato
Capitolo XVI
Le regole di soluzione dei conflitti
1. Regole di prevalenza e conflitti fra le parti
2. Il conflitto con il subacquirente di buona fede
3. I conflitti con i creditori e gli altri terzi
4. La disciplina delle situazioni «fiduciarie»
5. Sintesi della regola di prevalenza
Capitolo XVII
La simulazione nelle ipotesi diverse dal contratto di scambio
1. La simulazione oltre i confini del contratto a prestazioni corrispettive
2. La simulazione nella materia delle società
3. Sull’ammissibilità logica di una simulazione del contratto di società e l’inammissibilità della simulazione dell’ente
4. La simulazione nel sistema delle impugnative della società fissato nel codice
5. La simulazione del matrimonio nell’opinione tradizionale e la riforma del diritto familiare
6. La disciplina della simulazione del matrimonio
7. Simulazione ed atti unilaterali
Capitolo XVIII
il giudizio di simulazione
1. Premesse
2. L’azione di simulazione: natura, interesse, legittimazione, irrilevabilità d’ufficio, litisconsorzio
3. La sanatoria
4. La prescrizione
5. La prova