Le "Sgr", società di gestione del risparmio. 
La financial industry e le attività di gestione di patrimonio 
in forma collettiva. I fondi comuni di investimento 


di Mario Bessone * 



1. Le grandezze del comparto e i suoi caratteri distintivi. Il rischio finanziario e le strategie di diversificazione del portafoglio.


L'ordinamento normativo della financial industry ha sue obbligate regole di principio. E regole di tutela del risparmio, perciò uno speciale statuto di impresa e garanzie di pubblica vigilanza caratterizzano in modo particolare le società di capitali che svolgono attività di intermediazione mobiliare nella posizione di investitori istituzionali. Così comunemente si definiscono gli operatori professionali che nell’ interesse di una massa di risparmiatori possono essere autorizzati ad una gestione collettiva e in monte di risorse finanziarie variamente impiegate. "Gestione collettiva" e sono soltanto formule di estrema sintesi che comprendono in sè fattispecie a ben vedere molto diverse tra loro. E occorre avvertire che in questo senso (ancora una volta) è bene fare un uso molto prudente di definizioni pericolosamente generalizzanti che spesso comportano o almeno non evitano errori di prospettiva.
Come sempre sarà poi bene guardare alla complessità dello scenario di insieme. La gestione collettiva e quindi in monte di risorse finanziarie può riguardare,e nel gran numero dei casi certamente riguarda il piccolo risparmio delle famiglie ma può comunque riguardare anche portafogli di altro genere e di altra consistenza. La gestione può essere, e nel gran numero dei casi sarà fortemente orientata al contenimento dei rischi di mercato finanziario ma può invece darsi anche il caso di gestioni in monte di genere speculativo e ad alto rischio. L'agire dell'impresa "gestore" può essere caratterizzato da una pura e semplice finalità di incremento di ricchezza ma può essere che mediante una gestione in monte si perseguano invece particolari finalità, come accade quando l'investitore istituzionale "fondo pensione" o l'impresa assicurativa si attivano per garantire "più elevate soglie" di "copertura previdenziale".
Nel modo che si preciserà operano società di gestione del risparmio (in via breve "Sgr"), società di investimento a capitale variabile (le Sicav), fondi pensione di diverso genere o ancora e nel modo già segnalato imprese assicurative, adesso autorizzate anche all'offerta dei piani pensionistici individuali del nuovo art. 9 ter del decreto legislativo 124 del 21 aprile 1993. In tutti i casi si tratta di "investitori istituzionali" ma ognuno presenta poi caratteri particolari così come lo sono gli elementi distintivi del loro diversificato "statuto giuridico". Pur nella sua indeterminatezza, e con queste avvertenze la nozione di "investitore istituzionale" è comunque nozione utile perché consente di qualificare in modo sufficientemente unitario importanti comparti dell'intermediazione finanziaria, operando con una estensione di campo maggiore di altre nozioni pure più puntuali e riferite ad un più sicuro fondamento di ordine normativo. A delinearne il contesto provvedono le discipline di fonte comunitaria già operanti o in corso di elaborazione (come nel caso dei provvedimenti in materia di fondi pensione adesso all'esame del Consiglio e del Parlamento europeo).
Al fenomeno della gestione "in monte" si riferisce la definizione comunitaria dell' organismo di investimento collettivo in valori mobiliari, in via breve l’Oicvm della direttiva 611 del 20 dicembre 1985 che al fine del mutuo riconoscimento guarda tuttavia soltanto alle gestioni in valori "mobiliari", e "aperte" quanto alla possibile adesione di un numero indeterminato di risparmiatori interessati all'iniziativa, perciò stesso escludendo dal suo contesto normativo numerose fattispecie che andranno invece considerate. E al fenomeno si riferisce la definizione di organismo di investimento collettivo di risparmio della lettera m) del primo comma dell’art. 1 del Tuf, che ha maggior ampiezza perché guarda anche a forme di gestione "in monte" per così dire "chiuse" quanto al regime delle partecipazioni, e ad iniziative orientate ad investimenti che non sono investimenti in valori "mobiliari". Ma la norma del Tuf lascia fuori campo i fondi pensione che pure sono (saranno sempre più) investitori istituzionali di primaria importanza. Ancora una volta si dovrà poi tener presente la rilevante posizione che nel sistema occupa l'impresa assicurativa.
Considerato nella sua interezza (ma già per la consistenza dei singoli comparti che in queste pagine saranno sommariamente passati in rassegna), il fenomeno "gestione collettiva di risparmio" anche nel nostro paese è fenomeno a grandi dimensioni. Nel corso di un processo di crescita della financial industry che dagli anni Ottanta ad oggi è stato in decisiva misura processo di crescita del settore delle gestioni "in monte", gli investitori istituzionali hanno infatti progressivamente attivato un settore dell’economia finanziaria dove si opera una raccolta di risparmio così ingente da essere ormai fattore molto significativo anche alla scala macroeconomica. L'offerta di mercato è molto diversificata perché si estende a diversi segmenti del pubblico risparmio.Per grande parte tuttavia è pur sempre offerta di gestione collettiva del risparmio commisurata alle esigenze e alle aspettative del risparmiatore famiglie. In questo senso l'ordinamento della materia ha valenze sociali di eccezionale rilievo essendo perciò tanto più forte e più necessario il riferimento alla norma costituzionale dell'art. 47 e alle sue policies di garanzia.
La propensione del risparmiatore "famiglie" per la gestione di patrimonio offerta da investitori istituzionali ha tutte le evidenti motivazioni ormai infinite volte segnalate. Amministrare in via diretta (e in modo efficiente) un portafoglio finanziario è cosa che esige competenze professionali e tecniche operative naturalmente lontane dalle cognizioni di un qualsiasi risparmiatore "famiglie". E' quindi del tutto ragionevole decidere di operare per la via indiretta della gestione di patrimonio affidata a professionisti della finanza. Ma come si sa le possibili modalità di gestione "personalizzata" di portafoglio comportano costi di gestione notevolmente elevati, mentre invece opportune forme di gestione collettiva di portafoglio consentono di ripartire tra un numero molto elevato di investitori i costi fissi delle attività di amministrazione di una massa di valori mobiliari amministrati "in monte" dall'investitore istituzionale.
Se poi è vero che contenere il rischio di portafoglio significa diversificare tra "strumenti" finanziari e "mercati", sarà chiaro che "diversificare" in modo significativo è cosa davvero possibile soltanto quando il patrimonio da distribuire su più mercati e da ripartire su più strumenti finanziari è uno stock (e un flusso) di risorse monetarie di adeguato importo. Per il risparmiatore "famiglie" nel gran numero dei casi "diversificare" sarà perciò cosa possibile soltanto partecipando con molti altri ad iniziative di gestione "in monte" attivate da investitori istituzionali che nel collettivo interesse di una massa di risparmiatori gestiscono una massa patrimoniale di sufficienti proporzioni. Anche questo fattore spiega le comprensibili preferenze del risparmiatore "famiglie". E tutto il rilievo delle normative di protezione che a tutela del risparmiatore dispongono adeguate misure di pubblica vigilanza, una volta di più variamente intese a garantire stabilità delle imprese di intermediazione, trasparenza di soggetti e di attività così come doveri di correttezza dell'agire professionale degli intermediari.
Il complesso insieme delle disposizioni che regolano il settore costituisce il risultato di una evoluzione normativa che soltanto in anni recenti doveva assicurare organica disciplina a così rilevante materia. Evoluzione normativa già segnalata quando si è ricordato che nel corso degli anni Ottanta si era avviata ad operatività una prima e importante forma di gestione finanziaria "in monte", con le norme degli artt. 1 a 10 della legge 77 del 23 marzo 1983 intese a prefigurare il regime del fondo comune di investimento mobiliare e aperto da allora in posizione di punto forte dell'intero sistema degli organismi di raccolta del risparmio delle famiglie.E si è già ricordato come nel corso dei primi anni Novanta si fosse poi integrata la disciplina di settore con la legge 344 del 14 agosto 1993, che aveva stabilito disciplina per fondi comuni di investimento mobiliare invece "chiusi", e perciò tali che la liquidazione dell'investimento può essere domandata soltanto alla scadenza di un termine. Con le disposizioni della legge 86 del 25 gennaio 1994 si erano poi stabilite le normative di regime dei fondi comuni di investimento immobiliare.
Ancora gli anni Novanta segnano la ulteriore svolta di sistema e le estensioni di campo dovute alla attivazione di altri investitori istituzionali. A gennaio del 1992 (e più precisamente con il decreto legislativo 84 del 25 gennaio 1992), derivando precise indicazioni dall'esperienza di altri mercati finanziari anche nel nostro paese si stabilisce disciplina della Sicav, società azionaria di investimento a capitale "variabile" e già in questo senso molto lontana dal modello di società per azioni configurato dalle norme del codice civile.Con il decreto legislativo 124 dell'aprile 1993 finalmente si avvia il tormentato processo di elaborazione di una indispensabile disciplina di fondi pensione e previdenza complementare, successivamente integrata dalle importanti normative del decreto legislativo 47 del 18 febbraio 2000. A disegnare le grandi linee del sistema della gestione collettiva provvedono infine le norme del Tuf con una serie di disposizioni che al tempo stesso dovevano portare con sé innovazioni di regime particolarmente rilevanti.


2. La società di gestione del risparmio L'art. 33 del Tuf e l'ambito di operatività di una impresa di intermediazione polifunzionale.

Quanto rilevano le innovazioni di regime operate con le norme del Tuf emerge con grande immediatezza dalle disposizioni che costituiscono disciplina delle Sgr, le società di gestione del risparmio. Ne risulta infatti configurata una impresa di intermediazione finanziaria che può (i)istituire,organizzare e gestire fondi comuni di investimento così come (ii) "istituire e gestire fondi pensione" ma già si sa che le società di gestione del risparmio possono anche (iii) prestare il servizio di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi. E già si era avvertito che la cosa è della massima importanza perché la disposizione della. lettera a) del secondo comma dell'art. 33 del Tuf rimuove un principio di struttura del sistema della intermediazione finanziaria per il passato fortemente caratterizzata da un preciso regolamento di confini.
Una volta stabilita espressa "riserva" alle società di gestione di fondi comuni di investimento (e alle Sicav)delle iniziative di gestione collettiva del risparmio, per il passato come si ricorderà era infatti principio altrettanto inderogabile la loro esclusione dall'ambito delle attività di gestione di portafoglio su base individuale. Un genere di attività insieme alle altre indicate dalle norme del Tuf adesso invece permesso alle società di gestione del risparmio che sono perciò impresa di intermediazione finanziaria polifuzionale nel senso più pieno del termine. E impresa di intermediazione che le disposizioni del Tuf disciplinano con una normativa di ampio rinvio ad altra fonte regolamentare. Entro i limiti segnati dalle norme di cornice del Tuf le società di gestione del risparmio sono infatti disciplinate secondo criterio di forte delegificazione che variamente assegna competenze a Ministro del Tesoro, Banca d'Italia e Consob.
Per la lettera o) del primo comma dell’art. 1 del Tuf è società di gestione del risparmio la società per azioni con sede legale e direzione generale in Italia che dalla Banca d'Italia riceve autorizzazione a prestare il servizio di gestione collettiva del risparmio. E la lettera n) della medesima norma indica come tale il servizio che si realizza "attraverso la promozione,istituzione e organizzazione di fondi comuni di investimento" e "l’amministrazione dei rapporti con i partecipanti", così come la attività di "gestione" del patrimonio di organismi di investimento collettivo di risparmio "mediante" fondi comuni variamente costituiti da "strumenti finanziari, crediti o altri beni mobili o immobili". Da ciò investitori istituzionali e più precisamente imprese di intermediazione che con la indicata estensione di campo possono operare sia in posizione di società promotrice che come società operativa su di un ampio fronte di iniziative di gestione del risparmio "in monte".
In monte perché il fondo comune di investimento è patrimonio "autonomo" e "suddiviso in quote" di "pertinenza di una pluralità di partecipanti" che costituiscono insieme unitario. E alla gestione delle risorse che costituiscono il portafoglio finanziario "fondo comune" come precisa la lettera j) del primo comma dell’art. 1 del Tuf si provvede in monte nel senso che non si danno modalità né finalità di gestione individuale e personalizzata, seguendosi invece criteri e una tecnica di allocazione delle risorse che guardano all’interesse condiviso dalla generalità dei partecipanti al fondo comune. Ma se per il passato altra attività non era consentita a società che fossero "società di gestione di fondi comuni" le norme del Tuf dovevano operare la decisiva inversione di tendenza già segnalata.
Si è infatti già avvertito che alle società di gestione del risparmio dell’art. 33 le norme del Tuf consentono di attivarsi con una estensione di campo che non ne circoscrive più l’ambito di attività al comparto delle attività di "gestione in monte". Le attività di questo genere continuano pur sempre ad essere oggetto di formale riserva perché soltanto alle società di gestione del risparmio "e alle Sicav" è consentito il loro svolgimento. Ma come sarà bene ripetere il secondo comma dell’art. 33 aggiunge che le società di gestione del risparmio possono anche "prestare" il servizio di gestione su base individuale di portafogli di investimento "per conto terzi". E se in questo modo si è rimosso il principio di separazione tra (imprese e settori di intermediazione finanziaria e) tra gestione collettiva e gestione individuale del risparmio che per il passato era struttura portante del sistema, va tuttavia ricordato che per lungo tempo tale principio doveva invece continuare ad essere regola nel disegno delle norme di diritto comunitario, cosa che costituiva perciò un vincolo e un limite in punto di mutuo riconoscimento della legittimazione ad operare alla scala comunitaria. Ma si tratta di vincolo (stabilito dalla direttiva 611 del 1985) e di limite adesso rimossi dalla direttiva comunitaria 107 del 21 gennaio 2002.
Altro poi occorre ancora considerare. Alle società di gestione del risparmio il secondo comma dell’art. 33 del Tuf consente infatti di svolgere anche le attività "connesse o strumentali" che "sentita la Consob" sono stabilite dalla Banca d’Italia. E va ancora ricordato che le norme del Tuf abilitano le società di gestione del risparmio a gestire sia fondi comuni istituiti da altre società di gestione sia risorse patrimoniali di Sicav così come ad operare per delega di imprese di investimento(o di altre società di gestione del risparmio). Merita infine grande attenzione la parte del secondo comma dell’art. 33 che consente l’accesso al settore della previdenza privata, da tale norma essendo stabilito che se possono provvedere alla gestione delle risorse finanziarie di fondi pensione "negoziali" le società di gestione del risparmio al tempo stesso possono anche istituire loro fondi pensione "aperti" operando il regime di intermediazione mobiliare che sarà segnalato più avanti.


3. La Sgr società per azioni a diritto speciale. L'autorizzazione all'esercizio della attività e le funzioni di garanzia della pubblica vigilanza.

La Sgr è società per azioni a regime speciale che le le norme del Tuf ammettono al sistema secondo la disciplina stabilita dagli artt. 34 e 35. Il capitale sociale versato deve essere di ammontare non inferiore a quanto sia stabilito dalla Banca d’Italia. I partecipanti al capitale della società devono presentare i requisiti di onorabilità che si indicano all’art. 14 del Tuf. Requisiti di onorabilità e di professionalità sono richiesti a quanti svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo. Come sempre molto rileva la struttura del gruppo di eventuale appartenenza della società.Non deve infatti essere tale da "pregiudicare l’effettivo esercizio" delle funzioni di vigilanza (e sono comunque dovute le informazioni previste dal quinto comma dell’art. 15). Atto costitutivo e statuto della società dovranno essere integrati da un documento di programma inteso a fare chiarezza sulla attività iniziale della società. Occorre infine una relazione sul suo assetto organizzativo.
In presenza dei requisiti che il primo comma dell’art. 34 indica come condizioni "presupposto" del provvedimento, una volta "sentita la Consob" come già si diceva sarà la Banca d’Italia ad autorizzare l’esercizio delle attività, essendo tuttavia stabilito dal secondo comma della norma che la autorizzazione deve essere "negata" qualora esistano motivi sufficienti per ritenere che l’operare della società non potrebbe garantire una sana e prudente gestione delle risorse finanziarie ad essa consegnate. E se in presenza degli indicati requisiti l'autorizzazione sembra essere atto dovuto, l' indeterminatezza della clausola generale si spiega con la necessità di spingere quanto più avanti possibile le misure di tutela degli investitori, dovendosi con ogni evidenza portare la maggior attenzione a quanto segnalano le lettere f) e g) dell'art. 34. Sono invece naturalmente escluse ulteriori valutazioni dell’autorità di vigilanza che non ha alcuna legittimazione ad interferenze nello spazio di autonomia e di libera determinazione che la disciplina del Tuf sempre assicura ai privati operatori di mercato finanziario. Con la osservanza dei limiti segnati alla sua funzione di regolazione del settore la Banca d’Italia è poi chiamata allo svolgimento di altre rilevanti competenze.
Anche per le società di gestione del risparmio opera una normativa delle forme di vigilanza che distingue in ragione delle finalità del pubblico controllo. Compete perciò alla Banca d’Italia provvedere a quanto occorre in punto di garanzie di stabilità patrimoniale e di contenimento del rischio, essendo perciò necessarie le pù rigorose valutazioni in punto di adeguatezza strutturale e patrimoniale della società.Compete invece alla Consob assicurare la osservanza delle regole intese a garantire trasparenza e correttezza delle attività. E per entrambe le authorities ancora una volta funzione di "vigilanza" è formula riassuntiva che in via breve designa e indica estesi poteri di natura regolamentare, rilevanti attività di acquisizione di informazioni e lo svolgimento degli indispensabili procedimenti a carattere ispettivo. Né sarà più necessario ricordare che non si conosce la disciplina della materia che è law in action se non si conoscono (quanto meno nelle loro regole di principio)le deliberazioni di volta in volta assunte dalle authorities che una volta di più presentano davvero tutti i caratteri degli enti reggenti di settore.
A codificare regole di stabilità e di razionale amministrazione del rischio la Banca d’Italia ha provveduto con le disposizioni di genere prudenziale del regolamento deliberato a luglio del 1998. Molto rilevano le prescrizioni regolamentari di quantificazione del capitale sociale così come le prescrizioni in materia di patrimonio di vigilanza, essendo tale il valore di patrimonio che deve essere determinato in funzione di "copertura" degli impegni e segnatamente dei rischi correlati allo svolgimento delle attività di impresa. Ma naturalmente anche altro è espressione importante di funzioni di vigilanza. Per disposizione del terzo comma dell’art. 34 "sentita la Consob" la Banca d'Italia disciplina la procedura di autorizzazione e disciplina le ipotesi di decadenza dalla autorizzazione "quando la società (...) non abbia iniziato o abbia interrotto lo svolgimento dei servizi autorizzati". E il quarto comma della norma avverte che "sentita la Consob" sarà ancora la Banca d’Italia ad autorizzare eventuali operazioni di fusione o di scissione di società di gestione del risparmio. Società per disposizione dell’art. 35 "iscritte" in apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia operando il regime di comunicazioni del secondo comma della norma.
In punto di competenze della Consob e di trasparenza dell'offerta di mercato valgono le ordinarie discipline dell'appello al pubblico risparmio e del prospetto informativo che per le Sgr trovano specificazioni nel regolamento 11971 dalla Consob deliberato a maggio del 1999. Quanto alle regole del corretto agire dell’intermediario valgono le prescrizioni che la Consob ha stabilito con il regolamento 11522 del luglio 1998 integrando così le disposizioni di principio dell’art. 40 del Tuf. Già questa norma stabilisce che le società di gestione del risparmio devono "operare con diligenza", "correttezza" e "trasparenza" delle loro attività "nell’interesse dei partecipanti ai fondi". Devono organizzarsi in modo tale da ridurre "al minimo" il rischio di conflitti di interesse "anche tra i patrimoni gestiti". Devono comunque "adottare misure idonee a salvaguardare" i diritti "dei partecipanti". Nel loro interesse la società "provvede" (deve provvedere) all’esercizio dei diritti di voto correlati agli strumenti finanziari di pertinenza dei fondi gestiti. E per parte sua la disciplina regolamentare della Consob aggiunge prescrizioni nella linea delle ulteriori garanzie di fairness già stabilite per la prestazione di servizi di investimento.
Per il caso di violazione delle disposizioni a loro applicabili, e perciò in caso di irregolarità nell’operare delle società di gestione del risparmio Banca d’Italia e Consob "ciascuna per le materie di propria competenza" sono chiamate all’avvio dei procedimenti e alla assunzione dei provvedimenti ingiuntivi che si indicano all’art. 51 del Tuf. Si deve considerare con particolare attenzione la fattispecie di violazioni che possano "pregiudicare interessi di carattere generale" o che domandano di provvedere con "urgenza" per "la tutela (…) degli investitori". Nelle situazioni di "pericolo" per "i clienti" o "per i mercati" vale la normativa di sospensione degli organi amministrativi dell’art. 53. Ma si legga che cosa l’art. 54 stabilisce per il comparto degli organismi esteri di investimento collettivo del risparmio. E si consideri l'orientamento giurisprudenziale (del T.a.r. del Lazio) che stabilisce stretta correlazione tra attività di vigilanza ispettiva e provvedimenti di carattere ingiuntivo e cautelare, ritenendosi illegittimi provvedimenti eccessivamente distanti nel tempo dagli svolgimenti delle procedure di verifica ispettiva.
Anche per le società di gestione del risparmio valgono infine le norme del Tuf che per la generalità delle imprese di intermediazione finanziaria stabiliscono uno speciale regime delle situazioni di crisi. Regime naturalmente diversificato a seconda che si tratti di attivare un procedimento di amministrazione straordinaria (nei casi e con gli effetti dell’art. 56) oppure invece di dar corso a definitivi provvedimenti di liquidazione coatta amministrativa (operando allora la previsione dell’art. 57). E naturalmente le norme del Tuf assoggettano a sanzione penale i comportamenti devianti di particolare gravità che si sono già segnalati guardando alle disposizioni di disciplina generale della intermediazione finanziaria. Una volta di più massimamente rilevano le norme (degli artt. 167 e 168) che configurano come reato gestione infedele e confusione di patrimoni. Ma rilevano anche le disposizioni in tema di abusivismo e di ostacolo allo svolgimento delle funzioni di vigilanza, dovendosi ricordare che le disposizioni della parte quinta del Tuf si devono sempre leggere per intero, e perciò anche nelle parti dove si prefigurano sanzioni amministrative di genere pecuniario.


4. Fondi comuni di investimento. L'organizzazione e le forme di una attività di gestione di portafoglio "in monte".

4. 1. L'art. 36 del Tuf e il regime giuridico di un patrimonio in posizione di autonomia e separatezza. Le garanzie di tutela dell'investitore.


Istituire fondi comuni di investimento e provvedere alla loro gestione finanziaria è attività di intermediazione che il primo comma dell'art. 36 del Tuf riserva alle Sgr provvedendo ad una precisa prefigurazione delle possibili forme di organizzazione della offerta di mercato. Se la società che istituisce fondi comuni può al tempo stesso esserne "gestore" come già si sa non è tuttavia escluso che ne invece conferisca invece poteri e responsabilità di gestione ad altra Sgr. E quando la attività di una Sgr è attività di gestione collettiva del risparmio nella forma giuridica del fondo comune di investimento in ogni caso si configura la già indicata fattispecie delle risorse finanziarie e dei valori costituenti un patrimonio che come si legge alla lettera j) del primo comma dell’art. 1 del Tuf "è patrimonio autonomo" e "suddiviso in quote di pertinenza di una pluralità di partecipanti".
Ne risultano delineati i caratteri distintivi di un comparto dell'economia finanziaria che all'investitore assicura ampie garanzie offrendo al tempo stesso una opportunità di particolare interesse.Con la proposta di investire moneta nelle quote del fondo comune infatti la società proponente offre al mercato dei risparmiatori ciò che molto spesso è più desiderabile, perché al fondo comune si possono conferire anche piccoli importi di denaro condividendo con la massa degli altri partecipanti tutti i benefici di una diversificazione del portafoglio e di un frazionamento del rischio finanziario semplicemente impensabili per il singolo risparmiatore.La Sgr assicura poi alla gestione collettiva del risparmio una adeguata professionalità, agisce in regime di obbligata trasparenza e con la garanzia di pubblici controlli molto rigorosi anche in punto di corretto svolgimento delle operazioni di mercato. E le norme consentono al risparmiatore di decidere modalità e durata del suo investimento.
Tutto questo spiega il grande rilievo delle indicate forme di gestione patrimoniale "in monte" e la successione degli interventi legislativi che sarà bene ricordare. Progettazioni di una normativa si erano elaborate già nel corso degli anni Sessanta .Ma una disciplina operante si doveva conseguire soltanto con la legge 77 del 23 marzo 1983, dove finalmente si prefigurano fondi comuni di investimento mobiliari e aperti che la pratica di mercato doveva a suo volta ampiamente diversificare. Si sono offerti fondi monetari pensati a misura dell’investitore che sceglie di investire in titoli di debito a breve termine.Fondi obbligazionari anch'essi dedicati a titoli di debito tuttavia del medio e lungo periodo, essendo comunque assai contenuto il rischio dell'investimento per la natura stessa dei valori presi in portafoglio. Fondi azionari a maggior rischio ma comunque attraenti per la loro attitudine a procurare guadagni di capitale. E infine fondi bilanciati in ragionevole equilibrio tra obbligazioni e investimento azionario. Ne conseguono le varianti di offerta da allora ulteriormente integrate nel modo che si preciserà in seguito.
Con le norme della legge 344 del 14 agosto 1993 si era poi stabilita la disciplina di fondi comuni pur sempre mobiliari ma invece c h i u s i. Per essi si regolava la posizione del partecipante nel senso che la liquidazione dell’investimento non è consentita se non alla scadenza di un termine non breve (e per esempio un termine di cinque anni), cosa che alla società di gestione consente di attivare una strategia di mercato finanziario di lungo periodo. A sua volta la legge 86 del 25 gennaio 1994 doveva configurare il modello di fondi comuni di genere i m m o b i l i a r e, anch’essi c h i u s i e per l’appunto caratterizzati dal particolare oggetto di investimento, fossero le risorse del fondo investite in partecipazioni al capitale di società immobiliari o immediatamente in immobili. Ne risultava delineato un ordinamento di settore che le norme del Tuf hanno tuttavia riformato seguendo una precisa linea di politica del diritto.
Come si era avvertito le norme del Tuf regolano la materia secondo principio di sua prevalente delegificazione. Le sue prescrizioni stabiliscono pur sempre principi generali della disciplina a valere per   t u t t i   i fondi comuni di investimento.Ma la disposizione del primo comma dell’art. 37 avverte che "determinare i criteri (…) cui devono uniformarsi i fondi comuni di investimento" è cosa che compete ad una serie di direttive regolamentari del Ministro del Tesoro da "adottare" una volta "sentite la Banca d’Italia e la Consob". E la medesima disposizione precisa che doveva appunto essere la normativa regolamentare del Tesoro a disciplinare la possibile configurazione di singoli tipi di fondo comune diversi per l’"oggetto" dell’investimento, per i "destinatari" dell’operazione finanziaria così come infine per la sua "durata". Valgono le deliberazioni ministeriali del 24 maggio 1999 (poi modificato con decreto del maggio 2000) che più avanti sarà il caso di attentamente considerare.
Ancor prima occorre tuttavia considerare le norme di principio del Tuf. Ne risultano confermati gli elementi costitutivi della fattispecie che in via breve sara' bene ricordare. Per disposizione dell’ottavo comma dell'art. 36 le quote di partecipazione al fondo comune sono "tutte di uguale valore" e "con eguali diritti". La sua gestione finanziaria è "in monte" e remunerata dalle commissioni che per essa gli investitori corrispondono. E' gestione di un patrimonio "autonomo" nel senso precisato dal sesto comma dell’art. 36 (che espressamente regola anche il caso del fondo comune multicomparto), cosa che per l'essenziale provvede a fare definitiva chiarezza sul suo regime normativo, lasciando perciò in posizione marginale molti dei contrastanti discorsi in passato ricorrenti in tema di "natura" giuridica dell'istituto "fondo comune".
Discutendo della titolarità dei valori compresi nel patrimonio , e in questo senso della sua giuridica le progettazioni legislative degli anni Sessanta spesso richiamavano il sistema delle norme del codice civile in tema di comunione. Altra volta si era poi evocato il regime di autonomia patrimoniale delle società di persone. O si era teorizzata la nozione di patrimonio senza soggetto altra volta prefigurandosi invece una della società di gestione. Altra volta si era infine rappresentato il fondo comune come oggetto e forma di proprietà collettiva diversa dalla comproprietà del codice civile.Proprietà collettiva dei partecipanti al fondo da regolare con un suo statuto giuridico di genere particolare, dovendosi considerare sia il mandato conferito alla società di gestione per la amministrazione delle risorse sia i poteri conferiti ad una banca depositaria con riguardo alla custodia e alla regolazione delle conseguenti operazioni finanziarie. E naturalmente precisare la titolarità dei valori non era astratto problema di teoria ma rilevante questione di disciplina del fondo comune in quanto patrimonio in regime giuridico di patrimonio separato da ogni altro.
Vale una regola di principio già presente nell'art. 3 della legge 77 del marzo 1983 e a fare sufficiente chiarezza provvede adesso il sesto comma dell’art. 36 del Tuf, dove si legge che "ciascun fondo comune di investimento" e allo stesso modo ogni singolo "comparto" di un fondo comune a più comparti "costituisce patrimonio autonomo", perciò "distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione" e "da quello di ciascun partecipante" così come da "ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società". Sul patrimonio del fondo comune o di un suo comparto "non sono" quindi "ammesse azioni dei creditori della società di gestione del risparmio" (o esercitate nel suo interesse). Il regime giuridico del patrimonio "fondo comune" si precisa infine avvertendo che su di esso ammesse non sono neppure azioni del creditori della banca depositaria (o che fossero esercitate nel suo interesse). E per parte loro "le azioni" dei creditori dei singoli investitori sono ammesse soltanto "sulle quote di partecipazione dei medesimi", dovendosi poi considerare che azioni di tal genere sono ammissibili soltanto una volta conseguito il loro rimborso,perchè neppure pro quota può configurarsi azione esecutiva nei confronti del fondo comune.


4.2. Quote di partecipazione al fondo comune, diritti dei partecipanti. Le attribuzioni della Sgr e il regime delle attività di gestione del portafoglio. Competenze e funzioni della banca depositaria.

Operando l'indicato regime di separatezza patrimoniale il rapporto che intercorre tra Sgr, fondo comune e suoi partecipanti si configura con l'oggetto e i lineari caratteri che in estrema sintesi possono essere così indicati. A incorporare le partecipazioni al fondo saranno quote "tutte di uguale valore e con uguali diritti" rappresentate da certificati nominativi o al portatore "a scelta dell’investitore" (e la norma dell'ottavo comma dell'art. 36 avverte che "sentita la Consob" la Banca d’Italia "può stabilire(…) in via generale le caratteristiche dei certificati" così come "il valore nominale unitario iniziale delle quote"). In ogni caso la titolarità di quote assegna all’investitore una posizione di diritto che sarà bene precisare perché non esistono diritti di gruppo che possano configurare una posizione unitaria dei sottoscrittori di quote partecipanti al fondo.
Ognuno ha una posizione a sé che costituisce titolarità di un diritto di credito. Osservando le regole al riguardo statutariamente stabilite, quando consideri utile esercitare il suo diritto ad esigere le prestazioni dovute l'investitore domanderà il rimborso delle quote di sua appartenenza al valore che esse derivano dal prezzo di mercato delle attività finanziarie in allora comprese nel patrimonio del fondo comune. E riceverà una somma pari alla frazione del valore del fondo rappresentata dal numero delle quote presenti nel suo personale portafoglio. Altro ancora caratterizza poi in modo particolare l’oggetto e gli elementi distintivi del contratto di investimento che intercorre tra società e partecipante al fondo "possessore" di sue quote, dovendosi considerare in radice escluso che all'investitore possano competere diritti o facoltà di concorso alle decisioni di asset allocation oppure ad altre comunque assunte in materia di gestione amministrativa e finanziaria.
Se il risultato atteso dai partecipanti al fondo comune è naturalmente il maggior incremento del valore delle quote, la disciplina del Tuf avverte infatti che i partecipanti al fondo sono in linea di principio (e sempre) esclusi da qualsiasi forma di possibile interferenza nelle valutazioni e nelle attività di amministrazione e di gestione del portafoglio finanziario che competono sempre e soltanto alla società di gestione. In questo senso la norma del quinto comma dell’art. 36 dove si legge che società "promotrici" o "gestore" del fondo assumono verso i partecipanti gli obblighi e le responsabilità del "mandatario" serve ad indicare regole e modello dei loro doveri di diligenza professionale. Ma il rapporto che intercorre tra società e investitori è davvero altra cosa dal mandato delle disposizioni del codice civile, perché come si sa nei confronti di un "mandatario" al "mandante" competono poteri di indirizzo e di influenza che in nessun modo i partecipanti al fondo comune possono esercitare.
La società "gestore" naturalmente non agisce in uno spazio di incontrollata discrezionalità, perché la sua strategia di asset allocation e di movimentazione degli investimenti è comunque vincolata dalle disposizioni regolamentari del fondo comune. E se lo si domanda la Sgr dovrà far ricevere al partecipante copia dei documenti (la sua "relazione semestrale" e il suo "rendiconto annuale") che assicurano le dovute garanzie di trasparenza delle attività di gestione. Ma sarà pur sempre la società "gestore" ad operare nel modo che considera preferibile per diversificare gli investimenti, amministrare i rischi di mercato e provvedere alla liquidità che occorre in considerazione del flusso delle possibili richieste di rimborso delle quote. Una banca depositaria della liquidità e dei valori che sono "fondo comune" svolgerà le importanti funzioni indicate dal secondo comma dell’art. 36 e dall’art. 38 del Tuf.
"Sentita la Consob" è Banca d'Italia a determinare "le condizioni per l'assunzione dell'incarico" di banca depositaria dovendosi osservare le prescrizioni stabilite con la "circolare" 229 del 21 aprile 1999. E a concretare l'assunzione dell'incarico si provvede mediante il contratto che la società di gestione stipulerà con la banca. Molto rilevano già le sue funzioni di custodia degli "strumenti finanziari" e delle "disponibilità liquide", che devono essere obbligatoriamente svolte da una impresa bancaria qualificata dai necessari requisiti di affidabilità (che appunto perciò è resa depositaria delle consistenze del fondo). E già con riguardo a tali funzioni va segnalato il secondo comma dell’art. 38 del Tuf dove si stabilisce che la banca è responsabile "nei confronti della società di gestione del risparmio" così come dei partecipanti al fondo, per ogni pregiudizio "da essi subito in conseguenza dell’inadempimento" degli obblighi derivanti dall' accettazione dell'ufficio di banca depositaria.
In modo particolare rilevano le funzioni di garanzia che alla banca competono secondo le circostanziate disposizioni del primo comma dell’art. 38. Svolgendo il suo ufficio la banca depositaria è infatti chiamata ad accertare la legittimità delle operazioni di emissione e di rimborso delle quote, al tempo stesso dovendo provvedere al calcolo del loro valore e a quanto riguardi "la destinazione dei redditi del fondo". Ancora la banca depositaria dovrà verificare che "nelle operazioni relative al fondo" la controprestazione sia ad essa rimessa nei termini d’uso. E (cosa della massima importanza)la banca eseguirà le istruzioni della società di gestione soltanto una volta accertato che esse non sono contrarie alla legge, al regolamento o alle prescrizioni degli organi di vigilanza.
In caso di irregolarità riscontrate quanto alla amministrazione della Sgr o alla gestione del fondo comune, gli amministratori e i sindaci della banca depositaria riferiscono, e devono riferire "senza ritardo" alla Banca d’Italia e alla Consob che le norme del T.u.f. ancora una volta comunque impegnano allo svolgimento delle indispensabili attività di vigilanza con grande estensione di campo. Sarà infatti chiaro in che misura anche per questo settore dell'economia finanziaria occorre assicurare stabilità delle imprese di intermediazione mobiliare, la sana e prudente gestione pretesa dal secondo comma della norma dell'art. 34, ampia informazione così da provvedere alla necessaria trasparenza di soggetti e attività, insieme con tutto questo essendo prescritta l'osservanza delle regole di correttezza che si leggono al primo comma dell'art. 40 del Tuf.
Con quale forza operano poi garanzie di vigilanza pubblica emerge con chiarezza già dall’art. 36 del Tuf. Disposizione che definisce e precisa la posizioni del regolamento del fondo come fonte normativa di conformazione degli assetti organizzati e delle attività, essendo atto di autonomia negoziale del diritto privato che se ne stabilisce compiutamente il regime al tempo stesso deve tuttavia e sempre uniformarsi ad una disciplina pubblica di garanzie e di controlli. Il terzo comma dell'art. 36 avverte che "il rapporto di partecipazione al fondo comune" è disciplinato in ogni sua parte dalle previsioni del suo regolamento, con la precisazione che "sentita la Consob" compete a Banca d'Italia determinare sia i criteri di redazione della normativa regolamentare sia il suo contenuto minimo "a integrazione di quanto previsto dall’art. 39". E quest'ultima disposizione in modo circostanziato indica gli elementi distintivi della fattispecie fondo comune appunto perchè prescrive gli obbligati contenuti della sua disciplina regolamentare. Come si legge al primo comma dell'art. 39 sarà in ogni caso il suo regolamento a definire le caratteristiche del fondo comune e a regolare le sue modalità di funzionamento.


4.3. Il regolamento del fondo comune. Le modalità di appello al pubblico risparmio e la disciplina dei contratti di investimento. Regole dell'asset allocation, regole di contabilità. Il caso della delega di gestione.

Sarà infatti il regolamento del singolo fondo ad indicare
(i) la società promotrice e il gestore del fondo "se diverso dalla società promotrice",
(ii) così come la banca "depositaria" degli strumenti finanziari e delle disponibilità liquide,
(iii)precisando la "ripartizione di compiti" tra tali soggetti e al tempo stesso la disciplina dei loro rapporti e dei "rapporti" con "i partecipanti al fondo".
E sarà la normativa di regolamento a stabilire
(i) denominazione del fondo comune, sua durata e "modalità di partecipazione",dovendosi ancora precisare
(ii) "termini" e regime di emissione dei certificati rappresentativi delle quote,
(iii)disciplina di loro rimborso e della eventuale liquidazione del fondo.
E già in questo senso saranno le disposizioni regolamentari a concretare i contenuti e la disciplina del contratto di investimento che al risparmiatore si domanda di sottoscrivere.
Ancora il regolamento del fondo comune si deve leggere per conoscere i criteri di determinazione dei proventi e dei risultati della gestione, quanto poi riguarda la loro ripartizione e distribuzione insieme a molto altro che l'investitore dovrebbe attentamente considerare, essendo rilevante ciò che si disponga con riguardo alle "spese" a carico del fondo o invece della Sgr e a proposito della "misura" e dei "criteri" di determinazione delle provvigioni "spettanti" alla società di gestione e degli oneri che sono invece "a carico dei partecipanti". Allo stesso modo sarà il regolamento del fondo a disporre le dovute modalità di informazione del mercato e di "pubblicità" del valore delle quote. E sono naturalmente di decisiva incidenza le disposizioni regolamentari intese ad indicare gli organi competenti per la scelta degli investimenti e i loro "criteri di ripartizione", così come il tipo di beni, di strumenti finanziari e di altri valori nei quali "è possibile investire il patrimonio del fondo".
Se la disciplina regolamentare del fondo comune in ogni sua parte è normativa di così determinante rilievo sarà chiaro quanto a sua volta rilevi la funzione di vigilanza stabilita dalla disposizione del terzo comma dell’art.39, dove si incarica la Banca d’Italia di provvedere alla approvazione del regolamento del fondo comune (o delle sue successive modificazioni) ma soltanto se ne risulti accertata la completezza e la compatibilità con quanto dispongono in linea di principio i diversi commi dell'art. 36 e l'art. 37 del Tuf che mediante norma di ampio rinvio alle prescrizioni ministeriali del Tesoro prefigura gli elementi di struttura del fondo comune. E soltanto dopo la indicata approvazione del regolamento la Sgr potrà avviare la sua attività di sollecitazione del pubblico risparmio, osservando la disciplina di garanzia della trasparenza e della informazione di mercato imposta da Consob con le sue prescrizioni di determinazione dei necessari contenuti del prospetto informativo.
Seguiranno le attività di investimento. E saranno attività che la società "gestore" svolge "in nome proprio" intestando a sé medesima i valori di volta in volta acquisiti al patrimonio del fondo comune. E quando si tratti di strumenti finanziari che incorporano diritti di voto troverà applicazione il secondo comma dell'art. 40 del T.u.f., dove si stabilisce che "salvo diversa disposizione di legge" e "nell'interesse dei partecipanti" la società di gestione "provvede (…) all'esercizio dei diritti di voto inerenti agli strumenti finanziari di pertinenza dei fondi gestiti". In ogni caso già si sa quale estensione di poteri alla Sgr compete in ordine alle possibili operazioni di amministrazione finanziaria dei "fondi gestiti". Ma la società "gestore" dovrà pur sempre osservare le regole disposte dal regolamento ministeriale del tesoro in materia di contabilità. E con ogni evidenza si tratta di materia meritevole della maggior attenzione.
Si annotano in un libro giornale sia le iniziative di gestione sia quanto riguardi emissione e rimborsi di quote.Si deve provvedere alla redazione del rendiconto annuale relativo alla amministrazione del fondo che sarà a sua volta integrato da una relazione degli amministratori (al fine di documentare gli andamenti di gestione essendo prevista anche la predisposizione di una relazione semestrale). Una speciale disciplina di prospetto impegna ad indicare il valore unitario delle quote e il valore complessivo del fondo. Per questa intera serie di documenti sono disposte adeguate e obbligatorie forme di pubblicità. Opera infine la vigilanza di una società di revisione. Nell'esclusivo interesse degli investitori e a norma delle disposizioni regolamentari espressamente richiamate dal secondo comma dell’art. 39 si deve operare per l’incremento di valore delle quote in appartenenza a quanti partecipano al fondo comune. E non sarà davvero il caso di aggiungere altro a quanto più volte si è già osservato per segnalare tutto il rilievo delle garanzie che la revisione contabile assicura con la forza dei suoi oggettivi riscontri.
Mediante la gestione "in monte" delle risorse costituite dal "tipo di beni, di strumenti finanziari e di altri valori" presenti nel loro portafoglio finanziario, le società di gestione del risparmio praticano strategie di mercato che per asset allocation e movimentazioni successive naturalmente possono configurarsi in vario modo. Ma in tutti casi di gestione di fondi comuni occorre pur sempre osservare le regole che non sarà inutile richiamare. Alla società di gestione si domanda (domanda l’art. 40 del Tuf) di agire con diligenza, correttezza e trasparenza appunto "nell’interesse dei partecipanti al fondo". Si domandano regole di organizzazione delle attività tali da "ridurre al minimo" il rischio di conflitti di interesse e quant’altro possa comunque pregiudicare l‘"interesse dei partecipanti". Come si ricorderà occorre comunque "adottare" tutte "le misure idonee a salvaguardare" i loro "diritti". E si ricorderà l'esclusivo riferimento all'interesse dei partecipanti che si legge al secondo comma dell'art. 40 quanto all'esercizio dei diritti di voto conseguenti alla titolarità degli strumenti finanziari variamente compresi nel patrimonio mobiliare dei fondi gestiti.
Va infine considerato il caso della Sgr. che avendo costituito un fondo comune ritenga di delegare ad altra società la sua gestione finanziaria. In tal caso (che è regolato dall’art. 52 del regolamento Consob 11522 del 1998) si renderà necessaria una convenzione di gestione obbligatoriamente intesa a disciplinare la fattispecie di delega per tutto quanto possa occorrere. Si dovrà comunque stabilire che per la società delegante non sono ammesse previsioni di esonero o di limitazione delle responsabilità nei confronti degli investitori. Dovrà essere assicurata una gestione tale da garantire che l'operare di mercato sia sempre in linea con la strategia di investimenti che caratterizza il fondo comune. La società delegata alla gestione provvederà quindi in via continuativa alla necessaria informazione della Sgr. delegante con riguardo alle sue movimentazioni del portafoglio finanziario. E naturalmente si dovrà operare osservando le dovute regole in materia di conflitti di interesse. Da tutto questo un regime della convenzione di delega da osservare anche quando oggetto ne fossero (non complessive attività di gestione delle risorse del fondo comune ma) soltanto talune e particolari tipologie di investimento.


5. Il principio di delegificazione e le discipline regolamentari del Ministro del Tesoro. I diversi generi di fondi comuni di investimento

5.1. Fondi comuni aperti, fondi comuni chiusi. Le speciali categorie dei fondi riservati e dei fondi speculativi.


Essendo questo lo scenario delle norme di disciplina generale della gestione patrimoniale "in monte" operata mediante fondi comuni, la disposizione del primo comma dell’art. 37 del Tuf avvertiva che secondo logica di delegificazione si dovevano disciplinare con normative regolamentari del Tesoro le possibili configurazioni dei singoli tipi di fondo comune, diversi per l'essere fondi "aperti" o invece fondi "chiusi" e poi ancora diversi per l’"oggetto" dell’investimento,per le categorie di investitori "destinatari" dell’offerta di mercato, per le modalità di partecipazione all’operazione finanziaria così come per la "durata" dell'investimento o altro ancora. E ulteriori disposizioni nel segno della della delegificazione erano domandate dal secondo comma della norma del Tuf.
Il secondo comma dell'art. 37 al tempo stesso impegnava infatti il regolamento ministeriale ad identificare (i) "le ipotesi nelle quali" si deve necessariamente "adottare" la forma giuridica del fondo chiuso , (ii) casi "in cui è possibile derogare alle norme prudenziali di contenimento e di frazionamento del rischio" stabilite dalla Banca d'Italia, (iii) le regole da osservarsi in materia di diritto contabile e le fattispecie "nelle quali la società di gestione" deve "chiedere l’ammissione alla negoziazione di un mercato regolamentato dei certificati rappresentativi delle quote". E "sentite la Banca d'Italia e la Consob" il regolamento del Ministro del Tesoro deliberato a maggio del 1999 disciplina la materia secondo una logica di insieme che in via breve può essere così rappresentata.
Sono aperti i fondi comuni, e si tratta di fondi comuni mobiliari che agli investitori assicurano in via continuativa possibilità di ingresso,essendo anche stabilito che i partecipanti al fondo "hanno diritto di richiedere in qualsiasi tempo il rimborso delle quote" Si dovra poi distinguere tra fondi armonizzati e fondi non armonizzati. Al numero dei fondi armonizzati appartengono quanti uniformano la loro disciplina alle regole delle direttive comunitarie in tema di organismi di investimento collettivo e di mutuo riconoscimento. Così configurati per ciò che riguarda la allocazione delle loro risorse patrimoniali, e una volta osservate le disposizioni che Banca d’Italia stabilisce in attuazione delle normative comunitarie, i fondi comuni armonizzati possono operare nell’ambito dell’Unione europea appunto in regime di mutuo riconoscimento.Non armonizzati sono invece i fondi che non conformano il loro assetto e le strategie di iinvestimento alle prescrizioni delle direttive comunitarie essendo perciò esclusi dal regime del mutuo riconoscimento. Il regolamento ministeriale del maggio 1999 indica poi con chiarezza i caratteri distintivi dei fondi comuni chiusi che regolano ingresso e rimborso delle quote secondo altro e peculiare regime.
Il regolamento del fondo "chiuso" stabilisce la entità del patrimonio che sarà oggetto di gestione. E alla acquisizione delle indicate consistenze di patrimonio si provvede mediante una unica operazione di raccolta del risparmio, offrendosi in sottoscrizione quote del fondo che gli investitori possono sottoscrivere entro il termine che si sarà stabilito (ma comunque non superiore ad un periodo di diciotto mesi). Non seguiranno altre emissioni di quote e non vale il principio di libertà di uscita. Le quote sottoscritte saranno infatti rimborsate soltanto alla scadenza indicata come termine di durata del fondo comune che per disposizione del regolamento ministeriale non può comunque superare i trent’anni. E per fondi comuni di questo genere era evidentemente necessario attivare un comparto di mercato finanziario dove le quote di partecipazione possano essere commerciate, così da consentire al loro possessore di concludere l'operazione di investimento alienando (e di acquistare quote del fondo a chi desideri invece aggiungerle al suo portafoglio).
Naturalmente la decisione di attivare fondi comuni chiusi in linea generale è materia di libera scelta della società che ne promuove la costituzione. Ma per talune fattispecie vale una disciplina di obbligo. Sarà infatti necessariamente fondo chiuso il fondo comune che si decida di attivare con una strategia di allocazione delle risorse che supera una certa soglia quanto ad investimenti in strumenti finanziari non ammessi a quotazione su mercati regolamentati. E va ricordato che saranno necessariamente fondi chiusi i fondi comuni che scelgano di orientare l’investimento delle loro risorse al settore dei beni immobili (e dei diritti reali su immobili), al settore (dei crediti e) dei titoli rappresentativi di diritti di credito o ad altri beni diversi dagli strumenti finanziari. A necessaria tutela degli investitori in quote del fondo occorrerà comunque che si tratti di beni tali che anche per essi esista un mercato e una possibilità di stima del valore secondo criteri di adeguata affidabilità.
Si tratti di fondi aperti o di fondi chiusi appartengono poi al numero dei fondi comuni riservati quelli che scelgono come possibili partecipanti soltanto gli investitori "qualificati" dalla loro particolare connotazione di investitori ad elevato grado di professionalità. E sono tali i soggetti indicati alla lettera h) del primo comma dell’art. 1 del regolamento adottato dal ministro del Tesoro che una volta di più sarà bene leggere con la dovuta attenzione. In ogni caso si ricordi che la dsciplina regolamentare indica come investitori qualificati imprese bancarie e imprese assicurative, società di gestione del risparmio e Sicav, fondi pensione e altri investitori ad elevato grado di professionalità, cosa che per i fondi comuni riservati legittima una disciplina notevolmente diversa da quanto dispongono le norme di generale tutela degli investitori "risparmiatore".
A completare la serie delle possibili fattispecie provvede infine la previsione regolamentare di fondi comuni speculativi,tali essendo i fondi ammessi ad una allocazione delle risorse e alla assunzione di soglie di rischio escluse per ogni altra categoria di fondi comuni. Il patrimonio di fondi speculativi può essere investito in una grande varietà di "beni" e la sua gestione può operarsi "in deroga alle norme prudenziali" in linea generale imposte da Banca d'Italia. E per essi non è consentita una sollecitazione all'investimento essendo vietato che le loro quote costituiscano oggetto di un . Si tratti poi di fondi riservati o di fondi speculativi alla particolarità della fattispecie conseguono altre particolarità di regime che la normativa del regolamento ministeriale puntualmente stabilisce.
Come sempre molto altro ancora sarebbe necessario aggiungere. Più delle frammentate discipline di genere speciale come sempre interessava tuttavia segnalare le grande linee del sistema e delle sue garanzie di vigilanza. In considerazione del particolare genere di "fondo" di volta in volta attivato da una Sgr i valori gestiti saranno strumenti finanziari oppure i beni immobili del fondo comune di investimento chiuso che si configuri appunto come fondo immobiliare o ancora gli altri beni che si si sono indicati come possibile oggetto di allocazione delle risorse di speciali categorie di fondi comuni. Ma a vigilare comunque provvederanno sia Banca d’Italia in linea generale applicandosi le già indicate discipline di controllo della stabilità e di "contenimento" del rischio, sia la Consob chiamata alle sue ordinarie funzioni di garanzia dell'osservanza delle regole disposte in materia di trasparenza e correttezza dell'agire finanziario.
Si ricordi infine che in ogni economia finanziaria davvero evoluta si elaborano ulteriori classificazioni per assicurare al mercato la necessaria informazione quanto agli elementi distintivi del portafoglio delle diverse specie di fondi comuni. Serve conoscere la soglia di rischio che caratterizza il fondo,la stategia di investimento scelta dal gestore, il limite segnato alla acquisizione delle singole tipologie di strumento finanziario, la loro ripartizione per area geografica e per settore. Se sono utili le classificazioni riferite al contesto nazionale naturalmente sempre più occorrono anche termini di confronto alla scala sovranazionale. E appunto allo scopo di rendere possibile un confronto tra le diverse realtà di mercato l' Investment Company Institute nord-americano e la Fédération Européenne des Fonds et Sociétés d'Investissement provvedono a classificazioni secondo uno schema standard internazionale.



5.2 . Fondi azionari, fondi bilanciati, fondi obbligazionari. I fondi flessibili, i fondi di liquidità. Le regole dell'attività transfrontaliera.

Per quanto invece riguarda in modo particolare il caso italiano si devono poi segnalare in tutto il loro rilievo le iniziative di Assogestioni. Già nel lontano 1984 Assogestioni aveva provveduto ad una prima classificazione distinguendo semplicemente tra fondi azionari, fondi bilanciati e fondi obbligazionari. Nel corso del tempo l'evolvere delle discipline normative e del sistema finanziario doveva tuttavia comportare consistenti variazioni dei modelli di classificazione. Modificazioni e progressive integrazioni dei criteri di classificazione dei fondi comuni sono infatti indispensabili per assicurarne la permanente significatività. Avviata nel 1988 per provvedere alla classificazione dei fondi comuni a vocazione internazionale, questa operazione di restyling da allora ha continuato ad ampliare il numero delle categorie di fondi separatamente classificate. E dato che anche in questa materia la innovazione finanziaria è processo che non conosce arresti le indicazioni che adesso si offrono valgono soltanto da generale segnalazione di tendenza.
Nella sua più recente formulazione (e per l'essenziale), la classificazione di Assogestioni distingue tra fondi "azionari", fondi "bilanciati", fondi "obbligazionari", fondi di liquidità dell'"area Euro" e fondi "flessibili" operando poi ulteriori distinzioni all'interno delle singole categorie. Fondi pur appartenenti ad una medesima tipologia naturalmente poi si diversificano infatti per una loro particolare composizione del portafoglio, per l'impiego di uno specifico approccio ai problemi della gestione finanziaria e per le possibili varianti del benchmark assunto come parametro di riferimento delle attività gestorie. Ma esistono pur sempre elementi costitutivi e fattori caratteristici della generalità dei fondi della categoria di appartenenza che rendono la classificazione sicuramente significativa.
Essendo azionari i fondi comuni che investono in azioni più del settanta per cento delle loro consistenze patrimoniali si classificano separatamente fondi azionari "nazionali", fondi "europa" che appunto riservano i loro investimenti ad emittenti e mercati europei, fondi dell'"area euro" che investono in titoli di emittenti e mercati dei paesi aderenti all'Euro, fondi "america" e fondi "pacifico" o riservati all'ambito dei "paesi emergenti", fondi "internazionali" che investono in ogni area geografica senza preclusioni di settore, fondi azionari "internazionali" specializzati nell'investimento nei settori delle telecomunicazioni, dell'high tech e del bio tech (ma esistono i fondi azionari con specializzazioni ancora diverse).
Bilanciati sono invece i fondi che ripartiscono le loro risorse tra investimento di genere azionario e titoli di debito. E ancora una volta si tratta di comparto della financial industry ormai entrato in fase matura conun ampio dispiegamento delle offerte. Si dovrà allora distinguere tra bilanciati "azionari", bilanciati "bilanciati" e bilanciati "obbligazionari" a seconda della consistenza del loro portafoglio in azioni che può variare dalla soglia del dieci per cento (assegnata come soglia "minima" ai fondi bilanciati "obbligazionari") alla soglia del novanta per cento (assegnata come soglia massima dell'investimento in azioni ai fondi bilanciati per l'appunto "azionari"). Sono poi obbligazionari tutti fondi che privilegiano l'investimento in titoli di debito.
Per questo settore occorre distinguere tra non meno di nove diverse categorie di fondi, che se nel caso degli obbligazionari "misti" consentono di detenere azioni (entro una limitata soglia di partecipazioni azionarie)in ogni altro caso investono soltanto in un diverso genere di strumenti finanziari. E si si tratterà volta a volta di fondi dell'"area euro" a breve o a medio e lungo termine , dell'area europea o dell'area del dollaro, dello yen o dei paesi o anche di fondi obbligazionari "internazionali", senza predeterminazione di area geografica o invece con particolari "specializzazioni". Sono infine fondi di liquidità "area euro" quanti investono l'intero patrimonio in "attività finanziarie denominate in euro con una durata inferiore o eguale a sei mesi".
E sono fondi flessibili quanti per regolamento del fondo riservano al gestore la più ampia discrezionalità nella configurazione del portafoglio finanziario. Va infine considerato che la indicata classificazione dei fondi comuni vale anche per i fondi di diritto estero. Da ciò tutta la estensione di campo delle alternative di portafoglio offerte al mondo degli investitori, che per orientarsi e decidere trovano poi le dovute garanzie di informazione e di trasparenza delle proposte nelle disposizioni stabilite come obbligata disciplina del prospetto informativon Dal luglio del 2000 al prospetto informativo dei fondi comuni si accompagna una indicazione di benchmark. E si tratta di una innovazione di regime che presenta caratteri di sicuro rilievo.
Anche per questo comparto della financial industry sarà infine chiaro tutto il rilievo delle norme di regime dell' operatività all’estero che in tempi di progressivo azzeramento dei vincoli di appartenenza nazionale costituisce fenomeno di crescente rilievo. Se possono riguardare (e spesso hanno per oggetto appunto) il servizio di gestione individuale di portafoglio, le attività transfrontaliere delle Sgr allo stesso modo possono costituire iniziativa di offerta di quote di fondi comuni di investimento. E in entrambi i casi si opererà alle condizioni e secondo le procedure che si stabiliscono con regolamento approvato dalla Banca d’Italia "sentita la Consob". Ma una volta di più occorre distinguere tra offerta transfrontaliera in ambito comunitario e altre fattispecie. Al riguardo l’art. 41 del Tuf avverte che compete appunto all'indicato regolamento determinare le condizioni e le procedure per la autorizzazione a prestare negli altri Stati comunitari attività non ammesse al mutuo riconoscimento, così come servizi negli Stati che appartengano al numero di quelli extracomunitari. E naturalmente meritano poi attenzione anche le normative di regime delle sollecitazioni del pubblico risparmio provenienti dall'estero.
A disciplinare l’"offerta in Italia" di quote di fondi comuni di investimento esteri provvede il regime dell’art. 42. In caso di fondi "rientranti" nell’ambito di applicazione delle direttive comunitarie occorrerà semplicemente una comunicazione a Banca d’Italia e Consob. Operano tuttavia normative regolamentari di Banca d’Italia che dispongono in materia di adempimenti procedurali e per "assicurare in Italia l’esercizio dei diritti patrimoniali dei partecipanti", così come normative regolamentari della Consob provvedono a quanto occorre in punto di garanzie di informazioni "da offrire al pubblico", essendo comunque richiesta una traduzione in italiano del prospetto informativo. Per Banca d’Italia e Consob esistendo poi i poteri di vigilanza del quarto comma dell’art. 42 . Una banca (italiana) in funzione di banca "corrispondente" curerà i rapporti tra organismo emittente e investitori. E con disposizioni di attuazione dell'art. 42 del Tuf di recente Banca d'Italia.
Nel caso di fondi comuni esteri non armonizzati si applica invece il regime di autorizzazione stabilito dal quinto comma della norma e dal Regolamento che a dicembre del 2001 la Banca d'Italia ha deliberato ai sensi del suo sesto comma. Sentita la Consob ad autorizzare sarà la Banca d’Italia "a condizione che i relativi schemi di funzionamento siano compatibili con quelli previsti per gli organismi italiani". A Banca d’Italia e Consob in punto di vigilanza informativa e di vigilanza ispettiva competono i poteri che la norma del Tuf puntualmente richiama, indicando poi quali poteri alle autorità di vigilanza competono quanto "ai soggetti che curano la commercializzazione delle quote". A loro è infatti consentito (e sarà spesso opportuno) domandare comunicazione anche a scadenza periodica di "dati" e "notizie", così come la trasmissione di atti e documenti che possono risultare necessari per finalità di trasparenza e controllo

(...continua...)




(*) Queste pagine del
Prof. Mario Bessone (Ordinario di istituzioni di diritto privato nell'Università Sapienza di Roma) sono trascrizione di una prima parte dei "materiali di lavoro" in tema di "investitori istiituzionali" elaborati per il corso di Diritto dei mercati finanziari che si svolge presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Roma "La Sapienza"

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