La modica quantità di stupefacente

 

di Carlo Alberto Zaina *

 

Si è sempre avvertita la necessità di giungere ad una soddisfacente ed univoca definizione del concetto di “ingente quantità”, utilizzato dal legislatore quale elemento costituente un’aggravante speciale in relazione al delitto di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti.

Il problema, per quanto acuitosi negli ultimi tempi, complice anche il contrapporsi di orientamenti giurisprudenziali e dottrinali tra loro confliggenti, non è, però, affatto inedito.

Va, infatti, rilevato come già anche la precedente legge del 1975, all’art. 74 co. 2°, faceva esplicito riferimento al concetto in disamina,[1] nel contesto delle aggravanti specifiche.

Si può, pertanto, affermare che il DPR 309/90, riproponendo la medesima aggravante, (sul piano lessicale, infatti, i due testi legislativi per nulla divergono), sia stata un’occasione perduta al legislatore.

Il T.U. sugli stupefacenti avrebbe potuto e dovuto divenire momento di chiarificazione lessicale e giuridica di una previsione, rispetto la quale, in precedenza, era già stati avanzati dubbi, tutt’altro che infondati, di incostituzionalità.

In effetti, seppur vanamente, critiche di evidente indeterminatezza della previsione, erano state mosse alla nozione portata dall’allora vigente art. 74 co.2° L.685/75.

Nell’occasione la S.C., rigettando la questione di illegittimità costituzionale prospettata[2], affermò che la doglianza doveva esser ritenuta manifestamente infondata, anche con riferimento al concetto di modica quantità, all’epoca vigente.

I giudici di legittimità sottolinearono due profili di struttura della norma, che avrebbero reso la stessa conforme al dettato costituzionale.

Da un lato, infatti, si rilevò come il legislatore avesse adempiuto, nella fattispecie, all’onere di identificare precisamente la condotta penalmente rilevante, consistente nella composita previsione dell’art. 71 L. 685/75.

In buona sostanza la legge avrebbe permesso una soddisfacente identificazione dell’insieme e della pluralità di comportamenti sui quali l’aggravante si sarebbe venuta ad inserire.

Dall’altro, la Corte riconobbe come corretta la possibilità, accordata dalla normativa al giudice, di delibare soggettivamente e discrezionalmente la portata e l’entità della condotta, sì da applicare o meno l’aggravante in oggetto.

Si affermò, ad ulteriore specificazione e corollario, che “il caso della modica o ingente quantità dello stupefacente detenuto, quindi, deve essere necessariamente lasciato alla determinazione del giudice perché il relativo giudizio è necessariamente condizionato di volta in volta dalla tipologia della sostanza stupefacente, dalla sua volontà, dalla situazione del mercato.”

In pratica i Supremi giudici decisero di non decidere, posto che la  scelta operata fu ancorata a criteri assolutamente generici e non satisfattivi la questione, siccome aleatori e suscettivi di modifiche temporali e geografiche.

Si pensi, in primo luogo, al riferimento alla cd. situazione del mercato, che appare costituire dato controverso e difficile da decifrare, sol che si pensi alla clandestinità dello stesso, e, quindi, all’assenza di elementi minimamente approssimativi in ordine alla sua reale e concreta dimensione qualitativa e quantitativa.

L’impossibilità di delineare in termini di certezza economica la dimensione del bacino di utenza di coloro che assumano sostanze stupefacenti è, pertanto, argomento che si oppone in modo convincente all’impostazione che, in questa sede si critica.

A tacere, poi, della circostanza, che la dizione “mercato” non riesce affatto ad identificare in modo soddisfacente la dimensione dell’ambito territoriale che debba fungere da parametro valutativo.[3]

Il legislatore non teneva in alcuna seria e doverosa considerazione la differenziazione fra assuntori sporadici, assuntori periodici, tossicodipendenti e tossicomani.

La differenze fra le categorie sopra indicate non sono circoscrivibili solamente ad un profilo filologico.

Esse identificano modalità oggettive e soggettive di approccio all’uso di stupefacenti, nonchè metodologie e scansione temporali di assunzione della sostanza, che costiuiscono varigati aspetti del complessivo mondo che ruota attorno alla droga.

Il mercato, nell’accezione sopra richiamata, quindi, non può non essere considerato come sintesi di tutti questi plurimi aspetti; il che vale a dire che non può trascurarsi un ulteriore elemento di genericità dagli effetti destabilizzanti la certezza del diritto.

Va, poi, sottolineato che se la repressione delle condotte connesse con la diffusione dello stupefacente risponde ad esigenze di preliminare tutela della salute dei cittadini, concretando, quindi, la prevenzione degli stessi da condizioni di vero e proprio pericolo, non si comprende, ai fini che ci occupano, quale rilevanza debba e possa rivestire il tipo di stupefacente che formi oggetto di giudizio.

La distinzione della tipologia in questione, operata nell’art. 73 DPR 309/90 a fini di determinazione della pena ha un suo coerente significato, perché è diversa l’offensività concreta delle droghe leggere, rispetto a quelle cd. pesanti.

Da ciò appare, a parere di chi scrive, corretto ed opportuno dare corso ad una distinzione, in termini di pena, ad esempio tra hashish ed eroina o fra mariuana e cocaina.

I criteri sanzionatori devono, però, essere unificati, laddove la detenzione attenga a quantità che, per la loro dimensione, non possano certamente essere destinati ad uso personale e trascendano in maniera rilevante tale fine, sì da indurre a ritenere una grande capacità diffusiva.

In buona sostanza, la soluzione del problema della individuazione del concetto di “ingente quantità”, si impone come unitaria, qualunque sia il tipo di stupefacente cui fare riferimento.

Il giudice, pertanto, è stato, così, more solito, come in troppe altre occasioni, indebitamente, oberato dell’onere di colmare una lacuna normativa, attraverso il riconoscimento dell’esercizio della massima discrezionalità possibile.

Tale indicazione non coglieva, però, un evidente pericolo.

Non veniva, infatti, intuito che, siffatta strada avrebbe ovviamente determinato contrasti e contraddizioni giurisprudenziali evidentissime, insite nell’affermata esaltazione della pura ed estrema soggettività del singolo giudicante.

In pari tempo, attesa l’insindacabilità in sede di giudizio di legittimità, della valutazione che stabilisca la sussistenza o meno dell’aggravante in parola, ove “il giudice di merito dia conto della valutazione operata con riferimento alla tipologia della sostanza stupefacente, alla sua qualità e quantità, al numero di dosi estraibili, alla situazione di mercato”[4], si veniva a creare una cerniera di assoluta chiusura, legata unicamente alle convinzioni personali, culturali e di politica giudiziaria del singolo magistrato.

L’esperienza e la scelta italiana in materia paiono concretare una scelta di politica criminale, che non trova particolari forme di conferma o proselitismo negli altri ordinamenti giuridici europei.

Una breve rassegna delle previsioni legislative di alcuni paesi del nostro continente può chiarire meglio il concetto.

 

a)

BREVI CENNI DI DIRITTO COMPARATO

 

1) AUSTRIA

 In Austria, in primo luogo, non viene operata alcuna distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere, salva la detenzione di derivati dalla cannabis, condotta che non determina la punibilità del possessore, la prima volta.

Secondo la legge Suchtmittelgesetz SMG N. 112/1997, che è entrata in vigore il primo gennaio 1998, il compito di definire il concetto di grande quantità di stupefacente viene affidato ai Ministri del Lavoro, della Sanità, degli Affari Sociali, della Giustizia, d’intesa con la Giunta del Consiglio Nazionale per gli stupefacenti.

I limiti per giungere a tale definizione, sono stabiliti in relazione alla capacità della sostanza di provocare dipendenza e di poter costituire un pericolo per la vita e la salute o per il pericolo delle relative crisi di astinenza[5].

La norma che detta le sanzioni, relativamente all’acquisto e al possesso di una grande quantità di sostanza stupefacente, con l’intento di metterla in circolazione, punendo tale condotta con la reclusione fino a tre anni (comma1), è l’art. 28.

Il comma 2° di tale articolo, punisce colui che produce, importa, esporta o mette in circolazione una sostanza stupefacente in grande quantità con una pena detentiva fino a 5 anni.

Viene applicata un pena che va da 1 a 10 anni, al comma 3, a carico di colui che compia il reato di cui al comma 2, relativamente ad una grande quantità di stupefacenti, se appartenente ad una banda o agisca per fini di lucro.

Si tratta, pertanto, di un’aggravante colegata con lo status di appartenente ad un’organizzaziome associativa.

Un trattamento più favorevole è previsto per coloro che siano tossicodipendenti, ove commettono il reato in oggetto, al solo scopo di ottenere la sostanza stupefacente o quale mezzo per acquistarla, esclusivamente per consumo personale.

Il co. 4 prevede un ulteriore inasprimento della pena, che nella fattsipecie, va da 1 a 15 anni in tre situazioni.

Ai fini che ci interessano appare importante il fatto che la condotta deve avere riguardo alla detenzione o circolazione di una sostanza stupefacente la cui quantità sia almeno 25 volte il limite fissato dalla legge.

Da queste brevi note si può rilevare il chiaro tentativo di una predeterminazione del quantitativo, in base al quale, si possa ritenere susistente quella che nel nostro ordinamento è definita ingente quantità.

Emergono parametri quale quello del “pericolo per la vita” (e pertanto per la salute) che sono indubbiamente linee guida anche nel nostro ordinamento assumendo significato di valore costituzionalmente garantito.

Ciò che differenzia in modo netto l’opzione austriaca consiste nel fatto che, a differenza della legge italiana, in tale ordinamento non opera alcun tipo di delega, neppure implicita, alla giurisprudenza, per definire l’aspetto quantitativo, legittimante il concetto di “grande quantità”.

Si vengono, così, ad evitare contrapposizioni e significative differenziazioni a livello di pronunzie concrete.

2) FRANCIA

In Francia nessuna previsione esplicita è rinvenibile nel Code Penal, che regola nella Sezione 4, agli artt. 222-34 e segg. il “traffico di stupefacenti”.

L’ordinamento transalpino punisce qualunque tipo di cessione, che non coinvolga l’uso personale[6], ma non opera particolari distinzioni in ordine al quantitativo destinato al cd. traffico, preferendo specificare in modo autonomo le singole condotte punite[7], ciascuna oggetto di una norma ad hoc.

Del pari non vi sono distinzioni fra droghe pesanti (definite dure) e droghe leggere (definite dolci).

In particolar modo, il codice sostanziale francese si sofferma su aggravanti relative sia al tipo di organizzazione, cui possa appartenere il “trafficante”, sia alle modalità della condotta di cessione dello stupefacente, laddove essa possa avvenire a danno di minori.

L’unico ambito quantitativo attiene alla distinzione fra uso personale e detenzione, condotta quest’ultima penalmente punita.

Questo aspetto, che, però, è ultroneo al nostro fine, viene delegato alle singole Procure della Repubblica, le quali, in via del tutto autonoma stabiliscono i limiti, oltre i quali si può dare corso all’azione penale.

3) GRAN BRETAGNA

Anche in Gran Bretagna non vi è una previsione espressa di una norma aggravatrice il reato base, nell’ipotesi di detenzione di quantitativo cospicuo di sostanza stupefacente.

L’uso di oppio è punito, mentre, in relazione ad altre sostanze può esservi una detenzione autorizzata non suscettibile di punibilità.

Esiste, però, una differenziazione di pena, in relazione ai comportamenti illeciti.

Essa fa riferimento al tipo di stupefacente, posto che esiste nel Regno Unito una suddivisione in tre classi e che si deve valutare, ai fini dell’irrogazione della pena, se la droga sia pesante o leggera.

In pratica esiste un criterio di omologazione, che prescinde dal dato ponderale, posto che fin dal 1980 la giurisprudenza inglese ha sancito il principio che “il possesso di ogni quantità è punibile, perché la legge vuole punire il possesso non l’uso[8].

4) OLANDA

Nei Paesi Bassi, la legge vigente è del 12.5.1928, l’Opiumwet.

Essa ha subito una particolare modifica nel 1976, posto che in tale occasione si è operata la distinzione fra le droghe leggere e quelle pesanti.

Anche in questo ordinamento vi è distinzione fra uso e detenzione, fattispecie, quest’ultima oggetto della repressione penale.

Nell’ordinamento olandese, il dato ponderale assume una valenza del tutto decisiva, atteso che gli scaglioni di pena vengono modificati in maniera direttamente proporzionale al quantitativo rinvenuto nella disponibilità del soggetto.

Questo discorso attiene in modo particolare alle droghe leggere o dolci.

La vendita a terzi è presunta, in materia di droghe leggere, a partire da gr. 30.

Un quantitativo che parta da tale misura e giunga ad 1 chilogrammo, comporta un a pena da 5 a 10 fiorini (ora l’equivalente in €.) per grammo.

Nel caso che lo stupefacente vada da kg. 1 a kg. 5, la sanzione può consistere in una pena pecuniaria per ogni chilogrammo, oltre ad una sanzione custodiale di due settimane sempre per ogni chilogrammo di stupefacente detenuto.

E così via sino alla pena massima, relativa a quantitativi superiori a 100 chilogrammi, che prevedono una pena da 1 a 2 anni di detenzione ed una multa di 25.000= fiorini olandesi.

Per quanto concerne, invece, le droghe pesanti va rilevato che non esiste un concetto indeterminato.

Il legislatore olandese, infatti, ha stabilito che la quantità base per ritenere il “commercio all’ingrosso” è quella di kg. 1, pari a 2000 unità, fornendo, così, al giudicante, un criterio quanto oggettivo, che determina una pena da 6 ad 8 anni di carcere.

5) SPAGNA

In Spagna l’art. 375 e segg. regola la materia in questione.

In pratica le norme che si richiamano, stabiliscono limiti quantitativi, in base ai quali sono sanciti i vari scaglioni di pena.[9]

Il principio informatore del legislatore iberico è, comunque, ancorato a rigidi elementi quantitativi, posto che si parte da una pena che va da 8 a 20 anni di reclusione, oltre alla multa.

Tale sanzione subisce deroghe in melius, (vedi soprattutto l’art. 376 in nota), laddove l’imputato venga trovato nella disponibilità di precisi e specifici quantitativi, che vengono indicati.

Ad esempio, come indicato nel co. 3° dell’art. 376, in presenza di quantitativi eccedenti i limiti massimi previsti dal co. 2°, che fissa la pena detentiva da 4 a 6 anni, si incorre in un inasprimento della pena, che passa da un minimo di 6 ad un massimo di 8 anni.

In pratica il legislatore spagnolo ha stabilito una pena base, quella del citato co. 1°, che va da 8 a 20 anni, che viene applicata per i quantitativi massimi e rilevanti, simili all’aggravante di cui all’art. 80 in disamina, creando, peraltro, una serie di temperamenti sanzionatori, in relazione a specifici dati quantitativi, ritenuti minori rispetto la previsione generale, che, peraltro, non possono essere superati.

Deriva da ciò, l’ovvia considerazione che il concetto di ingente quantità, nell’ordinamento penale spagnolo, diversamente da quello italiano, è predeterminato sulla base dell’elemento ponderale, non lasciando libertà interpretativa al giudicante.

6) SVIZZERA

L’esperienza della Confederazione Svizzera è orientata nel senso di un concreto tentativo di equilibrare tendenze antiproibizioniste e necessità di repressione del fenomeno commerciale connesso con gli stupefacenti[10].

Il caposaldo consiste nella Legge federale del 3.10.1951, che al capitolo 4 prevede le disposizioni penali.

L’art. 19, mod. dalla L.F. del 20.3.1975, al co. 2° prevede una serie di aggravanti, che rendono la condotta base, descritta al co. 1°[11], sanzionabile più gravemente.

Tra queste vi è una prima ipotesi generale, di cui alla lett. a) ancorata al quantitativo di droga, laddove si afferma che la persona inquisita sa o deve presumere che l’infrazione si riferisce a una quantità di stupefacenti che può mettere in pericolo la salute di parecchie persone.

Tale primo aspetto appare importante, posto che emerge come, anche nella legislazione svizzera, il reato in questione venga punito sotto il profilo del pericolo ingenerabile da tale condotta, e non già in base all’effettivo danno concretatosi.

Va, inoltre, sottolineato come la dizione utilizzata si armonizza con i principi giurisprudenziali sostenuti nel nostro ordinamento da una corrente di pensiero che, proprio in relazione al problema della qualificazione, in fattispecie concrete, dell’ipotesi di ingente quantità, ha ritenuto di poter utilizzare il parametro del numero dei potenziali destinatari dello stupefacente.[12]

Corre l’obbligo di rilevare come, nella fattispecie, l’assonanza con la previsione della normativa italiana, che si

affida a concetti di ordine generico, delegando implicitamente l’operatore del diritto ed il giudice, in particolare, a procedere a riempire di significato gli stessi, con i rischi paventati e che si andranno a paventare, sia notevole.

Un secondo aspetto da utilizzare a parametro è quello relativo alla locuzione di cui alla lett. c), che prevede una condizione soggettiva specidica, e cioè quella della professionalità della condotta illecita da parte del soggetto (trafficando per mestiere).

A tale presupposto va aggiunto, a parere del legislatore che l’inquisito abbia realizzato una grossa cifra d’affari o un guadagno considerevole.

Anche in questa seconda opzione ci si affida a concetti di natura generale, estremamente variabile sul piano soggettivo (una grossa cifra d’affari od un guadagno considerevole, sono concetti che mutano a seconda di chi sia chiamato ad interpretarli) e come tale certamente carente sul piano della tassatività.

7) GERMANIA

In Germania l’importazione, il commercio, il possesso e l’uso di stupefacenti leggeri e pesanti, è punibile.

Il testo base in materia è il Funfzehnte Betaubungsmittelrechts entrato in vigore il 1° Marzo 1994 con pubblicazione sulla Gazzetta Federale legislatva del 1994 (I p. 358), modificato dall’Articolo 4 del provvedimento del 26 Gennaio 1998 in Gazzetta Federale legislativa (I p. 160).

Le principali condotte punite sono quelle di coltivazione, produzione, detenzione, importazione, esportazione, vendita, offerta, acquisto od intermediazione (nell’ambito di un traffico) (art. 29).

La pena base è fino a 5 anni di reclusione, fatto salvo che la pena minima può essere innalzata in caso particolarmente seri ad un anno.

In questo contesto viene ricompreso l’art. 30 co. 2°, che fa riferimento a cessioni non autorizzate (ovviamente) di quantitativi non trascurabili, nonché la illegittima lavorazione e detenzione dello stupefacente in quantità apprezzabili.

E’ prevista espressamente l’ipotesi di situzioni intermedie, che giustificano un temperamento della pena nel minimo, che, in tale occasione viene ancorato a tre mesi.

Il termine minimo viene innalzato a 2 anni, laddove si verta in ambito d’importazione di quantità non trascurabili.

L’art 30/a prevede, poi, una serie di condotte (coltivazione, lavorazione, traffico, importazione od esportazione) attinenti a quantitativi non trascurabili, ascrivibili a chi faccia parte di un’associazione per delinquere, prevedendo una pena non inferiore a 5 anni.

Va detto che nelle provincie del Nord (Amburgo, Brema e Westfalia a Nord del Reno) e nelle grandi città, generalmente si è un po’ più tolleranti nei confronti dei consumatori di droga.

 

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b)

DIFFERENZE SEMANTICO-LEGISLATIVE TRA IPOTESI LIEVE ED INGENTE QUANTITA’ ED INCOERENZE NORMATIVE

 

Dal seppur sommario e sintetico quadro che emerge, rapportando le composite legislazioni europee, le quali, evidentemente, risentono sia di impostazioni culturali, che di convinzioni politiche, si ricava il tentativo, piuttosto comune di adottare una codificazione che risponda a parametri non eccessivamente vaghi.

Si tratta certamente di una scelta dissonante da quella italiana.

Quest’ultima appare, tra l’altro, particolarmente contraddittoria, non solo se comparata con altre legislazioni, ma addirittura ove la si valuti complessivamente nel suo insieme.

Va, infatti, sottolineato come il legislatore, abbia contemporaneamente previsto un’ipotesi attinente alla cd. lieve entità (il co. V dell’attuale art. 73) ed una riguardante l’ingente quantità, di cui si discute.

Per quanto concerne la prima ipotesi, è ormai pacifico l’orientamento, sia giurisprudenziale, che dottrinale, in base al quale l’art. 73  co V. viene identificata come ”circostanza attenuante ad effetto speciale della fattispecie generale portata dall’art. 73”.[13]

La scelta ha destato rilevanti perplessità, in quanto taluni Autori, infatti, non hanno nascosto (e non a torto) il fermo convincimento che, in realtà la diatriba dovesse essere risolta nel senso di considerare il citato co. V, quale autonoma ipotesi di reato.

Tale orientamento, al di là di specifiche osservazioni di metodo, per le quali si rinvia ad altro ben più completo ed approfondito testo[14], trae, a parere di chi scrive, fondamento genetico dalla necessità che esista, in primo luogo, uno strumento di riequilibrio della gravità sanzionatoria prevista nella norma incriminatrice di base.

Inoltre, da più parti si è sostenuta la necessità di una “omogeneo sviluppo  speculare” della norma, nel senso che, una volta stabilita dal legislatore l’ipotesi criminosa di base, sarebbe stato auspicabile che fossero state sancite, al contempo, con previsioni autonome ed indipendenti tra loro e rispetto la norma incriminatrice ordinaria, sia una soglia di minore che una soglia di maggiore punibilità, le quali, peraltro, concretassero autonome ipotesi di reato.

Siffatta soluzione sitematico-normativa avrebbe avuto il pregio di eliminare ogni tipo di controversia intepretativa e, in pari tempo, di favorire un processo di individuazione e determinazione delle condotte ritenute illecite, elementi il cui deficit  di esposizione e chiarezza si continua a sottolineare e che vengono considerati nel presente saggio.

Taluno, inoltre. ha definito l’ipotesi in oggetto una terza via per armonizzare la regolamentazione delle situazioni di cui agli artt. 75 e 76 e quelle punite dall’art. 73[15].

Senza indulgere ulteriormente sull’argomento specifico, escluso dalla presente trattazione, va sottolineato che balza all’occhio come il legislatore, nel delineare e prevedere l’ipotesi attenuata, abbia dettato una serie di parametri soggettivi che si connettono tra loro in maniera sufficientemente armonica.

Ad essi ha aggiunto, per giungere ad una specificazione più soddisfacente, come punto paradigmatico di partenza, il dato ponderale, che, pertanto, assumte valore di pietra di paragone fondamentale ed ineludibile per la valutazione del giudice, in ordine alla lieve entità.

Tale iter, che appare sotto numerosi aspetti, meritevole di adesione (anche se non immune da critiche) non è, però, stato seguito affatto per l’aggravante in disamina, portata dall’art. 80.

Per spiegare questo strabismo giuridico, non può essere sufficiente la giustificazione dell’evidenza presunta della pericolosità e dell’allarme sociale, circostanze insite in una condotta oggettivamente più grave di altre e proporzionalmente sanzionata.

Va, infatti, rilevato che il concetto di pericolosità sociale non è costituito esclusivamente (ne può esserlo), dal solo rilievo dell’oggettività del comportamento illecito, giacché esso comprende, invece, anche la valutazione della personalità del soggetto autore, della sua capacità criminosa[16], nonché di tutti i criteri ricompresi dall’art. 133 c.p..

Sul concetto di pericolosità sociale come prodromo di una valutazione della capacità criminale del singolo, ancorata ad una variegata e composita serie di dati per lo più soggettivi, la giurisprudenza è ormai pacifica[17].

Deriva, pertanto, l’inconsistenza giuridica dell’argomento pericolosità, preso in sé e per sé, sicché ben altre ragioni vanno individuate a base della scelta normativa.

In realtà, nell’ottica di un concreto inasprimento delle sanzioni che il legislatore del 1990 ha operato, rispetto al regime previgente del 1975, si è ritenuto di riproporre l’aggravante di cui all’art. 80, sic et simpliciter, pensando di rafforzare così, la portata repressiva complessiva dell’impianto normativo fondato soprattutto su di un inasprimento di fondo del profilo sanzionatorio delle condotte illecite individuate.

Sia concesso osservare, con una breve digressione, sulla base della quotidiana esperienza forenze e giudiziaria, che l’aggravamento delle pene (passate per l’ipotesi di cui all’attuale art. 73 – riproduzione del vecchio art. 71 L. 685/75 - da 4-15 anni ad 8-20 anni), diversamente dal lodevole auspicio e scopo cui esso tendeva, non ha avuto alcun serio e concreto effetto deterrente nei confronti degli autori degli illeciti afferenti agli stupefacenti, anzi.

Non è un  caso che, allo stato attuale, soprattutto con riferimento all’elevazione del minimo edittale di pena (raddoppiato da 4 a 8 anni), sia i singoli, che i gruppi criminali organizzati abbiano puntato sulla detenzione (e condotte assimilate) di quantitativi decisamente superiori a quelli trattati nel passato.

E’ indubbiamente, infatti, più costante nella prassi quotidiana, il rinvenimento e sequestro di quantitativi di stupefacente ammontanti a qualche chilo, piuttosto che relativi ad ambiti minori, posto che il rischio sanzionatorio attinente a questi ultimi, è molto più sproporzionato rispetto ai primi.

La stessa criminalità ha, infatti, operato una valutazione rapportando il rischio di arresto e di inflizione di un trattamento sanzionatorio rispetto alla condotta antigiuridica al profitto ricavabile dall’illecito, e ha concluso che l’elevazione dei minimi edittali di pena non potevano giustificare la detenzione a fine di spaccio di quantitativi intrinsecamente modesti.

Tornando alla comparazione iniziale, va detto che il legislatore, con l’aggravante dell’ingente quantità, ha ritenuto, quindi, di potere stabilire un’evidente presunzione di inserimento stabile o non occasionale del soggetto-agente in dinamiche criminose importanti ed allarmanti, prescindendo da una valutazione più complessiva, sia oggettiva, che soggettiva, della vicenda.

Tale impostazione non pare, però, immune da critiche, sol che si pensi alla circostanza che ogni singola vicenda processuale presenta aspetti soggettivi di natura autonoma, inedita e spesso tra loro non omologabili, sicchè una riduzione ad un unico contesto di situazioni completamente diverse appare del tutto impropria.

Sotto questo aspetto, appare ancor più evidente la discrasia del doppio binario, che differenzia il co  V° dell’art. 73 dal co II° dell’art. 80.

Il legislatore, infatti, da un lato, ha scelto di considerare una situazione globale, composta da più elmenti, ritenuti utili, se non addirittura fondamentali a tratteggiare la situazione (co. V); dall’altro, invece, ha incentrato la propria attenzione esclusivamente sull’aspetto ponderale, senza, peraltro, individuarlo in modo apprezzabilmente chiaro.

Se, quindi, la qualità e quantità della droga, in uno con le modalità del fatto, i mezzi usati o le circostanze dell’azione, costituiscono dati parametrali rilevanti, per addivenire all’affermazione di tenuità del fatto complessivamente valutato, non è comprensibile la cricostanza che il solo elemento ponderale sopra citato debba essere unico dato (soggettivo) per aggravare le condotte di base.

 Si potrebbe sostenere, in proposito, che la dizione letterale dell’aggravante, sia sintomatica della dimostrazione di una precisa opzione legislativa, orientata a privilegiare solo il quantitativo dello stupefacente che venga rinvenuto, a scapito di qualsiasi altra circostanza.

Se anche l’affermazione avesse un effettivo fondamento (non si dimentichino i contorni di grave indeterminatezza, su cui si ritornerà), è, comunque, difficile comprendere la giustificazione dell’aprioristico rifiuto normativo di una valutazione del fatto nei medesimi termini che si usano in relazione alla norma attenuatrice.

La mancata specularità tra attenuante ed aggravante (al di là dell’impostazione sistematica dell’art. 73 DPR 309/90, che tanti dubbi solleva ed ha sollevato), dimostra la totale assenza di una visione complessiva e coerente del sistema sanzionatorio del T.U. sugli stupefacenti.

Né si potrà seriamene sostenere che l’eventuale concessione di attenuanti (ad esempio quelle di cui all’art. 62 bis c.p.), in sede di giudizio, da parte del magistrato, possa fungere da elemento che può temperare e colmare i vuoti sin qui rilevati.

Senza aprire inutili e digressive parentesi, giovi sottolineare che il meccanismo di concessione delle attenuanti generiche, nonché il relativo giudizio di valenza (discliplinato dall’art. 69 c.p.) appare, in materia, del tutto svincolato dai dati concernenti la condotta (mezzi, modalità et similia), se è vero che le stesse appaiono assolutamente compatibili proprio con l’attenuante di cui al co. V.

A ben altre conclusioni si sarebbe giunti ove giurisprudenza e dottrina avessero ritenuto la sovrapponibilità delle due attenuanti, con esclusione dell’applicabilità simultanea delle stesse.

Va, poi, detto che le menzionate attenuanti generiche incidono ben diversamente rispetto alle due ipotesi in questione, nonostante in entrambi i casi ci si trovi dinanzi a circostanze del reato.

La concessione delle generiche non determina, infatti, la derubricazione dell’eventuale originario delitto di cui all’art. 73 co. I° in quello di cui al co. V°. Dette attenuanti incidono, sic et simpliciter, solo sulla quantità di pena che verrà inflitta in relazione al reato che verrà ritenuto al termine del giudizio.

In relazione, invece, all’ipotesi di cui al combinato disposto di cui agli artt. 73 ed 80 DPR 309/90, va sottolineato che l’eventuale concessione delle citate attenuanti ex art. 62 bis c.p., con giudizio di equivalenza o prevalenza delle stesse rispetto all’aggravante di cui al menzionato art. 80, determina una riqualificazione giuridica del fatto, con correlata incidenza in termini di riduzione di pena.

In conclusione, chi scrive, alla luce dell’esperienza nella quotidiana pratica processuale, è persuaso che il legislatore avrebbe potuto optare per scelte di gran lunga diverse e di maggiore chiarezza rispetto a quella trasfusa nella norma in oggetto.

Si sarebbe potuto delineare una prima possibilità  di un quadro sanzionatorio che avesse previsto un reato base, articolato in più condotte (quelle descritte dal legislatore), nonché una serie di circostanze attenuanti ed aggravanti, strutturate secondo parametri valutativi di comune coerenza ed improntate al medesimo metro delibativo, e sottoponibili a giudizio di valenza ex art. 69 c.p. rispetto alle attenuanti previste dal codice sostanziale.

In alternativa a simile ipotesi, si sarebbe potuto prevedere un’ipotesi di reato base ricomprendente tutte le condotte delineate nell’attuale art. 73 e, al contempo, a corollario sancire due ipotesi di reato autonome ed indipendenti:

L’una avrebbe dovuto essere relativa a situazione di minima offensività, con indicazione del quantitativo entro il quale si concreta la lieve entità, in uno con altri parametri sia oggettivi, che soggettivi.

L’altra avrebbe dovuto risultare attinente a situazione di rilevante riflesso, partendo anch’essa da una quantitificazione ponderale al di sopra della quale essa si poteva concretare, corredata da elementi complementari di natura oggettiva e soggettiva attinenti alla condotta dell’agente.

Temperamenti, finalizzati a meglio focalizzare la certezza delle fattispecie, avrebbero, inoltre, potuto essere:

1.      il riferimento al principio attivo dello stupefacente, stabilendo che si dovesse tenere conto anche dello stesso in rapporto con il quantitativo complessivo, e fissando un tetto massimo, per la lieve entià ed un tetto minimo per l’ingente quantità;

2.      la costituzione di una tabella ministeriale (così come si è prevista una tabella in cui inserire le sostanze ritenute stupefacenti e psicotrope) da considerare allegato al T.U. 309/90, per il tramite del quale stabilire a cadenza semestrale quali quantitativi globali e quale percentuale di principio attivo determinino la contestabilità dell’aggravante.

A parere di chi scrive queste poche accortezze giuridiche avrebbero evitato situazioni applicative della norma foriere spesso di gravi incertezze.

 

C)

LA COMPATIBILITA’ DEL CONCETTO DI INGENTE QUANTITA’ CON I PRINCIPI COSTITUZIONALI VIGENTI.

 

Già si è detto dell’intervento negatorio il vaglio di costituzionalità dell’art. 74 L.685/75, da parte della S.C. di Cassazione, oltre quattordici anni fa, sul far del tramonto della legge all’epoca vigente, ed all’alba della promulgazione del T.U. ora vigente.

I principi allora addotti e tuttora presi a modello per negare la rimessione della questione di costituzionaliltà afferente al concetto di “ingente quantità”, alla Corte Costituzionale, non convinsero all’epoca e non convincono, né possono convincere tuttora, posto che la normativa sul punto non è mutata, nonostante la successione di legge in materia, nel tempo.

Il riconoscimento e l’attribuzione al giudice di un potere valutativo in ordine alla sussistenza dell’aggravante in questione, ha determinato un effetto di totale ed estrema elasticizzazione della norma, a concreto scapito della sua chiarezza, coerenza e certezza applicativa.

A ben vedere, in realtà, la questione in ordine all’indeterminateza della previsione normativa in questione, non involgeva affatto il potere del giudice di dare corso ad una autonoma vallutazione dell’applicabilità o meno, al caso concreto, dell’aggravante.

Il problema era (e rimane tuttora) quello di fornire al giudice ed agli operatori del diritto, criteri originari apprezzabilmente oggetivi sul piano legislativo, per addivenire ad una decisione, senza che vi sia conflitto di attribuzione di poteri.

Allo stesso modo per cui è compito dell’artista produrre un’opera, e ruolo del critico quella di interpretarne la portata, il valore ed il significato, è chiaro che è deputato al legislatore produrre un testo normativo con tratti precisi, senza che lo stesso debba essere integrato o, in qualche modo, riscritto dal giudice di merito o legittimità, fatta salva la verifica di costituzionalità della legge.

L’uso di un’aggettivazione del tipo di quella in esame (“ingente”, ma avrebbe potuto essere utilizzata anche altra terminologia quale “enorme”, “eccessiva”, “eccezionale” et similia) dimostra come il legislatore del 1990, così come quello del 1975, fosse principalmente preoccupato di riconoscere anche indirettamente eventuali termini di paragone e di delimitazione, che potessero in qualche modo orientare involontariamente l’attività criminosa in materia di stupefacenti.

Emerge, infatti, da talun autore il timore che, individuando ex lege una soglia minima, oltre la quale fare scattare automaticamente l’aggravante in parola, i trafficanti di sostanze stupefacenti ben avrebbero potuto gestire singole partite quantitativamente inferiori a detto limite.

Tale metus, però, se effettivo (ed in parte certamente lo deve essere stato), attesta una visione, peraltro, molto parziale e limitata del problema in questione, che non tiene conto della quotidiana esperienza giudiziaria, la quale presenta sequestri dei più disparati ed elevati quantitativi di stupefacente, che non vengono certo intimiditi o limitati da specifiche previsioni di legge.

Permane, pertanto, a prescindere dalla volontà reale o presunta e dai timori fondati od astratti del legislatore, la necessità di comprendere se e  sino a quale punto il principio di tassatività della legge penale venga vulnerato dalla conclamata indeterminatezza della norma in questione.

L’art. 80 DPR 309/90 non è, infatti, l’unica disposizione normativa sospettata di incostituzionalità per non essere chiara e precisa nel definire una condizione di punibilità aggravata di una condotta specifica.

Altre norme sono state sottoposte al dubbio di contrasto con la legge fondamentale.

Il Tribunale di Crema, con ordinanza 21/10/1998, nel procedimento a carico di Trotta e altri[18] ha affermato che “Non è manifestamente infondata, con riguardo all'art. 25 comma 2 cost., la q.l.c. dell'art. 609 bis c.p., in seno al quale, in violazione del principio di tassatività della fattispecie penale, manca una nozione univoca e certa di atto e comportamento sessuale”.

La pronunzia in questione permette un agevole parallelismo con la fattispecie che si va esaminando.

La richiamata decisione dei giudici di merito attesta che il principio di tassatività è rispettato laddove la valutazione in ordine all’antigiuridicità della condotta o di aspetti materiali di essa, (se individuata attraverso una carattere di genericità), venga identificata quale non diretta conseguenza di una interpretazione estremamente libera e soggettiva da parte del giudice, pur in carenza di vincoli interpretativi.

Il limite minimo per affermare rispettato il principio di tassatività è, quindi, quello della indicazione sufficientemente univoca, da parte del testo normativo, di un comportamento avente illecita valenza, nonché delle circostanze che possano meglio delinearlo in senso aggravatore.

Nel caso di cui alla massima citata in precedenza, quindi, la definizione di “comportamento sessuale”, espressione intesa quale ipotesi ricomprendente specifici atti illeciti, in un rapporto di genus ad speciem, non è apparsa al Tribunale  indicazione di per sé sola esaustiva ad individuare una serie di atteggiamenti e pulsioni leggitimanti la punibilità.

Neppure in tale situazione, quindi, secondo i giudici di merito non verrebbe raggiunta quella soglia minima di certezza e sufficienza dell’identificazione della condotta punibile, senza che “tale norma deve essere letta ed interpretata all'interno del contesto sistematico, reso evidente dalla disposizione incriminatrice, in riferimento ad altre e più puntuali locuzioni impiegate dal legislatore, senza che possa essere riscontrabile alcun alone di indeterminatezza”, come affermato in relazione ad altra disposizione di legge, che prestava il fianco al dubbio interpetativo in oggetto.[19]

Altra questione di specifico interesse involge altra fattispecie, sottoposta al vaglio critico del Giudice delle Leggi e cioè il delitto di cui dell'art. 183 c.p.m.p., che prevede il reato di manifestazioni e grida sediziose[20].

In relazione a tale fattispecie la Consulta ha affermato che il termine “sedizioso” di per sé solo, appare esplicativo, in quanto contiene un significato inequivoco, siccome sinonimo di ribellione, sovversione, rivolta etc..

Si tratterebbe, pertanto, di una condotta oggettivamente interpretabile, in quanto portatrice di elementi agevolmente precepibili dall’ermeneuta, senza necessità di una soggettiva elaborazione che la debba estrapolare dell’ambito in cui si verte.

Ed ancora, va segnalato come la Corte Costituzionale chiamata a valutare il presunto contrasto dell'art. 15 l. 8 febbraio 1948 n. 47 (Disposizioni sulla stampa) - il quale,  sanziona penalmente, ai sensi dell'art. 528 c.p., l'utilizzazione di "stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il comune sentimento della morale e l'ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti" - con gli art. 3, 21 comma 6 e 25 cost., ha affermato che la norma in questione è conforme ai principi fondamentali, perché “la descrizione dell'elemento materiale del fatto-reato, indubbiamente caratterizzato dal riferimento a concetti elastici, trova nella tutela della dignità umana il suo limite”.[21]

Al di là della posizione assunta dalla Consulta sul tema specifico, condivisibile o meno (ma non è questo il problema che ci riguarda), ciò che rileva ai fini dell’individuazione del limite invalicabile del concetto di tassatività della norma penale in astratto (ma soprattutto in concreto ed in relazione all’art. 80 cit.) è la circostanza che, nonostante l’apparente elasticità de concetti, permane un substrato etico comune ad ogni concezione morale presente nella nostra società.

Il limite invalicabile, in tale campo, consiste, pertanto, nel divieto di  "turbare il comune sentimento della morale”.

Si tratta, pertanto, di un sentire comune dell’uomo che permette a chi sia capace d intendere e volere di discernere il bene dal male, senza, implicare da parte del magistrato una valutazione di natura discrezionale in ordine all’identificazione degli elementi costitutivi il reato sia come base, che come forma aggravata.

In proposito, ed a tranquillizzante conferma dell’assunto sin qui propugnato va, inoltre, richiamata una presa di posizione del Tribunale di Milano, (21/10/1999, in Foro Ambrosiano, 2001, 90), che, in relazione alla dedotta questione di legittimità costituzionale dell'art. 171 ter lett. c) l. n. 633 del 1941, ha precisato che l’assenza di specificazioni idonee a designare compiutamente gli elementi essenziali del reato, comporta la violazione del principio di tassatività della fattispecie penale, sancito dall'art. 25 comma 2 cost. .

La stessa S.C.[22] ha, per propria parte, sostenuto che il rispetto del principio di tassatività delle fattispecie penali viene osservato laddove norme che postulino elencazioni di condotte o situazioni rilevanti a fini di giudizio della sussistenza di un illecito, siano caratterizzate da chiarezza, precisione ed univocità.

Né siffatte elencazioni, siccome elementi costitutivi la fattispecie precettivo-materiale del reato, possono essere integrate attraverso la interpretazione giurisprudenziale.

D’altro canto la Consulta con pronunzia di rigetto della q.l.c. dell'art. 262 c.p., in riferimento all'art. 25 cost.[23], ha delineato chiaramente che due sono gli aspetti fondamentali  del principio di tassatività.

In primo luogo l’onere a carico del giudice di una preliminare lettura del complessivo quadro normativo che attiene alla materia specifica, di volta in volta devoluta al di lui giudizio.

In secondo luogo, il rinvenimento di una sufficiente specificazione dei presupposti, del carattere, del contenuto e dei limiti della condotta in base alla quale interviene la previsione della sanzione penale.

Talora, addirittura, l’accusa di genericità ed apparente indeterminatezza della norma penale può essere superata, in presenza di un evidente, preciso ed inconfutabile richiamo anche a convensioni internazionali

E’ il caso ad esempio della q.l.c. dell'art. 600 c.p., per contrasto con l'art. 25, comma 2, cost., ritenuta manifestamente infondata[24].

In buona sostanza, il pensiero dei Giudici della Consulta, pertanto, si perpetua con ostinata coerenza, in quanto la Corte ha più volte risolto il problema della indeterminatezza della fattispecie penale sulla base del medesimo processo argomentativo.

Con la pronunzia 27 gennaio 1995, n. 31 afferma che «le norme penali possono contenere, senza con ciò violare il principio di legalità, descrizioni sommarie, elementi valutativi, espressioni meramente indicative di comuni esperienze o termini presi dal linguaggio comunemente usato, purché siano comunque tali da permettere, attraverso l'ordinario procedimento di interpretazione, l'identificazione del bene tutelato dalle stesse norme.».

In tal modo l’ambito interpretativo, viene ampliato nel modo massimo possibile e giunge a ricomprendere anche l'applicazione di regole sottostanti alla norma  principale.

Tale excursus ideativo permetterebbe, in primis, l’identificazione in limiti apprezzabili dei termini e dell’oggetto del precetto normativo, presupposto per l’inflizione della sanzione e, parimenti, tutelerebbe il principio di legalità sotto tutti i profili, non ultimo quello della determinatezza.

Il ragionamento di fondo, però, non convince, in quanto non risolve, nonostante lo sforzo certamente apprezzabile, il problema dell’assoluta quanto impropria delegazione da parte del legislatore nei confronti del giudicante del dovere di colmare le evanescenze normative che si ravvisassero al momento dell’attuazione concreta della legge.

In pratica permarrebbe l’inaccettabile scelta, in base alal quale, colui che è chiamato ad applicare la legge, previa interpretazione e conoscenza del fatto, (il giudice) dovrebbe, in presenza di leggi carenti o vacue, rimodulare, di volta in volta, la norma giuridica che andrebbe ad attagliarsi al caso concreto.

Va, poi osservato come in relazione alla norma contenuta dall’art. 80 DPR 309/90 sia proprio l’assenza di elementi normativi di supporto o corollario, cioè di principi che garantiscano una minima certezza svincolata da concetti del tutto empirici, umorali ed astratti, che deve indurre a propendere per l’incostituizionalità della norma.

L’empirismo imperante, infatti, è desumibile dalla latitanza di qualsivoglia tipo di parametro valutativo, che abbia un minimo di natura oggettiva, costante e reiterata nel tempo.

La S.C.[25] sostiene che vadano richiamati, al fine che ci occupa, i seguenti criteri:

1.      l’individuazione dell’area di mercato cui la droga sarebbe destinata;

2.      la valutazione della capacità di assorbimento della stessa nel momento storico del rinvenimento o sequestro dello stupefacente;

3.      il periodo di tempo nel quale mercato assorbirebbe la quantità complessiva di stupefacente.

E’ evidente per chiunque, che i parametri indicati non siano affatto conseguenza diretta del dettato di altre norme, che si pongano come elemento di completamento del combinato disposto dalgil artt. 73 ed 80 DPR 309/90.

I canoni sopra indicati sono, per vero, ulteriore esaltazione dell’individualismo giuridico, inteso come onere del giudice di dare corpo, significato, attuazione e concretezza ad un principio di legge, che si per sé solo, se valutato in via astratta, appara insuscettibile di esprimere un effetto concreto.

Tale orientamento giurisprudenziale, inoltre, appare condizionato fortemente dalla concreta possibilità che il giudicante possa applicare, proprio unicamente in forza delle proprie convinzioni, solo alcuni dei parametri consigliati, ma non certo imposti o stabiliti in maniera cogente.

Si pensi solo alla circostanza che un recente intervento dei  giudici di legittimità svincola la valutazione di ingente quantitativo dal dato ponderale, potendolo, invece, ancorare a criteri ancor più impalpabili e generici quali “il tenore di conversazioni intercettate dalle quali possano desumersi le somme di denaro impiegate negli scambi e gli ingenti quantitativi acquistati o che, comunque, siano stati nella disponibilità dell'interessato”.[26]

La scelta della S.C. deve indurre ad una seria riflessione, proprio perché è sintomatica di una tipizzazione e legalizzazione di criteri che, sul piano probatorio e decisorio non dovrebbero, invece, avere cittadinanza.

In buona sostanza, pare proprio di potere e dovere affermare che si sta progressivamente sostituendo al dato cognitivo specifico, diretto e storico, il dato generico, indiretto, frutto di una elaborazione logico-valutativa.

Il rischio di sconfinare nell’arbitrio incontra il solo limite dell’onestà e del buon senso del giudicante.

Si pensi poi alla circostanza che, in tema di intercettazioni telefoniche ci si trova quotidianamente a dover decriptare termini fittizi e gergali che tengono luogo di espressioni dirette e che, quindi, si verte in ambito di valutazioni assolutamente soggettive.

Sicchè è palese che la S.C.  sia indirizzata proprio nella direzione opposta a quella che si intende propugnare, e cioè di un ritorno ad un maggiore rigore in relazione al principio di tassatività, quale espressione ulteriore del principo di legalità.

Lo stesso ritorno in talune pronuncie al criterio della saturazione (v. massima in nota n. 23), pur venendo applicato e rispettato, in pari tempo, l’orientamento contrario del rilevante numero dei tossicodipendenti,[27] è significativo dell’impostazione tutt’altro che unitaria e costantemente coerente, che vige in tema.

Appare, quindi, inammissibile in uno stato di diritto, informato, pertanto, ad una rigorosa ripartizione dei poteri, che una funzione quale quella legislativa, (ben distinta ed autonoma da quella giudiziaria), venga impropriamente, nella pratica, devoluta e delegata (nonché esercitata) al magistrato che, invece, siffatta attribuzione non ha avuto certo riconosciuta ex lege, né, tantomeno, richiesto.

Consegue, pertanto, la necessità che la posizione di politica giurisprudenziale, relativa all’aggravante in questione, sin qui criticata, venga aggiornata nel senso di sottoporre ad un vaglio di costituzionaltà la stessa.

Lo impone indubbiamente l’ormai consolidata giurisprudenza anche di legittimità, laddove la denunziata abnorme delegazione di poteri definitori la fattispecie è fuor di discussione.

Bisogna avere, pertanto, il coraggio di rivedere una posizione di chiusura che nel tempo si è rivelata fonte di rilevanti contrasti giurisprudenziali e di profonde incertezze, che minano indubbiamente i più elementari fondamenti dello stati di diritto.

 

Avv. Carlo Alberto Zaina


 

[1] L. 22.12.1975 n. 685 Art. 74 - (Aggravanti specifiche)  

1. Le pene previste per i delitti di cui all'art. 71 della presente legge sono aumentate da un terzo alla metà:

a) nei casi in cui le sostanze stupefacenti o psicotrope sono consegnate o comunque destinate a persona di età minore;

b) nei casi previsti dai nn. 2), 3) e 4) del primo comma dell'art. 112 del codice penale;

c) per chi ha indotto a commettere il reato, o a cooperare nella commissione del reato, persona dedita all'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope;

d) se il fatto è stato commesso da persona armata o travisata;

e) se le sostanze stupefacenti o psicotrope sono adulterate o commiste ad altre in modo che ne risulti accentuata la potenzialità lesiva;

f) se l'offerta o la cessione è finalizzata ad ottenere prestazioni sessuali da parte di persona tossicodipendente;

g) se l'offerta o la cessione è effettuata all'interno o in prossimità di scuole di ogni ordine o grado, comunità giovanili, caserme, carceri, ospedali, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti.

2. Se il fatto riguarda quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope, le pene sono aumentate dalla metà a due terzi; la pena è di trenta anni di reclusione quando i fatti previsti dai commi 1, 2 e 3 dell'art. 71 riguardano quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope e ricorre l'aggravante di cui alla lettera e) del comma 1 del presente articolo.

3. Lo stesso aumento di pena si applica se il colpevole per commettere il delitto o per conseguirne per sé o per altri il profitto, il prezzo o l'impunità ha fatto uso di armi.

4. Si applica la disposizione del secondo comma dell'art. 112 del codice penale.

5. Le sanzioni previste dall'art. 72-bis sono aumentate nella misura stabilita dal presente articolo quando ricorrono le circostanze ivi previste eccettuata quella indicata dal comma 2.

 

[2] Cass. pen., 12/01/1989, Eken, Riv. Pen., 1990, 94

[3] In proposito V. Cass 4.5.94, Bonsignore, RP, 1995, 415, che esclude ogni minima ocincidenza fra il concetto di mercato e quello di comune, attesa l’autonomia dell’organizzazione dello spaccio che, in grandi comuni, può essere frammentata.

[4] La disciplina penale degli stupefacenti, pag. 323, UTET, Torino, 1998.

[5] V. Daniele Armand Ugon in www.unicri.it/min.san.bollettino/bulletin/1999 “La nuova legge austriaca sulle tossicodipendenze: comparazione tra il consumatore italiano e quello austriaco”.

 

[6] Article 222-39(Loi nº 92-1336 du 16 décembre 1992 art. 354 et 373 Journal Officiel du 23 décembre 1992 en vigueur le 1er mars 1994) (Ordonnance nº 2000-916 du 19 septembre 2000 art. 3 Journal Officiel du 22 septembre 2000 en vigueur le 1er janvier 2002)
   La cession ou l'offre illicites de stupéfiants à une personne en vue de sa consommation personnelle sont punies de cinq ans d'emprisonnement et de 75000 euros d'amende.
   La peine d'emprisonnement est portée à dix ans lorsque les stupéfiants sont offerts ou cédés, dans les conditions définies à l'alinéa précédent, à des mineurs ou dans des centres d'enseignement ou d'éducation ou dans les locaux de l'administration.
   Les deux premiers alinéas de l'article 132-23 relatif à la période de sûreté sont applicables à l'infraction prévue par l'alinéa précédent 

[7] Article 222-34 (Loi nº 92-1336 du 16 décembre 1992 art. 354 et 373 Journal Officiel du 23 décembre 1992 en vigueur le 1er mars 1994)(Ordonnance nº 2000-916 du 19 septembre 2000 art. 3 Journal Officiel du 22 septembre 2000 en vigueur le 1er janvier 2002)    Le fait de diriger ou d'organiser un groupement ayant pour objet la production, la fabrication, l'importation, l'exportation, le transport, la détention, l'offre, la cession, l'acquisition ou l'emploi illicites de stupéfiants est puni de la réclusion criminelle à perpétuité et de 7500000 euros d'amende.
   Les deux premiers alinéas de l'article 132-23 relatif à la période de sûreté sont applicables à l'infraction prévue par le présent article.

 Article 222-35  (Loi nº 92-1336 du 16 décembre 1992 art. 354 et 373 Journal Officiel du 23 décembre 1992 en vigueur le 1er mars 1994) (Ordonnance nº 2000-916 du 19 septembre 2000 art. 3 Journal Officiel du 22 septembre 2000 en vigueur le 1er janvier 2002)                                                          La production ou la fabrication illicites de stupéfiants sont punies de vingt ans de réclusion criminelle et de 7500000 euros d'amende.

   Ces faits sont punis de trente ans de réclusion criminelle et de 7500000 euros d'amende lorsqu'ils sont commis en bande organisée.

  Les deux premiers alinéas de l'article 132-23 relatif à la période de sûreté sont applicables aux infractions prévues par le présent article.

 Article 222-36 (Loi nº 92-1336 du 16 décembre 1992 art. 354 et 373 Journal Officiel du 23 décembre 1992 en vigueur le 1er mars 1994) (Ordonnance nº 2000-916 du 19 septembre 2000 art. 3 Journal Officiel du 22 septembre 2000 en vigueur le 1er janvier 2002)                                        L'importation ou l'exportation illicites de stupéfiants sont punies de dix ans d'emprisonnement et de 7500000 euros d'amende.

 Ces faits sont punis de trente ans de réclusion criminelle et de 7500000 euros d'amende lorsqu'ils sont commis en bande organisée.

 Les deux premiers alinéas de l'article 132-23 relatif à la période de sûreté sont applicables aux infractions prévues par le présent article.

 Article 222-37(Loi nº 92-1336 du 16 décembre 1992 art. 354 et 373 Journal Officiel du 23 décembre 1992 en vigueur le 1er mars 1994) (Ordonnance nº 2000-916 du 19 septembre 2000 art. 3 Journal Officiel du 22 septembre 2000 en vigueur le 1er janvier 2002)                                                            Le transport, la détention, l'offre, la cession, l'acquisition ou l'emploi illicites de stupéfiants sont punis de dix ans d'emprisonnement et de 7500000 euros d'amende.

 Est puni des mêmes peines le fait de faciliter, par quelque moyen que ce soit, l'usage illicite de stupéfiants, de se faire délivrer des stupéfiants au moyen d'ordonnances fictives ou de complaisance, ou de délivrer des stupéfiants sur la présentation de telles ordonnances en connaissant leur caractère fictif ou complaisant

 Les deux premiers alinéas de l'article 132-23 relatif à la période de sûreté sont applicables aux infractions prévues par le présent article.

 Article 222-38 (Loi nº 92-1336 du 16 décembre 1992 art. 355 et 373 Journal Officiel du 23 décembre 1992 en vigueur le 1er mars 1994) (Loi nº 96-392 du 13 mai 1996 art. 2 Journal Officiel du 14 mai 1996) (Ordonnance nº 2000-916 du 19 septembre 2000 art. 3 Journal Officiel du 22 septembre 2000 en vigueur le 1er janvier 2002)                                                                                                   Est puni de dix ans d'emprisonnement et de 750000 euros d'amende le fait de faciliter, par tout moyen, la justification mensongère de l'origine des biens ou des revenus de l'auteur de l'une des infractions mentionnées aux articles 222-34 à 222-37 ou d'apporter son concours à une opération de placement, de dissimulation ou de conversion du produit de l'une de ces infractions.

La peine d'amende peut être élevée jusqu'à la moitié de la valeur des biens ou des fonds sur lesquels ont porté les opérations de blanchiment.

Lorsque l'infraction a porté sur des biens ou des fonds provenant de l'un des crimes mentionnés aux articles 222-34, 222-35 et 222-36, deuxième alinéa, son auteur est puni des peines prévues pour les crimes dont il a eu connaissance.

 Les deux premiers alinéas de l'article 132-23 relatifs à la période de sûreté sont applicables aux infractions prévues par le présent article.

 

[8] V. Romano-Bottoli La normativa sugli stupefacenti in ambito europeo, Carocci, 2002, pg. 101

[9] Artículo 375. Conservación o financiación de plantaciones. El que sin permiso de autoridad competente cultive, conserve o financie plantaciones de marihuana o cualquier otra planta de las que pueda producirse cocaína, morfina, heroína o cualquiera otra droga que produzca dependencia, o más de un (1) kilogramo de semillas de dichas plantas, incurrirá en prisión de seis (6) a doce (12) años y en multa de doscientos (200) a mil quinientos (1.500) salarios mínimos legales mensuales vigentes. Si la cantidad de plantas de que trata este Artículo excediere de veinte (20) sin sobrepasar la cantidad de cien (100), la pena será de cuatro (4) a seis (6) años de prisión y multa de diez (10) a cincuenta (50) salarios mínimos legales mensuales vigentes.                                                                                       Artículo 376. Tráfico, fabricación o porte de estupefacientes. El que sin permiso de autoridad competente, salvo lo dispuesto sobre dosis para uso personal, introduzca al país, así sea en tránsito o saque de él, transporte, lleve consigo, almacene, conserve, elabore, venda, ofrezca, adquiera, financie o suministre a cualquier título droga que produzca dependencia, incurrirá en prisión de ocho (8) a veinte (20) años y multa de (1.000) a cincuenta mil (50.000) salarios mínimos legales mensuales vigentes.

  Si la cantidad de droga no excede de mil (1.000) gramos de marihuana, doscientos (200) gramos de hachís, cien (100) gramos de cocaína o de sustancia estupefaciente a base de cocaína o veinte (20) gramos de derivados de la amapola, doscientos (200) gramos de metacualona o droga sintética, la pena será de cuatro (4) a seis (6) años de prisión y multa de dos (2) a cien (100) salarios mínimos legales mensuales vigentes.  

 Si la cantidad de droga excede los límites máximos previstos en el inciso anterior sin pasar de diez mil (10.000) gramos de marihuana, tres mil (3.000) gramos de hachís, dos mil (2.000) gramos de cocaína o de sustancia estupefaciente a base de cocaína o sesenta (60) gramos de derivados de la amapola, cuatro mil (4.000) gramos de metacualona o droga sintética, la pena será de seis (6) a ocho (8) años de prisión y multa de cien (100) a mil (1.000) salarios mínimos legales mensuales vigentes.

 

[10] Matteo Ferrari -Svizzera Droghe, cambia la legge federale, in www.fuoriluogo.it

[11] Art. 19 Lstup 1. Chiunque, senza essere autorizzato, coltiva piante da alcaloidi o canapa per produrre stupefacenti,

chiunque, senza essere autorizzato, fabbrica, estrae, trasforma o prepara stupefacenti,

chiunque, senza essere autorizzato, deposita, spedisce, trasporta, importa, esporta o transita stupefacenti,

chiunque, senza essere autorizzato, offre, distribuisce, vende, negozia per terzi, procura, prescrive, mette in commercio o cede stupefacenti,

chiunque, senza essere autorizzato, possiede, detiene, compera o acquista in altro modo stupefacenti,

chiunque fa preparativi a questi scopi,

chiunque finanzia un traffico illecito di stupefacenti o serve da intermediario per il suo finanziamento,

chiunque pubblicamente istiga al consumo di stupefacenti o rivela la possibilità di acquistarli o di consumarli,

è punito, se ha agito intenzionalmente, con la detenzione o con la multa.

 Nei casi gravi la pena è della reclusione o della detenzione non inferiore a un anno, cui può essere cumulata una multa fino a 1 milione di franchi.

2. Un caso grave è dato, in particolare, se l’autore

a. sa o deve presumere che l’infrazione si riferisce a una quantità di stupefacenti che può mettere in pericolo la salute di parecchie persone;

b. agisce come membro di una banda, costituitasi per esercitare il traffico illecito di stupefacenti;

c. realizza, trafficando per mestiere, una grossa cifra d’affari o un guadagno considerevole.

3. Se le infrazioni di cui al numero 1 sono commesse per negligenza, la pena è della detenzione fino a un anno, dell’arresto o della multa.

4. L’autore di un reato commesso all’estero, arrestato in Svizzera e non estradato, è parimente punito secondo le disposizioni dei numeri 1 e 2, se l’atto è anche punibile nel Paese in cui è stato commesso.

 

54 Nuovo testo giusta il n. I della LF del 20 mar. 1975, in vigore dal 1° ago. 1975

(RU 1975 1220 1228; FF 1973 I 1106).

[12] V. per tutte Cass. 25.8.2000 n. 9346 e Cass. 29.9.199 n. 11244

[13] In tema di stupefacenti, quando la circostanza attenuante ad effetto speciale della lieve entità del fatto, prevista dall'art. 73 comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, concorre con una circostanza aggravante, si applica la previsione dell'art. 69 comma 4 c.p., ossia l'obbligatorio giudizio di comparazione - con la conseguenza che, in caso di equivalenza, la pena è determinata senza tener conto di alcuna delle circostanze (art. 69 comma 3) - e non la disposizione dell'art. 63 comma 3 stesso codice, che riguarda esclusivamente il concorso di circostanze omogenee.

Cass. pen., Sez.VI, 15/10/2002, n.37016, Mazzei, CED Cassazione, 2002, RV222845

Ed ancora Cass. pen., Sez.IV, 12/12/1997, n.2070, Vassallo

In materia di reati concernenti le sostanze stupefacenti nel fatto di lieve entità va ravvisata una circostanza attenuante ad effetto speciale, ai sensi dell'art. 63, comma 3, c.p., che non si sottrae al giudizio di comparazione ex art. 69 comma 4 c.p., con le aggravanti eventualmente contestate (nella specie, la recidiva).

[14]  La disciplina penale degli stupefacenti cit. pag. 226;

[15] Amato – Fidelbo, 1994, 179.

[16]Cass. pen., sez. I, 03/07/2003, n.32324, Scarpitta, CED Cassazione, 2003

In tema di esigenze cautelari, il concreto pericolo di recidivanza può esser desunto anche dalle specifiche modalità e circostanze del fatto-reato. Invero la negativa valutazione della personalità dell'indagato ben può fondarsi sugli specifici criteri oggettivi indicati dall'art 133 c.p. (tra i quali rientrano, appunto, la gravità del reato e le modalità della sua commissione), senza che il giudice sia tenuto a motivare singolarmente sulla ricorrenza di tutti gli elementi valutativi previsti dal predetto articolo. (Fattispecie relativa al prelievo fraudolento da parte dell'indagato di circa 70 milioni con false carte di credito di cui al reato ex art. 12 della legge 5 luglio 1991 n. 197. La Cassazione, nell'enunciare il principio sopra esposto, ha rigettato il ricorso dell'indagato osservando che correttamente il giudice di merito aveva motivato in ordine alla pericolosità sociale di quest'ultimo, ponendo in evidenza l'uso, da parte di costui, di sofisticate apparecchiature di rilevante valore economico, il fatto che i prelievi erano stati compiuti in diverse località, il rinvenimento nella disponibilità dell'indagato di numerose tessere bancomat, nonché apprezzando altre circostanze che stavano a provare, tanto la reiterazione del comportamento criminoso, quanto la possibilità che esso potesse essere ripetuto un numero indefinito di volte).

[17] Cass. pen., sez. II, 28/01/2004, n.7976, Arena, Guida al Diritto, 2004, 20, 88

In tema di esigenza cautelare costituita dal pericolo di reiterazione di reati della stessa indole, prevista dall'articolo 274, comma 1, lettera c), del c.p.p, la pericolosità sociale dell'indagato deve risultare congiuntamente dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla sua pericolosità. Peraltro, nulla impedisce di attribuire alle medesime modalità e circostanze di fatto una duplice valenza, sia sotto il profilo della valutazione della gravità del fatto, sia sotto il profilo dell'apprezzamento della capacità a delinquere: in vero, le specifiche modalità e circostanze del fatto ben possono essere prese in considerazione anche per il giudizio sulla pericolosità dell'indagato, costituendo la condotta tenuta in occasione del reato un elemento specifico assai significativo per valutare la personalità dell'agente.

 

[18] In Dir. Famiglia, 1999, 60, nota di ROMANO, in Giur. It., 1999, 830, nota di INZERILLO, ed in Riv. Pen., 1999, 153

[19] L'inciso "ponendo in essere altri comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento dei fatti materiali" di cui all'art. 4 comma 1 lett. f) l. n. 516 del 1982, non viola il principio di tassatività di cui all'art. 25 comma 2 cost., in quanto tale norma deve essere letta ed interpretata all'interno del contesto sistematico, reso evidente dalla disposizione incriminatrice, in riferimento ad altre e più puntuali locuzioni impiegate dal legislatore, senza che possa essere riscontrabile alcun alone di indeterminatezza.

Trib. Milano, 08/02/1999, Dir. e prat. soc., 2000, f.1, 83

[20] Corte cost., 21/11/2000, n.519, Pres. Cons., Giur. Costit., 2000, f. 6, Dir. Pen. e Processo, 2001, “E' infondata la q.l.c., in riferimento agli art. 25 comma 2, 52 comma 3, 21, 24 comma 2, 112 e 3 cost., dell'art. 183 c.p.m.p., che prevede il reato di manifestazioni e grida sediziose, per la dedotta violazione del principio di legalità, a causa della mancanza di determinatezza e tassatività della fattispecie incriminatrice. Sulla base del risalente e ormai consolidato indirizzo della giurisprudenza costituzionale (sentt. n. 15 del 1973, 120 del 1957, 30 del 1982, 126 del 1985, 24 del 1989; ord. n. 57 del 1982), seguito dalla giurisprudenza comune, gli estremi per qualificare come "sediziosa" la condotta incriminata risultano determinati con sufficiente precisione, essendo le manifestazioni e grida sediziose penalmente rilevanti solo quelle che denotano oggettivamente ostilità e ribellione nei confronti delle istituzioni e dell'ordinamento militare, espresse in circostanze di fatto e con modalità tali da essere idonee a suscitare reazioni violente e sovvertitrici dell'ordine e della disciplina militare, e non quelle che esprimono generico malcontento, ovvero forme di protesta, di critica e di dissenso, che siano esercizio del diritto di manifestare pubblicamente e liberamente il proprio pensiero, riconosciuto anche ai militari (art. 9 l. n. 382 del 1978); nè sussiste disparità di trattamento fra civili e militari, perchè la diversità di disciplina tra ordinamento penale comune, dove il reato di grida e manifestazioni sediziose stato depenalizzato, e militare rileverebbe solo laddove non fosse riscontrabile una differenza di oggettività giuridica dell'illecito, che nel reato militare si specifica in relazione alla tutela della disciplina e alla coesione delle Forze armate.

[21] Non è fondata, con riferimento agli art. 3, 21 comma 6 e 25 cost., la q.l.c. dell'art. 15 l. 8 febbraio 1948 n. 47 (Disposizioni sulla stampa) - il quale, nel sanzionare penalmente, ai sensi dell'art. 528 c.p., l'utilizzazione di "stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il comune sentimento della morale e l'ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti", lederebbe il principio di tassatività e determinatezza della fattispecie, quello della libertà di stampa e i principi di ragionevolezza e eguaglianza, perchè non offrirebbe idoneo fondamento giustificativo alla punizione di coloro che diffondano siffatte immagini - in quanto la disposizione impugnata, estesa anche al sistema radiotelevisivo pubblico e privato dall'art. 30 comma 2 l. 6 agosto 1990 n. 223, non intende andare al di là del tenore letterale della formula quando vieta gli stampati idonei a "turbare il comune sentimento della morale", vale a dire, non soltanto ciò che è comune alle diverse morali del nostro tempo, ma anche alla pluralità delle concezioni etiche che convivono nella società contemporanea, e cioè il contenuto minimo del rispetto della persona umana, valore che anima l'art. 2 cost., alla luce del quale va letta la previsione incriminatrice denunciata; sicchè, la descrizione dell'elemento materiale del fatto-reato, indubbiamente caratterizzato dal riferimento a concetti elastici, trova nella tutela della dignità umana il suo limite.

Corte cost., 17/07/2000, n.293, Corvi C. Pres. Cons., Giur. Costit., 2000, 2239, Dir. Informazione e Informatica, 2000, 617

[22] Cass. pen., sez. III, 28/09/1998, n.11915, Galasso, Cass. Pen., 2000, 745;

conf. Cass. pen., sez. III, 08/04/1997, n.5524, Bertagnolli e altri, Cass. Pen., 1998, 2465, Riv. Trim. Dir. Pen. Economia, 1997, 1353;

Cass. pen., sez. III, 16/12/1997, n.1790, Iacobucci, Riv. Trim. Dir. Pen. Economia, 1997, 1349, Giust. Pen., 1998, II, 572, Urbanistica e appalti, 1998, 1363, nota di BRUNO

[23] Corte cost., 28/06/2002, n.295, B.G. C. Pres. Cons., Giur. Costit., 2002, 2122, nota di PISA, SCOPINARO; BONZANO, Cass. Pen., 2002, 3435

[24] La norma in questione, a parere dei giudici di legittimitàivo non lederebbe i principi di tassatività e di determinatezza, dato che il suo contenuto può essere individuato nelle situazioni di fatto indicate dall'art. 1 della convenzione di Ginevra del 1956..

Cass. pen., sez. V, 06/12/2000, n.10311, Bali e altri, Studium juris, 2001, 957

[25] “Ai fini della configurabilità della circostanza aggravante prevista dall'art. 80 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, il concetto di quantità rilevante è relativo e deve essere rapportato all'area di mercato considerata in un determinato momento storico e al periodo di tempo necessario a quel mercato per assorbire o esaurire la quantità destinata allo spaccio, spettando al giudice del merito stabilire, di volta in volta, le condizioni in base alle quali può dirsi realizzata tale saturazione del mercato, dando adeguata giustificazione, per un verso, su quale sia l'area di mercato cui la droga detenuta è destinata - intendendosi per mercato non solo l'area territoriale, ma anche la presumibile quantità di domanda che l'offerta dello stupefacente è destinata a soddisfare - e su quali siano i criteri di individuazione dell'area stessa e, per altro verso, su quale sia il periodo nel quale possa durare la saturazione del mercato, dato che, per questo aspetto temporale, il periodo di diffusività è tanto maggiore quanto più lungo è il tempo di saturazione, non potendosi definire ingente un quantitativo che saturi il mercato in breve periodo, sì che la sua pericolosità si esaurisca presto. (Nella specie, si è ritenuto che circa 30 kg. di hashish, nelle condizioni di mercato considerate, fossero sufficienti a integrare la circostanza aggravante in argomento).

Cass. pen., sez. VI, 10/04/2003, n.29702,  Dattilo, CED Cassazione, 2003

 

[26] Cass. pen., sez. VI, 21/03/2003, n.26720,Stelo, Guida al Diritto, 2003, 44, 84

[27] La circostanza aggravante speciale dell'ingente quantità di sostanza stupefacente prevista dall'art. 80, comma secondo, del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, la cui "ratio legis" è da ravvisare nell'incremento del pericolo per la salute pubblica, ricorre ogni qualvolta il quantitativo di sostanza oggetto di imputazione, pur non raggiungendo valori massimi, sia tale da creare condizioni di agevolazione del consumo nei riguardi di un rilevante numero di tossicodipendenti, secondo l'apprezzamento del giudice del merito che, vivendo la realtà sociale del comprensorio territoriale nel quale opera, è da ritenersi in grado di apprezzare specificamente la ricorrenza di tale circostanza.

Cass. pen., sez. II, 08/04/2003, n.19944, Cela, CED Cassazione, 2003

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* Carlo Alberto Zaina. Avvocato in Rimini.

 


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