Dovè che si sta meglio che in famiglia?
Domestic Torts
e risarcimento del danno

di Paolo Cendon (*)

 

SOMMARIO    1. Un  insolito accostamento -  1.1.  La zona “endo”  -  1.2.  Casistica  -  2. Differenze prospettiche  - 2.1. Riserve dottrinarie  -  2.2. Passaggi argomentativi  -  3. Famiglie buone e cattive -  3.1.  Fiction e non fiction   - 3.2. Coppie -  3.3. Genitori e figli -   3.4. Altri rapporti   -   4. Pretese ingestibilità   - 4.1. Coerenza difensiva – 4.2. Duttilità aquiliane  -   5. L’avvento del danno esistenziale – 5.1. Famiglia e giuridificazione – 5.1.1.  I doveri di casa    - 5.2.  Sovranità  dell’illecito - 6.  Il diritto alla realizzazione personale -  6.1.  Combinazioni individuali – 6.2. Questioni aperte – 6.3. Dove e quando – 6.4. Uno per tutti, tutti per uno - 7. Agenda per il futuro -  7.1. Disagi, devianze,  servizi - 7.2. Profili  emergenti  - 7.3. Il mondo dei minori - 8. Creatività della famiglia

 

1.      Un insolito accostamento

 

“Famiglia”  e “responsabilità civile”:   pochi altri accostamenti  nel diritto privato  si presentano strani   o estemporanei   come  questo.

Per un verso,  si tratta di  un  binomio  che sembra il frutto di qualche svista, di un errore di stampa. Una  contraddizione in termini,  una sorta di   ossimoro.  Qualsiasi  diverso apparentamento -  se si  facesse il test psicologico del   botta e risposta  (quello in cui lo psicologo propone alcuni  nomi  in sequenza, e   chi ascolta deve ribattere  con il primo vocabolo che  gli viene in testa, senza troppo riflettere) -  salirebbe alla mente  più  istintivo,  plausibile. 

Famiglia  e “cenone di natale”,  potrebbe essere spontaneo rispondere; oppure    famiglia  e “abito bianco, e  “seconda casa”,  e “gita in barca alle isole”.  E ancora, venendo al codice civile, famiglia  e parità tra marito e moglie, e  comunione dei beni, e rispetto delle inclinazioni dei figli. Magari  (per chi  non si ostini a  vedere sempre   la vie en rose)  famiglia e infedeltà coniugale, f. e maltrattamento domestico, f. e violazione degli obblighi di assistenza    - con quel che di brutto può seguire: famiglia e scioglimento della comunione, f. e separazione, e divorzio, annullamento, decadenza dalla potestà genitoriale. 

Tutto  meno che un richiamo  ai  profili del  risarcimento del danno.

Per  altro verso – e in senso favorevole  all’accoppiamento  fra i due istituti - è innegabile il rilievo di alcune pronunce giurisprudenziali,  emesse soprattutto nell’ultimo quindicennio, ad opera sia della Cassazione  sia delle corti di merito.

Duplice anzi il piano dei riscontri  per  l’interprete.

Spicca  in primo luogo, fra i materiali in questione,  il gruppo degli illeciti di tipo (com’è stato detto)  eso-familiare: i torti che siano stati,  cioè,   posti in essere da un terzo estraneo alla famiglia  contro uno o più componenti di  quest’ultima,  oppure  contro l’insieme della cellula domestica.

E’  un’area, può osservarsi,  alquanto varia e composita -    in cui alla tradizionale  fattispecie dell’uccisione del familiare, vista essenzialmente nei  suoi  tratti economici, di “lesione del credito” (al mantenimento), sono venute di recente aggiungendosi tutta una serie di  ipotesi:    significative sul terreno del danno patrimoniale e,   ancor più,  su quello non patrimoniale.

Dal caso dell’invalidazione fisica o psichica di un congiunto, a quello della    compromissione delle capacità sessuali del partner;  dalla privazione traumatica della possibilità di procreare,  alla  nascita di un figlio malformato;  dall’aborto forzato come effetto di un incidente,  alla  violenza sessuale di un membro della famiglia,  sino alle varie situazioni di nascita indesiderata (per errori commessi a danno della moglie o del marito). E così di seguito.

 

1.1.        La zona  “endo”

 

Parallela a quest’elenco vi è poi  una  seconda lista  di  situazioni, comprendente  i  c.d. illeciti  di natura endo-familiare.

 Sono i casi in cui   a subire la lesione ingiusta è (di nuovo qualcuno considerato  nella sua veste di)  un  membro di una certa  famiglia;    mentre autore del fatto  pregiudizievole – ecco  la differenza – risulta non già un terzo estraneo, bensì  un soggetto  appartenente  anch’egli  a quella cerchia  domestica.

Si tratta di un settore dove rari,  nel corso del passato, erano gli esempi giurisprudenziali rinvenibili.

La  - pressoché  unica -  citazione di cui ai    trattati e commentari,   risalente agli anni ’50,  era  sino a poco tempo addietro quella relativa al  c.d.  ”danno da procreazione” (tale la terminologia  di solito impiegata); storia di un figlio, affetto da sifilide sin dalla nascita, il quale aveva a un certo punto convenuto in tribunale  il padre  e la madre, imputando loro il proprio stato morboso. Era emerso nel processo che,   pur consapevoli di essere affetti da quel male, nonché avvertiti del carattere di ereditarietà dello stesso, i genitori si erano  mostrati, al momento del concepimento, incuranti di ogni rischio di contagio del  feto (Trib.  Piacenza  31.7.1950, FI, 1952, IV, 11).

Oggigiorno,  le ipotesi  affrontate dalle corti  risultano via via in  aumento. Le sentenze  non sono ancora numerose, ma corrispondono a vicende umane spesso  diverse fra loro, inconsuete:  l’impressione   è che nel giro di pochi   anni  stia aprendosi  – pure   in Italia, come già era accaduto presso altri paesi -  un capitolo inedito, con caratteristiche  originali,  nel repertorio della responsabilità civile.

Ciò che   dal  chiuso dei focolari domestici emerge, in sede di processo, è (accanto a tante gioie,  passate e presenti) un diffuso sottobosco di disagi,  infelicità e  frustrazioni:   malesseri frutto, in molti casi,  di  niente più che un destino sfortunato,   qualche volta ricollegabili  invece a malefatte  ben precise,  commesse da un congiunto  a danno di  un altro.

 Comportamenti  - occorre dire - fra i più vari e  disparati: fatti dolosi piuttosto che colposi, di tipo commissivo o omissivo, condotte più o meno gravi sotto il profilo delle conseguenze; torti istantanei oppure  duraturi, corrispondenti o  no a qualche reato specifico;  lesioni ristrette ai dissidi interconiugali ovvero  relative ai figli, magari ai fratelli, ai nipoti, rilevanti sul terreno patrimoniale o  su quello non patrimoniale o su entrambi, etc.

Con una tipologia di vittime   – ecco la novità  più significativa –  differenti rispetto a ieri   in punto di  acquiescenza/reattività, ovverossia:  persone (i) sempre meno   disposte a sopportare  prevaricazioni e trascuratezze, ad opera del  familiare colpevole;  e (ii) orientate in misura crescente a difendersi, contro quest’ultimo,    anche mediante un ricorso allo strumento aquiliano.

 

1.2.        Casistica

 

Fra le ipotesi in cui una condanna risarcitoria è stata ammessa    dai tribunali -  o è stata  comunque   prospettata  dalla  dottrina,   quale  soluzione  plausibile per le  controversie del futuro - spiccano  in particolare:

- la violazione dei  doveri di assistenza morale e materiale, fra coniugi: responsabilità da ammettersi, ad esempio, nell’eventualità di una moglie malata di mente la quale venga lasciata completamente sola e abbandonata a se stessa, dal  marito,  in una stanza della casa, per anni di seguito (Trib.  Firenze 13.6.2000, Fam. dir., 2001, 2, 161);

- le continue offese e aggressioni, anche  in pubblico,  ai sentimenti più profondi e alla dignità dell’altro coniuge (App.  Torino 21. 2.  2000);

- la violazione particolarmente efferata  e ingiuriosa dei doveri di fedeltà fra coniugi (Cass. 19.6.1975, n. 2468: altrimenti  un obbligo risarcitorio appare difficilmente prospettabile; così come, salvo casi limite,   sarà  da escludersi ogni responsabilità  - verso il coniuge tradito  - in capo al terzo complice dell’adulterio;

- la violazione degli obblighi di contribuzione economica, ad opera di un coniuge rispetto all’altro  coniuge, oltre che beninteso nei riguardi dei  figli;

- il mancato versamento da parte di un genitore separato,  per un ampio periodo di tempo, degli assegni di mantenimento nei confronti di figlio (Cass. 7.6.2000, n. 7713);

- il comportamento di un genitore il quale, in violazione delle posizioni  del figlio, o di quelle dell’altro genitore, o di quelle dei nonni,    impedisca o ostacoli   l’esercizio dei  diritti   di visita, a danno di uno di questi soggetti (Trib. Roma 13.6.2000, Temi romana, 2000, 1157; Dir.Fam., 2001, 209);

- il disconoscimento, ad opera del padre,  del figlio frutto di un fecondazione artificiale  eterologa, rispetto alla quale fosse  stato prestata  inizialmente dall’uomo il consenso ; 

- in generale, le condotte lesive in famiglia che siano suscettibili di assumere  rilevanza penale.

 

2. Differenze prospettiche

 

Che dire in proposito?  E’ subito evidente,    se si mettono  a confronto  le situazioni    “eso”  con quelle  “endo”,  la  notevole differenza   fra  il tipo di  sollecitazioni  - teoriche e pratiche - che l’uno e l’altro territorio  presenta.

(I)  Riguardo al primo gruppo di esiti giurisprudenziali   tutto  si annuncia  relativamente semplice,  o suona almeno,  sulla carta, più normale  o  “convenzionale”.

Poiché il fatto  lesivo colpisce, in prima battuta,   un individuo  il quale vive/viveva  circondato da una o da più  persone care, ripercussioni (negative) su  queste ultime non potranno mancare. Il  tratto risolutivo resta   però  agli effetti statutari  il secondo  indicato,   quello  per cui  fra  plaintiff e defendant  non intercorrono  qui    legami di sangue, di affetto o  di coabitazione.

Soggetti estranei l’uno  rispetto all’altro, sconosciuti tra loro fino al momento dello scontro -  come accade di norma sul terreno  extracontrattuale.

Ecco allora che  le linee-base del giudizio di responsabilità  (rispetto ai nodi ordinari della legittimazione attiva, della causalità,  dell’ingiustizia, del   criterio di imputazione,  etc.) saranno tratteggiabili,  in sede tecnica, secondo modulazioni   non troppo distanti dal consueto – con l’unica peculiarità rappresentata dai tratti di plurioffensività dell’illecito in questione. 

(II) Diverse  le considerazioni per il secondo gruppo di casi.

 Coinvolti nel litigio risultano, questa volta, due soggetti  che appartengono al medesimo  nucleo domestico: la moglie contro il marito,  il figlio  contro un genitore,  o contro entrambi,   un fratello contro un altro fratello, i nonni contro il nipote,  etc. 

Persone abituate a volersi bene, comunque a sopportarsi  con affetto, sino a ieri. Spesso, al momento del fatto lesivo, parti di una cellula formalmente in vita,   destinata magari  a restare tale anche  per l’avvenire.

 Difficile perciò,   nel momento in cui si  ventila la possibilità di doglianze riparatorie, non immaginare che gli assi portanti della fattispecie illecita (anche a tenere conto della possibilità di un contemporaneo esercizio dei rimedi tipici del diritto di famiglia, da parte della vittima: separazione, addebito, inibitorie, divorzio, etc.) si troveranno messi a cimento, qui, in termini   assai più netti e  impegnativi.

 

2.1. Riserve  dottrinarie

 

Tale,   in effetti, il gioco di tutta una serie di  reazioni e puntualizzazioni in  dottrina, quali si riscontrano durante  gli  ultimi anni, in merito ai due elenchi di sentenze.

Ben diverso  cioè (nei commenti  offerti da una parte dei nostri tortmen: quelli più sensibili ai meriti  ideali di un’“autosufficienza normativa”, per l’area del  diritto di famiglia) il tipo di osservazioni  emergenti, a seconda del  crinale considerato.

I)  Con riferimento  alla  zona  eso,  molteplici – si constata – sono le discussioni   fiorite  di recente  in letteratura. Quelle, ad esempio,   sulla  natura dei danni risarcibili  ad opera del  terzo;  oppure le dispute sui limiti della legittimazione attiva, sull’estensione del quantum, sulla fondatezza delle  restrizioni di tutela  al caso di reato, etc. E tuttavia (ecco il punto)  l’opportunità di  una  qualche salvaguardia  per i  familiari della vittima immediata non è mai stata revocata  in dubbio,  almeno  con riguardo alle  eventualità  più gravi.

II) In merito alla zona “endo”  non si è trattato  invece, presso gli autori   in esame, di riserve circoscritte a questo o a quel passaggio disciplinare. A risultare oggetto di contestazione,  pure  in ordine ai torti  interfamiliari di maggior gravità (non importa se sul terreno patrimoniale o su quello non patrimoniale), è stata  - sovente  - la prospettiva stessa di un ricorso allo strumento aquiliano,  comunque articolato al  proprio  interno.

 

2.2.            Passaggi argomentativi

 

Vari i motivi spesi a tal fine dagli interpreti.

 Diversità dei linguaggi -  Refrattaria già di suo al tocco  spigoloso del diritto,  la famiglia  costituirebbe -  si rileva - una sorta di isola nel mare, poco adatta   a sopportare il contatto con presenze invasive come quella dell’illecito. Troppo grande  la distanza fra il carattere (lieve, vaporoso)   degli intrecci  domestici  e il taglio  (pragmatico,  semplificatorio) della responsabilità civile.

Troppo romantica  - in generale - la materia  dei rapporti  sentimentali, troppi  misteri o risvolti nelle partite doppie dei contendenti  (gli effetti e le cause, i bisticci e i musi lunghi, le botte  e le risposte). Impensabile,  per un  giudice della responsabilità, penetrare con  la dovuta accortezza  in tutto questo, riuscire a convertirlo nella ruvida   alchimia  aquiliana.

Autonomia della famiglia –  Liti in casa, pregiudizi?  Nulla di nuovo sotto il sole, e comunque: nei rimedi di  stampo familiare (quelli  predisposti  dal  primo libro del codice civile, o da qualche legge speciale) andrebbero ravvisati strumenti   più che  sufficienti,   in linea di principio,   per  la   salvaguardia  complessiva della vittime,  anche in merito  alle   pendenze lesive.

Come  tali – suscettibili di piegarsi allo svolgimento di qualsiasi  funzione,  tecnicamente; non escluse quelle di ordine afflittivo, esemplare, indennitario,  restitutorio   - quei  mezzi   sarebbero stati   immaginati e messi in campo  ab origine.  Nessuno spazio perciò (a voler a  rispettare la genesi  storica  degli istituti,  la voluntas legis   dei  promotori)   per l’intervento di  misure d’altra sorta, ricavate   da questo o quel comparto privatistico. 

Natura dei doveri coniugali  - Doppiamente  impresentabile,  poi,  l’ipotesi di uno sbocco  aquiliano   per  gli scontri  lesivi fra i coniugi -  e ciò in forza (si osserva) di svariate ragioni.

Vaghezza intrinseca dei doveri del ménage, in primo luogo,   soprattutto di quelli a carattere non patrimoniale. Atecnicismo  del linguaggio dell’art.143 c.c., estemporaneità/ programmaticità dei vocaboli ivi impiegati; scarso livello,  nell’insieme,  dei  coefficienti di giuridicità e/o di  giustiziabilità. Mancanza di riferimenti,  nelle altre disposizioni sul “regime primario” della famiglia,    circa la possibilità  per la moglie o il marito  di far valere i danni in quanto tali.

Rischi  di illibertà, di ritorno al passato – Ieri, conquiste di civiltà quali il divorzio, l’abolizione del reato di adulterio, la facoltà di ottenere la separazione senza colpe; oggi, la pretesa di   far entrare la  lex Aquilia   addirittura entro il talamo nuziale   – magari   a seguito di una  rottura pura  e semplice  del matrimonio.

Impossibile, si rimarca,  non notare  la  contraddizione fra  direttrici del genere,  non concludere per un fermo altolà  a quell’espansione.  Troppo  spesso il coniuge incamminatosi  verso  altri affetti e legami, desideroso di suggellarli,   si troverebbe  spinto  a rinunciare,   scoraggiato dal   prezzo del break-down. Troppo rare  le ipotesi in cui il  risultato pratico  dell’innovazione  non si tradurrebbe, di fatto,  in uno svuotamento  per i progressi  recenti  di  libertà (“potrei  separarmi o divorziare – dovrei però risarcire il danno al consorte – non ho abbastanza  soldi   =  non ne farò nulla”). 

Valori in campo -  Perché non credere nelle capacità della famiglia di risolvere,   sempre e comunque, i suoi  problemi  dall’interno? La possibilità stessa del duello  aquiliano non funzionerebbe, a monte,  quale moltiplicatore dei dissidi  - non raddoppierebbe ogni spinta alla rottura del ménage?

L’antico  invito a “lavare i panni sporchi in famiglia” non manterrebbe, ancor oggi, la sua saggezza?  Un focolare  momentaneamente in crisi, alieno però da venalità e ritorsioni, non sarebbe  meglio comunque  di un nido  smembrato, dissolto? In una cerchia  come  quella domestica i guasti, per quanto seri, non sarebbero alla lunga minori del bene che si riceve?

Anche per il giurista del terzo millennio, in definitiva: le parole d’ordine   su cui puntare   non resterebbero quelle della povertà di spirito, della mitezza? Dell’indulgenza e dell’obbedienza   verso chi sbaglia o chi comanda?  Magari della fiducia nel pentimento di chi ha errato, del   perdono rispetto ai  “danneggianti cattivi” -   da elargire  tanto più prontamente  quanto maggiore sia  stata l’offesa subita?

3.  Famiglie buone e cattive

 

Orientarsi  nel gioco di questi vari argomenti   non sembra, in realtà, tanto complesso.

Qualche traccia di verità le riserve appena indicate la possiedono, indubbiamente. Difficile  ricavare da esse,  peraltro,  argomenti suscettibili di sbarrare  -all’istituto dei fatti illeciti- addirittura l’ingresso nel primo libro.

Gli stessi  correttivi indispensabili   per rispettare, nella gestione della responsabilità,  le peculiarità   della cellula domestica  non si annunciano granché significativi.  Vedremo subito come  l’officina  aquiliana sia  già  attrezzata,   di suo,   per  adattarsi   volta a  volta   alle caratteristiche -   strutturali e funzionali -   dell’oggetto che  le viene affidato. Ed è  una valenza che l’incontro con altre materie  mostra anzi, nel corso del passato, di avere    messo alla prova in varie forme.

Prendiamo, così, il motivo secondo cui nella cerchia casalinga non  si  produrrebbero sofferenze laceranti, irrimediabili.  Le perplessità da esprimere appaiono,  al riguardo,  più d’una:

(a)  non solo è facile accorgersi come sia vero,  di regola, il contrario: i disagi  in famiglia   esistono, non sono infrequenti,    possono assumere mille sfaccettature,  e  sia in  “zona endo”  che in “zona eso”  attingono complessivamente  –  là dove il contesto parentale non sia povero  di  partecipazione, di altruismo   –  scale  d’intensità  sconosciute altrove;  proprio perché il plaintff   sa,   in partenza,    fino a che punto le sue disgrazie    potranno  ripercuotersi  dolorosamente su chi   vive al suo fianco;

(b)   è   certo altresì -   ed è un punto da sottolineare anzi con vigore (come perfino i  film di Walt Disney dimostrano, da “Cenerentola” in poi) -  che  i danni endo risultano  tendenzialmente  più  sottili e insidiosi  di quelli eso.

Basta confrontare tra loro  - pensando  a reati come  la violenza  o come  le  molestie sessuali: ma lo  stesso varrebbe per le  violazioni ingiustificate della privacy, per le  ingiurie sistematiche,  per gli  sfruttamenti nel lavoro, per  le  truffe grandi e piccole  - l’ipotesi in cui  comportamenti del genere  provengano dal proprio padre o  da un fratello o anche dal proprio partner,  con quella  in cui condotte  analoghe risultino   tenute,   invece,   da un terzo qualsiasi  (comunque da una persona non di casa; uno sconosciuto mai incontrato prima, mai più rivisto dopo il fatto lesivo).

E’ palese,  secondo quanto è stato  già rilevato in dottrina,  come  fatti del genere saranno  spesso  di ben diversa  velenosità/persistenza  - anche se in prima battuta potrebbe    sembrare il contrario,   magari alle vittime  più ingenue e sprovvedute (pronte a scambiare ogni gesto in famiglia per benevolo)  - nella prima piuttosto che non nella seconda situazione.

Non vi è,  al riguardo, la semplice circostanza che le aggressioni attuate da un   parente (proveniente, cioè, da qualcuno su cui il plaintiff  aveva riposto la sua  fiducia) si profilano quali eventi atti a minacciare contraccolpi  particolarmente gravi,   duraturi -  e ciò sotto i punti di vista  più svariati: riflessi interni di autostima, futura capacità di abbandono emotivo, apertura alle novità e agli incontri,   disponibilità  verso il prossimo, tasso di mondanità e colloquialità, socievolezza e affettività istintiva, e così via.

Né, appena, il rilievo secondo cui le ombre inter-relazionali  (che il soggetto leso sa) destinate a innescarsi presso gli altri congiunti, quelli  all’oscuro di tutto,   risulteranno anch’esse ben  più diffuse e corrosive, d’abitudine, che non nell’eventualità di torti arrecati da un quivis e populo  -   tanto che un risvolto non improbabile, da mettere in conto  per chi  decida   di  svuotare il sacco,    sarà  il dissolversi  stesso della  famiglia. 

Vi   è anche la  considerazione che assai meno facili   - sotto il profilo sociale,  psicologico, culturale, religioso -   si presentano qui  ab initio, rispetto a quanto i colpi   dal di  fuori non preannuncerebbero,  le  possibilità di fronteggiamento/reazione da parte della vittima (predestinata).

Come  è già stato sottolineato: all’origine di guasti  e ferite senza rimedio  sarà spesso  il consumarsi -  nel  caso di cattiverie domestiche -   del   “liquido amniotico”  primigenio  (edipico,  natalizio, fantasmatico, spirituale, nostalgico, etc.)  in cui l’individuo era venuto proiettando se stesso, fino a quel momento.  Compromessa,  di poco o di tanto,  appare la grammatica stessa di quella spontaneità e tenerezza, che, seppure  inesigibili  sulla carta, potevano aver caratterizzato in precedenza il tessuto intero delle relazioni  tra  vittima e  autore dell’illecito, comunque l’atmosfera di casa.

 

3.1.        Fiction e non fiction 

 

L’impressione è che una parte dell‘inchiostro, color rosa,   su cui intingere la penna per polemizzare nei confronti della  responsabilità civile -    per osteggiare cioè   le  sue pretese di supporto alla famiglia (per respingere la prospettazione di  nuclei domestici  attraversati  dall’occasionale avvicendarsi di   torti a matrice endogena) -  sia stata  cercata talvolta, dagli autori  in esame,   al di fuori  degli stretti   repertori di giurisprudenza: ossia  nel vasto oceano dell’arte, del teatro, del melodramma, della poesia, della  letteratura mondiale.

C’è da chiedersi   anzi   se    imprese  simili non siano, presso chi le coltiva, il preludio di un invito generale a fare altrettanto,  ossia a scrutare a 360°  -ciascun studioso-    in quei ricchi  bacini dell’inventiva  umana. La  cui disamina sarebbe   un tutt’uno con la  dimostrazione che ogni allarme del giurista filo-aquiliano  (ecco il bandolo)   suonerebbe  poco fondato nelle premesse, privo di riscontri  significativi, eccessivo nelle contromisure proposte.

Nessun bisogno per i focolari domestici -di ieri o di oggi, di campagna o di città, con figli o senza figli, laici o religiosi, di civil o di common law-   del governo di norme come l’art. 2043 c.c.

Che dire al riguardo?

Impossibile passare qui in rassegna, evidentemente,  tutti   i  romanzi, le opere liriche, le commedie o  i film che sono stati realizzati sino ad oggi   sui nodi della famiglia.

E nessuna difficoltà   a  concedere,  d’altronde,  come   anche salendo ai vertici  della creatività  umana   (e non soltanto nelle collane sentimentali,  nei  serial TV per bambini o per persone anziane,  nei bollettini missionari e religiosi) non manchino esempi  nei quali i  parenti  si vogliono tutti  quanti bene  - o  storie  in cui,   dopo qualche scaramuccia, sopravviene    comunque il lieto fine.

Un  contro-suggerimento,    dovendo allargare gli orizzonti, potrebbe essere casomai quello di  integrare la documentazione di lavoro con  la lettura dei quotidiani,  con la scorsa dei telegiornali.

Che lo si accolga non è  tuttavia  fondamentale. Basta “andare a vedere”  quel  gioco di citazioni letterarie,   passando  anche sommariamente   in biblioteca o in cineteca: è  subito  palese  quale   ottimismo  abbia    ispirato  i   consuntivi in esame –   quanto spesso,    dai grandi  scrittori, commediografi o registi, il “pennino” sia  in realtà stato intinto  in  calamai di colore diverso.

 

3.2.        Coppie   

 

Pescando a caso allora,  fra le varie combinazioni.

COPPIE  - Ci sono i coniugi che, una volta venuto meno l'affetto della moglie verso il marito, iniziano fra loro  una lotta furiosa, che porterà i due a litigare su ogni cosa,  dai soprammobili alla casa intera,  fino a eliminarsi a vicenda  (La guerra dei Roses). C’è la  coppia,  anziana,  in cui  l’odio   verso il  gatto del marito  spinge la moglie  a uccidere la bestiola,  e in cui  il rancore indurrà poi  l’uomo a comunicare di lì in poi,  con la donna,  solo attraverso dei bigliettini, tanto che lei ne morirà  (Le chat). Oppure ci sono gli sposi i quali  inventano un figlio che in realtà non esiste e passano le sere  a ubriacarsi, ferirsi e svillaneggiarsi fra di loro (Chi ha paura di Virginia Woolf).

MARITI -  C’è il marito  che si è sposato nascondendo  segreti relativi a qualche tara di famiglia, oppure alla  sua pazzia, o magari al suo istinto di assassino. Quello che con ogni mezzo obbliga la seconda moglie, ben poco dotata di suo come voce, a cantare in scena - penosamente  -  tutta una serie di opere  liriche (Quarto potere). Quello che  tradisce la compagna, gettandola nell’infelicità  (Una donna spezzata, La verità, ma i riferimenti  qui sarebbero migliaia). Quello che reagisce in  modo  meschino  alla possibilità che una piccola malefatta della moglie -  la quale ha falsificato  la firma del padre per ottenere un prestito,  onde  curare lui, il marito -   possa venire  scoperta  (Casa di bambola).  Quello che,  sposatosi solo per poter cercare dei gioielli in una soffitta,  sopra l’appartamento di casa,  passa il tempo a cercare di far ammattire la moglie (Angoscia). 

C’è  il marito -  tradito dalla moglie  per amore, in un momento di debolezza, mentre lui è lontano -  il quale dedicherà   il resto della sua vita a denunciarla e  perseguitarla   con ogni mezzo (La lettera scarlatta). Quello che detesta  il gatto della  moglie e che,  dopo aver ucciso quest’ultima, non si accorge    di  murare la bestiola  viva insieme al cadavere della donna  nella cantina di casa, ciò che al primo sopralluogo dei poliziotti – e  relativo miagolio di fondo - lo perderà (Il gatto nero).  C’è quello  accecato dalla gelosia al punto da  non prestare  fede alle  proteste di innocenza della sposa veneziana, ma soltanto alle bugie  di un sottoposto   invidioso, e che finirà per strangolare la poveretta (Otello). Quello,  colpito da alcuni  rovesci finanziari,  che comincia da un certo momenti in poi a impalmare  tutta una serie di  ricche vedovelle di provincia, per impossessarsi delle loro fortune, e provvede poi una per una ad ucciderle (Monsieur Verdoux). Quello che si scaglia repentinamente al suolo con l’aeroplanino  - sul quale sta  trasportando la moglie fedifraga - per cercare di colpire  l’amante di lei intravisto in basso,  sullo sfondo del deserto (nell’incidente lui morirà sul colpo, la moglie resterà gravemente ferita, l’amante  rimarrà illeso: Il paziente inglese).

C’è il marito che architetta di uccidere la moglie,  per ereditarne la fortuna, e si affida a  tal fine ad un vecchio compagno di università   (Delitto perfetto); quello che, imperatore di Roma, ripudia semplicemente la moglie Ottavia per sposare un’altra donna (L’incoronazione di Poppea); quello che, re dì’Inghilterra,  smanioso di avere discendenti, dapprima ripudia la giovane moglie,  poi la fa giustiziare  (Anna Bolena); quello che,  dopo aver sposato una tenera giapponesina, l’abbandona  e  finisce per prendere  un’altra moglie, bianca, ciò che indurrà la prima a fare harakiri (Madame Butterfly); quello che,  la moglie,  la  fa invece rapire  a scopo di riscatto   da una coppia  di banditi  da strapazzo, ciò che scatenerà  tutta  una serie di omicidi  e disastri a catena (Fargo);  quello che  cerca  di terrorizzare la moglie  con continue messinscene, per  farle venire un infarto, al fine di impossessarsi di una scuola,  dove avere  poi mano libera con l’amante (I diabolici);  quello che tenta  di farla precipitare dalla scala di una campanile,  quando lei ha capito che lui è un nazista in fuga (Lo straniero); quello che sceglie di avvelenarla  giorno per giorno, con il  caffè,  dopo aver scoperto che lei è una spia antinazista  infiltratasi in casa per smascherarlo (Notorius). 

MOGLI -   C’è anche la sposa   - certamente -   che, più baratti  strampalati   di animali e di cose il marito le racconta, della propria mattinata, più  entusiasticamente lei lo approva, tanto che alcuni inglesi  sbalorditi finiranno per dover pagare un’ingente  scommessa (Tutto quello che fa papà è sempre ben fatto).   E c’è la moglie che,  dopo aver tradito  il marito in un momento di debolezza,  saprà  redimersi completamente accanto a  quest’ultimo (Il velo dipinto),  oppure quella disposta ad andare in carcere, per falsa testimonianza,  pur di salvare da un’accusa di omicidio il marito che essa sa colpevole (Testimone d’accusa)

C’è  però anche  la giovane bellezza del sud che si sposa  tre volte in quattro anni, mai però per amore, ossia in un caso per ripicca, in un secondo per interesse, in un terzo per noia e  capriccio (Via col vento). C’è la regina ellenica che, in odio al marito il quale ha accettato di sacrificare la loro figlia agli dei,  intraprende - in assenza di lui  - una relazione con un altro uomo, e quando il marito tornerà da una lunga  guerra  lo farà uccidere dall’amante (Ifigenia in Tauride, Oreste). C’è  l’avida componente di una famiglia del sud in declino  che,  per mettere le mani sui titoli necessari  a finanziare un affare, lascia  morire il marito vittima di un  attacco di cuore, guardandolo di sottecchi mentre lui tira l’ultimo respiro su una  scala (Le piccole volpi). C’è quella che passa il tempo a  tessere congiure, a uccidere di nascosto, a rovinare la vita al marito, tanto che questi  deciderà con i compagni di ventura di assoldare a un certo punto un boia,  il quale la decapiterà con una scure  (I tre moschettieri).

C’è la moglie che induce l’amante, da poco conosciuto,  ad uccidere il marito per intascare una doppia assicurazione (La fiamma del peccato),  oppure per diventare insieme a lui padrona di un luogo di ristoro (Ossessione, Il postino suona sempre due volte), o magari per essere libera  di amarlo senza sotterfugi  (Ascensore per il patibolo; v. anche Teresa  Raquin, o Brivido caldo). Quella che l’amante invece  prima se lo va a cercare di nascosto e poi, dopo avergli scritto una  lettera di troppo,  lo uccide (Ombre malesi). Quella gelida e corrotta che, sprezzantemente,  butta via in tutti i modi l’amore dello sposo (Rebecca, la prima moglie), quella che  trascura il marito noioso e si butta a  vivere fra sogni, tresche amorose, dissipazioni, menzogne e debiti, sino al veleno finale (Madame Bovary), quella che si finge paralitica per far leva sull’altruismo del  marito cartaio e impedirgli di  vivere la propria vita  (L’uomo dal braccio d’oro), quella  che, dopo aver tradito  lo sposo, fugge  con l’amante seduttore al di là del mare, ciò che  scatenerà una  guerra di dieci anni (L’Iliade).

FIDANZAMENTI, UNIONI DI FATTO – C’è il caso dell’uomo che, innamoratosi di una ragazza bella e ricca, non farà nulla per impedire che la propria compagna segreta, dalla quale egli aspetta un bambino, anneghi in un lago dopo una  caduta  dalla barca (Un posto al sole). E c’è quello che, pur sapendo che la sua amata   - una regina - non può vivere senza di lui, ugualmente riprende  a un certo punto  il  suo  viaggio verso l’Italia, sicché lei  dal dolore si ucciderà (Eneide).

 

3.3.        Genitori e figli   

 

GENITORI – Ci sono il padre e la madre  che,  a causa  dell’estrema povertà, portano i figli a perdersi nel bosco per ben due  volte e li riaccoglieranno poi solo con i soldi della strega  (Pollicino). Quelli che, per odio fra le rispettive casate, a Verona, impediscono ai propri rampolli di  vivere liberamente il loro amore, ciò che indurrà i due giovani a cercare di fuggire e sposarsi in segreto, progetto destinato a concludersi con il suicidio  di entrambi (Romeo e Giulietta). Quelli che -  rozzo   e sensualmente acceso lui;  possessiva, puritana e moralista lei -  impediscono con durezza ai figli di sviluppare la propria personalità (Figli e amanti).

PADRI C’è il  padre che non si perita di  mandare la figlia in convento, pur sapendo che la poveretta desidererebbe tutt’altro (I promessi sposi). Quello che uccide la figlia senza saperlo (Il rigoletto). Quello che  nella sua veste di  re, incurante dei sentimenti  della bellissima  figlia, decide di darla in sposa al consigliere più anziano (Pelle d'asino).  Quello che, re a sua volta,  progetta di far uccidere  il  proprio figlio dai gendarmi dell'Inquisizione  poiché questi ha sfidato l'autorità regale, essendo contrario alle  vedute paterne in materia di religione (Don Carlos). Quello che -  intellettuale mistico e raffinato, marito felice, baciato apparentemente dalla  fortuna, al centro di un salotto romano frequentato da artisti di tutto il mondo -  uccide un giorno  in un raptus di depressione i suoi adorati figlioletti (La dolce vita).

C’è l’uomo che, dopo aver perso la  moglie, dedicherà  ogni sua attenzione al figlio  piccolo, e non si accorge che  quello davvero assetato di affetto è invece il   grande, infelice così  per tutto il resto della sua breve  e tragica vita (Incompreso). Quello che abusa della  figlioletta  men che adolescente, tanto che la  -  rispettivamente -   moglie e madre  preparerà a un certo punto un trabocchetto sul prato,  in cui riuscirà a far piombare l’uomo (Dolores Clayborne). Quello che cede  a una furiosa storia d’amore con la promessa sposa del figlio, il quale dal dolore finirà  per precipitare nella tromba di scale e morire (Il danno).  Quello che,  chiuso di mente, stolido, ignorante,  proibisce al figlio di continuare le scuole, e lo relega ostinatamente alla cura del gregge (Padre padrone), quello che gli impedisce di studiare danza classica (Billy Elliot), quello che vessa in ogni modo il figlioletto, destinato   a  smarrirsi più tardi nelle spirali della  schizofrenia, e a diventare  nel contempo un eccelso pianista (Shine), oppure quello militarista, razzista e inconfessatamente gay, che  opprime in ogni modo il figlio troppo diverso da lui   (American Beauty).

MADRI  - C’è la madre  - nonché regina - che contribuisce a gettare il figlio nell’infelicità  e nella vergogna, accettando di sposare per  debolezza l’assassino del, rispettivamente, marito e padre (Amleto). Quella che, regina della notte, dà il pugnale alla propria figlia e la vuole convincere a uccidere Sarastro (“sonst bist du meine Tochter nicht mehr…”:  Il flauto magico).  Quella che  abbandona il marito e i figli  per andare a fare la bella vita nei bordelli  (La valle dell’eden). Quella che impedisce alla figlia minore di sposarsi con l’amato – perché vuole che lei la assista  per tutta la vita – sicché  la fanciulla  si ritroverà  a vivere in casa con la madre e  con la sorella (che nel frattempo si è sposata, guarda caso proprio  con il suo innamorato: Come l’acqua per il cioccolato).

C’è quella che ammazza  i suoi bambini  per rancore contro l’uomo, suo compagno nonché padre dei piccolini, il quale ha scelto di non esserle più vicino (anzi, ucciderà anche la nuova fiamma dell’infedele marito:  Medea; v. anche Norma). Quella che abbandona il figlio naturale presso la  famiglia d’origine, per entrare in un monastero, col risultato che il figlio morirà alfine lontano da lei (Suor Angelica; v. anche Non mi dimenticare). Quella che l’amore per un brillante ufficiale spingerà lontano dal pur gelido marito e dall’adorato figlioletto, fino al suicidio -  dopo che l’amante si è  staccato da lei -  sotto le ruote di un treno (Anna Karenina).

MADRI ADOTTIVE - C’è la zingara  la quale alleva un figlio altrui solo per portare a compimento la vendetta  nei confronti del suo vero figlio,  morto per colpa del padre dell’altro bambino, ma in definitiva ucciso da lei stessa per sbaglio (Il trovatore).

PATRIGNI E MATRIGNE – Non si contano i bambini maltrattati dal  patrigno (ad esempio David Copperfield, Fanny e Alexander), o da entrambi i genitori acquisiti (Harry Potter). Né manca  il patrigno  il quale  s’innamora della figliastra adolescente, sino ad accendere con lei una relazione erotica on the road, sempre più tormentata, e che giungerà  ad uccidere un losco pigmalione dopo che lei  gli  sarà sfuggita  (Lolita).  Oppure  quello che la figliastra dapprima la mette incinta, e poi, ubriaco,  cerca di  insidiarla ancora,  fino a farsi uccidere sacrosantamente dalla ragazza (Peyton Place).  Senza dire della matrigna che, folle di rabbia perché lo specchio le ha annunciato  che la più bella del reame è ormai  la figliastra, passa  il resto della fiaba a cercare di  eliminarla (Biancaneve e i sette nani).

FIGLI E FIGLIE -  C’è il figlio che non riesce a scongiurare una  triste predizione e finirà, malgrado tutto,  dapprima per unirsi carnalmente alla propria madre e   più tardi per uccidere il  proprio padre (Edipo re). E c’è quello che fugge di casa per unirsi a dei cavalieri splendenti, incurante della disperazione della madre Herzeleide, la quale  morrà di mal di cuore (Parsifal).

Ci sono le figlie  che osteggiano crudelmente il vecchio padre, senza alcun rispetto per la sua canizie  e per la sua debolezza mentale  (Re Lear); oppure  i figli -  l’uno  depresso, l’altro fallito, un altro ancora sregolato -  i quali  forzano a tutti i costi i vecchi  genitori a prendere decisioni sbagliate  (Le correzioni). C’è la figlia adolescente che, complice un’amichetta, passa il tempo a tendere trappole amorose al proprio padre, con il quale  riuscirà una notte a  coronare,  alfine,  i propri sogni morbosi (Appassionata).  E c’è quella   che rompe con lo stile di famiglia e  organizza a un certo punto un attentato con  una bomba, ciò che getterà nella disperazione i suoi cari, soprattutto il padre (Pastorale americana).

C’è il   congiurato che,  in una giornata di marzo, per ragioni politiche,  pugnalerà   con altri il proprio  padre  adottivo -  deciso ad accrescere  sempre più i suoi poteri  nel governo di Roma antica (Giulio Cesare).  C’è il figlio, geloso del nuovo legame amoroso della propria madre, che avvelena sia questa sia l’amante di lei con la stricnina, precipitando  in un viluppo  che lo porterà  a identificarsi sempre più nella personalità  materna,   e a commettere in questa veste  nuovi delitti  (Psycho).  E c’è il giovane ereditiero,  egoista  e altezzoso, che approfitta  dell’ascendente che esercita presso la dolce madre  per impedirle di realizzare il  sogno d’amore ch’essa coltiva da sempre  verso un affascinante uomo, inventore di automobili (Lo splendore degli Amberson).

 

3.4.        Altri rapporti    

 

FRATELLI E SORELLE  Ecco i  fratelli,  eredi di una potente famiglia scozzese, in cui il  primogenito,  cattivo per eccellenza, avventuriero ingrato e dai tratti diabolici, tormenta a lungo il secondo, buono ma debole, sino a farlo impazzire e  a  indurlo a cercare di uccidere il  fratello (Il signore di Ballantrae). E ci sono i quattro fratelli che, anche per colpa del padre, sono pieni  - tranne il più piccolo  - di odio vicendevole, tanto che uno di essi finirà per uccidere il padre, e gli altri non testimonieranno neppure a favore di  un altro di loro che  pure si sa innocente (I fratelli Karamazov). 

Ci sono le sorelle che si rubano furbescamente l’amante,  l’una con l’altra (Così fan tutte).  E quelle, ormai anziane,  che si temono e  si odiano morbosamente, anche per effetto di una colpa lontana, che spinge l’una a cercare di uccidere l’altra (Che fine ha fatto Baby Jane).

Ci sono i rampolli di stirpe reale - la sorella, Cleopatra;  il fratello, Tolomeo -   che non badano a colpi e ad offese nel contendersi il trono d’Egitto (Giulio Cesare in Egitto). E c’è  la famiglia in cui tutti si avversano e si combattono  a vicenda, fratelli compresi (Riccardo III; v. anche Scene di famiglia). 

C’è  il fratello ribaldo che,  legato a una giovane bellezza creola da folle passione, non sopporta che il proprio fratello cerchi di redimerla, e  finisce  per sparargli  con la rivoltella (Duello al sole). C’è quello, nobile scozzese,  che impedisce alla sorella di sposare l’uomo amato,  e la obbliga   invece ad unirsi a un altro uomo, ciò che condurrà lei dapprima alla follia, poi all’uxoricidio, infine alla morte (Lucia di Lammermoor). Quello che costringe la sventurata sorella a diventare l’amante di un uomo orribile (Manon Lescaut).  E c’è  quello, schizoide e melomane,  il quale coltiva un rapporto confusamente amoroso con la sorella e  finirà per uccidere il fratello handicappato,  annegandolo  nella vasca da bagno (I pugni in tasca).

C’è la sorella maggiore che è gelosa della minore,  e cerca di  ammazzarla, anche perché questa si è a un certo punto convertita all’ebraismo  (poi farà imprigionare il padre, infine emetterà un editto per far uccidere tutti gli ebrei: Nabucco).

ZII - C’è lo zio  che cerca    di buttare  la nipote sotto il treno, dopo che questa ha scoperto  che lui  ha trascorso parte della vita a corteggiare e a uccidere ricche signore, al fine di   derubarle  (L’ombra del dubbio). C’è quello che  violenta la propria nipote, tanto che questa, condannata al silenzio anche dalla madre, diverrà  sordomuta (La lunga vita di Marianna Ucrìa). Oppure quello che,  una volta scoperto che il nipote quindicenne è in realtà il frutto di un amore fra la cognata  e un inglese di passaggio, impedisce al nipote di tornare a casa e lo farà percuotere dai servi (L’imitatore).

CUGINI – C’è la Marschallin che intrattiene  una relazione proibita con il cugino (Il cavaliere della rosa; v. anche  Eugénie Grandet). 

COGNATI – Ci sono i cognati  i quali, una volta scoperto che la giovane moglie del loro fratello non è più vergine, impongono  l’immediato ripudio di lei e provvedono poi, in mezzo al villaggio,  all’inseguimento e all’uccisione   del primo amante (Cronaca di una morte annunciata). E c’è la giovane donna  che dapprima percuote e soffoca la sorella del marito, poi uccide con un’accetta la moglie del fratello, per evitare venga  alla luce  una sua passione incestuosa  dell’infanzia verso quest’ultimo (Il mistero dell’acqua).

Visto dal lato delle vittime – è appena il caso di aggiungere -  il discorso non cambia; e gli esempi appena offerti  lo confermano. Non è vero che chi subisce l’offesa perdona sempre, è mite, si rassegna. Spesso  (tutt’al contrario) uccide,  si vendica,  colpisce, prepara il ritorno, allestisce un esercito in terra straniera;  in qualche libro e in qualche film  sceglie magari di  citare in giudizio il familiare cattivo,  per vederlo punito dal diritto.

 

4. Pretese ingestibilità  

 

Non meno   infondate,  d’altro canto,     le riserve dottrinarie d’ordine tecnico/organizzativo -  gli appunti  cioè secondo cui torti come quelli   endo-familiari non  si presterebbero, per loro natura,  a venire  amministrati con  strumentazioni  di tipo aquiliano.

Varie  le osservazioni  da muovere in proposito.

La prima è che argomenti del genere, per quanto non manchi  loro un pizzico di verità, provano verosimilmente   “troppo”. Vi sono frangenti,  non  rari, in cui nessuna via d’uscita  contro  i misfatti  patiti  in ambito domestico appare  praticabile,  se non quella di tipo risarcitorio. Bloccare a monte  il discorso,  nel  nome di alcuni sospetti  di incomunicabilità fra  istituti, significherebbe destinare  ogni compromissione sofferta dal congiunto   -  pur  rilevante sotto il profilo dell’ingiustizia  –  a restare  per sempre là dov’è  caduta.

Meglio, s’intende,  se   i  “panni sporchi” verranno  lavati  pudicamente in famiglia; meglio che lo sdegno o  la rabbia (come tanti sapienti consigliano)  non  si  traduca  in un’azione formale di danni  -  fonte spesso di   situazioni   di non ritorno,  con   chances  limitate di riconciliazione.

Il punto è che non sempre  la  via della pace  risulta   in concreto  percorribile;    non sempre  la vocatio in ius  si presenterà   come  un passaggio  inelegante, disdicevole. Quale il peso,  oggigiorno,  di  motivi come il gusto per la discrezione, il dovere dell’indulgenza, la generosità    nelle schermaglie; come  la fedeltà allo stile del passato, gli spazi per lo ius corrigendi, l’impenetrabilità delle mura di casa?  

Il danno può  non avere, nell’opinione di chi lo risente, le necessarie caratteristiche di tenuità,  di cancellabilità col passare del tempo. Le  vittime,  che sono quelle  a decidere,   hanno magari i loro motivi   - sociali, biografici, psicologici -  per non desiderare armistizi di sorta.  In circostanze simili  il conflitto  rischia di  esplodere, anche sotto il profilo  del risarcimento.

 Ed è appena il caso   di osservare come  proprio la facilità sempre maggiore nelle procedure di separazione e divorzio (rimedi talvolta additati come fatti  che renderebbero superflua  ogni azione di danni)  sia destinata  a operare,  statisticamente,  come un motivo in più per non rinunciare invece allo sbocco aquiliano, dinanzi a questo o a quel danneggiamento.

 Nessun  aut-aut  che possa  più ventilarsi,  su quella base,  dinanzi al coniuge vittima del torto (“Chiedi il risarcimento,  avrai la guerra in casa,  il matrimonio durerà comunque per sempre o quasi”; “Se è  la pace che vuoi,   niente azione di danni, sostanzialmente finché   morte non vi separi”). Nessuna ragione, per l’offeso, di paventare che l’esacerbarsi delle divisioni  e incomprensioni,  grazie al  fatto  della richiesta di danni, manchi  poi di  “valvole”  relative alla fine  del ménage in quanto tale.

Anche  per le liti che  vengano ad accendersi   fra soggetti diversi dai coniugi - è appena il caso di aggiungere -  la conclusione, sia  pur grazie a meccanismi  istituzionali d’altro genere,  appare sostanzialmente la medesima.

 

4.1.            Coerenza  difensiva

 

Restano allora  i dubbi inerenti la  (supposta)   inconciliabilità  fra il linguaggio, rispettivamente,   del diritto di famiglia e  del risarcimento del danno. Due al riguardo le considerazioni da svolgere.

La prima è un tutt’uno con il richiamo alle situazioni, sempre più numerose nella realtà odierna, in cui l’interprete si trova dinanzi a materiali:

- contraddistinti,  se guardiamo ai passaggi   della quotidianità che vi appaiono coinvolti,  da un  notevole tasso di liquidità antropologico/strutturale;

- in cui pure la fondatezza e  insostituibilità dell’approdo ai lidi aquiliani, secondo  la dottrina  e la giurisprudenza, appaiono da tempo fuori questione.

S’intende, per tanti versi,  che il pianeta domestico rimane qualcosa a sé nel diritto, inconfondibile rispetto ad  ogni  altro luogo. Ma è pur vero che le risposte,  in un’area come quella  del torto,  sono da sempre state messe a punto (nell’opera del legislatore, dello studioso, dei tribunali)   guardando in prevalenza   al lato della vittima.

Non si vede, al riguardo,   per quali  motivi  la  famiglia   dovrebbe  fare eccezione alla regola -   eso o endo che sia la zona presa in esame.

Finché una  certa licenza di danneggiare perduri  (perché ci si muove ancora in lande di sapore  “umano, troppo umano”)  ad avvantaggiarsene sarà  qualsiasi tipo di convenuto: ma una volta che il privilegio sia    caduto, e gli interessi in questione   entrino in circolo,  la salvaguardia  risarcitoria prenderà corpo  a 360°. 

I beni contano   in se stessi,  certamente,    ma più  ancora  per ciò che simboleggiano, per il contorno di cui fanno parte. La persona è  o non è (rispetto a  quella data casella  dell’agenda)  entro il presidio formale della responsabilità. Quanti,  in passato,   i  leading case  che hanno  instradato verso tipologie  del fare/essere quotidiano   ritenute -    sino a  quel momento,  per la loro inafferrabilità o leggerezza -   un tabù per il diritto nel suo insieme? 

Difficile  insomma  per l’interprete  -  una volta maturata   la scelta di  far capo  alle risorse della lex Aquilia per l’«evasione» dei   traumi conseguenti  (poniamo) a una violenza carnale, a una  calunnia o a  una diffamazione, a  uno sfregio indelebile alla guancia, a una compromissione delle capacità sessuali, a un attentato  alla salute psichica;  magari a un’intrusione scorretta, al furto del  journal intime, alla divulgazione di un dato sensibile, a una vacanza rovinata, a una campagna di   mobbing,  a uno scherzo feroce -  non    proseguire lungo la  stessa cultura  rimediale, qualunque sia il terreno che risalta, non importa verso quali direzioni.

 

4.2.             Duttilità aquiliane  

 

Non meno risolutivo,  contro i dubbi in esame, il suggerimento  a compiere  entro il sistema un’accurata rassegna -  quella delle possibilità che l’istituto aquiliano ha di  rispecchiare tecnicamente, attraverso il gioco dei suoi terminali, la complessità e  “volatilità” delle aggressioni  domestiche.

Non ogni sfumatura dell’accaduto sarà, beninteso, recuperabile entro la decisione. Questo è però -   bisogna dire – il destino che accompagna il diritto  fin dalle  origini,  su qualsiasi  terreno (civile, penale o amministrativo). E   per restare ai  torti inter-familiari:  è indubbio  come le  possibilità di  attenzione e riscontro  formale  entro la sentenza si annuncino,  là dove l’istruttoria non sia stata  carente, tutt’altro che povere sulla carta.

Non si sa  chi, fra i coniugi,  abbia  “incominciato”, le colpe stanno un po’ da tutte le parti, qualche dettaglio  sfugge, ciascuno dei due sembra avere però di che da rimproverarsi? L’art.  1227,  1° co., c.c., permetterà di tenere conto di tutto ciò nella pronuncia finale. Il  prosieguo  delle sofferenze  sarebbe stato evitato   qualora lei (poniamo) se ne fosse andata per tempo, se avesse istato  subito per la separazione? Il  2° comma della stessa norma   consentirà di tagliare, eventualmente, quella fascia di danni  dall’id quod interest.

Rapporti interni –nelle liti fra coniugi, sul terreno sostanziale e  processuale- fra ricorso al   rimedio familiare tipico ed esperibilità dello strumento  risarcitorio?  Chiave di volta, in proposito,  sarà  il (richiamo al) ruolo “sussidiario” della responsabilità civile. Là dove l’atmosfera di casa  abbia oltrepassato determinate soglie di irrespirabilità, poco senso avrebbe una messa in gioco del  solo rimedio aquiliano (in relazione a questo  o a quell’episodio pregiudizievole), e non anche la scelta radicale della separazione o del divorzio. Quando  lo scollamento fra gli sposi appaia cioè   profondo,   e  punteggiato al suo interno di fatti lesivi specifici, non potrà non scattare prima o poi anche il rimedio familiare.

E  laddove  quest’ultimo non venisse esercitato, sarebbero  di difficile risarcibilità  (s’è  detto) le conseguenze   non mitigate -  le  poste evitabili  da un certo momento  in poi.

Ancora. Non sono stati richiesti tempestivamente i danni, c’erano  allora  (poniamo) bambini  piccoli in casa, adesso si vorrebbe però agire? Occorrerà vedere se  si sia trattato, quella volta,  del semplice proposito  di non privare  i   figlioletti  della figura  del genitore, del  desiderio di evitare un clima bellicoso;    oppure  di  vero spirito di transattività, di   autentica volontà di pace.

 O magari: le sofferenze patite corrispondono a un danno morale soggettivo, nessun reato è stato però commesso dall’autore? Cassazione e  Corte costituzionale hanno introdotto  di recente significative innovazioni al riguardo, anche la famiglia potrà avvantaggiarsene.

E così avanti.  Si  sa che, fra i due antagonisti in casa, l’uno è stato tendenzialmente buono, l’altro cattivo, si ignora   però come siano andate precisamente le cose?  Il giudice non manca di poteri sostanziali nella definizione degli statuti probatori  fra le parti (quali  vigenti  in concreto): “intended consequences never too remote”, nel dubbio sarà il malvagio  a rimetterci, processualmente,  la mancata prova dei fatti gli si ritorcerà - in tutto o in parte -  contro.

La vittima era un soggetto “debole”, non è riuscita perciò a ribellarsi, ha continuato a sopportare le altrui prepotenze, più di tanto in  coraggio e in spirito d’indipendenza non si poteva chiederle? “Take your plaintiff as you find him”  - ecco   il principio  da seguire nella responsabilità: di quella fragilità sarà possibile   tenere  conto in giudizio, specie quando la controparte risulti a un soggetto “forte”, che abbia   indovinato tutto, che  ne abbia  approfittato sempre.

Un uomo sposa una donna senza amarla minimamente, soltanto per scommessa,  oppure  per beffa, o addirittura per punire se stesso  - mettiamo: avendo provocato  tempo prima,  con la sua mancanza di cuore,  la morte di una ragazza;  e avendo scelto quale mezzo,  per  espiare,  quello di prendere in moglie una prostituta (come nella novella di G.Marotta) -   e sin dalla prima notte la respinge sdegnosamente? Invalidabile che sia o meno un  matrimonio del genere, certamente  la responsabilità per il danno non potrà mancare; a parte i momenti  sanzionatori in ordine alla separazione o al divorzio. 

 Il pregiudizio  lamentato è  niente più che  quello della fine del ménage  (sogni  amorosi bruciati, sfide all’orgoglio,  solitudine incombente)? C’è in Italia il diritto di separarsi e divorziare, un danno simile è formalmente “non ingiusto”; nessun possibilità di risarcimento  a favore di chi avrebbe  preferito non  sfilarsi   l’anello nuziale dal dito -  salvo il caso di efferatezze e contumelie oltre  misura,  ad opera del  partner in fuga (che dovranno,  comunque,  avere leso “altre” prerogative della vittima).

La moglie ha abortito senza il consenso del marito, magari contro le indicazioni di questi? Nessuno spazio   -di nuovo-  per  condanne risarcitorie. Un consorte  rifiuta  ogni rapporto sessuale, smette di lavarsi, comincia a russare, parla troppo oppure sempre meno, ingrassa, non fa nulla per migliorare il suo carattere?  La soluzione è la stessa.

Il bene colpito  -in un coniuge, in un figlio- è stato addirittura quello della salute, dell’integrità fisica o psichica? Basterà  qui per la condanna risarcitoria (sul terreno dell’art. 2043 c.c.)   l’accertamento  di una semplice culpa levis dell’autore.  Violazioni ingiustificate dell’obbligo di mantenimento, un padre lontano  e facoltoso che non corrisponde gli assegni al figlioletto, alla moglie bisognosa?  Massima severità anche qui contro l’inadempiente, sotto il profilo dei criteri di imputazione. Infedeltà, baci rubati, vacanze nascoste, tradimenti coniugali, figli di altro letto? Solo nei casi più gravi e crudeli una responsabilità aquiliana del “fedifrago” sarà ammissibile. E così avanti.

 

5. L’avvento del danno esistenziale  

 

Tanto meno fondate  (occorre aggiungere)  quelle perplessità risultano  ultimamente,  alla luce dei mutamenti  occorsi in generale nel campo del danno alla persona -  soprattutto    dopo l’irruzione sulla ribalta aquiliana, dietro impulso della dottrina  e della giurisprudenza,   della categoria del  “danno esistenziale”. 

Difficile non accorgersi in effetti,  tra  il linguaggio di quest’ultima figura e  quello tipico della famiglia, quanto marcate appaiano  le  affinità.

Tre in particolare (quello comparativo/istituzionale,  quello dinamico/interattivo, quello  più latamente difensivo/politico) i profili lungo i  quali  una corrispondenza  del genere si lascia, già a monte, percepire.

(a) Sotto il  primo  aspetto   si tratta,   per l’interprete,    dell’invito a prendere atto voce per voce  -   quasi in chiave di raffronto  sinottico -  come  nel raggio applicativo del (risarcimento per) danno esistenziale sia  destinato a ricadere, volendo utilizzare la nota  formula della Corte costituzionale, l’insieme delle “attività realizzatrici” dell’individuo;  e come la famiglia si iscriva, d’altro canto, tra le formazioni sociali   a più ricca densità di ispirazione e  accompagnamento,  in vista delle iniziative  -  specie quelle “a-reddituali” -    della persona.

Il mondo dei  giochi,  allora,   l’educazione domestica, le festività, il sistema dei valori, i gesti dell’affetto, la seconda casa, le spiegazioni sessuali, le esortazioni all’indipendenza, la morte di una persona cara, la scoperta della cultura o della religione,  un fratellino in arrivo. La confidenza, il rispetto degli altri, le vacanze, i lavori di giardinaggio, le collezioni, gli obblighi dell’igiene, i viaggi, cantare in coro, gli hobby, gli  sport fatti insieme, le pratiche  della solidarietà. I rapporti con la scuola, l’abitudine a discorrere, i compiti nel pomeriggio, le ricerche su Internet,  i momenti di svago, la cucina, la TV, gli ammalati in casa,  il volontariato,  talvolta il lavoro domestico -  i nessi comunque con gli impegni esterni.

Famiglia e danno esistenziale mostrano, in sostanza,  di trarre linfa  da matrici sostanzialmente simili e di fare capo, sui rispettivi  terreni,  a  lemmari non molto distanti fra loro.

(b) Quanto al secondo aspetto,  il verso  dell’attenzione  è piuttosto quello puntato sulle correlazioni  “micro” -  sulle  doppie eliche della  quotidianità -  aventi a che fare  con  biografie  di vittime specifiche.

E l’invito è ad accorgersi,  in particolare, come  là dove siano  riscontrabili tracce di  un danno esistenziale, risentito da una certa  persona, non di rado finiremo per  ritrovare nel passato  della stessa eventi   e incidenti di natura familiare (legati a quanto più tardi è successo). E come allorché si  guardi a un   focolare domestico, contemplato  nella sua interezza, presto o tardi accadrà  all’interprete -   scandagliando nel  vissuto di questo o quel   componente -    di  imbattersi in ripercussioni  dannose quali quelle ora in esame  (resta da vedere,  poi,  fino a che punto  ingiuste    e  davvero rilevanti ex lege Aquilia).  

(c) Sotto il  terzo profilo,  le domande appaiono  ancor più elementari:

- se, com’è verosimile, debbono ritenersi fondate le osservazioni di chi enfatizza i risvolti  esistenziali di tanti  fra gli illeciti  prodotti   entro le mura di casa  (fattispecie  spesso prive di riflessi  patrimoniali significativi;  tanto che,  se la categoria del  danno esistenziale non esistesse,  un torto civile neppur sarebbe talvolta configurabile!);

- se è vero,  d’altro canto, che un’alta percentuale (del totale) dei reati   che vengono commessi  in Italia,   annualmente, corrispondono a fatti compiuti entro le mura domestiche;

- ebbene, come è stato osservato,   la proposta di tagliar fuori in situazioni del genere il soggetto leso da qualsiasi tutela risarcitoria,  nei confronti del congiunto/reo,  non equivarrebbe a una semi-abrogazione ufficiale dell’art. 185 c.p.?

- non finiremmo così per arieggiare  (ecco la conclusione) una sorta di ritorno a diritti primitivi, aurorali;   sistemi orientati a scorgere   nei  filamenti meno agguerriti del nucleo domestico  poco più che delle cose, dei sudditi   - inermi contro le prepotenze del pater familias, proni ai vessilli dell’unità casalinga, privi di ogni legittimazione a difendersi?

 

5.1.            Famiglia  e giuridificazione

 

Due  allora, in sintesi,   i percorsi che  le nuove linee di lettura contribuiscono ad esaltare.

Un  primo passaggio  è quello che si muove  in controtendenza, storicamente,   rispetto alle impostazioni di tipo  “domestico/naturalistico”;   che sconfessa cioè ogni prospettabilità  degli istituti del primo libro   come  presenze   in fuga dal diritto  -   attraversate da spinte continue  alla degiuridificazione, protese sempre più verso  un ritorno  all’età dell’oro.

Soffermandoci   sulle direzioni generali del movimento: 

(i)  se  è pur vero che non sono  mancati -  nel  panorama  italiano -  episodi  di   appannamento   delle  norme  positive, o di vera e propria  deregulation sopraggiunta,   per certi ambiti domestici: la depenalizzazione dell’adulterio, ad esempio, oppure  la semi-scomparsa  dai tribunali della seduzione con promessa di matrimonio, la crisi statistica della comunione fra coniugi, la  tendenziale   decolpevolizzazione nella separazione, etc.;

(ii) se è fuori dubbio, poi,   l’opportunità di  far luogo a sollecite amputazioni formali  - anche in sede legislativa -  per quei bracci della famiglia  ove il controllo del diritto mostri  di avere  perduto,  con il passaggio del tempo, ogni ragion d’essere;

(iii)  tutto ciò premesso,   sarebbe  arduo contestare - dati alla mano – la  ben maggiore importanza  quantitativa e qualitativa   che sono venute assumendo, negli ultimi tempi,  le trasformazioni di segno opposto.

Non si parla,  beninteso,   dei crimini  commessi giorno per giorno, dei fatti di cronaca nera  tra parenti;   materiali pur in crescita continua, a livello di emersione nella stampa -   e che interessano, però, sotto il profilo eminentemente criminologico (benché non privi di valore ai fini qui considerati):   uxoricidi,  madri che uccidono figli, figli che massacrano genitori, ex fidanzati assassini, sfregi punitivi, abusi sessuali in casa, segregazioni di parenti handicappati o peccaminosi, e così via. 

Il dato probante   - ai fini qui  in esame -   è proprio quello dei provvedimenti  legislativi che  negli ultimi tempi  sono state approvati,   sul terreno della famiglia,  dal nostro Parlamento: ad es.,  le nuove norme sulla cittadinanza, quelle sulla tutela delle lavoratrici madri, le modifiche dell’adozione,  le nuove norme sulla violenza sessuale, la possibilità di ottenere l’allontanamento coattivo del familiare violento, le indicazioni generali sui servizi socio-sanitari per la famiglia, le novità del diritto internazionale, la ratifica  dei protocolli  concernenti la vendita, la pornografia, la prostituzione dei bambini,  i provvedimenti sulla competenza, sul riconoscimento e sull'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi, il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità.

E non meno interessanti -  come prove della vitalità di quella direttrice -  appaiono i testi di riforma attualmente in  corso di discussione alla Camera o al Senato: basta pensare alle proposte di modifica della separazione fra coniugi e del divorzio, a quelle relative all’affidamento condiviso dei figli,  a quelle sul  cambiamento del  cognome dei coniugi e dei figli,  alla ventilata introduzione della figura della mediazione familiare,  alle trasformazioni circa gli organi giudiziari della famiglia, ai progetti  sulla disciplina sulle unioni di fatto, alla procreazione assistita, alla tutela dei minori,  all’ormai annoso disegno sull’amministrazione di sostegno.

Per tacere poi,  scendendo di un gradino,   della vasta produzione  legislativa regionale, sempre concernente la famiglia, in settori  spesso contigui alle materie privatistiche – e rispetto ai quali ogni esempio appare superfluo (si segnalano comunque le materie  degli  aiuti alla formazione di nuove famiglie, della cura nei confronti dei familiari non autosufficienti, degli orari di lavoro, dell’astensione dall’attività lavorativa per motivi di famiglia, del ricongiungimento delle famiglie, del sostegno alla procreazione,  dell’espressione della sessualità,  dei supporti alla prima infanzia, alla preadolescenza, all’adolescenza,  del lavoro domestico, dell’indennizzo per infortuni domestici, della valorizzazione dell’auto-organizzaione delle famiglie, della lotta contro abusi e sfruttamenti sessuali, e così via).

 

5.1.1. I doveri di casa  

 

Quanto poi al danno esistenziale, è appena il caso di sottolineare come   il crescente successo della figura  (da ultimo anche presso  la Corte costituzionale)   sia  un dato che  non si limita a magnificare  un   trend specifico  della responsabilità; il risultato è anche quello di scandire   la vitalità dell’istituto aquiliano in quanto tale,  fornendo   le basi di partenza   per un allargamento  del diritto civile tout court.

Resta  anzi da appurare -   ormai  che il divaricarsi  rispetto all’art. 185 c.p appare un fatto  consumato -  quali saranno  (dell’agire   e non agire  areddituale)   i momenti destinati  a irrorare più spesso il tessuto   dei vari torti,   rispetto a ciascun membro della cerchia casalinga.

Nessun dubbio, al riguardo,  come sia quello endo-familiare l’ambito ove  le sintonie  in atto si segnalano  più riccamente, soprattutto riguardo agli obblighi  che figurano posti a carico dei   congiunti; particolarmente forti  appaiono,   qui,    le interferenze tra la misura in cui  un certo aspetto del focolare domestico mostra di “esistenzializzarsi”, nella prassi, e  il tasso di giustiziabilità che  esso si avvia complessivamente ad assumere.  

Facile immaginare, in questa luce,  l’approdo a  soglie di giuridificazione  sempre più avanzate, via via che ad esempio:

(a)  i  doveri genitoriali mostreranno di inverarsi  - nel diritto vivente  – come impegni  ad assecondare in via progressiva la vocazione dei figli:  provvedendosi a  instillare in loro il gusto per la creatività,  nel segno del rispetto per  le loro predilezioni,  con uno sprone a combattere le tentazioni conformistiche, le pigrizie eccessive; soprattutto,  nel monito a difendere (ciascuno) il senso della propria preziosità, ad  ascoltare la voce di tutti, a coltivare il senso civico, a non tradire l’amore per la verità, a migliorare i propri standard di amore per il prossimo;

(b) i doveri di assistenza, fedeltà,  collaborazione fra coniugi,  abbandonino sempre più   venature  rituali o  cerimoniose, e si atteggino soprattutto quali  spinte ad  alimentare – nella misura del possibile - le attitudini creative del  partner, a discutere con lui  ogni ordine del giorno, a ritrovare il filo delle scommesse adolescenziali;  se occorre a pungolarlo, certo a sostenerlo affettivamente, comunque  a non eccedere in commenti ironici, a sgravarlo concretamente dagli ostacoli troppo pesanti, ad applaudirlo, eventualmente a finanziarlo;

(c)  i doveri   fra le altre classi  di congiunti (spesso in chiave di reciprocità: fratelli e sorelle, nonno e nipoti, zii, cognati, affini  e parenti conviventi, etc.) vengano anch’essi a prospettarsi, essenzialmente,  come momenti di tipo incoraggiante/liberatorio  - funzionali a  far sì che  il beneficiario  riprenda a coltivare   se stesso, si svincoli dalle incombenze superflue,  cessi dal sacrificarsi eccessivamente, rompa il muro delle abitudini dannose; magari riprenda gli studi, inizi finalmente a dipingere, accetti un prestito, spenda  per viaggiare, si conceda   il lusso di una colf.

Se  è indubbio, in tutti questi casi,  come ogni variazione di segno appaia   suscettibile di tradursi, volta per volta,  in esiti   di maggior responsabilità per i  danni (dinanzi a eventuali  inadempienze   dell’obbligato), è   palese che ci si trova di fronte  a  meccanismi  idonei  ad operare -magari  proprio attraverso le sollecitazioni indotte dai   giudizi risarcitori-   in chiave   sempre meno “esterna”, successiva,  rispetto  alla commissione dei torti.

 Tanto più se agganciata (come occorre) al tema della salvaguardia dei soggetti deboli -corrente in tanti settori dell’ordinamento-  la curvatura “relazionale” è ormai un fattore che entra  nel circuito stesso di definizione   degli obblighi, all’interno della  famiglia, anche  agli effetti   di valutazioni e di sanzioni   diverse dal risarcimento. 

 

5.2.            Sovranità dell’illecito 

 

Nessun dubbio   poi,  facendo un altro passo,   come   l’aggiungersi di momenti esistenziali,  nel conto  delle lesioni   fra  parenti,  abbia  l’effetto di  accentuare (l’evidenza di) un motivo  ben preciso di politica del diritto: quello relativo agli spazi di  sovranità  -identitaria e applicativa-    che la responsabilità vanta in generale sul terreno   privatistico.

Si tratta di un valenza riscontrabile,  beninteso, lungo più d’uno tra i confini dell’illecito. E’ certo però come sul versante della famiglia -   terreno così diverso da ogni altro   (per il tipo degli interscambi   disciplinati, nonché per le peculiarità del sistema  rimediale che vi è accolto) -  il  connotato in esame  si avvia ad assumere  un valore tutto  particolare.

 Alcuni dati erano  per la verità  già acquisiti.

Scontato  ad esempio – considerando i  profili  penali - come  il pregiudizio  e il dolore risentito  da una donna la quale abbia sofferto   (poniamo) un tentativo di uxoricidio, che si sia vista costretta dal suo partner a prostituirsi,  che  sia  stata   diffamata o calunniata dal proprio  sposo,  etc.,  non verrà   affatto neutralizzato per la sola circostanza che il compagno autore di quei fatti vada o non vada poi,  anche in misura severa, incontro alla  condanna penale per essi prevista.

Lo stesso ove si pensi a situazioni  che  rilevino sul terreno del diritto amministrativo o tributario (nonché  all’origine di riflessi dannosi per qualche congiunto).

E qualora  risultasse  infine,  venendo al diritto civile, che:

- entro un certo focolare sono stati consumati (da parte di un  membro  contro un altro,  fintantoché il ménage era  ancora in piedi, talvolta nel periodo successivo)  una serie di illeciti;

- illeciti  corrispondenti alla violazione di questa o quella  situazione soggettiva (salute, integrità psico-fisica, diritti reali, proprietà intellettuale, onore, immagine, diritto all’assistenza, al mantenimento, all’educazione, etc.), e che  abbiano determinato l’insorgere  di danni, patrimoniali o non patrimoniali, a carico di uno solo o magari di più  familiari; 

 - danni che,  nella sfera di chi li ha patiti,  minaccino di  perdurare (in tutto o in parte)   malgrado il vittorioso esercizio delle misure di reazione familiare, ad opera dell’interessato; 

- orbene, ricorrendo  situazioni del genere  non potrebbe  venire contestata, in alcun modo, la possibilità da parte della vittima   di  far luogo anche a un’azione di danni contro il familiare.

Proprio questo, va detto,   è   il passaggio  a  spiccare  maggiormente  nella law in action del nostro paese,  dopo l’entrata in scena del danno esistenziale.  Basta scorrere alcune motivazioni di sentenze.

Si spiega così  che  là dove entrino  in gioco  le disavventure  di una giovane sposa, nonché futura mamma  (colpita nei suoi diritti/bisogni di assistenza  e protezione, subito dopo le nozze, a seguito del  comportamento cinico e  sprezzante del marito),   la pronuncia di separazione con addebito  non  potrà, in via di massima,   considerarsi tale da assorbire la domanda di risarcimento, relativa a quelle poste  negative.

Ripercussioni del genere non sarebbero, sino a pochi anni addietro, state considerate in alcun modo rilevanti ex art. 2043 c.c. -  forse neppure ritenute esistenti in via di fatto. Per le “attività  realizzatrici” di una moglie in attesa di un bambino nessun interprete,  allora, mostrava  interesse. Dei  possibili vuoti lesivi   sottostanti alla   dissoluzione di una  coppia (annullamento, separazione, divorzio)   non ci si sarebbe neppure   accorti.

Lo stesso in altre ipotesi importanti.

Ad esempio, con   riguardo ai riflessi pregiudizievoli   - presso il  coniuge, nei confronti dei figli, magari dei nonni -  della violazione  prolungata di qualche diritto di visita. Oppure in merito alla vicenda di una donna fatta oggetto di insulti e dileggi sistematici, anche in pubblico, da parte del marito. O ancora  a proposito di un minore il quale, per anni di seguito, venga sostanzialmente dimenticato dal padre,  sotto il profilo del mantenimento  come pure dal punto di vista affettivo ed educativo. O magari nel caso di un figlio colpito da un’azione di disconoscimento della  paternità  (che sia destinata  a rivelarsi) infondata,  o che contrasti con l’assenso dato a suo tempo  - dal padre stesso -   alla moglie, in ordine a una pratica di  fecondazione artificiale.

Assai differenti fra loro, fattispecie del genere hanno comunque un punto in comune: si tratta di  danneggiamenti  ingiusti che – per una ragione o per l’altra - sfuggono alla possibilità di gestione  dei rimedi specifici. Soltanto una  messa in opera della responsabilità civile appare, tecnicamente, in grado di neutralizzarli.

 

6. Il diritto alla realizzazione personale

 

Non è mancato poi, lungo questa lunghezza d’onda,   l’invito ad alzare ancor più   lo sguardo - riportando  l’insieme degli  obblighi  in famiglia  sotto l’egida  di un  motivo   unitario, tratto in generale dalla rosa delle prerogative individuali: il  c.d. “diritto alla realizzazione personale”.

Circa le origini della figura in esame  non sarà il caso, qui,  di indugiare  più di tanto.

Si sa come non da oggi siano venuti affermandosi, nella maniera di guardare  alle istanze della persona,  orientamenti  di   tipo inedito.

Punto di partenza, ancora una volta, quello    della   crescente attenzione verso i profili del  fare/essere   quotidiano. La creatura  umana   vista    - soprattutto  - come entità protesa a svolgere  se stessa   negli affetti,  nel lavoro prestato, a incarnarsi  in ciò che inventa o che trasmette, nei  luoghi che ha di mira, nelle persone che  sceglie di frequentare.

L’effettività e  le controprove giornaliere,  allora: il monitoraggio e il  riscontro dei   passaggi  in cui ciò mostra di non avvenire, l’inventario di   quanto possa  contribuire a frustrare  quelle aspirazioni. Il richiamo a misurare, volta per volta,  la legittimità  e ammissibilità dei singoli  impedimenti.

Ecco  così  – sul  terreno delle fonti  - la valorizzazione di  tutta una serie di riferimenti prescrittivi, comunque la tendenza  a prospettare in maniera nuova  quelli  più  noti.

I principi  internazionali, anzitutto:  la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, la Convenzione di New York sui diritti dei bambini, la Carta di Nizza dei diritti.

La legislazione ordinaria, poi: testi come quello  sulla riforma del diritto di famiglia, sull’aborto, sulle rettifiche di attribuzione di sesso, sulla cittadinanza, sull’adozione,  sulla tutela dei consumatori, sui viaggi tutto compreso,  sulle barriere architettoniche,  sullo sciopero nei servizi pubblici, sulla parità dei sessi,  sulle azioni positive,  sul trattamento dei dati personali, sull’handicap, sul  collocamento obbligatorio.

La valorizzazione dei profili di sviluppo dell’uomo  nei mille crinali della legislazione regionale.

La  giurisprudenza infine (questioni del danno esistenziale a parte). La sentenza della Corte costituzionale sulle servitù coattive a favore degli handicappati. I provvedimenti dei giudici di base che -  in vario modo -  hanno imposto l’attuazione di un facere alla pubblica amministrazione: ad esempio con riguardo all’installazione di una rampa di accesso, destinata ai disabili, nella metropolitana di Roma; oppure agli  interventi utili a permettere l’accesso delle carrozzelle, per handicappati motorî, nei  treni veloci delle Ferrovie dello Stato; o, ancora, all’inserimento di un insegnante di sostegno in una scuola che ne sia sprovvista;  o, magari, alla tutela in via d'urgenza della salute di un   giovane  autistico,  e correlativo ordine alla Asl di pagare la retta per la frequenza di una struttura  terapeutica privata.

 

6.1. Combinazioni individuali

 

Ecco poi    – nell’approccio agli orizzonti della singola vittima, per il prossimo futuro   –  le insistenze sul riguardo  dovuto alla  “combinazione esistenziale” di ciascuno.

(i)  L'idea di relazionalità/fecondità, allora. Le indicazioni circa  la centralità della persona umana   rispetto  all'ambiente circostante - la prospettazione dell' "avere" individuale come  un "tendere verso",  come investimento spontaneo di energie, come un "operare  per".

La felicità (lemma pur  estraneo,  formalmente, alla  nostra Carta fondamentale)  quale tramite da rapportarsi   - non solo dal punto di vista etimologico - ai suoni della  della fertilità, della  florealità;  ai nodi del rigoglio  partecipativo,  del venire oltre la linea di  galleggiamento.

 L'esistenza umana  tratteggiata  quale pienezza di contatti,  ricerca  di agganci, di occasioni  continue di dialogo. 

(ii)  Il tratto della visione policentrica, poi. Il riferimento alla vita umana come   trama fatta per dipanarsi (non già nel chiuso di  un'unica stanza, bensì) lungo una pluralità di lieviti e piani inclinati,  ben  distinti fra loro:  ciascuno  improntato  via via  a registri  di carattere personale  o  familiare, oneroso e gratuito,  religioso o laico, pubblico o privato, egoistico o altruistico, patrimoniale o spirituale, debitorio o creditorio, serio e faceto,  individuale o associativo, etc.

L’attenzione da riservare,  insomma,  alle  aspirazioni   di “quel” singolo essere umano, per il tempo a seguire. Le  schegge dinamiche delle singole posizioni -  frammenti idonei a farsi riconoscere come parti di un tutto  e che diventano (riuniti insieme)  altra cosa rispetto a  un  puro elenco di traguardi. La nascita di un neo-fuoco soggettivo, che non sarà  più soltanto l’addizione di varie particelle sparse, bensì un quid novi nel diritto civile.

Come ignorare -  allorché si tratta di stabilire cosa debba modificarsi, in concreto,   di decidere se un certo rimedio vada   o meno concesso all’attore -    gli  obiettivi verso cui  l’interessato tendeva? E’ questa la falsariga seguita a livello micro, costantemente:   il  lavorio  di ascolto/comprensione degli utenti, cui giorno per giorno si dedicano operatori sociali,  tutori, consulenti intermedi,  giudici tutelari, protagonisti della volontaria giurisdizione.

E il   tragitto non potrà   variare ove si tratti -   ecco la conclusione -   di avvicinarsi  proprio  alle posizioni  di fondo, di illuminarne in generale i  fermenti.  Il diritto come realtà da cogliere guardando, insomma, le cose “dal basso” (nel vissuto specifico degli individui), non solo come analisi “dall’alto” (per le gabbie immaginate dal legislatore). Quale il disegno  effettivo di “realizzazione”,  rispetto al ventaglio di  tutto  ciò che è sparso entro il sistema -  quali le mete e i pollini inseriti,  volta per volta, nelle pagine d’oro  dell’agenda?

 

6.2.            Questioni aperte

 

Non poche le indicazioni di lavoro allora:

(a) opportunità,  sul terreno prospettico, di una ricomposizione  di quelle varie  prerogative  in chiave fortemente sintetica, non più soltanto analitica; c’è ormai un tratto unitario  - la spinta al concretizzarsi delle proprie aspirazioni -  ove   certi filamenti  della persona possono confluire, o che raccoglie comunque il versante  dinamico di ogni posizione;

(b) imprescindibilità, dal punto di vista della nomenclatura, di una messa dell’art.  3 Cost.  al centro delle  riflessioni del civilista; con un  riassorbimento entro il nuovo stemma di ogni faglia portante della quotidianità:  quella affettiva, familiare, procreativa; quella culturale, scolastica, scientifica, artistica;  quella lavorativa, politico-sociale associativa; quella dello svago, dell’ambiente, del gioco,  della vacanza;

(c) utilità di un riguardo per i profili del diritto alla realizzazione della famiglia; le aspettative che di fatto rilevano -  quelle nei confronti dei Servizi,  quelle dirette ai singoli membri della famiglia, soprattutto ai soggetti autorevoli – intese come rivolte, cioè, a interventi di cui sarà sempre qualche singolo  a beneficiare, ma che riguardano spesso il nucleo domestico “in quanto tale” (casa, igiene, sicurezza, verde, trasporti, etc.); 

(d) necessità -   pensando a ciò che intralcia  quel cammino -    di una congrua distinzione fra ostacoli  giusti e ingiusti,  e correlativa indicazione dei mezzi di  tutela/rimozione, anche al di fuori del  risarcimento in senso stretto:  inibitorie  contro l’autore del fatto,   allora, e poi  invalidazione di contratti, reintegrazioni in forma specifica, class actions, azioni possessorie, rettifiche, interventi adesivi autonomi, strumenti penali, controlli amministrativi, astreintes, e così via; 

(e) ragionevole comprensione -  ossia rifiuto di severità ingiustificate, pur senza indulgenze verso i meri capricci – rispetto alle le frange contraddittorie, comunque ai risvolti poco coerenti, altalenanti,  di un certo percorso; importanza dell’attenzione,  soprattutto  allorché si parla di doveri genitoriali, per le  variazioni    che figurino effettuate in corso d’opera, per i cambiamenti  nel  tempo: la  realizzazione di se stessi come work in progress, viaggio pressoché senza soste, impresa destinata ad  autoalimentarsi  costantemente;

(f) riguardo verso ciò che è proprio -  come tavola di bisogni/diritti -   di un gruppo  omogeneo di persone (ad es.: l’istruzione di base  per gli adolescenti  non vedenti) e ciò che appare invece peculiare/idiosincratico di un singolo individuo (ad es.,  la valorizzazione per via scolastico/professionale  di un determinato talento);

(g) confronto tra le varie categorie  di soggetti orientati verso questo, piuttosto che quel,  tipo di sbocco operativo; dove risulterà come  la stessa voce di bisogno/ostacolo possa, da caso a caso, andare incontro a destini valutativi e statutari ben  diversi (ad es., il lemma “barriere architettoniche”  avrà  un certo significato    per i poliomielitici e un basso valore, invece,  per gli immigrati; la voce “indicazioni multilinguistiche” peserà non poco per i gruppi correlativi, e assai meno per i cittadini appartenenti a una minoranza solo religiosa; e così via);

(h) distinzione, eventualmente, fra archetipi  - della realizzazione e del fare/essere   - che siano di stampo  maschile, o piuttosto femminile, o propri invece del mondo infantile e adolescenziale; analisi  delle soluzioni intermedie, contestualizzazioni  nell’ambito familiare specifico, intrecci dei modelli  di vario tipo; 

(i) messa a confronto -  guardando al diritto positivo, nella prospettiva della realizzazione personale -  tra ciò che la situazione in Italia è attualmente e quella che dovrebbe,  invece,  essere;  con un riguardo particolare  ai  settori   in cui le istanze riformatrici  non potranno essere soddisfatte, esaurientemente, attraverso mere operazioni  di carattere amministrativo o giudiziario (ad es., nuove  leggi  di tutele sulle minoranze, il Pacs, l’eutanasia,  la modifica delle procedure sul divorzio, l’approvazione dell’Amministrazione di sostegno): 

(l) monitoraggi puntigliosi   per quanto attenga al   costo  degli interventi, soprattutto quelli  a carico della pubblica amministrazione, e ciò  anche alla luce del principio (non secondario sul terreno della responsabilità per omissione)  per  cui il basso costo  di un’iniziativa aumenterà,  tendenzialmente,  l’inescusabilità dell’eventuale astensione -  tenuto  sempre conto,  beninteso,  dell’oggettiva importanza del  diritto/bisogno messo in causa.

 

6.3. Dove e quando

 

Ricadute sul terreno degli illeciti  familiari?  Un consuntivo è forse  prematuro.

E’ indubbia, sotto un primo aspetto,  la necessità di alcuni  chiarimenti.  Ad esempio: ci troviamo dinanzi a una categoria davvero  inedita, o non piuttosto a  una  sintesi  dei  risvolti -in chiave  proiettivo/teleologica- dei diritti tradizionali della persona?

Ancora: si sta parlando di piano costituzionale, di filosofia del diritto, oppure di diritto civile in senso proprio? O magari: gli ostacoli la cui mancata rimozione dovrebbe mettere in modo profili  sanzionatori,   saranno solo quelli relativi ai soggetti “deboli”  o magari anche a individui  “forti”?

Più ampiamente: non può esistere (com’è  chiaro) una pretesa ad essere ricambiati affettivamente da una certa persona, né potrà esserci un diritto ad essere belli, né un diritto a realizzarsi attraverso i propri miti calcistici, televisivi, o cinematografici; e lo stesso vale per la famiglia in se stessa. Quando si potrà  parlare – allora - di un vero “diritto” alla realizzazione personale/collettiva, quando invece di un semplice “interesse”, quali i contorni e i limiti della figura in questione?

Comunque sia: meglio guardare al soggetto “realizzando”  - individuo o gruppo domestico  - come al portatore di una prerogativa di tipo generale, comprensiva di tutto quanto?  o meglio pensare invece a una  sommatoria  di  specifiche intraprese, per la vita futura, al combinarsi di singoli filoni relazionali; una geometria variabile, un prisma a varie stratificazioni: il tutto per la parte, e viceversa? E gli obiettivi messi al centro di   una determinata  piattaforma,  tutti quanti con il medesimo coefficiente di secolarità, di intoccabilità?

Quali ancora -sul terreno dogmatico o scolastico- i rapporti con i diritti  “borghesi” tradizionali (quelli reali, quelli personali);  con i diritti sociali, poi;  con le varie posizioni sul terreno della libertà, della dignità,  dell’uguaglianza, con i diritti di accesso; con le categorie degli interessi diffusi, collettivi, legittimi?

Quale il  posto, infine,  di un realizzazione concepita come mera ricerca del silenzio,  come rassegnazione alla  (c.d.)  sconfitta?   Di una modellistica  tutta improntata  al culto del  non essere, dello scomparire, del naufragio,  della contemplazione -  magari al gusto per  l’ozio, per il misticismo,  per le rose non colte,  per l’«atto mancato» ,  per le battaglie perse, per l’essere dimenticati, per lo scacco?

 

6.4.            Uno per tutti, tutti per uno 

 

 Non meno evidenti, d’altro canto,  i risvolti felici  - che appaiono già percepibili  - del nuovo punto luce prescrittivo.  Ricondotti   sotto l’egida delle  letture emergenti,  i frammenti di cui sopra  si avviano,  effettivamente, a  trovare  e ad offrire margini  più ricchi di giustificazione, anche sul terreno dell’illecito  civile.

Vari   i  passaggi   che colpiscono l’interprete, sin dalle prime battute.

(a) Sul terreno di fondo, anzitutto -    in chiave culturale e antropologica. I paradigmi  emergenti  del torto extracontrattuale,  in rapporto a ciò che è   fuori del diritto.

Il forte senso di realtà, allora,   la capacità che  la lex Aquilia  dimostra,  attraverso l’assunzione del nuovo vessillo, di  fare propri motivi  che impingono largamente  nella cultura “psi”. L’impressione di una responsabilità civile  in grado, finalmente, di “prendere  le vittime”  per ciò che  ognuna è  davvero. Ciascun bene apprezzato  per il posto che  occupa entro un certo orizzonte, i danni   valutati per la misura in cui la violazione dell’una  o dell’altra  prerogativa    ostacolerà, hic et nunc,  l’attuazione del disegno complessivo. 

La consonanza  rispetto a  linfe che appaiono in circolo da seicento anni, nella cultura italiana,    rinnovate via via nel corso del tempo.  Con  l’uomo sempre più dentro la storia, nel costante primato per le cadenze  del  fare/essere. Lungo i vari crinali -  interfacciatisi -   della socialità,  della creatività, della   volontà di resistenza, dello spirito d’indomabilità.

Secondo questo   o quel segno dell’epoca - a partire dal  Rinascimento   (affari e mercanti, certamente;  ma soprattutto poesia, amicizia, pittura, architettura, politica, saggistica,  bellezza), proseguendo poi con il  Seicento (scienza, musica,  esplorazioni, lirica, studio, castelli, avventura, cimenti  politici),  con il Settecento (ragione, enciclopedismo, sapere, psichiatria, socialità, artigianato, mondanità), con l’Ottocento   (romanticismo, battaglie per gli ideali, risorgimenti, città, scoperte, tecnologie, giornali, sindacati), con il Novecento  (politica, viaggi, tecnologia, scienza, volontariato, democrazia, movimenti, partecipazione).

Il grande filo conduttore “occidentale”: l’ homo faber che non smette – tra un colpo di martello e l’altro –di cercare l’amore, di viaggiare in terre lontane, di risolvere equazioni,  di concepire e allevare figli, di inventare microscopi, di aiutare chi sta male, di lottare contro  i potenti interessati. Di chiedere, quando abbia subito un’offesa, che il maltolto venga restituito, che il  danno gli venga risarcito.

(b) Sul terreno delle soggettività  familiari  poi -    in vista del dare e dell’avere. I rapporti di debito e di credito, i  conti  dell’attivo e  del passivo

Il  raffronto, allora,  tra  funzioni e ricavi che sono destinati a far capo ad ogni membro  del focolare (uno a favore di ciascun altro, uno per tutti),  e  ruolo da affidare   invece al complesso della famiglia in quanto tale (ogni componente come essere avvantaggiato dalla presenza degli altri, fisiologicamente avviato a ricevere qualcosa dall’insieme).

–  Sul piano dei  benefici, in primo luogo.

Per quanto  concerne   le  implementazioni sotto l’angolo  della quotidianità/fertilità,   il motivo della reciprocità appare  facilmente riconoscibile. Come  è palese che l’attività di ciascuno potrà  essere fonte di piccoli e grandi arricchimenti, per il gruppo di appartenenza,  contribuendo  ad accrescere  il patrimonio comune, così è frequente che  successi o  negligenze individuali (il negarsi piuttosto che il prodigarsi,  l’esserci o il non esserci)  finiscano per pesare  sulla vita domestica, con ricadute su tutti quanti.

–  Riguardo  all’identificazione di soggetti  obbligati, in secondo luogo.

È appena il caso di sottolineare  come si stia  parlando di impegni destinati a  gravare su ognuno dei familiari,   nessuno escluso. E le conseguenze verranno a toccare,  aggiungiamo,  ambedue gli aspetti del discorso: 

I) non trattandosi di un optional, né di una scelta libera di assistenza, bensì di un vero e proprio obbligo  di solidarietà,  sarà  inevitabile la responsabilità del familiare inadempiente;  nonché quella terzo che  col suo illecito   abbia determinato  (entro il  focolare in esame)  l’insorgere di quei  bisogni di cura e di soccorso, costringendo  - da allora in poi  - uno o più d’uno fra i congiunti a occuparsi sistematicamente dell’altro,  a riorganizzare così la sua vita;

II)  non essendoci privilegiati assoluti, è  esclusa a priori la  prospettabilità di abnegazioni forzate;  no  cioè  a deleghe o  a funzionalizzazioni  a senso unico, per qualcuno della cerchia domestica,    no a sacrifici spropositati a carico, poniamo, della sola madre di famiglia o di una sorellina arrendevole o  di  una vecchia zia timorosa: mai il singolo membro come entità destinata a farsi carico,  perennemente,  del bene e della floridezza del clan intero (agnello sacrificale le cui rinunce,  in nome della stabilità collettiva,   sarebbero  sempre  scontate, benedette).

 

7. Agenda per il futuro

 

L’incontro tra famiglia e responsabilità data da pochi anni;  ed è  probabile  sia destinato a non consumarsi in tempi rapidi.

Il futuro non è impossibile da immaginare  comunque, anche per quanto concerne gli argomenti  di confine, rimessi  alle cure dello studioso dell’illecito -  sempre più attentamente di qui in avanti.

 Non pochi (per cominciare)  gli orizzonti  disciplinari,  più o meno inediti,  che mostrano di essere stati indagati sin qui affrettatamente, in maniera   distratta. 

L’intreccio  dei  pregiudizi  familiari nel sistema canonico, ad esempio;   le questioni  insorgenti  sul terreno tributario; il punto di vista del diritto internazionale, gli apporti diretti o indiretti  dell’ordinamento comunitario. Le regole di tipo “endo” da applicare agli immigrati in Italia, la misura in  cui culture lontane e poco conosciute  dovranno essere rispettate, in sede extracontrattuale. Il  paragone  fra  novità emergenti nel diritto civile e, rispettivamente,  nel diritto penale, gli influssi  vicendevoli (concettuali se non proprio tecnici).

Le indicazioni  da cercare  - in via di massima  – sul terreno del diritto comparato: gli ambiti dove, al di fuori d’Italia,   erano venute affermandosi  modelli  singolari  (e magari  sbilanciati) di risarcimento del danno, oggi comprensibilmente abbandonati; i settori dove questa o quella corte straniera è  giunta a  introdurre, più di recente,   forme di protezione originali per le vittime, al passo  con le sfide della modernità, delle tecnologie affluenti.

Un’opinione tradizionale sembrerebbe talvolta -  un po’ aprioristicamente -  considerare  l’intero campo dei domestic torts  (la zona “endo” più ancora che quella “eso”) fra i meno proficui e attendibili,    in vista di un raffronto tra ambienti giuridici diversi. Sarà  proprio così però? Episodi recenti, anche nella nostra letteratura, sembrerebbero dimostrare il contrario.

Non meno importante, in generale,  la ricognizione delle discipline e dei saperi che si collocano (sotto il profilo accademico)  al di fuori  del  diritto in senso stretto -  e che l’affermarsi di  nuove tipologie di   lesioni  o di sofferenze  mostra   di chiamare in gioco, nel campo dell’illecito, ogni giorno più diffusamente.

Difficile pensare, in effetti, di amministrare convenientemente tutta una serie di sfumature,  relative al patimento di  un  danno morale,  sessuale, psichico, esistenziale (che si sia prodotto  entro la   cellula domestica),   senza conoscere quali siano al riguardo le indicazioni fornite – poniamo  – dalla sociologia, dalla psicologia, dalla psichiatria, dall’economia; magari,  a seconda dei casi,  dalla sessuologia, dalla pedagogia, dalla psicoanalisi, dalla medicina legale, dalla criminologia. 

Basta rifarsi -  cercando degli esempi -   a quesiti come quelle che concernono  i   traumi  della nascita, le paure dell’abbandono, gli impatti della separazione e del divorzio. Ma le citazioni sarebbero innumerevoli: i  riflessi  della perdita di una figura familiare, talvolta  il  suicidio di un congiunto (dovuto alle colpe di qualcuno), i guasti della carenza o dell’interruzione di affetti, le motivazioni dei crimini in famiglia; le dinamiche della famiglia allargata,   il linguaggio delle unioni non matrimoniali.

 Il ventaglio intero dei sentimenti di casa – poi – specialmente quelli più “cattivi”: malevolenze, rancori, narcisismi, odio, disprezzo, ritorsioni, vendette. I disturbi psichici a più marcata eziologia domestica (dov’è che si sta meglio che in famiglia? “dappertutto!”, così A.Bazin a F.Truffaut),  le indagini psicodiagnostiche,  i meccanismi distorti della comunicazione in casa:  disturbi del carattere, stress post-traumatici, psicopatologie, messaggi  schizofrenogeni, doppi legami, paradossi.

Ancora. L’attenzione da riservare  all’universo dei   mass media: stampa, radio, cinema, TV,  Internet, e-mail, dischi, cassette,  fumetti, pubblicità commerciale, telefonini, merchandising.   I modelli   di coppia  á la page allora -  e poi di affettività, di sessualità, di femminilità, di mascolinità, di anzianità, di rapporto figli/genitori. La nozione di privacy, di festa,   di oscenità, di successo, di fascino, di felicità; le suggestione per i minori, i beni di consumo, l’incitamento alla violenza, gli snuff movies, il peso della pornografia, i drammi della pedofilia.

 Tutto quanto potrà assumere rilievo ai fini della responsabilità  - degli autori di programmi, dei conduttori; verso gli spettatori, verso i protagonisti delle storie, verso gli altri  terzi (Orson Welles docet).  La spettacolarizzazione  delle emozioni,   del lutto e della tragedia: la ricerca delle persone scomparse, le tavole rotonde sugli omicidi domestici in seconda serata;  i bambini che cadono nei pozzi, gli incontri tra antichi amanti  davanti alla telecamera, le ricerche fra le macerie de palazzi crollati, i ménage á trois raccontati direttamente al conduttore.

 I video, le play-station, i  messaggi pulp e trash,  le soap opera,  i reality-show, il  Grande Fratello.

 

7.1.  Disagi, devianze, servizi

 

Altro capitolo (di notevole importanza, pure  nell’ottica del diritto privato)  quello delle variabili soggettive  che si riportano, in generale,   agli ampi  contenitori  del disagio -  della “devianza” vera e propria. Situazioni complesse, variegate, ciascuna con le proprie  inconfondibilità antropologiche, dentro e fuori  la cerchia domestica; momenti rispetto a cui   le risposte ex lege Aquilia  sono destinate a  complicarsi, di tanto o di poco,  rispetto a quanto  accade d’abitudine.

  I problemi dell’alcool in famiglia,  ad esempio; oppure  le questioni  della droga, soprattutto  là dove ad esserne colpito  sia un  genitore, magari entrambi. Le altre forme di  dipendenza - gioco d’azzardo, bische clandestine, scommesse, bizzarrie  sessuali, sale corsa,  lotte fra i cani. Oppure lo spiritismo, le collezioni maniacali, le corse automobilistiche in periferia,  le  varie  invenzioni da notte brava.

Fondali da romanzo ottocentesco,  sotto alcuni aspetti. Di fatto,  carichi aggiuntivi   per   le altre persone in casa (che potranno venire uccise, picchiate, derubate, intimidite, etc.; talvolta  saranno loro a uccidere, a opprimere);  comunque, incombenze  ulteriori e più delicate per   i servizi socio-sanitari (quando esistano, quando dovrebbero operare). Elementi di  forte appesantimento, quasi sempre,   nel quadro delle inchieste sulla responsabilità.

Oppure  -diverse nella sostanza, non di rado  all’origine di affanni   ancor maggiori-   le vicende  contrassegnate dall’esistenza di un soggetto debole, entro il  focolare domestico; talvolta dalla presenza di più d’uno fra essi, magari  differenti fra loro, quanto a fattore debilitante.  Malati cronici, allora,   anziani della quarta età, bambini difficili, handicappati fisici e sensoriali; e poi infermi di mente, pazienti ospedalizzati, detenuti,  soggetti a rischio di suicidio, congiunti in fin di vita.

 Fragilità che appaiono destinate a venire in evidenza -  a seconda dei casi -   con riguardo a questo o a quel ruolo, ricoperto in concreto  nella vertenza:  e si può pensare  (a) alla parte di vittima, dei terzi oppure  di un familiare;  oppure (b)  alla posizione di  autore di un  fatto illecito, soprattutto a danno di un  parente; o magari  (c) alla veste di referente/beneficiario   di una protezione che la pubblica amministrazione  potrebbe, qua e là, aver mancato di fornire.

 Gli  alimentandi poi: quali risposte, in punto di responsabilità,  dinanzi alla  violazione delle posizioni in questo campo?  In pochi altri  settori la  frequenza degli inadempimenti contrasta - si ha  l’impressione - con la  sporadicità delle occasioni in cui l’intervento dei tribunali  è  sollecitato,   da parte degli aventi diritto (stando almeno a repertori di giurisprudenza).  Quanti allora  gli episodi in cui la mancata corresponsione del dovuto, secondo quanto può indovinarsi, risulterà all’origine di un serio   pregiudizio per le vittime, anche  sotto il profilo non patrimoniale?

Più ampiamente:  i progetti di riforma legislativa,  le discussioni dottrinarie  in corso, sull’uno o sull’altro fronte  disciplinare. Quale  il giudice più idoneo  per le controversie domestiche, comunque per i profili risarcitori in materia? A quando l’entrata in campo, ufficialmente, dei nuovi istituti della mediazione familiare?  E l’approvazione definitiva dell’amministrazione di sostegno?  Che tipo di spazi immaginare  per gli investigatori privati, nelle vertenze domestiche? 

Quale,  più in generale,   il posto dei  servizi social-sanitari collegati alla famiglia?   Qualche accenno è già stato fatto sopra; e ricorderemo, fra breve, alcuni versanti   rispetto a cui   l’offerta di un supporto quotidiano,  dal di fuori,  sembra raccomandarsi più acutamente.

Un dato è   chiaro fin d’ora: ci si  trova di fronte -  allorché si parla di sostegni  per il focolare domestico -  ad un ventaglio di realtà   quanto mai  composito. Centri sociali, ad esempio,   consultori per le coppie, soggetti pubblici e privati,  Sert, nidi,  asili,  ex orfanotrofi,  associazioni di volontariato, fondazioni, enti non profit; e poi sportelli  per i sussidi agli indigenti, comunità terapeutiche, residenze attrezzate, case-famiglia, centri di salute mentale, telefoni azzurri e rosa, cooperative sociali. E l’elenco potrebbe continuare.

I  risvolti  di ordine  aquiliano   appaiono – a  seconda dei  casi -   dietro l’angolo. E le scale in termini di  premurosità e di efficienza  risultano, a loro volta,  quanto mai  varie. Uffici ben attrezzati, in grado di sventare il prodursi di eventi lesivi; entità  burocratiche che esistono invece soprattutto sulla carta, e che in concreto non funzionano; voci e istituzioni  neppur previste a monte, nell’organico di  quella certa amministrazione, mentre sarebbe indispensabile il contrario.

Obblighi risarcitori derivanti,  in  taluni  frangenti, da fatti  prettamente commissivi;   più spesso, frutto soprattutto di   omissioni, di evanescenze/irreperibilità nel territorio.

Responsabilità messe in moto da ipotesi  r.c. di tipo eso  (terzi estranei che abbiano  causato un danno alla famiglia, eventualità  che  un Servizio  ben attrezzato avrebbe verosimilmente impedito;  ad es. l’omicidio compiuto da un infermo di mente mal sorvegliato: il “caso Mozzi”), o collegate piuttosto a situazioni di tipo endo (genitori “a rischio”,  i quali  abbiano arrecato un danno ai propri figli, in circostanze   sfuggite al controllo degli organi  preposti, al cospetto di precise negligenze di questi ultimi: il “caso Zadnich”).

 Disfunzioni di tipo organizzativo dell’ente, responsabilità vicarie del servizio per illeciti arrecati da singoli dipendenti. E così avanti.

 

7.2.            Profili  emergenti 

   

Non poche, guardando all’evoluzione della famiglia,  le aree della  responsabilità che figurano - poi - esplorate solo in parte;   e con le  quali l’interprete  sarà chiamato, verosimilmente,  a  misurarsi sempre più in  avvenire.

(I) I danni  che si producono, anzitutto, durante la fase  precedente alla costituzione del focolare domestico.

Gli impegni tra i futuri sposi, per cominciare:  un tema che mostra di  aver destato ben pochi  interessi, in   passato, sotto i profili dell’illecito,  soprattutto relativamente alle voci  di tipo non  economico. Oppure  i nodi  della seduzione con promessa di matrimonio: figura in crescente declino,  oggigiorno, ma che merita ancora attenzione con riguardo alle ipotesi, non rare,   di plagio e sopraffazione da parte di un soggetto forte (soprattutto rispetto  alle  poste  di natura morale ed esistenziale).

Il problema dell’applicabilità  o meno alla famiglia di fatto delle  soluzioni che sono state raggiunte, in generale,   con riguardo alla famiglia comune. Le variabili disciplinari,  in più e in meno,  suscettibili di entrare in gioco nelle unioni fra gay e lesbiche. 

Ancora; i comportamenti che tendono a colpire l’aspirazione,  di un soggetto,  a farsi una famiglia. Gli illeciti collegati  - ad esempio - alle inserzioni amorose sui giornali, o sui siti Internet; gli abusi e le manchevolezze aventi a che fare con la piccola posta sui giornali; i torti connessi alle attività delle agenzie matrimoniali, comunque al mondo dei  cuori solitari. 

Così avanti. I  profili di cui ci si è occupati,  in quest’ambito,  sempre un po’ sbrigativamente:  reati tra fidanzati,  responsabilità per contagio sessuale, condotte illecite legate all’AIDS, diffusione di malattie infettive. Il significato e i margini di difendibilità dei diritti della personalità (soprattutto immagine, privacy, segretezza, onore)  nelle coppie nascenti. La prospettabilità  dell’abbandono dell’amante, in situazioni  limite,   come un fatto “ingiusto”, il diritto di ottenere - eccezionalmente - il risarcimento del danno.

(II)  Gli eventi lesivi collegati alla  nascita:  momenti  al centro,   bisogna dire, di non poche sentenze  nel corso degli ultimi anni -  e  rispetto ai  quale le energie  profuse in sede dottrinaria appaiono tuttavia inferiori, in certi casi, rispetto all’importanza della posta in gioco.

Così, ad esempio, in merito ai profili di salvaguardia della salute psicofisica della  futura madre.  Oppure   riguardo alle questioni   legate  al tema delle   malformazioni del feto o del neonato: 

- le diagnosi sbagliate, allora, gli errori   commessi in sede ostetrica, le negligenze  durante gli esami  ecografici,  la ritardata esecuzione del parto cesareo (non sempre  appaiono persuasivi  gli  statuti  fatti valere, per contesti del genere,     in ordine alla prova della colpa  e della causalità;  inadeguata,   spesso,  la  gestione processuale dei singoli casi; non  abbastanza definita  - si ha  talvolta la sensazione - la rosa delle condotte  professionali  e degli eventi lesivi suscettibili  di salire alla ribalta dei tribunali);

- le disfunzioni delle strutture sanitarie, magari dei reparti ginecologici o pediatrici (discussioni appena sbozzate fra gli studiosi, occasioni  giurisprudenziali rare, soluzioni ancora da meditare); 

- la responsabilità dei  genitori in malafede o in colpa (questione ferma sostanzialmente  alla vecchia sentenza piacentina, suscettibile, chissà,  di aprirsi prima o poi a nuovi sviluppi); 

-  le malformazioni, grandi e piccole,  dovute a errori dell’industria industria farmaceutica (un dossier tutto ancora da  mettere a punto). 

Ancora. La responsabilità  nei casi di  nascita indesiderata:  un settore di crescente impegno (bisogna dire) per la nostra giurisprudenza, dove i   problemi  che si pongono   sul terreno dell’an respondeatur  - i piani  futuri dei genitori, o della donna; gli errori del medico o di soggetti parimenti obbligati -  appaiono ancora meno stringenti, probabilmente,  rispetto alle difficoltà  di muoversi convincentemente sul terreno del quantum respondetaur.

Stesso discorso per quel che concerne  le ipotesi di procurato aborto traumatico: un ambito dove  la ricerca dei  criteri,  attraverso cui giungere a idonee commisurazioni,  si direbbe appena iniziata. Oppure  riguardo alle ipotesi di compromissione della capacità  di procreare: altro terreno in cui  l’evidenza dei soffi antropologici messi in causa è stata, palesemente, tra i  fattori più importanti per  il successo generale del danno esistenziale, e rispetto al quale,  viceversa,  tutta l’impalcatura delle valutazioni sembra ancora in cerca d’autore. O ancora il tema dei possibili doveri, verso il partner, incombenti sulla donna la quale abbia deciso di abortire:  dove l’indiscutibilità delle soluzioni di irresponsabilità  - da confermare senza mezzi termini (salvi i casi  di dolo specifico, per la verità alquanto fantascientifici)  -  potrebbe non impedire la definizione di  protocolli  orientativi  circa  gli impegni di informazione, di consultazione a due.

(III)            Di particolare rilievo, poi, il terreno della responsabilità civile  fra coniugi (e dintorni).

Ad alcune ipotesi di condotte dannose,  soprattutto quelle connesse ai doveri di all’art. 143 c.c.,  si è già avuto occasione di accennare. Rimane l’elenco di tutte le altre.

Le fattispecie classiche allora – talune assurte  anche a livello codicistico:  gli obblighi risarcitori connessi alla celebrazione di un  matrimonio invalido, con particolare riguardo all’ipotesi di bigamia;  quelli  a carico del terzo il quale,  con il suo comportamento, abbia dato luogo alla  invalidità del matrimonio.

Ancora. Le svariate   gamme della violenza fra marito e moglie, le dimostrazioni di intolleranza  (in particolare, rispetto alle  nuove idee religiose o filosofiche del consorte);  i casi di  segregazione  (di un soggetto debole, della casalinga);  l’attentato a questo o quel diritto della personalità; le violazione  della libertà (con speciale attenzione   per gli aspetti  sessuali: abusi, costrizioni, ammucchiate, pratiche avvilenti, rapporti  forzati con terzi);  le scelte di abbandono, rilevanti soprattutto nei confronti di un coniuge indifeso o bisognoso, i limiti della libertà e discrezionalità,  le fattispecie di  responsabilità per  omissione.

Gli  illeciti di natura prettamente patrimoniale. Non solo quelli -  già incontrati sopra -  della mancata contribuzione ai bisogni della famiglia, dell’omesso versamento di assegni di mantenimento (a quando la nascita di una giurisprudenza,  più ricca e articolata, anche sotto il profilo aquiliano?). Anche le scorrettezze o le negligenze  nell’amministrazione  dei beni della comunione legale, le violazioni della regola di congiuntività, , le alienazioni prepotenti o capricciose; e poi  i rifiuti ingiustificati, le disinvolture con i creditori,   gli eccessi nelle spese personali di un coniuge, gli arbitrî  nella gestione dei  beni di proprietà del partner. gli illeciti extracontrattuali, i  sinistri stradali. E così  di seguito.

 

7.3.            Il mondo dei minori

 

Ancor più complessi,  resta da aggiungere,   i problemi  endo-familiari che riguardano    bambini e adolescenti.

Anzitutto,  i nodi della  responsabilità genitoriale nei confronti dei figli; dove  - può osservarsi  - neppur rimbalzano   entro i repertori civili, abitualmente,  i  risvolti  aquiliani delle   sentenze che condannano il padre o la madre per qualche reato. E dove  si deve, forse,    a quel tanto di fertilità giurisprudenziale che è raccolta intorno all’art.2048 c.c.  (ma basterà come spiegazione? e quello stesso filone non appare, a sua volta, ricomposto tutt’altro che armoniosamente, se si pensa    alla sbrigatività di tante formule che imperano nei manuali, ad esempio in ordine ai  nodi della prova liberatoria, della disciplina applicabile ai genitori non conviventi, del trattamento del minore in quanto tale?) se i punti caldi del rapporto genitori/figli   finiscono per bussare così raramente alla porta dei tribunali .

Poi,  l’insieme delle tematiche minorili che -  se non sono proprio neglette -  appaiono quantomeno   sottovalutate. Il problema degli abusi e delle molestie sessuali, dentro e fuori casa; il trattamento da riservare al genitore ostacolante, oppure al padre autore di un riconoscimento non veritiero;  il  valore della testimonianza di un bambino; la  responsabilità genitoriale per cattiva gestione del patrimonio dei minore, magari per l’inadempimento contrattuale dei figli

Il capitolo, quasi tutto da scoprire, dei maltrattamenti invisibili. Le tipologie dei comportamenti meno clamorosi -   dunque -  i contesti di indifferenza e assenteismo. I mille modi per  voltare le spalle a un bambino: fisicamente, davanti alla TV, logisticamente, durante le vacanze, affettivamente;  nei regali, apposta  o senza accorgersene, delegando  ogni  cosa all'altro genitore, o  ai  nonni.  Sanitariamente, spiritualmente, igienicamente.

Il ruolo dei servizi allora,  specialmente di fronte ai  mali  più opachi, quelli difficile da scoprire per chiunque. Non gli assalti  plateali  (il bimbo bastonato, strattonato, il  neonato nella lavatrice, gli  aborti   nel bagno di casa), ma le scalfitture segrete, meno  vistose: un minore disamato, non capito, mai  ascoltato. 

Ancora: il bambino  come essere allertato  - magari - rispetto a varie brutture,  vaccinato dinanzi  a  molti   tranelli della pornografia,  della violenza dei grandi. Però  a condizione  di non essere (ecco il punto)    tagliato fuori dall’interscambio dei  modelli culturali, escluso dalle voci lontane dal suo ambiente. Fra i  pericoli  maggiori  dunque,    pure  nel caso della famiglia,   quelli  della sudditanza rispetto alle atmosfere  a senso unico, che scoraggino  ogni frequentazione  con l’esterno.

I  focolari autistici, insomma, con tendenze alla miopia e al narcisismo;  i nuclei non necessariamente analfabeti, però diffidenti, compiaciuti  di sé. I servizi sociali come strumenti per garantire - allora – la  circolazione delle idee,  per impedire il monopolio di  una sola parola d’ordine (dinastica, tralatizia, araldica, vernacolare).

 L’opportunità, anche rispetto a tutto ciò,  dell’introduzione di   nuove figure di salvaguardia, magari a livello regionale. Un tutore  per i minori -   soggetto al quale segnalare situazioni che non siano magari cruente,  ma appaiano comunque di stallo o ingolfamento amministrativo. Un’autorità in grado di premere sui vari uffici, di attivarli sinergicamente:  la ricerca di una risposta alle  condizioni di abbandono,  quando le vie del processo non servono.

Il ruolo della scuola, ancora. L’opportunità di immaginarla come sentinella,  avamposto nel territorio -  in grado di percepire i segnali di turbamento che salgono dai banchi dell’aula. Non soltanto rispetto ai passaggi dell’istruzione, dell’apprendimento. Anche in merito a circostanze aventi a che fare con la famiglia e dintorni:   percosse, abusi,  corruzioni, vergogne, sfruttamenti.

Più in generale: l’obbligo per chiunque -vedendo/sentendo un infradiciottenne che non sta bene, o essendo in condizione di  accorgersene-    di  avvertire prontamente  il  Pubblico Ministero,  o di informare comunque un soggetto (pubblico o privato) in grado di intervenire.   L’idea che i minori sono  “di tutti quanti”,  che ciascuno è responsabile  di ogni bambino che esiste,  poco  importa se  proprio  o altrui. 

 

8. Creatività della famiglia

 

Difficile dire in conclusione   - pensando all’incontro tra   famiglia  e  responsabilità civile - se siano di maggior spicco le innovazioni ravvisabili  sul terreno delle relazioni casalinghe, grazie al pungolo aquiliano, o non piuttosto le suggestioni che  l’ingresso di materiali domestici   preannuncia,  in generale,  nella cultura dell’illecito.

Fra le due direttrici   è la  seconda,   probabilmente,  quello più promettente.

Basta pensare  (come  dimostrazione degli stimoli che  la famiglia mostra di esercitare, negli approcci all’universo del torto)  a quanto è successo sul terreno della responsabilità del terzo per pregiudizio del credito, negli ultimi trent’anni. Se, non fosse esistita la “spina nel fianco” del risarcimento pro  familiari del congiunto ucciso, con riguardo alla compromissione del diritto al mantenimento, il principio dell’irrilevanza della lesione del credito in ambito extracontrattuale, anzi il dogma stesso della necessità della violazione di un diritto assoluto, si sarebbe sbriciolato  - viene da chiedersi -   così rapidamente   com’è avvenuto  da un certo momento in poi?

Oggi,   una parabola del genere sembra rinnovarsi (fatte le debite proporzioni) sul terreno del danno esistenziale.  Nessun dubbio   che,  al successo  di tale categoria,   la famiglia abbia in effetti fornito    un contributo tutt’altro che trascurabile,  con le sue varie figure di risarcimento -  soprattutto per quanto concerne la  zona “eso”.

Di nuovo l’interrogativo allora: saremmo al punto in cui oggi ci troviamo -   in materia di  danno alla persona -    ove non  fossero state  emesse le recenti sentenze (che ben conosciamo) in tema di uccisione o di  macro-invalidazione di un congiunto,  di violenza sessuale a una figlia,  di nascita non desiderata,  di perdita traumatica del feto, di lesione alla capacità sessuali di un coniuge, di  compromissione della possibilità di procreare, e cosi via?

Se  - com’è verosimile -   si ritiene di no, è difficile credere che gli sviluppi  di questo orientamento,  insieme alle varie  innovazioni che si stanno affermando in zona “endo”,  saranno privi di riverberi ulteriori. Magari lungo rivoli inediti.  Difficile cioè pensare  che non ne verrà influenzata,  più ampiamente,   la  gestione di tutti  i casi in cui (anche al di fuori del terreno domestico)  mostrino di venire in gioco  i momenti  dell’affetto, della relazionalità, della crescita culturale,  degli equilibri nella comunicazione, delle svolte progettuali, della fertilità antropologica.

E’ quanto nei  prossimi anni avremo modo di vedere. 


(*) Professore ordinario di istituzioni di diritto privato – Università di Trieste.


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