I
brevetti che hanno per oggetto un composto chimico, come peraltro le invenzioni
in qualsiasi altro settore scientifico e tecnico, devono possedere i requisiti
di novità, originalità e industrialità, come stabilito dagli articoli 14[1], 16[2]
e 17[3]
della Legge invenzioni (l.i.), nonché dagli artt. 54, 56 e 57 della Convenzione
sulla concessione di brevetti europei (CBE).
Tuttavia essi presentano alcune peculiarità che, come osserva il prof. Di
Cataldo, li rendono “soggetti a regole parzialmente diverse” [1] rispetto
per esempio ai brevetti della meccanica.
In primis occorre rilevare il problema dell’individuazione del trovato che,
nel caso in cui il nuovo composto non sia identificabile con una formula di
struttura, si può risolvere mediante la caratterizzazione chimico – fisica o
la descrizione del metodo di sintesi del prodotto.
Un’altra questione riguarda l’uso delle formule generiche, ossia di formule
di struttura caratterizzate da uno scheletro attivo e da gruppi terminali
variabili (entro una serie definita) e pertanto oggetto del brevetto non sarà
un singolo composto ma una classe di composti, le cui proprietà chimico
–fisiche e/o farmacologiche possono comunque differire.
La formula generale non deve comprendere miliardi o addirittura un numero
infinito di composti [2]. Inoltre è preferibile che: la formula si riferisca a
una sola classe di composti, ciascuno dei gruppi funzionali variabili sia
rappresentato negli esempi (ovvero si debba trovare traccia del composto
selezionato nella descrizione e che quest’ultimo non sia rivendicato in una
domanda successiva), il numero dei composti compresi nella formula sia definito
e tali composti siano sintetizzabili. [3].
Uno
degli argomenti più dibattuti in dottrina riguarda l’estensione del brevetto
che ha per oggetto un prodotto chimico [4, 5, 6]. Due sono le teorie proposte:
secondo una prima teoria la tutela conferita è “assoluta”, ovvero
garantisce la protezione più ampia possibile, in modo tale che si incorre nella
contraffazione del prodotto oggetto della privativa in base alla mera
produzione, vendita o importazione dello stesso, indipendentemente da
circostanze specifiche quali modalità di presentazione, effetto ricercato, uso
consigliato o settore d’impiego [7]. In questo caso una nuova ed originale
utilizzazione di una sostanza nota, già oggetto di un precedente diritto di
privativa, è sì brevettabile ai sensi dell’articolo 14 l.i. ultimo comma[4]
(considerata lex specialis che deroga al principio secondo cui l’invenzione
di prodotto concerne il prodotto in sé indipendentemente dal suo uso), ma come
invenzione dipendente (art. 5 l.i.[5]).
La seconda teoria, propugnata principalmente da Di Cataldo [8] e Floridia [9],
è focalizzata sul fatto che le invenzioni chimiche sono limitate all’uso e
che pertanto il corrispondente brevetto non è dipendente dal brevetto di
prodotto precedente. Lo scopritore del nuovo uso di una sostanza già nota e
brevettata non è tenuto così a chiedere nessuna licenza a colui che ha
brevettato quel prodotto.
L’orientamento di maggioranza, seguito anche dall’Ufficio Europeo Brevetti (EPO),
è comunque quello di accordare al brevetto di prodotto una tutela assoluta ed
estesa a tutte le sue utilizzazioni, conosciute o meno che siano [10],
considerando pertanto lex specialis la
norma che prevede la possibilità di un brevetto d’uso per le nuove
utilizzazioni di sostanze già note.
Un
altro problema riscontrato nei brevetti chimici riguarda i requisiti di
brevettabilità, in particolare per ciò che concerne il livello inventivo.
Un’invenzione è nuova quando è diversa dalla tecnica nota e non ovvia (non
– ovvietà e originalità sono sinonimi di attività inventiva) quando è
sufficientemente o significativamente diversa dalla tecnica nota [11]. Secondo
il prof. Franzosi “una soluzione tecnica
manca di novità non solo quando è fotograficamente identica ad una soluzione
contenuta nella tecnica nota, ma anche quando è considerata dall’esperto
[…] come una variazione non sostanziale”.
La differenza fondamentale tra novità e originalità riguarda il fatto che “solo
alcune anteriorità significative per
la valutazione della novità sono rilevanti per l’originalità”
(l’art. 56 CBE stabilisce infatti che “[…] se lo stato della tecnica
comprende documenti di cui all’art. 54, paragrafo 3[6],
questi documenti non sono presi in considerazione per l’apprezzamento
dell’attività inventiva”).
Alcuni fattori che assicurano la novità nelle invenzioni chimiche sono da
attribuire a: l’isolamento e la caratterizzazione del composto da fonti
naturali, piccole modifiche chimiche, la risoluzione di un enantiomero da una
miscela racemica, modifiche conformazionale e/o funzionali (per es. nei
polimeri), la selezione di un composto specifico da una formula generica.
Per quanto riguarda l’attività inventiva, occorre definire il problema
tecnico da risolvere con l’invenzione e valutare se l’invenzione è ovvia
per una persona esperta nel settore. Questo è il modo di procedere dell’EPO,
che applica il c.d. “problem
solution approach” e che consiste nei seguenti passaggi: a)
identificare la tecnica anteriore più recente, valutando differenze
chimico/funzionali dell’invenzione con l’arte nota più simile; b)
individuare il risultato tecnico dell’invenzione in esame rispetto alla “closest prior art”, c) definire il problema tecnico che il
risultato tecnico ha risolto, d) stabilire se “il tecnico medio del
settore”, avendo presente la “closest prior art”, sia in grado di giungere
al risultato tecnico dell’invenzione. Occorre pertanto valutare l’ovvietà
delle differenze chimico/funzionali alla luce del problema tecnico, tenendo
presente che minori sono le differenze, maggiore è la necessità di “effetti
sorprendenti”.
È doveroso comunque evidenziare l’estrema soggettività del requisito
dell’attività inventiva, come ha sostenuto in più occasioni il prof.
Bianchetti [12, 13], affermando che “quasi
tutti i procedimenti brevettati […] consistono
nell’applicazione di reazioni non soltanto note da decenni, spesso da più
d’un secolo, ma quasi sempre facenti parte delle conoscenze generali di base
d’ogni laureato in chimica”.
I
composti chimici intermedi (ovvero quei prodotti chimici che rappresentano un
passaggio obbligato del procedimento di sintesi e la
cui struttura viene successivamente modificata attraverso la formazione di nuovi
legami) devono possedere i classici requisiti di novità, originalità e
industrialità per poter essere brevettati. In particolare per quanto concerne
l’attività inventiva, un intermedio viene considerato originale qualora sia
“la causa degli effetti sorprendenti del composto finale ottenuto”
[14], ovvero allorché riesca a trasferire al prodotto finale peculiarità
strutturali tali da attribuirgli effetti o proprietà superiori (principio della
“contributing cause”) [15].
Pertanto l’intermedio, oltre ad essere isolabile e caratterizzabile, “deve
fornire un contributo strutturale ai prodotti
successivi. Si valuta quindi lo stato della tecnica ed in particolare quelle
aree della chimica che comprendono composti collocabili per analogia strutturale
vicino o all’intermedio stesso o ai composti finali, per stabilire se
effettivamente l’intermedio implichi un’attività inventiva, come richiesto
dall’art. 56 CBE” [16].
Inoltre in giurisprudenza il livello inventivo del composto intermedio è stato
riconosciuto nei seguenti casi: se il prodotto finale è nuovo e presenta
vantaggi sorprendenti, se è originale il procedimento di trasformazione
dell’intermedio nel prodotto, la fase di sintesi dell’intermedio stesso
oppure il procedimento complessivo per ottenere il prodotto.
Si
hanno invenzioni di selezione quando è possibile, nell’ambito di una classe
di composti definita da una formula generale, individuare una sottoclasse o un
composto, a cui ricollegare particolari effetti tecnici e conseguentemente un
progresso tecnico, se si verifica una di queste tre ipotesi: a) il composto
selezionato possiede un diverso effetto tecnico (qualitativo) rispetto agli
altri componenti della classe; b) se quest’effetto è più intenso
(quantitativo); c) se eventuali effetti nocivi propri della classe sono ridotti
o assenti (negativo) [17].
La novità nelle invenzioni di selezione (che sono dipendenti da un brevetto
base) non è data dal prodotto in sé considerato ma dall’uso per un
determinato fine.
L’uso
del brevetto nell’industria chimico – farmaceutica e biotecnologica è
divenuto ormai di vitale importanza strategica, in quanto consente
l’ottenimento della protezione dell’innovazione industriale, il
conseguimento di ritorni economici, nonché il recupero dei notevoli
investimenti profusi in ricerca e sviluppo. L’altro tipo di protezione
riguarda il “know-how”, definito
nell’articolo 10 del Regolamento CE 31 gennaio 1996, n. 240 come “un
insieme di informazioni tecniche segrete, sostanziali e identificate in una
qualsiasi forma appropriata”. Il know-how è molto difficile mantenerlo
segreto soprattutto nel settore chimico – farmaceutico per varie ragioni, tra
cui il turnover del personale, e si applica soltanto nei primi passaggi di un
processo di sintesi a più stadi.
L’utilizzo di tale privativa in ambito chimico – farmaceutico e
biotecnologico possiede una triplice funzione, ovvero difensiva, offensiva e
negoziale [18].
L’uso “offensivo” si esplica per esempio nel monitoraggio dell’attività
dei concorrenti, cercando di invalidare gli altrui titoli di proprietà
intellettuale, semplicemente presentando opposizione, che nel sistema europeo è
una procedura posposta alla concessione e “si
identifica in un procedimento centralizzato di revoca e/o limitazione del titolo
già rilasciato” [19].
L’uso “negoziale” del brevetto per invenzione si riferisce al fatto che è
possibile concedere licenze di brevetto e/o know-how incrociate, che hanno la
funzione di evitare conflitti legali, nonché il blocco commerciale di entrambe
le parti. Importante è dunque capire il momento opportuno in cui brevettare,
che “nasce da un compromesso tra l’esigenza di capire l’invenzione,
dimostrando che funziona e la necessità di minimizzare il rischio di essere
anticipati dai concorrenti”.
Generalmente
un programma di ricerca industriale inizia con la definizione del suo scopo.
Il passaggio successivo consiste nel delineare il problema tecnico, che può
essere risolto dando luogo ad un risultato
tecnico, che si ottiene facendo operare una forza su di un oggetto [20].
Una volta definito il problema tecnico, è necessario reperire dallo stato della
tecnica (costituita sia dalle pubblicazioni scientifiche sia dai brevetti) tutte
quelle informazioni che potrebbero essere rilevanti per la sua soluzione. Le
altre fasi riguardano la formulazione dell’ipotesi (che è l’affermazione di
un possibile rapporto di causa ad effetto), la verifica della stessa (che
potrebbe mettere in luce nuovi problemi, da cui potrebbero partire programmi di
ricerca “derivati”), l’ottimizzazione e la determinazione dei contorni.
I problemi della protezione brevettuale si pongono proprio durante la fase di
ottimizzazione, nel senso che se i ricercatori attendono sino a questo punto per
presentare qualsiasi domanda di brevetto, corrono
il rischio di non avere nessuna protezione giuridica per i risultati ottenuti
[21]. Per ottimizzare una ricerca, occorre divulgarne (almeno in modo parziale)
l’oggetto (per esempio prove cliniche su un farmaco non possono effettuarsi
senza comunicare la natura del medicamento da somministrare), ma la divulgazione
dell’invenzione (almeno nel sistema europeo) ne impedisce la brevettabilità,
dal momento che il sistema europeo si basa sul concetto di novità assoluta.
L’accordo
TRIPS, firmato nell’ambito del General
Agreement on Tariffs and Trade (GATT), ha stabilito gli standard minimi di
protezione della proprietà intellettuale, con la conseguenza che in tutti i
Paesi che hanno sottoscritto tale accordo è stata o sarà introdotta la
protezione per i brevetti chimici e farmaceutici. In Italia prima del 1978 non
era possibile depositare domande di brevetto aventi per oggetto prodotti e/o
procedimenti chimico – farmaceutici; in India prima dell’ordinanza
promulgata il 31 dicembre 1994 per modificare la Legge brevettuale in base
all’ accordo TRIPS, la concessione di brevetti nel settore chimico –
farmaceutico era limitata solo ai procedimenti.
Un altro aspetto importante dei TRIPS riguarda l’armonizzazione della durata
della protezione brevettuale, che ora è di venti anni dalla data di deposito
della domanda; per quanto riguarda i farmaci tale periodo di esclusiva è
soltanto teorico e l’effettiva durata di un brevetto avente ad oggetto
un’invenzione farmaceutica è di otto – dieci anni.
Nel settore farmaceutico infatti, rispetto agli altri campi della tecnica, per
poter commercializzare un medicamento è necessario ottenere l’autorizzazione
all’immissione in commercio (AIC) da parte del competente Ministero della
Sanità, previa presentazione della documentazione relativa ai risultati delle
sperimentazioni cliniche sul farmaco.
Con l’introduzione del certificato protettivo complementare, mediante i
regolamenti comunitari n. 1768/92 del 18 giugno 1992 e n. 1610/96 dell’ 8 agosto
1996, è stato possibile estendere il diritto di esclusiva per le invenzioni
“farmaceutiche”, restituendo ai titolari di brevetto il tempo speso prima
dello sfruttamento commerciale delle invenzioni conseguite [22].
Il certificato è stato concepito per promuovere la ricerca di nuovi medicinali,
in modo che la durata di protezione che esso attribuisce, combinato con la
durata della tutela effettiva
tramite brevetto, sia sufficiente da permettere di ammortizzare gli alti costi
degli investimenti effettuati nella ricerca [23].
La durata del certificato si calcola facendo la differenza tra la data del
deposito della domanda di brevetto di base e la data della prima autorizzazione
all’immissione in commercio e sottraendo a tale risultato un numero di anni
pari a cinque. Inoltre la durata del certificato non può essere superiore a
cinque anni a decorrere dalla data in cui il certificato acquista efficacia e si
deve sommare alla vita residua del brevetto.
Tale certificato, che può essere richiesto dal titolare del brevetto o dal suo
avente diritto con una domanda che deve essere depositata entro sei mesi dalla
data di rilascio dell’AIC o nel caso in cui l’autorizzazione giunga prima
della concessione del brevetto, entro sei mesi dalla data di concessione del
brevetto, conferisce gli stessi diritti ed obblighi del brevetto [24, 25, 26].
L’oggetto della protezione copre il principio attivo e i suoi derivati (sali o
esteri) rivendicati nel brevetto e non è limitato alla specialità farmaceutica
[1] V. Di Cataldo – I brevetti per invenzione e per modello Artt. 2584 2594 – Volume della serie “Il codice civile – Commentario” diretto da Piero Schlesinger, Giuffrè editore (2000), seconda edizione, pag. 129;
[2] G. Bianchetti, Dir. Ind. (1996), n. 7, pagg. 541 – 543.
[3] G. Bianchetti – L’oggetto del brevetto chimico – in “I nuovi brevetti” a cura di A. Vanzetti, Giuffrè editore (1995), pagg. 79 – 96;
[4] G. Dragotti, Riv. Dir. Ind. (1995) Parte I, pagg. 156 – 173;
[5] M. Bellenghi, Riv. Dir. Ind. (1986) Parte I, pagg. 183 – 208;
[6] P. Marsico, Riv. Dir. Ind. (1990) Parte I, pagg. 262 – 285;
[7] P. Gerli – La tutela delle invenzioni chimiche e farmaceutiche – Intervento presso il Master in Industrial Property Management – Milano 17.01.2003;
[8] V. Di Cataldo, Riv. Dir. Comm. (1985) Parte I, pagg. 277 – 350;
[9] G. Floridia, Riv. Dir. Ind. (1988) Parte I, pagg. 46 – 55;
[10] M. Scuffi, Dir. Ind. (2002), n. 4, pagg. 340 – 346;
[11] M. Franzosi, Riv. Dir. Ind. (2001) Parte I, pagg. 63 – 79;
[12] G. Bianchetti – L’oggetto del brevetto chimico – op. cit. nota 3;
[13] G. Bianchetti, G. Pifferi – L’attività inventiva nei brevetti chimici e biotecnologici – Notiziario dell’ordine dei consulenti in proprietà industriale, Anno XV – n. 3 – Novembre 2000;
[14] G. Bergomi – La tutela brevettuale dell’intermedio – in “I nuovi brevetti” a cura di A. Vanzetti, Giuffrè editore (1995), pagg. 97 – 118;
[15] R. Sgarbi, Riv. Dir. Ind. (1990) Parte I, pagg. 330 – 347;
[16] M. Boni, Riv. Dir. Ind. (1994) Parte II, pagg. 117 – 125;
[17] E. Luzzatto, Riv. Dir. Ind. (1990) Parte I, pagg. 299 – 315;
[18] S. Panossian – La protezione brevettuale nell’industria farmaceutica – in “Brevetti e marchi farmaceutici – Problematiche e sviluppi”, giornata di studio organizzata dal Gruppo Scientifico Italiano Studi e Ricerche (GSISR) il 15 maggio 2002;
[19] M. Scuffi – Diritto processuale dei brevetti e dei marchi – Casa editrice Giuffrè (2001), pag. 70;
[20] M. Franzosi – Il Brevetto: quale tutela? – Quaderni di giurisprudenza commerciale n. 169, Casa editrice Giuffrè (1994), pag. 200;
[21] E. Luzzatto, Riv. Dir. Ind. (1990) Parte I, pagg. 234 – 246;
[22] G. Del Corno, Riv. Dir. Ind. (1998) Parte I, pagg. 47 – 59;
[23] L. Liuzzo, Riv. Dir. Ind. (1993) Parte I, pagg. 241 – 246;
[24] M. Bosshard, Riv. Dir. Ind. (1998) Parte I, pagg. 60 – 70;
[25] D. Pallini, Dir. Ind. (1994) n. 5, pagg. 427 – 432;
[26] G. Bianchetti, Dir. Ind. (1998) n. 3, pagg. 198 – 204.
(*) Dott. Massimo
Barbieri.
Chimico. E-mail: barbieri.ma@libero.it
[1] “Un’invenzione è considerata nuova se non è compresa nella stato della tecnica”. […]
[2] “Un’invenzione è considerata come implicante una attività inventiva se, per una persona esperta del ramo, essa non risulta in modo evidente dallo stato della tecnica.” […]
[3] “Una invenzione è considerata atta ad avere una applicazione industriale se il suo oggetto può essere fabbricato o utilizzato in qualsiasi genere di industria, compresa quella agricola.”
[4] […] “Le disposizioni dei precedenti commi non escludono la brevettabilità di una sostanza o di una composizione di sostanze già compresa nello stato della tecnica, purché in funzione di una nuova utilizzazione”.
[5] “Il brevetto per invenzione industriale, la cui attuazione implichi quella di invenzioni protette da precedenti brevetti per invenzioni industriali ancora in vigore, non può essere attuato, né utilizzato, senza il consenso dei titolari di questi ultimi”.
[6] Domande anteriori di brevetto che vengono pubblicate successivamente.