SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Rubrica a
cura dell'avv. Antonino Sgroi di Roma

 

 

 

 

B. MORTARA GARAVELLI, Le parole e la giustizia, Torino, Einaudi, 2001.

 

 

L’Autrice, docente di Grammatica italiana, autodefinisce lo scritto come «Divagazioni grammaticali e retoriche sui testi giuridici italiani». 
Malgrado questo sottotitolo, all’apparenza leggero e che può richiamare alla memoria il «divertimento» intellettuale di un non giurista sui «sacri» testi, deve prendersi atto di una ricerca condotta con rigore scientifico su materie, quali il metodo di confezionamento dei testi legislativi  (sul punto si rammentano da ultimo: la circolare del 20 aprile 2001 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in G. U. n. 97 del 27.4.2001 e, sempre ad opera della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la successiva Guida alla redazione dei testi normativi, in G. U. n.101 del 3 maggio 2001) e sul modo di esprimersi degli operatori che, spesso, sono oggetto di studio dei soli addetti al settore. 
Il primo capitolo della monografia si bipartisce in due parti: la prima di approccio generale ai problemi linguistici in materia giuridica e la seconda contenente un elenco dei principali testi giuridici italiani, a sua volta tripartiti in normativi, interpretativi e applicativi.
Oltremodo interessante appare l’approccio teorico generale della prima parte del primo capitolo ove si fissa l’oggetto dell’indagine  nei testi giuridici di cui si predica la coerenza e si evidenzia (utilizzando i risultati a cui è approdata M.E. Conte) come in italiano, con lo stesso sintagma, si indicano due significati differenti, contrariamente alla lingua inglese e tedesca: uno inteso come assenza di contraddizioni, concetto privativo e di tipo cotestuale,  e l’altro inteso come connessione delle parti di un tutto, concetto positivo (p. 13. Del primo significato fa uso R. Guastini, definendolo «cristallino [si v. Antinomie e sistemazione del diritto, in AA. VV., Interpretazione e diritto giudiziale, a cura di M. Bessone, p. 152], mentre lo stesso autore pare rigettare la utilità del concetto positivo di coerenza).

Nel secondo capitolo, il cuore logico del volume, si passa all’analisi testuale dei testi normativi rammentandosi come la stessa sia debitrice delle teorie degli atti linguistici di Austin e Searle, constatando che non ogni proposizione normativa ha valore prescrittivo (così Carcaterra).
L’autrice, per lo scopo scientifico perseguito, prende le mosse dalla «...tipologia delle regole che si basa sulla distinzione delle specie di «dovere» normativo, il deontico, l’anankastico, l’eidetico, il tecnico,...» (p. 73) ed evidenzia come il deontico, l’anankastico e il tecnico ammettono sia adempimento, sia inadempimento, mentre l’eidetico (relativo a una particolare classe o specie - eidos - di entità) non ammette inadempimento.
Da questi presupposti di tipo logico si passa all’esame dei testi giuridici del nostro sistema ordinamentale. All’interno di questo esame si verifica il posizionamento del reticolato delle disposizioni in un testo, l’utilizzo del sistema di interpunzione (l’autrice, comparando la Costituzione e i codici, constata come in entrambi vi sia un uso rigido delle norme interpuntive, mentre nei secondi il controllo formale è meno accurato), la regolarità sintattica, intesa innanzi tutto come normalità nella disposizione dei componenti di frasi e periodi, l’uso di tempi e modi verbali e l’assenza sistematica di classi di parole e di forme. L’autrice rileva, come, con i nuovi testi legislativi, ancora meno accurata sia la stesura ed esemplificazione di tale constatazione  è il codice della strada del 1992 dove anche le regole di tipo interpuntivo non sono rispettate e ciò malgrado «...in un testo legislativo l’ordinamento formale deve mantenersi costantemente uniforme. (E)di questo è parte integrante il sistema interpuntivo: ne discende che anche nella punteggiatura si devono porre e applicare  con coerenza regole precise:...» (p. 83. E’ curioso constatare che  nelle circolari retro menzionate non sia detto alcunché sul sistema interpuntivo).  Ancora, l’esame dei testi porta a evidenziare incoerenze di uso che urtano con la sintassi (si verifica l’uso di una virgola fra soggetto e verbo, p. 84).  L’Autrice, in un paragrafo del capitolo, significativamente intitolato «L’inutile bruttezza», evidenzia come persista «L’abitudine a esprimere con incastri di subordinate la densità e la tortuosità delle precisazioni relative alle varietà delle situazioni possibili...» (p. 100) e invita, in un successivo paragrafo alla ripetizione di «...parole già scritte a più o meno breve distanza, quando l’uso di pronomi o di sinonimi (possa) oscurare i riferimenti e ostacolare la comprensione dei testi.» (p. 147, la ripetizione funzionale è vista come coesivo testuale).
Ma, ancor più a monte, la stessa evidenzia l’esistenza, utilizzando un’espressione di Ainis, di "strutture  senza struttura" scaturenti  dalla «...ipertrofia dei commi corrispettiva all’esiguità numerica degli articoli...» (p. 144) e menziona la legge n. 662/96.

Nel terzo capitolo si passano in rassegna una serie di costrutti  di testi giuridici e si evidenzia fra l’altro:
- la prevalenza del «...costrutto sintetico per "compattare" la perifrasi verbale è una sostenutezza compassata che sa di antiquato rispetto alla sintassi dell’uso scritto corrente, anche di livello alto.» (p. 159);
- «L’abbondanza di participi presenti è macroscopica...» (p. 166);
- che «La scrittura giuridica è il trionfo delle astrazioni» (p. 171. Questo limite non appare riguardare i codici).

Gli ultimi paragrafi del capitolo sono dedicati, non più ai testi legislativi, ma ai modi esprimersi dei cc. dd. addetti del settore. Si distingue fra uso necessario e superfluo del linguaggio specialistico(si constata l’utilizzo di termini vetero-forensi, si v. p. 179), si evidenzia che nei testi giuridici si è davanti a una oscurità semantica e/o a una complicazione sintattica inutile (p. 181) e si chiude con le tanto amate, dai giudici e dagli avvocati, citazioni latine (sul punto paradigmatica è la citazione di un passo della sentenza del tribunale militare di Roma del 13.9.97, ove su 22 righe si trovano 16 latinismi forensi, pp. 184 e 185).

Infine l’ultimo capitolo attiene l’oratoria forense e si propone, per uno sviluppo della stessa, di utilizzare la teoria, detta <<pragmadialettica>>, degli olandesi Van Eemeren e Grootendorst (pp. 210 - 217).
Inoltre sul piano fattuale, l’autrice rileva, dall’esame condotto, «...che negli attuali dibattiti forensi (vi è) la tendenza ad argomentare con sobrietà e, nei casi migliori, con rigore...» (p. 217).  

  

 

 

 

 

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