Dovè
che si sta meglio che in famiglia?
Domestic Torts e risarcimento del danno
di Paolo Cendon (*)
SOMMARIO 1. Un insolito accostamento - 1.1. La zona “endo” - 1.2. Casistica - 2. Differenze prospettiche - 2.1. Riserve dottrinarie - 2.2. Passaggi argomentativi - 3. Famiglie buone e cattive - 3.1. Fiction e non fiction - 3.2. Coppie - 3.3. Genitori e figli - 3.4. Altri rapporti - 4. Pretese ingestibilità - 4.1. Coerenza difensiva – 4.2. Duttilità aquiliane - 5. L’avvento del danno esistenziale – 5.1. Famiglia e giuridificazione – 5.1.1. I doveri di casa - 5.2. Sovranità dell’illecito - 6. Il diritto alla realizzazione personale - 6.1. Combinazioni individuali – 6.2. Questioni aperte – 6.3. Dove e quando – 6.4. Uno per tutti, tutti per uno - 7. Agenda per il futuro - 7.1. Disagi, devianze, servizi - 7.2. Profili emergenti - 7.3. Il mondo dei minori - 8. Creatività della famiglia
1. Un insolito accostamento
“Famiglia” e “responsabilità civile”: pochi altri accostamenti nel diritto privato si presentano strani o estemporanei come questo.
Per un verso, si tratta di un binomio che sembra il frutto di qualche svista, di un errore di stampa. Una contraddizione in termini, una sorta di ossimoro. Qualsiasi diverso apparentamento - se si facesse il test psicologico del botta e risposta (quello in cui lo psicologo propone alcuni nomi in sequenza, e chi ascolta deve ribattere con il primo vocabolo che gli viene in testa, senza troppo riflettere) - salirebbe alla mente più istintivo, plausibile.
Famiglia e “cenone di natale”, potrebbe essere spontaneo rispondere; oppure famiglia e “abito bianco, e “seconda casa”, e “gita in barca alle isole”. E ancora, venendo al codice civile, famiglia e parità tra marito e moglie, e comunione dei beni, e rispetto delle inclinazioni dei figli. Magari (per chi non si ostini a vedere sempre la vie en rose) famiglia e infedeltà coniugale, f. e maltrattamento domestico, f. e violazione degli obblighi di assistenza - con quel che di brutto può seguire: famiglia e scioglimento della comunione, f. e separazione, e divorzio, annullamento, decadenza dalla potestà genitoriale.
Tutto meno che un richiamo ai profili del risarcimento del danno.
Per altro verso – e in senso favorevole all’accoppiamento fra i due istituti - è innegabile il rilievo di alcune pronunce giurisprudenziali, emesse soprattutto nell’ultimo quindicennio, ad opera sia della Cassazione sia delle corti di merito.
Duplice anzi il piano dei riscontri per l’interprete.
Spicca in primo luogo, fra i materiali in questione, il gruppo degli illeciti di tipo (com’è stato detto) eso-familiare: i torti che siano stati, cioè, posti in essere da un terzo estraneo alla famiglia contro uno o più componenti di quest’ultima, oppure contro l’insieme della cellula domestica.
E’ un’area, può osservarsi, alquanto varia e composita - in cui alla tradizionale fattispecie dell’uccisione del familiare, vista essenzialmente nei suoi tratti economici, di “lesione del credito” (al mantenimento), sono venute di recente aggiungendosi tutta una serie di ipotesi: significative sul terreno del danno patrimoniale e, ancor più, su quello non patrimoniale.
Dal caso dell’invalidazione fisica o psichica di un congiunto, a quello della compromissione delle capacità sessuali del partner; dalla privazione traumatica della possibilità di procreare, alla nascita di un figlio malformato; dall’aborto forzato come effetto di un incidente, alla violenza sessuale di un membro della famiglia, sino alle varie situazioni di nascita indesiderata (per errori commessi a danno della moglie o del marito). E così di seguito.
1.1. La zona “endo”
Parallela a quest’elenco vi è poi una seconda lista di situazioni, comprendente i c.d. illeciti di natura endo-familiare.
Sono i casi in cui a subire la lesione ingiusta è (di nuovo qualcuno considerato nella sua veste di) un membro di una certa famiglia; mentre autore del fatto pregiudizievole – ecco la differenza – risulta non già un terzo estraneo, bensì un soggetto appartenente anch’egli a quella cerchia domestica.
Si tratta di un settore dove rari, nel corso del passato, erano gli esempi giurisprudenziali rinvenibili.
La - pressoché unica - citazione di cui ai trattati e commentari, risalente agli anni ’50, era sino a poco tempo addietro quella relativa al c.d. ”danno da procreazione” (tale la terminologia di solito impiegata); storia di un figlio, affetto da sifilide sin dalla nascita, il quale aveva a un certo punto convenuto in tribunale il padre e la madre, imputando loro il proprio stato morboso. Era emerso nel processo che, pur consapevoli di essere affetti da quel male, nonché avvertiti del carattere di ereditarietà dello stesso, i genitori si erano mostrati, al momento del concepimento, incuranti di ogni rischio di contagio del feto (Trib. Piacenza 31.7.1950, FI, 1952, IV, 11).
Oggigiorno, le ipotesi affrontate dalle corti risultano via via in aumento. Le sentenze non sono ancora numerose, ma corrispondono a vicende umane spesso diverse fra loro, inconsuete: l’impressione è che nel giro di pochi anni stia aprendosi – pure in Italia, come già era accaduto presso altri paesi - un capitolo inedito, con caratteristiche originali, nel repertorio della responsabilità civile.
Ciò che dal chiuso dei focolari domestici emerge, in sede di processo, è (accanto a tante gioie, passate e presenti) un diffuso sottobosco di disagi, infelicità e frustrazioni: malesseri frutto, in molti casi, di niente più che un destino sfortunato, qualche volta ricollegabili invece a malefatte ben precise, commesse da un congiunto a danno di un altro.
Comportamenti - occorre dire - fra i più vari e disparati: fatti dolosi piuttosto che colposi, di tipo commissivo o omissivo, condotte più o meno gravi sotto il profilo delle conseguenze; torti istantanei oppure duraturi, corrispondenti o no a qualche reato specifico; lesioni ristrette ai dissidi interconiugali ovvero relative ai figli, magari ai fratelli, ai nipoti, rilevanti sul terreno patrimoniale o su quello non patrimoniale o su entrambi, etc.
Con una tipologia di vittime – ecco la novità più significativa – differenti rispetto a ieri in punto di acquiescenza/reattività, ovverossia: persone (i) sempre meno disposte a sopportare prevaricazioni e trascuratezze, ad opera del familiare colpevole; e (ii) orientate in misura crescente a difendersi, contro quest’ultimo, anche mediante un ricorso allo strumento aquiliano.
1.2. Casistica
Fra le ipotesi in cui una condanna risarcitoria è stata ammessa dai tribunali - o è stata comunque prospettata dalla dottrina, quale soluzione plausibile per le controversie del futuro - spiccano in particolare:
- la violazione dei doveri di assistenza morale e materiale, fra coniugi: responsabilità da ammettersi, ad esempio, nell’eventualità di una moglie malata di mente la quale venga lasciata completamente sola e abbandonata a se stessa, dal marito, in una stanza della casa, per anni di seguito (Trib. Firenze 13.6.2000, Fam. dir., 2001, 2, 161);
- le continue offese e aggressioni, anche in pubblico, ai sentimenti più profondi e alla dignità dell’altro coniuge (App. Torino 21. 2. 2000);
- la violazione particolarmente efferata e ingiuriosa dei doveri di fedeltà fra coniugi (Cass. 19.6.1975, n. 2468: altrimenti un obbligo risarcitorio appare difficilmente prospettabile; così come, salvo casi limite, sarà da escludersi ogni responsabilità - verso il coniuge tradito - in capo al terzo complice dell’adulterio;
- la violazione degli obblighi di contribuzione economica, ad opera di un coniuge rispetto all’altro coniuge, oltre che beninteso nei riguardi dei figli;
- il mancato versamento da parte di un genitore separato, per un ampio periodo di tempo, degli assegni di mantenimento nei confronti di figlio (Cass. 7.6.2000, n. 7713);
- il comportamento di un genitore il quale, in violazione delle posizioni del figlio, o di quelle dell’altro genitore, o di quelle dei nonni, impedisca o ostacoli l’esercizio dei diritti di visita, a danno di uno di questi soggetti (Trib. Roma 13.6.2000, Temi romana, 2000, 1157; Dir.Fam., 2001, 209);
- il disconoscimento, ad opera del padre, del figlio frutto di un fecondazione artificiale eterologa, rispetto alla quale fosse stato prestata inizialmente dall’uomo il consenso ;
- in generale, le condotte lesive in famiglia che siano suscettibili di assumere rilevanza penale.
2. Differenze prospettiche
Che dire in proposito? E’ subito evidente, se si mettono a confronto le situazioni “eso” con quelle “endo”, la notevole differenza fra il tipo di sollecitazioni - teoriche e pratiche - che l’uno e l’altro territorio presenta.
(I) Riguardo al primo gruppo di esiti giurisprudenziali tutto si annuncia relativamente semplice, o suona almeno, sulla carta, più normale o “convenzionale”.
Poiché il fatto lesivo colpisce, in prima battuta, un individuo il quale vive/viveva circondato da una o da più persone care, ripercussioni (negative) su queste ultime non potranno mancare. Il tratto risolutivo resta però agli effetti statutari il secondo indicato, quello per cui fra plaintiff e defendant non intercorrono qui legami di sangue, di affetto o di coabitazione.
Soggetti estranei l’uno rispetto all’altro, sconosciuti tra loro fino al momento dello scontro - come accade di norma sul terreno extracontrattuale.
Ecco allora che le linee-base del giudizio di responsabilità (rispetto ai nodi ordinari della legittimazione attiva, della causalità, dell’ingiustizia, del criterio di imputazione, etc.) saranno tratteggiabili, in sede tecnica, secondo modulazioni non troppo distanti dal consueto – con l’unica peculiarità rappresentata dai tratti di plurioffensività dell’illecito in questione.
(II) Diverse le considerazioni per il secondo gruppo di casi.
Coinvolti nel litigio risultano, questa volta, due soggetti che appartengono al medesimo nucleo domestico: la moglie contro il marito, il figlio contro un genitore, o contro entrambi, un fratello contro un altro fratello, i nonni contro il nipote, etc.
Persone abituate a volersi bene, comunque a sopportarsi con affetto, sino a ieri. Spesso, al momento del fatto lesivo, parti di una cellula formalmente in vita, destinata magari a restare tale anche per l’avvenire.
Difficile perciò, nel momento in cui si ventila la possibilità di doglianze riparatorie, non immaginare che gli assi portanti della fattispecie illecita (anche a tenere conto della possibilità di un contemporaneo esercizio dei rimedi tipici del diritto di famiglia, da parte della vittima: separazione, addebito, inibitorie, divorzio, etc.) si troveranno messi a cimento, qui, in termini assai più netti e impegnativi.
2.1. Riserve dottrinarie
Tale, in effetti, il gioco di tutta una serie di reazioni e puntualizzazioni in dottrina, quali si riscontrano durante gli ultimi anni, in merito ai due elenchi di sentenze.
Ben diverso cioè (nei commenti offerti da una parte dei nostri tortmen: quelli più sensibili ai meriti ideali di un’“autosufficienza normativa”, per l’area del diritto di famiglia) il tipo di osservazioni emergenti, a seconda del crinale considerato.
I) Con riferimento alla zona eso, molteplici – si constata – sono le discussioni fiorite di recente in letteratura. Quelle, ad esempio, sulla natura dei danni risarcibili ad opera del terzo; oppure le dispute sui limiti della legittimazione attiva, sull’estensione del quantum, sulla fondatezza delle restrizioni di tutela al caso di reato, etc. E tuttavia (ecco il punto) l’opportunità di una qualche salvaguardia per i familiari della vittima immediata non è mai stata revocata in dubbio, almeno con riguardo alle eventualità più gravi.
II) In merito alla zona “endo” non si è trattato invece, presso gli autori in esame, di riserve circoscritte a questo o a quel passaggio disciplinare. A risultare oggetto di contestazione, pure in ordine ai torti interfamiliari di maggior gravità (non importa se sul terreno patrimoniale o su quello non patrimoniale), è stata - sovente - la prospettiva stessa di un ricorso allo strumento aquiliano, comunque articolato al proprio interno.
2.2. Passaggi argomentativi
Vari i motivi spesi a tal fine dagli interpreti.
Diversità dei linguaggi - Refrattaria già di suo al tocco spigoloso del diritto, la famiglia costituirebbe - si rileva - una sorta di isola nel mare, poco adatta a sopportare il contatto con presenze invasive come quella dell’illecito. Troppo grande la distanza fra il carattere (lieve, vaporoso) degli intrecci domestici e il taglio (pragmatico, semplificatorio) della responsabilità civile.
Troppo romantica - in generale - la materia dei rapporti sentimentali, troppi misteri o risvolti nelle partite doppie dei contendenti (gli effetti e le cause, i bisticci e i musi lunghi, le botte e le risposte). Impensabile, per un giudice della responsabilità, penetrare con la dovuta accortezza in tutto questo, riuscire a convertirlo nella ruvida alchimia aquiliana.
Autonomia della famiglia – Liti in casa, pregiudizi? Nulla di nuovo sotto il sole, e comunque: nei rimedi di stampo familiare (quelli predisposti dal primo libro del codice civile, o da qualche legge speciale) andrebbero ravvisati strumenti più che sufficienti, in linea di principio, per la salvaguardia complessiva della vittime, anche in merito alle pendenze lesive.
Come tali – suscettibili di piegarsi allo svolgimento di qualsiasi funzione, tecnicamente; non escluse quelle di ordine afflittivo, esemplare, indennitario, restitutorio - quei mezzi sarebbero stati immaginati e messi in campo ab origine. Nessuno spazio perciò (a voler a rispettare la genesi storica degli istituti, la voluntas legis dei promotori) per l’intervento di misure d’altra sorta, ricavate da questo o quel comparto privatistico.
Natura dei doveri coniugali - Doppiamente impresentabile, poi, l’ipotesi di uno sbocco aquiliano per gli scontri lesivi fra i coniugi - e ciò in forza (si osserva) di svariate ragioni.
Vaghezza intrinseca dei doveri del ménage, in primo luogo, soprattutto di quelli a carattere non patrimoniale. Atecnicismo del linguaggio dell’art.143 c.c., estemporaneità/ programmaticità dei vocaboli ivi impiegati; scarso livello, nell’insieme, dei coefficienti di giuridicità e/o di giustiziabilità. Mancanza di riferimenti, nelle altre disposizioni sul “regime primario” della famiglia, circa la possibilità per la moglie o il marito di far valere i danni in quanto tali.
Rischi di illibertà, di ritorno al passato – Ieri, conquiste di civiltà quali il divorzio, l’abolizione del reato di adulterio, la facoltà di ottenere la separazione senza colpe; oggi, la pretesa di far entrare la lex Aquilia addirittura entro il talamo nuziale – magari a seguito di una rottura pura e semplice del matrimonio.
Impossibile, si rimarca, non notare la contraddizione fra direttrici del genere, non concludere per un fermo altolà a quell’espansione. Troppo spesso il coniuge incamminatosi verso altri affetti e legami, desideroso di suggellarli, si troverebbe spinto a rinunciare, scoraggiato dal prezzo del break-down. Troppo rare le ipotesi in cui il risultato pratico dell’innovazione non si tradurrebbe, di fatto, in uno svuotamento per i progressi recenti di libertà (“potrei separarmi o divorziare – dovrei però risarcire il danno al consorte – non ho abbastanza soldi = non ne farò nulla”).
Valori in campo - Perché non credere nelle capacità della famiglia di risolvere, sempre e comunque, i suoi problemi dall’interno? La possibilità stessa del duello aquiliano non funzionerebbe, a monte, quale moltiplicatore dei dissidi - non raddoppierebbe ogni spinta alla rottura del ménage?
L’antico invito a “lavare i panni sporchi in famiglia” non manterrebbe, ancor oggi, la sua saggezza? Un focolare momentaneamente in crisi, alieno però da venalità e ritorsioni, non sarebbe meglio comunque di un nido smembrato, dissolto? In una cerchia come quella domestica i guasti, per quanto seri, non sarebbero alla lunga minori del bene che si riceve?
Anche per il giurista del terzo millennio, in definitiva: le parole d’ordine su cui puntare non resterebbero quelle della povertà di spirito, della mitezza? Dell’indulgenza e dell’obbedienza verso chi sbaglia o chi comanda? Magari della fiducia nel pentimento di chi ha errato, del perdono rispetto ai “danneggianti cattivi” - da elargire tanto più prontamente quanto maggiore sia stata l’offesa subita?
3. Famiglie buone e cattive
Orientarsi nel gioco di questi vari argomenti non sembra, in realtà, tanto complesso.
Qualche traccia di verità le riserve appena indicate la possiedono, indubbiamente. Difficile ricavare da esse, peraltro, argomenti suscettibili di sbarrare -all’istituto dei fatti illeciti- addirittura l’ingresso nel primo libro.
Gli stessi correttivi indispensabili per rispettare, nella gestione della responsabilità, le peculiarità della cellula domestica non si annunciano granché significativi. Vedremo subito come l’officina aquiliana sia già attrezzata, di suo, per adattarsi volta a volta alle caratteristiche - strutturali e funzionali - dell’oggetto che le viene affidato. Ed è una valenza che l’incontro con altre materie mostra anzi, nel corso del passato, di avere messo alla prova in varie forme.
Prendiamo, così, il motivo secondo cui nella cerchia casalinga non si produrrebbero sofferenze laceranti, irrimediabili. Le perplessità da esprimere appaiono, al riguardo, più d’una:
(a) non solo è facile accorgersi come sia vero, di regola, il contrario: i disagi in famiglia esistono, non sono infrequenti, possono assumere mille sfaccettature, e sia in “zona endo” che in “zona eso” attingono complessivamente – là dove il contesto parentale non sia povero di partecipazione, di altruismo – scale d’intensità sconosciute altrove; proprio perché il plaintff sa, in partenza, fino a che punto le sue disgrazie potranno ripercuotersi dolorosamente su chi vive al suo fianco;
(b) è certo altresì - ed è un punto da sottolineare anzi con vigore (come perfino i film di Walt Disney dimostrano, da “Cenerentola” in poi) - che i danni endo risultano tendenzialmente più sottili e insidiosi di quelli eso.
Basta confrontare tra loro - pensando a reati come la violenza o come le molestie sessuali: ma lo stesso varrebbe per le violazioni ingiustificate della privacy, per le ingiurie sistematiche, per gli sfruttamenti nel lavoro, per le truffe grandi e piccole - l’ipotesi in cui comportamenti del genere provengano dal proprio padre o da un fratello o anche dal proprio partner, con quella in cui condotte analoghe risultino tenute, invece, da un terzo qualsiasi (comunque da una persona non di casa; uno sconosciuto mai incontrato prima, mai più rivisto dopo il fatto lesivo).
E’ palese, secondo quanto è stato già rilevato in dottrina, come fatti del genere saranno spesso di ben diversa velenosità/persistenza - anche se in prima battuta potrebbe sembrare il contrario, magari alle vittime più ingenue e sprovvedute (pronte a scambiare ogni gesto in famiglia per benevolo) - nella prima piuttosto che non nella seconda situazione.
Non vi è, al riguardo, la semplice circostanza che le aggressioni attuate da un parente (proveniente, cioè, da qualcuno su cui il plaintiff aveva riposto la sua fiducia) si profilano quali eventi atti a minacciare contraccolpi particolarmente gravi, duraturi - e ciò sotto i punti di vista più svariati: riflessi interni di autostima, futura capacità di abbandono emotivo, apertura alle novità e agli incontri, disponibilità verso il prossimo, tasso di mondanità e colloquialità, socievolezza e affettività istintiva, e così via.
Né, appena, il rilievo secondo cui le ombre inter-relazionali (che il soggetto leso sa) destinate a innescarsi presso gli altri congiunti, quelli all’oscuro di tutto, risulteranno anch’esse ben più diffuse e corrosive, d’abitudine, che non nell’eventualità di torti arrecati da un quivis e populo - tanto che un risvolto non improbabile, da mettere in conto per chi decida di svuotare il sacco, sarà il dissolversi stesso della famiglia.
Vi è anche la considerazione che assai meno facili - sotto il profilo sociale, psicologico, culturale, religioso - si presentano qui ab initio, rispetto a quanto i colpi dal di fuori non preannuncerebbero, le possibilità di fronteggiamento/reazione da parte della vittima (predestinata).
Come è già stato sottolineato: all’origine di guasti e ferite senza rimedio sarà spesso il consumarsi - nel caso di cattiverie domestiche - del “liquido amniotico” primigenio (edipico, natalizio, fantasmatico, spirituale, nostalgico, etc.) in cui l’individuo era venuto proiettando se stesso, fino a quel momento. Compromessa, di poco o di tanto, appare la grammatica stessa di quella spontaneità e tenerezza, che, seppure inesigibili sulla carta, potevano aver caratterizzato in precedenza il tessuto intero delle relazioni tra vittima e autore dell’illecito, comunque l’atmosfera di casa.
3.1. Fiction e non fiction
L’impressione è che una parte dell‘inchiostro, color rosa, su cui intingere la penna per polemizzare nei confronti della responsabilità civile - per osteggiare cioè le sue pretese di supporto alla famiglia (per respingere la prospettazione di nuclei domestici attraversati dall’occasionale avvicendarsi di torti a matrice endogena) - sia stata cercata talvolta, dagli autori in esame, al di fuori degli stretti repertori di giurisprudenza: ossia nel vasto oceano dell’arte, del teatro, del melodramma, della poesia, della letteratura mondiale.
C’è da chiedersi anzi se imprese simili non siano, presso chi le coltiva, il preludio di un invito generale a fare altrettanto, ossia a scrutare a 360° -ciascun studioso- in quei ricchi bacini dell’inventiva umana. La cui disamina sarebbe un tutt’uno con la dimostrazione che ogni allarme del giurista filo-aquiliano (ecco il bandolo) suonerebbe poco fondato nelle premesse, privo di riscontri significativi, eccessivo nelle contromisure proposte.
Nessun bisogno per i focolari domestici -di ieri o di oggi, di campagna o di città, con figli o senza figli, laici o religiosi, di civil o di common law- del governo di norme come l’art. 2043 c.c.
Che dire al riguardo?
Impossibile passare qui in rassegna, evidentemente, tutti i romanzi, le opere liriche, le commedie o i film che sono stati realizzati sino ad oggi sui nodi della famiglia.
E nessuna difficoltà a concedere, d’altronde, come anche salendo ai vertici della creatività umana (e non soltanto nelle collane sentimentali, nei serial TV per bambini o per persone anziane, nei bollettini missionari e religiosi) non manchino esempi nei quali i parenti si vogliono tutti quanti bene - o storie in cui, dopo qualche scaramuccia, sopravviene comunque il lieto fine.
Un contro-suggerimento, dovendo allargare gli orizzonti, potrebbe essere casomai quello di integrare la documentazione di lavoro con la lettura dei quotidiani, con la scorsa dei telegiornali.
Che lo si accolga non è tuttavia fondamentale. Basta “andare a vedere” quel gioco di citazioni letterarie, passando anche sommariamente in biblioteca o in cineteca: è subito palese quale ottimismo abbia ispirato i consuntivi in esame – quanto spesso, dai grandi scrittori, commediografi o registi, il “pennino” sia in realtà stato intinto in calamai di colore diverso.
3.2. Coppie
Pescando a caso allora, fra le varie combinazioni.
COPPIE - Ci sono i coniugi che, una volta venuto meno l'affetto della moglie verso il marito, iniziano fra loro una lotta furiosa, che porterà i due a litigare su ogni cosa, dai soprammobili alla casa intera, fino a eliminarsi a vicenda (La guerra dei Roses). C’è la coppia, anziana, in cui l’odio verso il gatto del marito spinge la moglie a uccidere la bestiola, e in cui il rancore indurrà poi l’uomo a comunicare di lì in poi, con la donna, solo attraverso dei bigliettini, tanto che lei ne morirà (Le chat). Oppure ci sono gli sposi i quali inventano un figlio che in realtà non esiste e passano le sere a ubriacarsi, ferirsi e svillaneggiarsi fra di loro (Chi ha paura di Virginia Woolf).
MARITI - C’è il marito che si è sposato nascondendo segreti relativi a qualche tara di famiglia, oppure alla sua pazzia, o magari al suo istinto di assassino. Quello che con ogni mezzo obbliga la seconda moglie, ben poco dotata di suo come voce, a cantare in scena - penosamente - tutta una serie di opere liriche (Quarto potere). Quello che tradisce la compagna, gettandola nell’infelicità (Una donna spezzata, La verità, ma i riferimenti qui sarebbero migliaia). Quello che reagisce in modo meschino alla possibilità che una piccola malefatta della moglie - la quale ha falsificato la firma del padre per ottenere un prestito, onde curare lui, il marito - possa venire scoperta (Casa di bambola). Quello che, sposatosi solo per poter cercare dei gioielli in una soffitta, sopra l’appartamento di casa, passa il tempo a cercare di far ammattire la moglie (Angoscia).
C’è il marito - tradito dalla moglie per amore, in un momento di debolezza, mentre lui è lontano - il quale dedicherà il resto della sua vita a denunciarla e perseguitarla con ogni mezzo (La lettera scarlatta). Quello che detesta il gatto della moglie e che, dopo aver ucciso quest’ultima, non si accorge di murare la bestiola viva insieme al cadavere della donna nella cantina di casa, ciò che al primo sopralluogo dei poliziotti – e relativo miagolio di fondo - lo perderà (Il gatto nero). C’è quello accecato dalla gelosia al punto da non prestare fede alle proteste di innocenza della sposa veneziana, ma soltanto alle bugie di un sottoposto invidioso, e che finirà per strangolare la poveretta (Otello). Quello, colpito da alcuni rovesci finanziari, che comincia da un certo momenti in poi a impalmare tutta una serie di ricche vedovelle di provincia, per impossessarsi delle loro fortune, e provvede poi una per una ad ucciderle (Monsieur Verdoux). Quello che si scaglia repentinamente al suolo con l’aeroplanino - sul quale sta trasportando la moglie fedifraga - per cercare di colpire l’amante di lei intravisto in basso, sullo sfondo del deserto (nell’incidente lui morirà sul colpo, la moglie resterà gravemente ferita, l’amante rimarrà illeso: Il paziente inglese).
C’è il marito che architetta di uccidere la moglie, per ereditarne la fortuna, e si affida a tal fine ad un vecchio compagno di università (Delitto perfetto); quello che, imperatore di Roma, ripudia semplicemente la moglie Ottavia per sposare un’altra donna (L’incoronazione di Poppea); quello che, re dì’Inghilterra, smanioso di avere discendenti, dapprima ripudia la giovane moglie, poi la fa giustiziare (Anna Bolena); quello che, dopo aver sposato una tenera giapponesina, l’abbandona e finisce per prendere un’altra moglie, bianca, ciò che indurrà la prima a fare harakiri (Madame Butterfly); quello che, la moglie, la fa invece rapire a scopo di riscatto da una coppia di banditi da strapazzo, ciò che scatenerà tutta una serie di omicidi e disastri a catena (Fargo); quello che cerca di terrorizzare la moglie con continue messinscene, per farle venire un infarto, al fine di impossessarsi di una scuola, dove avere poi mano libera con l’amante (I diabolici); quello che tenta di farla precipitare dalla scala di una campanile, quando lei ha capito che lui è un nazista in fuga (Lo straniero); quello che sceglie di avvelenarla giorno per giorno, con il caffè, dopo aver scoperto che lei è una spia antinazista infiltratasi in casa per smascherarlo (Notorius).
MOGLI - C’è anche la sposa - certamente - che, più baratti strampalati di animali e di cose il marito le racconta, della propria mattinata, più entusiasticamente lei lo approva, tanto che alcuni inglesi sbalorditi finiranno per dover pagare un’ingente scommessa (Tutto quello che fa papà è sempre ben fatto). E c’è la moglie che, dopo aver tradito il marito in un momento di debolezza, saprà redimersi completamente accanto a quest’ultimo (Il velo dipinto), oppure quella disposta ad andare in carcere, per falsa testimonianza, pur di salvare da un’accusa di omicidio il marito che essa sa colpevole (Testimone d’accusa)
C’è però anche la giovane bellezza del sud che si sposa tre volte in quattro anni, mai però per amore, ossia in un caso per ripicca, in un secondo per interesse, in un terzo per noia e capriccio (Via col vento). C’è la regina ellenica che, in odio al marito il quale ha accettato di sacrificare la loro figlia agli dei, intraprende - in assenza di lui - una relazione con un altro uomo, e quando il marito tornerà da una lunga guerra lo farà uccidere dall’amante (Ifigenia in Tauride, Oreste). C’è l’avida componente di una famiglia del sud in declino che, per mettere le mani sui titoli necessari a finanziare un affare, lascia morire il marito vittima di un attacco di cuore, guardandolo di sottecchi mentre lui tira l’ultimo respiro su una scala (Le piccole volpi). C’è quella che passa il tempo a tessere congiure, a uccidere di nascosto, a rovinare la vita al marito, tanto che questi deciderà con i compagni di ventura di assoldare a un certo punto un boia, il quale la decapiterà con una scure (I tre moschettieri).
C’è la moglie che induce l’amante, da poco conosciuto, ad uccidere il marito per intascare una doppia assicurazione (La fiamma del peccato), oppure per diventare insieme a lui padrona di un luogo di ristoro (Ossessione, Il postino suona sempre due volte), o magari per essere libera di amarlo senza sotterfugi (Ascensore per il patibolo; v. anche Teresa Raquin, o Brivido caldo). Quella che l’amante invece prima se lo va a cercare di nascosto e poi, dopo avergli scritto una lettera di troppo, lo uccide (Ombre malesi). Quella gelida e corrotta che, sprezzantemente, butta via in tutti i modi l’amore dello sposo (Rebecca, la prima moglie), quella che trascura il marito noioso e si butta a vivere fra sogni, tresche amorose, dissipazioni, menzogne e debiti, sino al veleno finale (Madame Bovary), quella che si finge paralitica per far leva sull’altruismo del marito cartaio e impedirgli di vivere la propria vita (L’uomo dal braccio d’oro), quella che, dopo aver tradito lo sposo, fugge con l’amante seduttore al di là del mare, ciò che scatenerà una guerra di dieci anni (L’Iliade).
FIDANZAMENTI, UNIONI DI FATTO – C’è il caso dell’uomo che, innamoratosi di una ragazza bella e ricca, non farà nulla per impedire che la propria compagna segreta, dalla quale egli aspetta un bambino, anneghi in un lago dopo una caduta dalla barca (Un posto al sole). E c’è quello che, pur sapendo che la sua amata - una regina - non può vivere senza di lui, ugualmente riprende a un certo punto il suo viaggio verso l’Italia, sicché lei dal dolore si ucciderà (Eneide).
3.3. Genitori e figli
GENITORI – Ci sono il padre e la madre che, a causa dell’estrema povertà, portano i figli a perdersi nel bosco per ben due volte e li riaccoglieranno poi solo con i soldi della strega (Pollicino). Quelli che, per odio fra le rispettive casate, a Verona, impediscono ai propri rampolli di vivere liberamente il loro amore, ciò che indurrà i due giovani a cercare di fuggire e sposarsi in segreto, progetto destinato a concludersi con il suicidio di entrambi (Romeo e Giulietta). Quelli che - rozzo e sensualmente acceso lui; possessiva, puritana e moralista lei - impediscono con durezza ai figli di sviluppare la propria personalità (Figli e amanti).
PADRI - C’è il padre che non si perita di mandare la figlia in convento, pur sapendo che la poveretta desidererebbe tutt’altro (I promessi sposi). Quello che uccide la figlia senza saperlo (Il rigoletto). Quello che nella sua veste di re, incurante dei sentimenti della bellissima figlia, decide di darla in sposa al consigliere più anziano (Pelle d'asino). Quello che, re a sua volta, progetta di far uccidere il proprio figlio dai gendarmi dell'Inquisizione poiché questi ha sfidato l'autorità regale, essendo contrario alle vedute paterne in materia di religione (Don Carlos). Quello che - intellettuale mistico e raffinato, marito felice, baciato apparentemente dalla fortuna, al centro di un salotto romano frequentato da artisti di tutto il mondo - uccide un giorno in un raptus di depressione i suoi adorati figlioletti (La dolce vita).
C’è l’uomo che, dopo aver perso la moglie, dedicherà ogni sua attenzione al figlio piccolo, e non si accorge che quello davvero assetato di affetto è invece il grande, infelice così per tutto il resto della sua breve e tragica vita (Incompreso). Quello che abusa della figlioletta men che adolescente, tanto che la - rispettivamente - moglie e madre preparerà a un certo punto un trabocchetto sul prato, in cui riuscirà a far piombare l’uomo (Dolores Clayborne). Quello che cede a una furiosa storia d’amore con la promessa sposa del figlio, il quale dal dolore finirà per precipitare nella tromba di scale e morire (Il danno). Quello che, chiuso di mente, stolido, ignorante, proibisce al figlio di continuare le scuole, e lo relega ostinatamente alla cura del gregge (Padre padrone), quello che gli impedisce di studiare danza classica (Billy Elliot), quello che vessa in ogni modo il figlioletto, destinato a smarrirsi più tardi nelle spirali della schizofrenia, e a diventare nel contempo un eccelso pianista (Shine), oppure quello militarista, razzista e inconfessatamente gay, che opprime in ogni modo il figlio troppo diverso da lui (American Beauty).
MADRI - C’è la madre - nonché regina - che contribuisce a gettare il figlio nell’infelicità e nella vergogna, accettando di sposare per debolezza l’assassino del, rispettivamente, marito e padre (Amleto). Quella che, regina della notte, dà il pugnale alla propria figlia e la vuole convincere a uccidere Sarastro (“sonst bist du meine Tochter nicht mehr…”: Il flauto magico). Quella che abbandona il marito e i figli per andare a fare la bella vita nei bordelli (La valle dell’eden). Quella che impedisce alla figlia minore di sposarsi con l’amato – perché vuole che lei la assista per tutta la vita – sicché la fanciulla si ritroverà a vivere in casa con la madre e con la sorella (che nel frattempo si è sposata, guarda caso proprio con il suo innamorato: Come l’acqua per il cioccolato).
C’è quella che ammazza i suoi bambini per rancore contro l’uomo, suo compagno nonché padre dei piccolini, il quale ha scelto di non esserle più vicino (anzi, ucciderà anche la nuova fiamma dell’infedele marito: Medea; v. anche Norma). Quella che abbandona il figlio naturale presso la famiglia d’origine, per entrare in un monastero, col risultato che il figlio morirà alfine lontano da lei (Suor Angelica; v. anche Non mi dimenticare). Quella che l’amore per un brillante ufficiale spingerà lontano dal pur gelido marito e dall’adorato figlioletto, fino al suicidio - dopo che l’amante si è staccato da lei - sotto le ruote di un treno (Anna Karenina).
MADRI ADOTTIVE - C’è la zingara la quale alleva un figlio altrui solo per portare a compimento la vendetta nei confronti del suo vero figlio, morto per colpa del padre dell’altro bambino, ma in definitiva ucciso da lei stessa per sbaglio (Il trovatore).
PATRIGNI E MATRIGNE – Non si contano i bambini maltrattati dal patrigno (ad esempio David Copperfield, Fanny e Alexander), o da entrambi i genitori acquisiti (Harry Potter). Né manca il patrigno il quale s’innamora della figliastra adolescente, sino ad accendere con lei una relazione erotica on the road, sempre più tormentata, e che giungerà ad uccidere un losco pigmalione dopo che lei gli sarà sfuggita (Lolita). Oppure quello che la figliastra dapprima la mette incinta, e poi, ubriaco, cerca di insidiarla ancora, fino a farsi uccidere sacrosantamente dalla ragazza (Peyton Place). Senza dire della matrigna che, folle di rabbia perché lo specchio le ha annunciato che la più bella del reame è ormai la figliastra, passa il resto della fiaba a cercare di eliminarla (Biancaneve e i sette nani).
FIGLI E FIGLIE - C’è il figlio che non riesce a scongiurare una triste predizione e finirà, malgrado tutto, dapprima per unirsi carnalmente alla propria madre e più tardi per uccidere il proprio padre (Edipo re). E c’è quello che fugge di casa per unirsi a dei cavalieri splendenti, incurante della disperazione della madre Herzeleide, la quale morrà di mal di cuore (Parsifal).
Ci sono le figlie che osteggiano crudelmente il vecchio padre, senza alcun rispetto per la sua canizie e per la sua debolezza mentale (Re Lear); oppure i figli - l’uno depresso, l’altro fallito, un altro ancora sregolato - i quali forzano a tutti i costi i vecchi genitori a prendere decisioni sbagliate (Le correzioni). C’è la figlia adolescente che, complice un’amichetta, passa il tempo a tendere trappole amorose al proprio padre, con il quale riuscirà una notte a coronare, alfine, i propri sogni morbosi (Appassionata). E c’è quella che rompe con lo stile di famiglia e organizza a un certo punto un attentato con una bomba, ciò che getterà nella disperazione i suoi cari, soprattutto il padre (Pastorale americana).
C’è il congiurato che, in una giornata di marzo, per ragioni politiche, pugnalerà con altri il proprio padre adottivo - deciso ad accrescere sempre più i suoi poteri nel governo di Roma antica (Giulio Cesare). C’è il figlio, geloso del nuovo legame amoroso della propria madre, che avvelena sia questa sia l’amante di lei con la stricnina, precipitando in un viluppo che lo porterà a identificarsi sempre più nella personalità materna, e a commettere in questa veste nuovi delitti (Psycho). E c’è il giovane ereditiero, egoista e altezzoso, che approfitta dell’ascendente che esercita presso la dolce madre per impedirle di realizzare il sogno d’amore ch’essa coltiva da sempre verso un affascinante uomo, inventore di automobili (Lo splendore degli Amberson).
3.4. Altri rapporti
FRATELLI E SORELLE – Ecco i fratelli, eredi di una potente famiglia scozzese, in cui il primogenito, cattivo per eccellenza, avventuriero ingrato e dai tratti diabolici, tormenta a lungo il secondo, buono ma debole, sino a farlo impazzire e a indurlo a cercare di uccidere il fratello (Il signore di Ballantrae). E ci sono i quattro fratelli che, anche per colpa del padre, sono pieni - tranne il più piccolo - di odio vicendevole, tanto che uno di essi finirà per uccidere il padre, e gli altri non testimonieranno neppure a favore di un altro di loro che pure si sa innocente (I fratelli Karamazov).
Ci sono le sorelle che si rubano furbescamente l’amante, l’una con l’altra (Così fan tutte). E quelle, ormai anziane, che si temono e si odiano morbosamente, anche per effetto di una colpa lontana, che spinge l’una a cercare di uccidere l’altra (Che fine ha fatto Baby Jane).
Ci sono i rampolli di stirpe reale - la sorella, Cleopatra; il fratello, Tolomeo - che non badano a colpi e ad offese nel contendersi il trono d’Egitto (Giulio Cesare in Egitto). E c’è la famiglia in cui tutti si avversano e si combattono a vicenda, fratelli compresi (Riccardo III; v. anche Scene di famiglia).
C’è il fratello ribaldo che, legato a una giovane bellezza creola da folle passione, non sopporta che il proprio fratello cerchi di redimerla, e finisce per sparargli con la rivoltella (Duello al sole). C’è quello, nobile scozzese, che impedisce alla sorella di sposare l’uomo amato, e la obbliga invece ad unirsi a un altro uomo, ciò che condurrà lei dapprima alla follia, poi all’uxoricidio, infine alla morte (Lucia di Lammermoor). Quello che costringe la sventurata sorella a diventare l’amante di un uomo orribile (Manon Lescaut). E c’è quello, schizoide e melomane, il quale coltiva un rapporto confusamente amoroso con la sorella e finirà per uccidere il fratello handicappato, annegandolo nella vasca da bagno (I pugni in tasca).
C’è la sorella maggiore che è gelosa della minore, e cerca di ammazzarla, anche perché questa si è a un certo punto convertita all’ebraismo (poi farà imprigionare il padre, infine emetterà un editto per far uccidere tutti gli ebrei: Nabucco).
ZII - C’è lo zio che cerca di buttare la nipote sotto il treno, dopo che questa ha scoperto che lui ha trascorso parte della vita a corteggiare e a uccidere ricche signore, al fine di derubarle (L’ombra del dubbio). C’è quello che violenta la propria nipote, tanto che questa, condannata al silenzio anche dalla madre, diverrà sordomuta (La lunga vita di Marianna Ucrìa). Oppure quello che, una volta scoperto che il nipote quindicenne è in realtà il frutto di un amore fra la cognata e un inglese di passaggio, impedisce al nipote di tornare a casa e lo farà percuotere dai servi (L’imitatore).
CUGINI – C’è la Marschallin che intrattiene una relazione proibita con il cugino (Il cavaliere della rosa; v. anche Eugénie Grandet).
COGNATI – Ci sono i cognati i quali, una volta scoperto che la giovane moglie del loro fratello non è più vergine, impongono l’immediato ripudio di lei e provvedono poi, in mezzo al villaggio, all’inseguimento e all’uccisione del primo amante (Cronaca di una morte annunciata). E c’è la giovane donna che dapprima percuote e soffoca la sorella del marito, poi uccide con un’accetta la moglie del fratello, per evitare venga alla luce una sua passione incestuosa dell’infanzia verso quest’ultimo (Il mistero dell’acqua).
Visto dal lato delle vittime – è appena il caso di aggiungere - il discorso non cambia; e gli esempi appena offerti lo confermano. Non è vero che chi subisce l’offesa perdona sempre, è mite, si rassegna. Spesso (tutt’al contrario) uccide, si vendica, colpisce, prepara il ritorno, allestisce un esercito in terra straniera; in qualche libro e in qualche film sceglie magari di citare in giudizio il familiare cattivo, per vederlo punito dal diritto.
4. Pretese ingestibilità
Non meno infondate, d’altro canto, le riserve dottrinarie d’ordine tecnico/organizzativo - gli appunti cioè secondo cui torti come quelli endo-familiari non si presterebbero, per loro natura, a venire amministrati con strumentazioni di tipo aquiliano.
Varie le osservazioni da muovere in proposito.
La prima è che argomenti del genere, per quanto non manchi loro un pizzico di verità, provano verosimilmente “troppo”. Vi sono frangenti, non rari, in cui nessuna via d’uscita contro i misfatti patiti in ambito domestico appare praticabile, se non quella di tipo risarcitorio. Bloccare a monte il discorso, nel nome di alcuni sospetti di incomunicabilità fra istituti, significherebbe destinare ogni compromissione sofferta dal congiunto - pur rilevante sotto il profilo dell’ingiustizia – a restare per sempre là dov’è caduta.
Meglio, s’intende, se i “panni sporchi” verranno lavati pudicamente in famiglia; meglio che lo sdegno o la rabbia (come tanti sapienti consigliano) non si traduca in un’azione formale di danni - fonte spesso di situazioni di non ritorno, con chances limitate di riconciliazione.
Il punto è che non sempre la via della pace risulta in concreto percorribile; non sempre la vocatio in ius si presenterà come un passaggio inelegante, disdicevole. Quale il peso, oggigiorno, di motivi come il gusto per la discrezione, il dovere dell’indulgenza, la generosità nelle schermaglie; come la fedeltà allo stile del passato, gli spazi per lo ius corrigendi, l’impenetrabilità delle mura di casa?
Il danno può non avere, nell’opinione di chi lo risente, le necessarie caratteristiche di tenuità, di cancellabilità col passare del tempo. Le vittime, che sono quelle a decidere, hanno magari i loro motivi - sociali, biografici, psicologici - per non desiderare armistizi di sorta. In circostanze simili il conflitto rischia di esplodere, anche sotto il profilo del risarcimento.
Ed è appena il caso di osservare come proprio la facilità sempre maggiore nelle procedure di separazione e divorzio (rimedi talvolta additati come fatti che renderebbero superflua ogni azione di danni) sia destinata a operare, statisticamente, come un motivo in più per non rinunciare invece allo sbocco aquiliano, dinanzi a questo o a quel danneggiamento.
Nessun aut-aut che possa più ventilarsi, su quella base, dinanzi al coniuge vittima del torto (“Chiedi il risarcimento, avrai la guerra in casa, il matrimonio durerà comunque per sempre o quasi”; “Se è la pace che vuoi, niente azione di danni, sostanzialmente finché morte non vi separi”). Nessuna ragione, per l’offeso, di paventare che l’esacerbarsi delle divisioni e incomprensioni, grazie al fatto della richiesta di danni, manchi poi di “valvole” relative alla fine del ménage in quanto tale.
Anche per le liti che vengano ad accendersi fra soggetti diversi dai coniugi - è appena il caso di aggiungere - la conclusione, sia pur grazie a meccanismi istituzionali d’altro genere, appare sostanzialmente la medesima.
4.1. Coerenza difensiva
Restano allora i dubbi inerenti la (supposta) inconciliabilità fra il linguaggio, rispettivamente, del diritto di famiglia e del risarcimento del danno. Due al riguardo le considerazioni da svolgere.
La prima è un tutt’uno con il richiamo alle situazioni, sempre più numerose nella realtà odierna, in cui l’interprete si trova dinanzi a materiali:
- contraddistinti, se guardiamo ai passaggi della quotidianità che vi appaiono coinvolti, da un notevole tasso di liquidità antropologico/strutturale;
- in cui pure la fondatezza e insostituibilità dell’approdo ai lidi aquiliani, secondo la dottrina e la giurisprudenza, appaiono da tempo fuori questione.
S’intende, per tanti versi, che il pianeta domestico rimane qualcosa a sé nel diritto, inconfondibile rispetto ad ogni altro luogo. Ma è pur vero che le risposte, in un’area come quella del torto, sono da sempre state messe a punto (nell’opera del legislatore, dello studioso, dei tribunali) guardando in prevalenza al lato della vittima.
Non si vede, al riguardo, per quali motivi la famiglia dovrebbe fare eccezione alla regola - eso o endo che sia la zona presa in esame.
Finché una certa licenza di danneggiare perduri (perché ci si muove ancora in lande di sapore “umano, troppo umano”) ad avvantaggiarsene sarà qualsiasi tipo di convenuto: ma una volta che il privilegio sia caduto, e gli interessi in questione entrino in circolo, la salvaguardia risarcitoria prenderà corpo a 360°.
I beni contano in se stessi, certamente, ma più ancora per ciò che simboleggiano, per il contorno di cui fanno parte. La persona è o non è (rispetto a quella data casella dell’agenda) entro il presidio formale della responsabilità. Quanti, in passato, i leading case che hanno instradato verso tipologie del fare/essere quotidiano ritenute - sino a quel momento, per la loro inafferrabilità o leggerezza - un tabù per il diritto nel suo insieme?
Difficile insomma per l’interprete - una volta maturata la scelta di far capo alle risorse della lex Aquilia per l’«evasione» dei traumi conseguenti (poniamo) a una violenza carnale, a una calunnia o a una diffamazione, a uno sfregio indelebile alla guancia, a una compromissione delle capacità sessuali, a un attentato alla salute psichica; magari a un’intrusione scorretta, al furto del journal intime, alla divulgazione di un dato sensibile, a una vacanza rovinata, a una campagna di mobbing, a uno scherzo feroce - non proseguire lungo la stessa cultura rimediale, qualunque sia il terreno che risalta, non importa verso quali direzioni.
4.2. Duttilità aquiliane
Non meno risolutivo, contro i dubbi in esame, il suggerimento a compiere entro il sistema un’accurata rassegna - quella delle possibilità che l’istituto aquiliano ha di rispecchiare tecnicamente, attraverso il gioco dei suoi terminali, la complessità e “volatilità” delle aggressioni domestiche.
Non ogni sfumatura dell’accaduto sarà, beninteso, recuperabile entro la decisione. Questo è però - bisogna dire – il destino che accompagna il diritto fin dalle origini, su qualsiasi terreno (civile, penale o amministrativo). E per restare ai torti inter-familiari: è indubbio come le possibilità di attenzione e riscontro formale entro la sentenza si annuncino, là dove l’istruttoria non sia stata carente, tutt’altro che povere sulla carta.
Non si sa chi, fra i coniugi, abbia “incominciato”, le colpe stanno un po’ da tutte le parti, qualche dettaglio sfugge, ciascuno dei due sembra avere però di che da rimproverarsi? L’art. 1227, 1° co., c.c., permetterà di tenere conto di tutto ciò nella pronuncia finale. Il prosieguo delle sofferenze sarebbe stato evitato qualora lei (poniamo) se ne fosse andata per tempo, se avesse istato subito per la separazione? Il 2° comma della stessa norma consentirà di tagliare, eventualmente, quella fascia di danni dall’id quod interest.
Rapporti interni –nelle liti fra coniugi, sul terreno sostanziale e processuale- fra ricorso al rimedio familiare tipico ed esperibilità dello strumento risarcitorio? Chiave di volta, in proposito, sarà il (richiamo al) ruolo “sussidiario” della responsabilità civile. Là dove l’atmosfera di casa abbia oltrepassato determinate soglie di irrespirabilità, poco senso avrebbe una messa in gioco del solo rimedio aquiliano (in relazione a questo o a quell’episodio pregiudizievole), e non anche la scelta radicale della separazione o del divorzio. Quando lo scollamento fra gli sposi appaia cioè profondo, e punteggiato al suo interno di fatti lesivi specifici, non potrà non scattare prima o poi anche il rimedio familiare.
E laddove quest’ultimo non venisse esercitato, sarebbero di difficile risarcibilità (s’è detto) le conseguenze non mitigate - le poste evitabili da un certo momento in poi.
Ancora. Non sono stati richiesti tempestivamente i danni, c’erano allora (poniamo) bambini piccoli in casa, adesso si vorrebbe però agire? Occorrerà vedere se si sia trattato, quella volta, del semplice proposito di non privare i figlioletti della figura del genitore, del desiderio di evitare un clima bellicoso; oppure di vero spirito di transattività, di autentica volontà di pace.
O magari: le sofferenze patite corrispondono a un danno morale soggettivo, nessun reato è stato però commesso dall’autore? Cassazione e Corte costituzionale hanno introdotto di recente significative innovazioni al riguardo, anche la famiglia potrà avvantaggiarsene.
E così avanti. Si sa che, fra i due antagonisti in casa, l’uno è stato tendenzialmente buono, l’altro cattivo, si ignora però come siano andate precisamente le cose? Il giudice non manca di poteri sostanziali nella definizione degli statuti probatori fra le parti (quali vigenti in concreto): “intended consequences never too remote”, nel dubbio sarà il malvagio a rimetterci, processualmente, la mancata prova dei fatti gli si ritorcerà - in tutto o in parte - contro.
La vittima era un soggetto “debole”, non è riuscita perciò a ribellarsi, ha continuato a sopportare le altrui prepotenze, più di tanto in coraggio e in spirito d’indipendenza non si poteva chiederle? “Take your plaintiff as you find him” - ecco il principio da seguire nella responsabilità: di quella fragilità sarà possibile tenere conto in giudizio, specie quando la controparte risulti a un soggetto “forte”, che abbia indovinato tutto, che ne abbia approfittato sempre.
Un uomo sposa una donna senza amarla minimamente, soltanto per scommessa, oppure per beffa, o addirittura per punire se stesso - mettiamo: avendo provocato tempo prima, con la sua mancanza di cuore, la morte di una ragazza; e avendo scelto quale mezzo, per espiare, quello di prendere in moglie una prostituta (come nella novella di G.Marotta) - e sin dalla prima notte la respinge sdegnosamente? Invalidabile che sia o meno un matrimonio del genere, certamente la responsabilità per il danno non potrà mancare; a parte i momenti sanzionatori in ordine alla separazione o al divorzio.
Il pregiudizio lamentato è niente più che quello della fine del ménage (sogni amorosi bruciati, sfide all’orgoglio, solitudine incombente)? C’è in Italia il diritto di separarsi e divorziare, un danno simile è formalmente “non ingiusto”; nessun possibilità di risarcimento a favore di chi avrebbe preferito non sfilarsi l’anello nuziale dal dito - salvo il caso di efferatezze e contumelie oltre misura, ad opera del partner in fuga (che dovranno, comunque, avere leso “altre” prerogative della vittima).
La moglie ha abortito senza il consenso del marito, magari contro le indicazioni di questi? Nessuno spazio -di nuovo- per condanne risarcitorie. Un consorte rifiuta ogni rapporto sessuale, smette di lavarsi, comincia a russare, parla troppo oppure sempre meno, ingrassa, non fa nulla per migliorare il suo carattere? La soluzione è la stessa.
Il bene colpito -in un coniuge, in un figlio- è stato addirittura quello della salute, dell’integrità fisica o psichica? Basterà qui per la condanna risarcitoria (sul terreno dell’art. 2043 c.c.) l’accertamento di una semplice culpa levis dell’autore. Violazioni ingiustificate dell’obbligo di mantenimento, un padre lontano e facoltoso che non corrisponde gli assegni al figlioletto, alla moglie bisognosa? Massima severità anche qui contro l’inadempiente, sotto il profilo dei criteri di imputazione. Infedeltà, baci rubati, vacanze nascoste, tradimenti coniugali, figli di altro letto? Solo nei casi più gravi e crudeli una responsabilità aquiliana del “fedifrago” sarà ammissibile. E così avanti.
5. L’avvento del danno esistenziale
Tanto meno fondate (occorre aggiungere) quelle perplessità risultano ultimamente, alla luce dei mutamenti occorsi in generale nel campo del danno alla persona - soprattutto dopo l’irruzione sulla ribalta aquiliana, dietro impulso della dottrina e della giurisprudenza, della categoria del “danno esistenziale”.
Difficile non accorgersi in effetti, tra il linguaggio di quest’ultima figura e quello tipico della famiglia, quanto marcate appaiano le affinità.
Tre in particolare (quello comparativo/istituzionale, quello dinamico/interattivo, quello più latamente difensivo/politico) i profili lungo i quali una corrispondenza del genere si lascia, già a monte, percepire.
(a) Sotto il primo aspetto si tratta, per l’interprete, dell’invito a prendere atto voce per voce - quasi in chiave di raffronto sinottico - come nel raggio applicativo del (risarcimento per) danno esistenziale sia destinato a ricadere, volendo utilizzare la nota formula della Corte costituzionale, l’insieme delle “attività realizzatrici” dell’individuo; e come la famiglia si iscriva, d’altro canto, tra le formazioni sociali a più ricca densità di ispirazione e accompagnamento, in vista delle iniziative - specie quelle “a-reddituali” - della persona.
Il mondo dei giochi, allora, l’educazione domestica, le festività, il sistema dei valori, i gesti dell’affetto, la seconda casa, le spiegazioni sessuali, le esortazioni all’indipendenza, la morte di una persona cara, la scoperta della cultura o della religione, un fratellino in arrivo. La confidenza, il rispetto degli altri, le vacanze, i lavori di giardinaggio, le collezioni, gli obblighi dell’igiene, i viaggi, cantare in coro, gli hobby, gli sport fatti insieme, le pratiche della solidarietà. I rapporti con la scuola, l’abitudine a discorrere, i compiti nel pomeriggio, le ricerche su Internet, i momenti di svago, la cucina, la TV, gli ammalati in casa, il volontariato, talvolta il lavoro domestico - i nessi comunque con gli impegni esterni.
Famiglia e danno esistenziale mostrano, in sostanza, di trarre linfa da matrici sostanzialmente simili e di fare capo, sui rispettivi terreni, a lemmari non molto distanti fra loro.
(b) Quanto al secondo aspetto, il verso dell’attenzione è piuttosto quello puntato sulle correlazioni “micro” - sulle doppie eliche della quotidianità - aventi a che fare con biografie di vittime specifiche.
E l’invito è ad accorgersi, in particolare, come là dove siano riscontrabili tracce di un danno esistenziale, risentito da una certa persona, non di rado finiremo per ritrovare nel passato della stessa eventi e incidenti di natura familiare (legati a quanto più tardi è successo). E come allorché si guardi a un focolare domestico, contemplato nella sua interezza, presto o tardi accadrà all’interprete - scandagliando nel vissuto di questo o quel componente - di imbattersi in ripercussioni dannose quali quelle ora in esame (resta da vedere, poi, fino a che punto ingiuste e davvero rilevanti ex lege Aquilia).
(c) Sotto il terzo profilo, le domande appaiono ancor più elementari:
- se, com’è verosimile, debbono ritenersi fondate le osservazioni di chi enfatizza i risvolti esistenziali di tanti fra gli illeciti prodotti entro le mura di casa (fattispecie spesso prive di riflessi patrimoniali significativi; tanto che, se la categoria del danno esistenziale non esistesse, un torto civile neppur sarebbe talvolta configurabile!);
- se è vero, d’altro canto, che un’alta percentuale (del totale) dei reati che vengono commessi in Italia, annualmente, corrispondono a fatti compiuti entro le mura domestiche;
- ebbene, come è stato osservato, la proposta di tagliar fuori in situazioni del genere il soggetto leso da qualsiasi tutela risarcitoria, nei confronti del congiunto/reo, non equivarrebbe a una semi-abrogazione ufficiale dell’art. 185 c.p.?
- non finiremmo così per arieggiare (ecco la conclusione) una sorta di ritorno a diritti primitivi, aurorali; sistemi orientati a scorgere nei filamenti meno agguerriti del nucleo domestico poco più che delle cose, dei sudditi - inermi contro le prepotenze del pater familias, proni ai vessilli dell’unità casalinga, privi di ogni legittimazione a difendersi?
5.1. Famiglia e giuridificazione
Due allora, in sintesi, i percorsi che le nuove linee di lettura contribuiscono ad esaltare.
Un primo passaggio è quello che si muove in controtendenza, storicamente, rispetto alle impostazioni di tipo “domestico/naturalistico”; che sconfessa cioè ogni prospettabilità degli istituti del primo libro come presenze in fuga dal diritto - attraversate da spinte continue alla degiuridificazione, protese sempre più verso un ritorno all’età dell’oro.
Soffermandoci sulle direzioni generali del movimento:
(i) se è pur vero che non sono mancati - nel panorama italiano - episodi di appannamento delle norme positive, o di vera e propria deregulation sopraggiunta, per certi ambiti domestici: la depenalizzazione dell’adulterio, ad esempio, oppure la semi-scomparsa dai tribunali della seduzione con promessa di matrimonio, la crisi statistica della comunione fra coniugi, la tendenziale decolpevolizzazione nella separazione, etc.;
(ii) se è fuori dubbio, poi, l’opportunità di far luogo a sollecite amputazioni formali - anche in sede legislativa - per quei bracci della famiglia ove il controllo del diritto mostri di avere perduto, con il passaggio del tempo, ogni ragion d’essere;
(iii) tutto ciò premesso, sarebbe arduo contestare - dati alla mano – la ben maggiore importanza quantitativa e qualitativa che sono venute assumendo, negli ultimi tempi, le trasformazioni di segno opposto.
Non si parla, beninteso, dei crimini commessi giorno per giorno, dei fatti di cronaca nera tra parenti; materiali pur in crescita continua, a livello di emersione nella stampa - e che interessano, però, sotto il profilo eminentemente criminologico (benché non privi di valore ai fini qui considerati): uxoricidi, madri che uccidono figli, figli che massacrano genitori, ex fidanzati assassini, sfregi punitivi, abusi sessuali in casa, segregazioni di parenti handicappati o peccaminosi, e così via.
Il dato probante - ai fini qui in esame - è proprio quello dei provvedimenti legislativi che negli ultimi tempi sono state approvati, sul terreno della famiglia, dal nostro Parlamento: ad es., le nuove norme sulla cittadinanza, quelle sulla tutela delle lavoratrici madri, le modifiche dell’adozione, le nuove norme sulla violenza sessuale, la possibilità di ottenere l’allontanamento coattivo del familiare violento, le indicazioni generali sui servizi socio-sanitari per la famiglia, le novità del diritto internazionale, la ratifica dei protocolli concernenti la vendita, la pornografia, la prostituzione dei bambini, i provvedimenti sulla competenza, sul riconoscimento e sull'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi, il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità.
E non meno interessanti - come prove della vitalità di quella direttrice - appaiono i testi di riforma attualmente in corso di discussione alla Camera o al Senato: basta pensare alle proposte di modifica della separazione fra coniugi e del divorzio, a quelle relative all’affidamento condiviso dei figli, a quelle sul cambiamento del cognome dei coniugi e dei figli, alla ventilata introduzione della figura della mediazione familiare, alle trasformazioni circa gli organi giudiziari della famiglia, ai progetti sulla disciplina sulle unioni di fatto, alla procreazione assistita, alla tutela dei minori, all’ormai annoso disegno sull’amministrazione di sostegno.
Per tacere poi, scendendo di un gradino, della vasta produzione legislativa regionale, sempre concernente la famiglia, in settori spesso contigui alle materie privatistiche – e rispetto ai quali ogni esempio appare superfluo (si segnalano comunque le materie degli aiuti alla formazione di nuove famiglie, della cura nei confronti dei familiari non autosufficienti, degli orari di lavoro, dell’astensione dall’attività lavorativa per motivi di famiglia, del ricongiungimento delle famiglie, del sostegno alla procreazione, dell’espressione della sessualità, dei supporti alla prima infanzia, alla preadolescenza, all’adolescenza, del lavoro domestico, dell’indennizzo per infortuni domestici, della valorizzazione dell’auto-organizzaione delle famiglie, della lotta contro abusi e sfruttamenti sessuali, e così via).
5.1.1. I doveri di casa
Quanto poi al danno esistenziale, è appena il caso di sottolineare come il crescente successo della figura (da ultimo anche presso la Corte costituzionale) sia un dato che non si limita a magnificare un trend specifico della responsabilità; il risultato è anche quello di scandire la vitalità dell’istituto aquiliano in quanto tale, fornendo le basi di partenza per un allargamento del diritto civile tout court.
Resta anzi da appurare - ormai che il divaricarsi rispetto all’art. 185 c.p appare un fatto consumato - quali saranno (dell’agire e non agire areddituale) i momenti destinati a irrorare più spesso il tessuto dei vari torti, rispetto a ciascun membro della cerchia casalinga.
Nessun dubbio, al riguardo, come sia quello endo-familiare l’ambito ove le sintonie in atto si segnalano più riccamente, soprattutto riguardo agli obblighi che figurano posti a carico dei congiunti; particolarmente forti appaiono, qui, le interferenze tra la misura in cui un certo aspetto del focolare domestico mostra di “esistenzializzarsi”, nella prassi, e il tasso di giustiziabilità che esso si avvia complessivamente ad assumere.
Facile immaginare, in questa luce, l’approdo a soglie di giuridificazione sempre più avanzate, via via che ad esempio:
(a) i doveri genitoriali mostreranno di inverarsi - nel diritto vivente – come impegni ad assecondare in via progressiva la vocazione dei figli: provvedendosi a instillare in loro il gusto per la creatività, nel segno del rispetto per le loro predilezioni, con uno sprone a combattere le tentazioni conformistiche, le pigrizie eccessive; soprattutto, nel monito a difendere (ciascuno) il senso della propria preziosità, ad ascoltare la voce di tutti, a coltivare il senso civico, a non tradire l’amore per la verità, a migliorare i propri standard di amore per il prossimo;
(b) i doveri di assistenza, fedeltà, collaborazione fra coniugi, abbandonino sempre più venature rituali o cerimoniose, e si atteggino soprattutto quali spinte ad alimentare – nella misura del possibile - le attitudini creative del partner, a discutere con lui ogni ordine del giorno, a ritrovare il filo delle scommesse adolescenziali; se occorre a pungolarlo, certo a sostenerlo affettivamente, comunque a non eccedere in commenti ironici, a sgravarlo concretamente dagli ostacoli troppo pesanti, ad applaudirlo, eventualmente a finanziarlo;
(c) i doveri fra le altre classi di congiunti (spesso in chiave di reciprocità: fratelli e sorelle, nonno e nipoti, zii, cognati, affini e parenti conviventi, etc.) vengano anch’essi a prospettarsi, essenzialmente, come momenti di tipo incoraggiante/liberatorio - funzionali a far sì che il beneficiario riprenda a coltivare se stesso, si svincoli dalle incombenze superflue, cessi dal sacrificarsi eccessivamente, rompa il muro delle abitudini dannose; magari riprenda gli studi, inizi finalmente a dipingere, accetti un prestito, spenda per viaggiare, si conceda il lusso di una colf.
Se è indubbio, in tutti questi casi, come ogni variazione di segno appaia suscettibile di tradursi, volta per volta, in esiti di maggior responsabilità per i danni (dinanzi a eventuali inadempienze dell’obbligato), è palese che ci si trova di fronte a meccanismi idonei ad operare -magari proprio attraverso le sollecitazioni indotte dai giudizi risarcitori- in chiave sempre meno “esterna”, successiva, rispetto alla commissione dei torti.
Tanto più se agganciata (come occorre) al tema della salvaguardia dei soggetti deboli -corrente in tanti settori dell’ordinamento- la curvatura “relazionale” è ormai un fattore che entra nel circuito stesso di definizione degli obblighi, all’interno della famiglia, anche agli effetti di valutazioni e di sanzioni diverse dal risarcimento.
5.2. Sovranità dell’illecito
Nessun dubbio poi, facendo un altro passo, come l’aggiungersi di momenti esistenziali, nel conto delle lesioni fra parenti, abbia l’effetto di accentuare (l’evidenza di) un motivo ben preciso di politica del diritto: quello relativo agli spazi di sovranità -identitaria e applicativa- che la responsabilità vanta in generale sul terreno privatistico.
Si tratta di un valenza riscontrabile, beninteso, lungo più d’uno tra i confini dell’illecito. E’ certo però come sul versante della famiglia - terreno così diverso da ogni altro (per il tipo degli interscambi disciplinati, nonché per le peculiarità del sistema rimediale che vi è accolto) - il connotato in esame si avvia ad assumere un valore tutto particolare.
Alcuni dati erano per la verità già acquisiti.
Scontato ad esempio – considerando i profili penali - come il pregiudizio e il dolore risentito da una donna la quale abbia sofferto (poniamo) un tentativo di uxoricidio, che si sia vista costretta dal suo partner a prostituirsi, che sia stata diffamata o calunniata dal proprio sposo, etc., non verrà affatto neutralizzato per la sola circostanza che il compagno autore di quei fatti vada o non vada poi, anche in misura severa, incontro alla condanna penale per essi prevista.
Lo stesso ove si pensi a situazioni che rilevino sul terreno del diritto amministrativo o tributario (nonché all’origine di riflessi dannosi per qualche congiunto).
E qualora risultasse infine, venendo al diritto civile, che:
- entro un certo focolare sono stati consumati (da parte di un membro contro un altro, fintantoché il ménage era ancora in piedi, talvolta nel periodo successivo) una serie di illeciti;
- illeciti corrispondenti alla violazione di questa o quella situazione soggettiva (salute, integrità psico-fisica, diritti reali, proprietà intellettuale, onore, immagine, diritto all’assistenza, al mantenimento, all’educazione, etc.), e che abbiano determinato l’insorgere di danni, patrimoniali o non patrimoniali, a carico di uno solo o magari di più familiari;
- danni che, nella sfera di chi li ha patiti, minaccino di perdurare (in tutto o in parte) malgrado il vittorioso esercizio delle misure di reazione familiare, ad opera dell’interessato;
- orbene, ricorrendo situazioni del genere non potrebbe venire contestata, in alcun modo, la possibilità da parte della vittima di far luogo anche a un’azione di danni contro il familiare.
Proprio questo, va detto, è il passaggio a spiccare maggiormente nella law in action del nostro paese, dopo l’entrata in scena del danno esistenziale. Basta scorrere alcune motivazioni di sentenze.
Si spiega così che là dove entrino in gioco le disavventure di una giovane sposa, nonché futura mamma (colpita nei suoi diritti/bisogni di assistenza e protezione, subito dopo le nozze, a seguito del comportamento cinico e sprezzante del marito), la pronuncia di separazione con addebito non potrà, in via di massima, considerarsi tale da assorbire la domanda di risarcimento, relativa a quelle poste negative.
Ripercussioni del genere non sarebbero, sino a pochi anni addietro, state considerate in alcun modo rilevanti ex art. 2043 c.c. - forse neppure ritenute esistenti in via di fatto. Per le “attività realizzatrici” di una moglie in attesa di un bambino nessun interprete, allora, mostrava interesse. Dei possibili vuoti lesivi sottostanti alla dissoluzione di una coppia (annullamento, separazione, divorzio) non ci si sarebbe neppure accorti.
Lo stesso in altre ipotesi importanti.
Ad esempio, con riguardo ai riflessi pregiudizievoli - presso il coniuge, nei confronti dei figli, magari dei nonni - della violazione prolungata di qualche diritto di visita. Oppure in merito alla vicenda di una donna fatta oggetto di insulti e dileggi sistematici, anche in pubblico, da parte del marito. O ancora a proposito di un minore il quale, per anni di seguito, venga sostanzialmente dimenticato dal padre, sotto il profilo del mantenimento come pure dal punto di vista affettivo ed educativo. O magari nel caso di un figlio colpito da un’azione di disconoscimento della paternità (che sia destinata a rivelarsi) infondata, o che contrasti con l’assenso dato a suo tempo - dal padre stesso - alla moglie, in ordine a una pratica di fecondazione artificiale.
Assai differenti fra loro, fattispecie del genere hanno comunque un punto in comune: si tratta di danneggiamenti ingiusti che – per una ragione o per l’altra - sfuggono alla possibilità di gestione dei rimedi specifici. Soltanto una messa in opera della responsabilità civile appare, tecnicamente, in grado di neutralizzarli.
6. Il diritto alla realizzazione personale
Non è mancato poi, lungo questa lunghezza d’onda, l’invito ad alzare ancor più lo sguardo - riportando l’insieme degli obblighi in famiglia sotto l’egida di un motivo unitario, tratto in generale dalla rosa delle prerogative individuali: il c.d. “diritto alla realizzazione personale”.
Circa le origini della figura in esame non sarà il caso, qui, di indugiare più di tanto.
Si sa come non da oggi siano venuti affermandosi, nella maniera di guardare alle istanze della persona, orientamenti di tipo inedito.
Punto di partenza, ancora una volta, quello della crescente attenzione verso i profili del fare/essere quotidiano. La creatura umana vista - soprattutto - come entità protesa a svolgere se stessa negli affetti, nel lavoro prestato, a incarnarsi in ciò che inventa o che trasmette, nei luoghi che ha di mira, nelle persone che sceglie di frequentare.
L’effettività e le controprove giornaliere, allora: il monitoraggio e il riscontro dei passaggi in cui ciò mostra di non avvenire, l’inventario di quanto possa contribuire a frustrare quelle aspirazioni. Il richiamo a misurare, volta per volta, la legittimità e ammissibilità dei singoli impedimenti.
Ecco così – sul terreno delle fonti - la valorizzazione di tutta una serie di riferimenti prescrittivi, comunque la tendenza a prospettare in maniera nuova quelli più noti.
I principi internazionali, anzitutto: la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, la Convenzione di New York sui diritti dei bambini, la Carta di Nizza dei diritti.
La legislazione ordinaria, poi: testi come quello sulla riforma del diritto di famiglia, sull’aborto, sulle rettifiche di attribuzione di sesso, sulla cittadinanza, sull’adozione, sulla tutela dei consumatori, sui viaggi tutto compreso, sulle barriere architettoniche, sullo sciopero nei servizi pubblici, sulla parità dei sessi, sulle azioni positive, sul trattamento dei dati personali, sull’handicap, sul collocamento obbligatorio.
La valorizzazione dei profili di sviluppo dell’uomo nei mille crinali della legislazione regionale.
La giurisprudenza infine (questioni del danno esistenziale a parte). La sentenza della Corte costituzionale sulle servitù coattive a favore degli handicappati. I provvedimenti dei giudici di base che - in vario modo - hanno imposto l’attuazione di un facere alla pubblica amministrazione: ad esempio con riguardo all’installazione di una rampa di accesso, destinata ai disabili, nella metropolitana di Roma; oppure agli interventi utili a permettere l’accesso delle carrozzelle, per handicappati motorî, nei treni veloci delle Ferrovie dello Stato; o, ancora, all’inserimento di un insegnante di sostegno in una scuola che ne sia sprovvista; o, magari, alla tutela in via d'urgenza della salute di un giovane autistico, e correlativo ordine alla Asl di pagare la retta per la frequenza di una struttura terapeutica privata.
6.1. Combinazioni individuali
Ecco poi – nell’approccio agli orizzonti della singola vittima, per il prossimo futuro – le insistenze sul riguardo dovuto alla “combinazione esistenziale” di ciascuno.
(i) L'idea di relazionalità/fecondità, allora. Le indicazioni circa la centralità della persona umana rispetto all'ambiente circostante - la prospettazione dell' "avere" individuale come un "tendere verso", come investimento spontaneo di energie, come un "operare per".
La felicità (lemma pur estraneo, formalmente, alla nostra Carta fondamentale) quale tramite da rapportarsi - non solo dal punto di vista etimologico - ai suoni della della fertilità, della florealità; ai nodi del rigoglio partecipativo, del venire oltre la linea di galleggiamento.
L'esistenza umana tratteggiata quale pienezza di contatti, ricerca di agganci, di occasioni continue di dialogo.
(ii) Il tratto della visione policentrica, poi. Il riferimento alla vita umana come trama fatta per dipanarsi (non già nel chiuso di un'unica stanza, bensì) lungo una pluralità di lieviti e piani inclinati, ben distinti fra loro: ciascuno improntato via via a registri di carattere personale o familiare, oneroso e gratuito, religioso o laico, pubblico o privato, egoistico o altruistico, patrimoniale o spirituale, debitorio o creditorio, serio e faceto, individuale o associativo, etc.
L’attenzione da riservare, insomma, alle aspirazioni di “quel” singolo essere umano, per il tempo a seguire. Le schegge dinamiche delle singole posizioni - frammenti idonei a farsi riconoscere come parti di un tutto e che diventano (riuniti insieme) altra cosa rispetto a un puro elenco di traguardi. La nascita di un neo-fuoco soggettivo, che non sarà più soltanto l’addizione di varie particelle sparse, bensì un quid novi nel diritto civile.
Come ignorare - allorché si tratta di stabilire cosa debba modificarsi, in concreto, di decidere se un certo rimedio vada o meno concesso all’attore - gli obiettivi verso cui l’interessato tendeva? E’ questa la falsariga seguita a livello micro, costantemente: il lavorio di ascolto/comprensione degli utenti, cui giorno per giorno si dedicano operatori sociali, tutori, consulenti intermedi, giudici tutelari, protagonisti della volontaria giurisdizione.
E il tragitto non potrà variare ove si tratti - ecco la conclusione - di avvicinarsi proprio alle posizioni di fondo, di illuminarne in generale i fermenti. Il diritto come realtà da cogliere guardando, insomma, le cose “dal basso” (nel vissuto specifico degli individui), non solo come analisi “dall’alto” (per le gabbie immaginate dal legislatore). Quale il disegno effettivo di “realizzazione”, rispetto al ventaglio di tutto ciò che è sparso entro il sistema - quali le mete e i pollini inseriti, volta per volta, nelle pagine d’oro dell’agenda?
6.2. Questioni aperte
Non poche le indicazioni di lavoro allora:
(a) opportunità, sul terreno prospettico, di una ricomposizione di quelle varie prerogative in chiave fortemente sintetica, non più soltanto analitica; c’è ormai un tratto unitario - la spinta al concretizzarsi delle proprie aspirazioni - ove certi filamenti della persona possono confluire, o che raccoglie comunque il versante dinamico di ogni posizione;
(b) imprescindibilità, dal punto di vista della nomenclatura, di una messa dell’art. 3 Cost. al centro delle riflessioni del civilista; con un riassorbimento entro il nuovo stemma di ogni faglia portante della quotidianità: quella affettiva, familiare, procreativa; quella culturale, scolastica, scientifica, artistica; quella lavorativa, politico-sociale associativa; quella dello svago, dell’ambiente, del gioco, della vacanza;
(c) utilità di un riguardo per i profili del diritto alla realizzazione della famiglia; le aspettative che di fatto rilevano - quelle nei confronti dei Servizi, quelle dirette ai singoli membri della famiglia, soprattutto ai soggetti autorevoli – intese come rivolte, cioè, a interventi di cui sarà sempre qualche singolo a beneficiare, ma che riguardano spesso il nucleo domestico “in quanto tale” (casa, igiene, sicurezza, verde, trasporti, etc.);
(d) necessità - pensando a ciò che intralcia quel cammino - di una congrua distinzione fra ostacoli giusti e ingiusti, e correlativa indicazione dei mezzi di tutela/rimozione, anche al di fuori del risarcimento in senso stretto: inibitorie contro l’autore del fatto, allora, e poi invalidazione di contratti, reintegrazioni in forma specifica, class actions, azioni possessorie, rettifiche, interventi adesivi autonomi, strumenti penali, controlli amministrativi, astreintes, e così via;
(e) ragionevole comprensione - ossia rifiuto di severità ingiustificate, pur senza indulgenze verso i meri capricci – rispetto alle le frange contraddittorie, comunque ai risvolti poco coerenti, altalenanti, di un certo percorso; importanza dell’attenzione, soprattutto allorché si parla di doveri genitoriali, per le variazioni che figurino effettuate in corso d’opera, per i cambiamenti nel tempo: la realizzazione di se stessi come work in progress, viaggio pressoché senza soste, impresa destinata ad autoalimentarsi costantemente;
(f) riguardo verso ciò che è proprio - come tavola di bisogni/diritti - di un gruppo omogeneo di persone (ad es.: l’istruzione di base per gli adolescenti non vedenti) e ciò che appare invece peculiare/idiosincratico di un singolo individuo (ad es., la valorizzazione per via scolastico/professionale di un determinato talento);
(g) confronto tra le varie categorie di soggetti orientati verso questo, piuttosto che quel, tipo di sbocco operativo; dove risulterà come la stessa voce di bisogno/ostacolo possa, da caso a caso, andare incontro a destini valutativi e statutari ben diversi (ad es., il lemma “barriere architettoniche” avrà un certo significato per i poliomielitici e un basso valore, invece, per gli immigrati; la voce “indicazioni multilinguistiche” peserà non poco per i gruppi correlativi, e assai meno per i cittadini appartenenti a una minoranza solo religiosa; e così via);
(h) distinzione, eventualmente, fra archetipi - della realizzazione e del fare/essere - che siano di stampo maschile, o piuttosto femminile, o propri invece del mondo infantile e adolescenziale; analisi delle soluzioni intermedie, contestualizzazioni nell’ambito familiare specifico, intrecci dei modelli di vario tipo;
(i) messa a confronto - guardando al diritto positivo, nella prospettiva della realizzazione personale - tra ciò che la situazione in Italia è attualmente e quella che dovrebbe, invece, essere; con un riguardo particolare ai settori in cui le istanze riformatrici non potranno essere soddisfatte, esaurientemente, attraverso mere operazioni di carattere amministrativo o giudiziario (ad es., nuove leggi di tutele sulle minoranze, il Pacs, l’eutanasia, la modifica delle procedure sul divorzio, l’approvazione dell’Amministrazione di sostegno):
(l) monitoraggi puntigliosi per quanto attenga al costo degli interventi, soprattutto quelli a carico della pubblica amministrazione, e ciò anche alla luce del principio (non secondario sul terreno della responsabilità per omissione) per cui il basso costo di un’iniziativa aumenterà, tendenzialmente, l’inescusabilità dell’eventuale astensione - tenuto sempre conto, beninteso, dell’oggettiva importanza del diritto/bisogno messo in causa.
6.3. Dove e quando
Ricadute sul terreno degli illeciti familiari? Un consuntivo è forse prematuro.
E’ indubbia, sotto un primo aspetto, la necessità di alcuni chiarimenti. Ad esempio: ci troviamo dinanzi a una categoria davvero inedita, o non piuttosto a una sintesi dei risvolti -in chiave proiettivo/teleologica- dei diritti tradizionali della persona?
Ancora: si sta parlando di piano costituzionale, di filosofia del diritto, oppure di diritto civile in senso proprio? O magari: gli ostacoli la cui mancata rimozione dovrebbe mettere in modo profili sanzionatori, saranno solo quelli relativi ai soggetti “deboli” o magari anche a individui “forti”?
Più ampiamente: non può esistere (com’è chiaro) una pretesa ad essere ricambiati affettivamente da una certa persona, né potrà esserci un diritto ad essere belli, né un diritto a realizzarsi attraverso i propri miti calcistici, televisivi, o cinematografici; e lo stesso vale per la famiglia in se stessa. Quando si potrà parlare – allora - di un vero “diritto” alla realizzazione personale/collettiva, quando invece di un semplice “interesse”, quali i contorni e i limiti della figura in questione?
Comunque sia: meglio guardare al soggetto “realizzando” - individuo o gruppo domestico - come al portatore di una prerogativa di tipo generale, comprensiva di tutto quanto? o meglio pensare invece a una sommatoria di specifiche intraprese, per la vita futura, al combinarsi di singoli filoni relazionali; una geometria variabile, un prisma a varie stratificazioni: il tutto per la parte, e viceversa? E gli obiettivi messi al centro di una determinata piattaforma, tutti quanti con il medesimo coefficiente di secolarità, di intoccabilità?
Quali ancora -sul terreno dogmatico o scolastico- i rapporti con i diritti “borghesi” tradizionali (quelli reali, quelli personali); con i diritti sociali, poi; con le varie posizioni sul terreno della libertà, della dignità, dell’uguaglianza, con i diritti di accesso; con le categorie degli interessi diffusi, collettivi, legittimi?
Quale il posto, infine, di un realizzazione concepita come mera ricerca del silenzio, come rassegnazione alla (c.d.) sconfitta? Di una modellistica tutta improntata al culto del non essere, dello scomparire, del naufragio, della contemplazione - magari al gusto per l’ozio, per il misticismo, per le rose non colte, per l’«atto mancato» , per le battaglie perse, per l’essere dimenticati, per lo scacco?
6.4. Uno per tutti, tutti per uno
Non meno evidenti, d’altro canto, i risvolti felici - che appaiono già percepibili - del nuovo punto luce prescrittivo. Ricondotti sotto l’egida delle letture emergenti, i frammenti di cui sopra si avviano, effettivamente, a trovare e ad offrire margini più ricchi di giustificazione, anche sul terreno dell’illecito civile.
Vari i passaggi che colpiscono l’interprete, sin dalle prime battute.
(a) Sul terreno di fondo, anzitutto - in chiave culturale e antropologica. I paradigmi emergenti del torto extracontrattuale, in rapporto a ciò che è fuori del diritto.
Il forte senso di realtà, allora, la capacità che la lex Aquilia dimostra, attraverso l’assunzione del nuovo vessillo, di fare propri motivi che impingono largamente nella cultura “psi”. L’impressione di una responsabilità civile in grado, finalmente, di “prendere le vittime” per ciò che ognuna è davvero. Ciascun bene apprezzato per il posto che occupa entro un certo orizzonte, i danni valutati per la misura in cui la violazione dell’una o dell’altra prerogativa ostacolerà, hic et nunc, l’attuazione del disegno complessivo.
La consonanza rispetto a linfe che appaiono in circolo da seicento anni, nella cultura italiana, rinnovate via via nel corso del tempo. Con l’uomo sempre più dentro la storia, nel costante primato per le cadenze del fare/essere. Lungo i vari crinali - interfacciatisi - della socialità, della creatività, della volontà di resistenza, dello spirito d’indomabilità.
Secondo questo o quel segno dell’epoca - a partire dal Rinascimento (affari e mercanti, certamente; ma soprattutto poesia, amicizia, pittura, architettura, politica, saggistica, bellezza), proseguendo poi con il Seicento (scienza, musica, esplorazioni, lirica, studio, castelli, avventura, cimenti politici), con il Settecento (ragione, enciclopedismo, sapere, psichiatria, socialità, artigianato, mondanità), con l’Ottocento (romanticismo, battaglie per gli ideali, risorgimenti, città, scoperte, tecnologie, giornali, sindacati), con il Novecento (politica, viaggi, tecnologia, scienza, volontariato, democrazia, movimenti, partecipazione).
Il grande filo conduttore “occidentale”: l’ homo faber che non smette – tra un colpo di martello e l’altro –di cercare l’amore, di viaggiare in terre lontane, di risolvere equazioni, di concepire e allevare figli, di inventare microscopi, di aiutare chi sta male, di lottare contro i potenti interessati. Di chiedere, quando abbia subito un’offesa, che il maltolto venga restituito, che il danno gli venga risarcito.
(b) Sul terreno delle soggettività familiari poi - in vista del dare e dell’avere. I rapporti di debito e di credito, i conti dell’attivo e del passivo
Il raffronto, allora, tra funzioni e ricavi che sono destinati a far capo ad ogni membro del focolare (uno a favore di ciascun altro, uno per tutti), e ruolo da affidare invece al complesso della famiglia in quanto tale (ogni componente come essere avvantaggiato dalla presenza degli altri, fisiologicamente avviato a ricevere qualcosa dall’insieme).
– Sul piano dei benefici, in primo luogo.
Per quanto concerne le implementazioni sotto l’angolo della quotidianità/fertilità, il motivo della reciprocità appare facilmente riconoscibile. Come è palese che l’attività di ciascuno potrà essere fonte di piccoli e grandi arricchimenti, per il gruppo di appartenenza, contribuendo ad accrescere il patrimonio comune, così è frequente che successi o negligenze individuali (il negarsi piuttosto che il prodigarsi, l’esserci o il non esserci) finiscano per pesare sulla vita domestica, con ricadute su tutti quanti.
– Riguardo all’identificazione di soggetti obbligati, in secondo luogo.
È appena il caso di sottolineare come si stia parlando di impegni destinati a gravare su ognuno dei familiari, nessuno escluso. E le conseguenze verranno a toccare, aggiungiamo, ambedue gli aspetti del discorso:
I) non trattandosi di un optional, né di una scelta libera di assistenza, bensì di un vero e proprio obbligo di solidarietà, sarà inevitabile la responsabilità del familiare inadempiente; nonché quella terzo che col suo illecito abbia determinato (entro il focolare in esame) l’insorgere di quei bisogni di cura e di soccorso, costringendo - da allora in poi - uno o più d’uno fra i congiunti a occuparsi sistematicamente dell’altro, a riorganizzare così la sua vita;
II) non essendoci privilegiati assoluti, è esclusa a priori la prospettabilità di abnegazioni forzate; no cioè a deleghe o a funzionalizzazioni a senso unico, per qualcuno della cerchia domestica, no a sacrifici spropositati a carico, poniamo, della sola madre di famiglia o di una sorellina arrendevole o di una vecchia zia timorosa: mai il singolo membro come entità destinata a farsi carico, perennemente, del bene e della floridezza del clan intero (agnello sacrificale le cui rinunce, in nome della stabilità collettiva, sarebbero sempre scontate, benedette).
7. Agenda per il futuro
L’incontro tra famiglia e responsabilità data da pochi anni; ed è probabile sia destinato a non consumarsi in tempi rapidi.
Il futuro non è impossibile da immaginare comunque, anche per quanto concerne gli argomenti di confine, rimessi alle cure dello studioso dell’illecito - sempre più attentamente di qui in avanti.
Non pochi (per cominciare) gli orizzonti disciplinari, più o meno inediti, che mostrano di essere stati indagati sin qui affrettatamente, in maniera distratta.
L’intreccio dei pregiudizi familiari nel sistema canonico, ad esempio; le questioni insorgenti sul terreno tributario; il punto di vista del diritto internazionale, gli apporti diretti o indiretti dell’ordinamento comunitario. Le regole di tipo “endo” da applicare agli immigrati in Italia, la misura in cui culture lontane e poco conosciute dovranno essere rispettate, in sede extracontrattuale. Il paragone fra novità emergenti nel diritto civile e, rispettivamente, nel diritto penale, gli influssi vicendevoli (concettuali se non proprio tecnici).
Le indicazioni da cercare - in via di massima – sul terreno del diritto comparato: gli ambiti dove, al di fuori d’Italia, erano venute affermandosi modelli singolari (e magari sbilanciati) di risarcimento del danno, oggi comprensibilmente abbandonati; i settori dove questa o quella corte straniera è giunta a introdurre, più di recente, forme di protezione originali per le vittime, al passo con le sfide della modernità, delle tecnologie affluenti.
Un’opinione tradizionale sembrerebbe talvolta - un po’ aprioristicamente - considerare l’intero campo dei domestic torts (la zona “endo” più ancora che quella “eso”) fra i meno proficui e attendibili, in vista di un raffronto tra ambienti giuridici diversi. Sarà proprio così però? Episodi recenti, anche nella nostra letteratura, sembrerebbero dimostrare il contrario.
Non meno importante, in generale, la ricognizione delle discipline e dei saperi che si collocano (sotto il profilo accademico) al di fuori del diritto in senso stretto - e che l’affermarsi di nuove tipologie di lesioni o di sofferenze mostra di chiamare in gioco, nel campo dell’illecito, ogni giorno più diffusamente.
Difficile pensare, in effetti, di amministrare convenientemente tutta una serie di sfumature, relative al patimento di un danno morale, sessuale, psichico, esistenziale (che si sia prodotto entro la cellula domestica), senza conoscere quali siano al riguardo le indicazioni fornite – poniamo – dalla sociologia, dalla psicologia, dalla psichiatria, dall’economia; magari, a seconda dei casi, dalla sessuologia, dalla pedagogia, dalla psicoanalisi, dalla medicina legale, dalla criminologia.
Basta rifarsi - cercando degli esempi - a quesiti come quelle che concernono i traumi della nascita, le paure dell’abbandono, gli impatti della separazione e del divorzio. Ma le citazioni sarebbero innumerevoli: i riflessi della perdita di una figura familiare, talvolta il suicidio di un congiunto (dovuto alle colpe di qualcuno), i guasti della carenza o dell’interruzione di affetti, le motivazioni dei crimini in famiglia; le dinamiche della famiglia allargata, il linguaggio delle unioni non matrimoniali.
Il ventaglio intero dei sentimenti di casa – poi – specialmente quelli più “cattivi”: malevolenze, rancori, narcisismi, odio, disprezzo, ritorsioni, vendette. I disturbi psichici a più marcata eziologia domestica (dov’è che si sta meglio che in famiglia? “dappertutto!”, così A.Bazin a F.Truffaut), le indagini psicodiagnostiche, i meccanismi distorti della comunicazione in casa: disturbi del carattere, stress post-traumatici, psicopatologie, messaggi schizofrenogeni, doppi legami, paradossi.
Ancora. L’attenzione da riservare all’universo dei mass media: stampa, radio, cinema, TV, Internet, e-mail, dischi, cassette, fumetti, pubblicità commerciale, telefonini, merchandising. I modelli di coppia á la page allora - e poi di affettività, di sessualità, di femminilità, di mascolinità, di anzianità, di rapporto figli/genitori. La nozione di privacy, di festa, di oscenità, di successo, di fascino, di felicità; le suggestione per i minori, i beni di consumo, l’incitamento alla violenza, gli snuff movies, il peso della pornografia, i drammi della pedofilia.
Tutto quanto potrà assumere rilievo ai fini della responsabilità - degli autori di programmi, dei conduttori; verso gli spettatori, verso i protagonisti delle storie, verso gli altri terzi (Orson Welles docet). La spettacolarizzazione delle emozioni, del lutto e della tragedia: la ricerca delle persone scomparse, le tavole rotonde sugli omicidi domestici in seconda serata; i bambini che cadono nei pozzi, gli incontri tra antichi amanti davanti alla telecamera, le ricerche fra le macerie de palazzi crollati, i ménage á trois raccontati direttamente al conduttore.
I video, le play-station, i messaggi pulp e trash, le soap opera, i reality-show, il Grande Fratello.
7.1. Disagi, devianze, servizi
Altro capitolo (di notevole importanza, pure nell’ottica del diritto privato) quello delle variabili soggettive che si riportano, in generale, agli ampi contenitori del disagio - della “devianza” vera e propria. Situazioni complesse, variegate, ciascuna con le proprie inconfondibilità antropologiche, dentro e fuori la cerchia domestica; momenti rispetto a cui le risposte ex lege Aquilia sono destinate a complicarsi, di tanto o di poco, rispetto a quanto accade d’abitudine.
I problemi dell’alcool in famiglia, ad esempio; oppure le questioni della droga, soprattutto là dove ad esserne colpito sia un genitore, magari entrambi. Le altre forme di dipendenza - gioco d’azzardo, bische clandestine, scommesse, bizzarrie sessuali, sale corsa, lotte fra i cani. Oppure lo spiritismo, le collezioni maniacali, le corse automobilistiche in periferia, le varie invenzioni da notte brava.
Fondali da romanzo ottocentesco, sotto alcuni aspetti. Di fatto, carichi aggiuntivi per le altre persone in casa (che potranno venire uccise, picchiate, derubate, intimidite, etc.; talvolta saranno loro a uccidere, a opprimere); comunque, incombenze ulteriori e più delicate per i servizi socio-sanitari (quando esistano, quando dovrebbero operare). Elementi di forte appesantimento, quasi sempre, nel quadro delle inchieste sulla responsabilità.
Oppure -diverse nella sostanza, non di rado all’origine di affanni ancor maggiori- le vicende contrassegnate dall’esistenza di un soggetto debole, entro il focolare domestico; talvolta dalla presenza di più d’uno fra essi, magari differenti fra loro, quanto a fattore debilitante. Malati cronici, allora, anziani della quarta età, bambini difficili, handicappati fisici e sensoriali; e poi infermi di mente, pazienti ospedalizzati, detenuti, soggetti a rischio di suicidio, congiunti in fin di vita.
Fragilità che appaiono destinate a venire in evidenza - a seconda dei casi - con riguardo a questo o a quel ruolo, ricoperto in concreto nella vertenza: e si può pensare (a) alla parte di vittima, dei terzi oppure di un familiare; oppure (b) alla posizione di autore di un fatto illecito, soprattutto a danno di un parente; o magari (c) alla veste di referente/beneficiario di una protezione che la pubblica amministrazione potrebbe, qua e là, aver mancato di fornire.
Gli alimentandi poi: quali risposte, in punto di responsabilità, dinanzi alla violazione delle posizioni in questo campo? In pochi altri settori la frequenza degli inadempimenti contrasta - si ha l’impressione - con la sporadicità delle occasioni in cui l’intervento dei tribunali è sollecitato, da parte degli aventi diritto (stando almeno a repertori di giurisprudenza). Quanti allora gli episodi in cui la mancata corresponsione del dovuto, secondo quanto può indovinarsi, risulterà all’origine di un serio pregiudizio per le vittime, anche sotto il profilo non patrimoniale?
Più ampiamente: i progetti di riforma legislativa, le discussioni dottrinarie in corso, sull’uno o sull’altro fronte disciplinare. Quale il giudice più idoneo per le controversie domestiche, comunque per i profili risarcitori in materia? A quando l’entrata in campo, ufficialmente, dei nuovi istituti della mediazione familiare? E l’approvazione definitiva dell’amministrazione di sostegno? Che tipo di spazi immaginare per gli investigatori privati, nelle vertenze domestiche?
Quale, più in generale, il posto dei servizi social-sanitari collegati alla famiglia? Qualche accenno è già stato fatto sopra; e ricorderemo, fra breve, alcuni versanti rispetto a cui l’offerta di un supporto quotidiano, dal di fuori, sembra raccomandarsi più acutamente.
Un dato è chiaro fin d’ora: ci si trova di fronte - allorché si parla di sostegni per il focolare domestico - ad un ventaglio di realtà quanto mai composito. Centri sociali, ad esempio, consultori per le coppie, soggetti pubblici e privati, Sert, nidi, asili, ex orfanotrofi, associazioni di volontariato, fondazioni, enti non profit; e poi sportelli per i sussidi agli indigenti, comunità terapeutiche, residenze attrezzate, case-famiglia, centri di salute mentale, telefoni azzurri e rosa, cooperative sociali. E l’elenco potrebbe continuare.
I risvolti di ordine aquiliano appaiono – a seconda dei casi - dietro l’angolo. E le scale in termini di premurosità e di efficienza risultano, a loro volta, quanto mai varie. Uffici ben attrezzati, in grado di sventare il prodursi di eventi lesivi; entità burocratiche che esistono invece soprattutto sulla carta, e che in concreto non funzionano; voci e istituzioni neppur previste a monte, nell’organico di quella certa amministrazione, mentre sarebbe indispensabile il contrario.
Obblighi risarcitori derivanti, in taluni frangenti, da fatti prettamente commissivi; più spesso, frutto soprattutto di omissioni, di evanescenze/irreperibilità nel territorio.
Responsabilità messe in moto da ipotesi r.c. di tipo eso (terzi estranei che abbiano causato un danno alla famiglia, eventualità che un Servizio ben attrezzato avrebbe verosimilmente impedito; ad es. l’omicidio compiuto da un infermo di mente mal sorvegliato: il “caso Mozzi”), o collegate piuttosto a situazioni di tipo endo (genitori “a rischio”, i quali abbiano arrecato un danno ai propri figli, in circostanze sfuggite al controllo degli organi preposti, al cospetto di precise negligenze di questi ultimi: il “caso Zadnich”).
Disfunzioni di tipo organizzativo dell’ente, responsabilità vicarie del servizio per illeciti arrecati da singoli dipendenti. E così avanti.
7.2. Profili emergenti
Non poche, guardando all’evoluzione della famiglia, le aree della responsabilità che figurano - poi - esplorate solo in parte; e con le quali l’interprete sarà chiamato, verosimilmente, a misurarsi sempre più in avvenire.
(I) I danni che si producono, anzitutto, durante la fase precedente alla costituzione del focolare domestico.
Gli impegni tra i futuri sposi, per cominciare: un tema che mostra di aver destato ben pochi interessi, in passato, sotto i profili dell’illecito, soprattutto relativamente alle voci di tipo non economico. Oppure i nodi della seduzione con promessa di matrimonio: figura in crescente declino, oggigiorno, ma che merita ancora attenzione con riguardo alle ipotesi, non rare, di plagio e sopraffazione da parte di un soggetto forte (soprattutto rispetto alle poste di natura morale ed esistenziale).
Il problema dell’applicabilità o meno alla famiglia di fatto delle soluzioni che sono state raggiunte, in generale, con riguardo alla famiglia comune. Le variabili disciplinari, in più e in meno, suscettibili di entrare in gioco nelle unioni fra gay e lesbiche.
Ancora; i comportamenti che tendono a colpire l’aspirazione, di un soggetto, a farsi una famiglia. Gli illeciti collegati - ad esempio - alle inserzioni amorose sui giornali, o sui siti Internet; gli abusi e le manchevolezze aventi a che fare con la piccola posta sui giornali; i torti connessi alle attività delle agenzie matrimoniali, comunque al mondo dei cuori solitari.
Così avanti. I profili di cui ci si è occupati, in quest’ambito, sempre un po’ sbrigativamente: reati tra fidanzati, responsabilità per contagio sessuale, condotte illecite legate all’AIDS, diffusione di malattie infettive. Il significato e i margini di difendibilità dei diritti della personalità (soprattutto immagine, privacy, segretezza, onore) nelle coppie nascenti. La prospettabilità dell’abbandono dell’amante, in situazioni limite, come un fatto “ingiusto”, il diritto di ottenere - eccezionalmente - il risarcimento del danno.
(II) Gli eventi lesivi collegati alla nascita: momenti al centro, bisogna dire, di non poche sentenze nel corso degli ultimi anni - e rispetto ai quale le energie profuse in sede dottrinaria appaiono tuttavia inferiori, in certi casi, rispetto all’importanza della posta in gioco.
Così, ad esempio, in merito ai profili di salvaguardia della salute psicofisica della futura madre. Oppure riguardo alle questioni legate al tema delle malformazioni del feto o del neonato:
- le diagnosi sbagliate, allora, gli errori commessi in sede ostetrica, le negligenze durante gli esami ecografici, la ritardata esecuzione del parto cesareo (non sempre appaiono persuasivi gli statuti fatti valere, per contesti del genere, in ordine alla prova della colpa e della causalità; inadeguata, spesso, la gestione processuale dei singoli casi; non abbastanza definita - si ha talvolta la sensazione - la rosa delle condotte professionali e degli eventi lesivi suscettibili di salire alla ribalta dei tribunali);
- le disfunzioni delle strutture sanitarie, magari dei reparti ginecologici o pediatrici (discussioni appena sbozzate fra gli studiosi, occasioni giurisprudenziali rare, soluzioni ancora da meditare);
- la responsabilità dei genitori in malafede o in colpa (questione ferma sostanzialmente alla vecchia sentenza piacentina, suscettibile, chissà, di aprirsi prima o poi a nuovi sviluppi);
- le malformazioni, grandi e piccole, dovute a errori dell’industria industria farmaceutica (un dossier tutto ancora da mettere a punto).
Ancora. La responsabilità nei casi di nascita indesiderata: un settore di crescente impegno (bisogna dire) per la nostra giurisprudenza, dove i problemi che si pongono sul terreno dell’an respondeatur - i piani futuri dei genitori, o della donna; gli errori del medico o di soggetti parimenti obbligati - appaiono ancora meno stringenti, probabilmente, rispetto alle difficoltà di muoversi convincentemente sul terreno del quantum respondetaur.
Stesso discorso per quel che concerne le ipotesi di procurato aborto traumatico: un ambito dove la ricerca dei criteri, attraverso cui giungere a idonee commisurazioni, si direbbe appena iniziata. Oppure riguardo alle ipotesi di compromissione della capacità di procreare: altro terreno in cui l’evidenza dei soffi antropologici messi in causa è stata, palesemente, tra i fattori più importanti per il successo generale del danno esistenziale, e rispetto al quale, viceversa, tutta l’impalcatura delle valutazioni sembra ancora in cerca d’autore. O ancora il tema dei possibili doveri, verso il partner, incombenti sulla donna la quale abbia deciso di abortire: dove l’indiscutibilità delle soluzioni di irresponsabilità - da confermare senza mezzi termini (salvi i casi di dolo specifico, per la verità alquanto fantascientifici) - potrebbe non impedire la definizione di protocolli orientativi circa gli impegni di informazione, di consultazione a due.
(III) Di particolare rilievo, poi, il terreno della responsabilità civile fra coniugi (e dintorni).
Ad alcune ipotesi di condotte dannose, soprattutto quelle connesse ai doveri di all’art. 143 c.c., si è già avuto occasione di accennare. Rimane l’elenco di tutte le altre.
Le fattispecie classiche allora – talune assurte anche a livello codicistico: gli obblighi risarcitori connessi alla celebrazione di un matrimonio invalido, con particolare riguardo all’ipotesi di bigamia; quelli a carico del terzo il quale, con il suo comportamento, abbia dato luogo alla invalidità del matrimonio.
Ancora. Le svariate gamme della violenza fra marito e moglie, le dimostrazioni di intolleranza (in particolare, rispetto alle nuove idee religiose o filosofiche del consorte); i casi di segregazione (di un soggetto debole, della casalinga); l’attentato a questo o quel diritto della personalità; le violazione della libertà (con speciale attenzione per gli aspetti sessuali: abusi, costrizioni, ammucchiate, pratiche avvilenti, rapporti forzati con terzi); le scelte di abbandono, rilevanti soprattutto nei confronti di un coniuge indifeso o bisognoso, i limiti della libertà e discrezionalità, le fattispecie di responsabilità per omissione.
Gli illeciti di natura prettamente patrimoniale. Non solo quelli - già incontrati sopra - della mancata contribuzione ai bisogni della famiglia, dell’omesso versamento di assegni di mantenimento (a quando la nascita di una giurisprudenza, più ricca e articolata, anche sotto il profilo aquiliano?). Anche le scorrettezze o le negligenze nell’amministrazione dei beni della comunione legale, le violazioni della regola di congiuntività, , le alienazioni prepotenti o capricciose; e poi i rifiuti ingiustificati, le disinvolture con i creditori, gli eccessi nelle spese personali di un coniuge, gli arbitrî nella gestione dei beni di proprietà del partner. gli illeciti extracontrattuali, i sinistri stradali. E così di seguito.
7.3. Il mondo dei minori
Ancor più complessi, resta da aggiungere, i problemi endo-familiari che riguardano bambini e adolescenti.
Anzitutto, i nodi della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli; dove - può osservarsi - neppur rimbalzano entro i repertori civili, abitualmente, i risvolti aquiliani delle sentenze che condannano il padre o la madre per qualche reato. E dove si deve, forse, a quel tanto di fertilità giurisprudenziale che è raccolta intorno all’art.2048 c.c. (ma basterà come spiegazione? e quello stesso filone non appare, a sua volta, ricomposto tutt’altro che armoniosamente, se si pensa alla sbrigatività di tante formule che imperano nei manuali, ad esempio in ordine ai nodi della prova liberatoria, della disciplina applicabile ai genitori non conviventi, del trattamento del minore in quanto tale?) se i punti caldi del rapporto genitori/figli finiscono per bussare così raramente alla porta dei tribunali .
Poi, l’insieme delle tematiche minorili che - se non sono proprio neglette - appaiono quantomeno sottovalutate. Il problema degli abusi e delle molestie sessuali, dentro e fuori casa; il trattamento da riservare al genitore ostacolante, oppure al padre autore di un riconoscimento non veritiero; il valore della testimonianza di un bambino; la responsabilità genitoriale per cattiva gestione del patrimonio dei minore, magari per l’inadempimento contrattuale dei figli
Il capitolo, quasi tutto da scoprire, dei maltrattamenti invisibili. Le tipologie dei comportamenti meno clamorosi - dunque - i contesti di indifferenza e assenteismo. I mille modi per voltare le spalle a un bambino: fisicamente, davanti alla TV, logisticamente, durante le vacanze, affettivamente; nei regali, apposta o senza accorgersene, delegando ogni cosa all'altro genitore, o ai nonni. Sanitariamente, spiritualmente, igienicamente.
Il ruolo dei servizi allora, specialmente di fronte ai mali più opachi, quelli difficile da scoprire per chiunque. Non gli assalti plateali (il bimbo bastonato, strattonato, il neonato nella lavatrice, gli aborti nel bagno di casa), ma le scalfitture segrete, meno vistose: un minore disamato, non capito, mai ascoltato.
Ancora: il bambino come essere allertato - magari - rispetto a varie brutture, vaccinato dinanzi a molti tranelli della pornografia, della violenza dei grandi. Però a condizione di non essere (ecco il punto) tagliato fuori dall’interscambio dei modelli culturali, escluso dalle voci lontane dal suo ambiente. Fra i pericoli maggiori dunque, pure nel caso della famiglia, quelli della sudditanza rispetto alle atmosfere a senso unico, che scoraggino ogni frequentazione con l’esterno.
I focolari autistici, insomma, con tendenze alla miopia e al narcisismo; i nuclei non necessariamente analfabeti, però diffidenti, compiaciuti di sé. I servizi sociali come strumenti per garantire - allora – la circolazione delle idee, per impedire il monopolio di una sola parola d’ordine (dinastica, tralatizia, araldica, vernacolare).
L’opportunità, anche rispetto a tutto ciò, dell’introduzione di nuove figure di salvaguardia, magari a livello regionale. Un tutore per i minori - soggetto al quale segnalare situazioni che non siano magari cruente, ma appaiano comunque di stallo o ingolfamento amministrativo. Un’autorità in grado di premere sui vari uffici, di attivarli sinergicamente: la ricerca di una risposta alle condizioni di abbandono, quando le vie del processo non servono.
Il ruolo della scuola, ancora. L’opportunità di immaginarla come sentinella, avamposto nel territorio - in grado di percepire i segnali di turbamento che salgono dai banchi dell’aula. Non soltanto rispetto ai passaggi dell’istruzione, dell’apprendimento. Anche in merito a circostanze aventi a che fare con la famiglia e dintorni: percosse, abusi, corruzioni, vergogne, sfruttamenti.
Più in generale: l’obbligo per chiunque -vedendo/sentendo un infradiciottenne che non sta bene, o essendo in condizione di accorgersene- di avvertire prontamente il Pubblico Ministero, o di informare comunque un soggetto (pubblico o privato) in grado di intervenire. L’idea che i minori sono “di tutti quanti”, che ciascuno è responsabile di ogni bambino che esiste, poco importa se proprio o altrui.
8. Creatività della famiglia
Difficile dire in conclusione - pensando all’incontro tra famiglia e responsabilità civile - se siano di maggior spicco le innovazioni ravvisabili sul terreno delle relazioni casalinghe, grazie al pungolo aquiliano, o non piuttosto le suggestioni che l’ingresso di materiali domestici preannuncia, in generale, nella cultura dell’illecito.
Fra le due direttrici è la seconda, probabilmente, quello più promettente.
Basta pensare (come dimostrazione degli stimoli che la famiglia mostra di esercitare, negli approcci all’universo del torto) a quanto è successo sul terreno della responsabilità del terzo per pregiudizio del credito, negli ultimi trent’anni. Se, non fosse esistita la “spina nel fianco” del risarcimento pro familiari del congiunto ucciso, con riguardo alla compromissione del diritto al mantenimento, il principio dell’irrilevanza della lesione del credito in ambito extracontrattuale, anzi il dogma stesso della necessità della violazione di un diritto assoluto, si sarebbe sbriciolato - viene da chiedersi - così rapidamente com’è avvenuto da un certo momento in poi?
Oggi, una parabola del genere sembra rinnovarsi (fatte le debite proporzioni) sul terreno del danno esistenziale. Nessun dubbio che, al successo di tale categoria, la famiglia abbia in effetti fornito un contributo tutt’altro che trascurabile, con le sue varie figure di risarcimento - soprattutto per quanto concerne la zona “eso”.
Di nuovo l’interrogativo allora: saremmo al punto in cui oggi ci troviamo - in materia di danno alla persona - ove non fossero state emesse le recenti sentenze (che ben conosciamo) in tema di uccisione o di macro-invalidazione di un congiunto, di violenza sessuale a una figlia, di nascita non desiderata, di perdita traumatica del feto, di lesione alla capacità sessuali di un coniuge, di compromissione della possibilità di procreare, e cosi via?
Se - com’è verosimile - si ritiene di no, è difficile credere che gli sviluppi di questo orientamento, insieme alle varie innovazioni che si stanno affermando in zona “endo”, saranno privi di riverberi ulteriori. Magari lungo rivoli inediti. Difficile cioè pensare che non ne verrà influenzata, più ampiamente, la gestione di tutti i casi in cui (anche al di fuori del terreno domestico) mostrino di venire in gioco i momenti dell’affetto, della relazionalità, della crescita culturale, degli equilibri nella comunicazione, delle svolte progettuali, della fertilità antropologica.
E’ quanto nei prossimi anni avremo modo di vedere.
(*) Professore ordinario di istituzioni di diritto privato – Università di Trieste.