Fondi pensione a prestazione definita.
Le norme di diritto speciale per lavoratori
autonomi e liberi professionisti

di Mario Bessone (*)

 

1. Nel loro insieme le forme di previdenza complementare prefigurate dalla nuova legislazione di settore restituiscono con ogni evidenza l’immagine di un sistema normativo quanto mai complesso. E in queste pagine più avanti si guarderà a quanto è speciale regime della forma previdenziale "a prestazione definita". Esistono tuttavia principi generali che conformano a sé l''intera disciplina di materia, mettendo ordine nella serie delle disposizioni particolari secondo una logica di ordinamento e una linea di politica del diritto a suo tempo indicate del decreto legislativo 124 dell'aprile 1993, che il il decreto legislativo 47 del febbraio 2000 doveva in più parti e fortemente variare senza tuttavia rimuovere regole di struttura del sistema che ne sono elementi costitutivi. Ogni forma pensionistica complementare e perciò ogni e qualsiasi fondo pensione sono comunque e sempre iniziativa che origina da atti di autonomia di soggetti privati, volta a volta contratti collettivi, "accordi" di altro genere, atti regolamentari o deliberazioni di impresa ma pur sempre atti di autonomia a carattere negoziale. E naturalmente le espressioni di autonomia negoziale presentano volta a volta forti caratteri di specialità che non consentono discorsi di estrema sintesi, dovendosi in ogni caso muovere dalla distinzione tra fondi pensione "chiusi" dell'art. 3 e fondi pensione "aperti" dell'art.9 del decreto legislativo.
Come si ricorderà la forma pensionistica "fondo pensione chiuso" è associazione o fondazione del primo libro del codice civile, e perciò una particolare organizzazione di soggetti, attività e mezzi pensata a misura dell’interesse collettivo oggettivamente condiviso dagli appartenenti ad una medesima comunità di lavoro. Quanto più numerosi saranno gli aderenti alla forma pensionistica tanto maggiori saranno le risorse finanziarie per la massima parte consegnate in gestione ad imprese di intermediazione mobiliare, le imprese enumerate dall'art. 6 del decreto legislativo che movimentano il portafoglio finanziario del fondo pensione nel modo necessario per incrementare il suo valore, così da procurare le dovute prestazioni di rendita o (in limitata misura) in conto capitale agli iscritti al fondo una volta maturati i requisiti dell' età pensionabile. E si tratta di prestazioni "complementari del sistema obbligatorio pubblico" intese ad "assicurare i più elevati livelli di copertura previdenziale" che il decreto legislativo 124 indica come il risultato da realizzare.
Operando con la medesima finalità di genere previdenziale il fondo pensione "aperto" è invece semplicemente "patrimonio separato e autonomo" che si gestisce all'interno di imprese di intermediazione finanziaria. Sono le stesse imprese di financial industry che la norma dell'art. 6 del decreto legislativo ha ammesso alla gestione delle risorse di fondi pensione "chiusi" . Attivando un fondo "aperto" offrono al risparmio di genere pensionistico il servizio costituito dalla loro capacità di provvedere ad una efficiente amministrazione delle risorse ricevute secondo una tecnica di gestione finanziaria "in monte" una volta di più intesa a garantire prestazioni per le necessità dell'età anziana. E si tratti di fondo pensione "chiuso" o di fondo pensione "aperto" regolano la materia norme di pubblica vigilanza che assegnano consistenti poteri alla Covip,per l'appunto una Commissione di vigilanza sui fondi pensione (e altri ne assegnano alle diverse stituzioni con competenze di regolamentazione e controllo delle imprese di intermediazione finanziaria).
Si applica in ogni caso una rigorosa disciplina delle attività di investimento delle risorse del fondo pensione che ancora una volta trova le sue disposizioni di vertice nel decreto legislativo 124. Ma il regime stabilito dalle sue disposizioni andava integrato dalle ulteriori discipline di vincolo rimesse alle valutazioni di policy delle autorità di governo.E disponendo che con suo decreto il Ministro del Tesoro doveva individuare i valori mobiliari che possono diventare parte del portafoglio finanziario dei fondi pensione, il comma quarto quinquies del'art. 6 del decreto legislativo impegnava l'autorità di governo a stabilire per esse "i rispettivi limiti massimi di investimento". A questo il decreto ministeriale 703 del 21 novembre 1996 ha provveduto con una normativa che se naturalmente conferma le prescrizioni (e i divieti) già presenti nelle regole di principio dell'art. 6 al tempo stesso ne completa la disciplina, indicando soglie quantitative di investimento diversificate per singole tipologie di valori mobiliari, seguendo una ratio legis che trova adesso puntuale riscontro nel progetto di direttiva comunitaria in tema di"vigilanza sugli enti pensionistici" di genere complementare.
Dal complessivo insieme delle prescrizioni del decreto ministeriale del Tesoro risulta configurato un regime di impiego della ricchezza finanziaria dei fondi pensione che merita un convinto apprezzamento. Sia le regole riferite ad oggetto e allocation degli investimenti sia le altre disposte in considerazione della qualità dei soggetti emittenti (e delle loro appartenenze "di gruppo" o di area di mercato) sia infine le regole attente alla "negoziabilità" dei valori mobiliari stabiliscono infatti un giusto punto di equilibrio tra l'esigenza di assicurare una necessaria libertà nelle movimentazione del portafoglio dei fondi pensione e la contestuale (talora confliggente) esigenza di segnare al libero impiego delle loro risorse taluni limiti di carattere prudenziale. Ma si tratta di limiti del tutto ragionevoli e comunque decisamente motivati in considerazione della finalità previdenziale che più di ogni opportunità speculativa deve caratterizzare l'operato dell'investitore "fondo pensione". Per definizione un investitore ( "prudente" e) che guarda al lungo periodo secondo una logica finanziaria doverosamente lontana da qualsiasi intenzione di short termism.

2. Integrando la disciplina del decreto legislativo 124 con le disposizioni che ne sono diventate i nuovi artt. 9 bis e 9 ter,il decreto legislativo 47 del febbraio 2000 ha configurato normative che costituiscono una riforma di sistema di segno molto forte. Se continuano ad essere suoi caratteri distintivi tutte le conformazioni organizzative, le funzioni di pubblica vigilanza e le discipline di portafoglio che si sono in via breve indicate, la previsione di "piani pensionistici individuali" e il regime che per essi si è stabilito portano infatti con sé variazioni di sistema che sono davvero cosa di grande rilievo. "Piani pensionisti individuali" possono essere offerti al mercato del risparmio previdenziale dal fondo pensione aperto (secondo il regime dell' art. 9 bis), così come possono essere offerti dall'impresa assicurativa nella forma del contratto di assicurazione "sulla vita" (secondo il regime dell'art. 9 ter). E con riguardo all'ambito dei possibili destinatari della nuova forma previdenziale non ci sono prescrizioni di limite.
L'adesione a piani pensionistici individuali è consentita anche a quanti non sono titolari di "redditi di lavoro" (né di "redditi di impresa"). Si rimuove perciò il vincolo di obbligata connessione tra attività lavorativa e previdenza pensionistica, di modo che le prestazioni conseguenti alla sottoscrizione di piani pensionistici individuali non saranno necessariamente a prestazioni del sistema pensionistico pubblico. E non occorre lungo discorso per segnalare tutto il rilievo di una normativa intesa a garantire protezione previdenziale anche a quanti per il passato ne erano inevitabilmente esclusi. Ma la riforma operata dal decreto legislativo 47 è di segno molto forte anche per ciò che ne risulta stabilito con riferimento al mondo del lavoro, perché si è finalmente assicurata la dovuta estensione di campo alla libertà di decisione in ordine alle possibili alternative di investimento di risparmio con finalità previdenziale. E una volta di più non occorre lungo discorso.
Se per il passato prevaleva una policy di preferenza per il fondo pensione chiuso esistendo norme di limite all'adesione a fondi pensione aperti,e norme a valere per gli appartenenti a qualsiasi settore del lavoro dipendente privato o comparto del pubblico impiego, nel nuovo regime espressamente stabilito dalle disposizioni del decreto legislativo 47 ogni previsione di limite si è rimossa, essendo consentito a tutti libertà di scelta tra fondo pensione chiuso e fondi aperti così come è consentita l'alternativa offerta dal piano pensionistico individuale dell'impresa assicurativa. Con ogni evidenza si è trattato di un decisivo passo nella giusta direzione. Quali sono costi e benefici delle diverse "forme previdenziali" dicono con sufficiente chiarezza le norme del decreto legislativo 124, dagli artt. 9 bis e 9 ter essendo adesso precisate le particolarità dei piani pensionistici "individuali". Che ognuno possa poi decidere liberamente come regolarsi è precisamente ciò che un evoluto ordinamento della materia deve consentire.
Molto spesso già di per sé la soglia di reddito delle famiglie segna un limite alla quantità di risorse finanziarie da destinare al risparmio previdenziale. E considerato sia il "costo" della obbligata partecipazione al sistema pensionistico pubblico sia la consistenza delle prestazioni che se ne ricevono, la decisione se e come versare ulteriori contributi ad un forma di previdenza complementare è decisione che ognuno deve prendere a misura del suo personale programma finanziario,dovendosi liberamente valutare le possibili alternative tra le diverse opportunità di investimento finanziario capaci di garantire risultati di maggior protezione pensionistica. A tutto questo si aggiunga che l’investimento di risparmio in piani pensionistici incorpora vincoli di permanenza che sono di lungo periodo e sconosciuti ad altre forme di investimento del risparmio familiare E non si vede perché mai si dovrebbe sottrarre alle famiglie la loro libertà di scegliere. Ma altro ancora sarà bene rilevare considerando in che misura dalle norme regolatrici della materia, e perciò dalla adesione a piani pensionistici derivano un rapporto giuridico contributivo e a suo tempo un rapporto giuridico previdenziale che sono fattispecie a contenuto fortemente vincolato.
La dichiarazione di adesione ad un piano pensionistico è consenso espresso nelle forme della pura e semplice accettazione di un contratto standard ,in ogni sua parte configurato come un insieme di condizioni generali che non lasciano spazio ad alcuna possibilità di trattativa o di inserzione di clausole correttive dello standard. E il regime degli oneri che gravano sull’aderente in corso di svolgimento del rapporto contributivo anch’esso non è regime liberamente contrattato, così come del tutto precostituito è l’insieme dei contenuti e delle quantità delle prestazioni poi offerte agli iscritti alla forma pensionistica nel corso del rapporto previdenziale che ne deriva. In presenza di queste (e altre) rigorose norme di limite alla possibilità stessa di adeguare a soggettive preferenze la forma pensionistica complementare, sarà quindi chiaro che tanto più è necessario assicurare ampia libertà quanto alle decisioni di portafoglio che si devono prendere tutte le volte si tratta di portafoglio previdenziale.
In ogni caso la decisione da assumere è di genere molto complesso. E' una decisione individuale ma molto spesso assunta nell'interesse di un intero nucleo familiare. E una decisione che invariabilmente comporta una valutazione dei flussi di reddito percepiti o attesi in futuro e una attenta considerazione della anzianità contributiva maturata quanto alla pensione del sistema obbligatorio (così come una evidente attenzione ai possibili svolgimenti della propria posizione professionale). Allo stesso modo occorre un razionale apprezzamento della composizione e degli elementi distintivi delle attività finanziarie e delle altre attività patrimoniali già presenti nella "economia" individuale del singolo o del suo nucleo familiare, occorrendo quindi ragionare sulla soglia di rischio, le prospettive di rendimento e la durata degli investimenti già in atto non esclusi gli investimenti eventualmente già in altro modo attivati per finalità previdenziali. A tutto questo si aggiunga infine quanto può essere particolarità delle singole e sempre mutevoli situazioni personali dei possibili destinatari delle forme pensionistiche complementari.
Il principio di libertà delle decisioni relative agli investimenti di risparmio con finalità previdenziale finalmente stabilito con la normativa disposta dal decreto legislativo 47 tuttavia opera secondo una particolare logica di sistema e soltanto nella misura consentita da prescrizioni che hanno carattere di imperatività. Se l'indicato principio di libertà è ormai principio al vertice dell'intero ordinamento di settore, con riguardo alle forme pensionistiche complementari una decisiva diversificazione si deve infatti pur sempre al secondo comma dell’art. 2 del decreto legislativo 124, che con norma inderogabile indica quali forme pensionistiche possono attivarsi nell’interesse dei prestatori di lavoro subordinato e quali nel diverso caso delle forme pensionistiche che hanno per destinatari gli appartenenti al mondo del lavoro autonomo e delle libere professioni. E in questo senso occorre considerare la distinzione (che è di primario rilievo) tra forme pensionistiche
"a contribuzione definita" e forme pensionistiche invece "a prestazione definita" valutando quanto è grande la specialità di oggetti e di contenuti che le differenzia in modo assolutamente determinante.
Molto si dovrebbe precisare. Ma all'analisi di prima approssimazione che si svolge in queste pagine possono bastare sarà alcuni riscontri di genere elementare.
sono i fondi pensione tali che definita è soltanto l'entità delle contribuzioni domandate agli aderenti alla forma previdenziale.Il loro rendimento e perciò la prestazione che si riceverà costituiscono una variabile dipendente dai risultati della gestione finanziaria del patrimonio del fondo. Sono "a prestazione definita" i fondi pensione che invece garantiscono certezza in ordine al valore economico della prestazione che si riceverà già all'origine appunto "definita". Va tuttavia considerato che l'adesione ad una forma pensionistica di questo genere comporta l'assunzione di un impegno che può essere notevolmente oneroso. Quando la gestione finanziaria del fondo pensione di per sé non sia tale da assicurare la prestazione a suo tempo "definita" occorrerà infatti provvedere a maggiori contribuzioni.
Attivare la forma previdenziale "a fondo definita" è consentito tanto a fondi pensione "chiusi" che a fondi pensione "aperti". Ma si opera nel regime stabilito dall'art. 2 del decreto legislativo 124. E la lettera a del suo secondo comma avverte che per i lavoratori dipendenti (e per i soci lavoratori di società cooperative nella fattispecie della lettera b bis del primo comma) si possono attivare soltanto forme pensionistiche complementari "a contribuzione definita"
. A lavoratori autonomi e professionisti liberi la lettera b della stessa norma offre invece una ulteriore e rilevante opportunità, perché per essi il regime della contribuzione definita ha una alternativa senz’altro praticabile nel regime di prestazioni definite "volte ad assicurare una prestazione determinata" che sarà la singola forma pensionistica a quantificare. E la indicata distinzione di regimi in considerazione delle distinte posizioni professionali degli aderenti a fondi pensione ha valenza generale, essendo norma inderogabile sia per i soggetti promotori di fondi pensione chiusi che per le imprese di intermediazione finanziaria attive sul fronte dell’offerta di fondi pensione aperti.

3. Così disponendo il legislatore della nuova previdenza complementare ha scelto una precisa linea di politica del diritto. Se infatti si guarda allo scenario di insieme dei fondi pensione costituiti prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo 124 si constata che in certa misura è anche scenario di fondi pensione
"a prestazione definita" variamente attivati in diversi ambienti di lavoro dipendente del settore privato. E sarà il caso di ricordare che all'origine del fenomeno "fondo pensione" a prestazione "definita" storicamente e in più paesi si ritrovano ancora imprese e lavoratori di imprese. Più precisamente si ritrovano iniziative imprenditoriali che consistevano in una "promessa" indirizzata ai lavoratori dell'impresa tale da configurare forme previdenziali del genere a prestazione "definita" , essendo contenuto della premessa imprenditoriale appunto l’assunzione di un impegno ad assicurare una prestazioni di grandezza predeterminata. Da ciò per il datore di lavoro l'onere di commisurare al risultato promesso le risorse finanziarie volta a volta occorrenti per assicurare ai lavoratori quel beneficio previdenziale.
Quando poi ad assicurare quel risultato concorrano contribuzioni del lavoratore naturalmente si configura altroe particolare genere di forma pensionistica, dovendosi valutare in che misura l’esposizione al rischio di variazione degli oneri contributivi (se non si trasferisce al datore di lavoro) sia compatibile con la evidente necessità di stabilire una ragionevole e costante proporzione tra consistenza del reddito da lavoro dipendente e grandezza delle risorse da riservare al portafoglio pensionistico complementare. E guardando a questo ordine di problemi il legislatore della nuova previdenza complementare ha ritenuto che l’esposizione a quel rischio superi la soglia di onerosità da considerare accettabile per il mondo del lavoro subordinato. Da ciò il divieto della lettera a del secondo comma dell’art. 2 che come si diceva è norma con caratteri di inderogabile imperatività E se diversamente si è stabilito per il mondo dei lavoratori autonomi e degli appartenti a libere professioni si è pur sempre disposto uno speciale regime di garanzie.
Per la generalità dei settori di lavoro autonomo e di libere professioni essendo ragionevole immaginare una condizione economica e flussi di reddito compatibili con il rischio di possibili incrementi degli oneri di contribuzione si è lasciato tutto lo spazio necessario alla forma previdenziale a prestazione definita, e perciò alle norme che a raggruppamenti di lavoratori autonomi e liberi professionisti anche organizzati "per aree professionali e per territorio" consentono l' attivazione di forme pensionistiche complementari "volte ad assicurare una prestazione determinata" che sarà la disciplina statutaria o regolamentare del singolo fondo pensione chiuso o il regolamento del fondo a precisare, dovendo scegliere se assumere come riferimento il livello del reddito degli aderenti oppure invece la entità del loro trattamento pensionistico nel regime obbligatorio pubblico .
Se garantisce certezza quanto al valore economico della prestazione pensionistica che si riceverà in una quantità già all’origine, per tutte le ragioni che non sarà il caso di ripetere l’ alternativa di modello che si offre a lavoratori autonomi e professionisti liberi incorpora fattori di rischio che andavano anch'essi pur sempre valutati. Infatti non va escluso il caso di un overfunding di gestione della massa amministrata tale da consentire finanche una riduzione degli oneri contributivi. Ma allo stesso modo e con evidenti motivi di preoccupazione andava considerata l’eventualità di un persistente underfunding della gestione che potrebbe rendere notevolmente oneroso il maggior impegno contributivo in ipotesi necessario per adeguare la grandezza dei flussi finanziari al progetto previdenziale del fondo pensione .E questo spiega la speciale disciplina della forma pensionistica complementare a prestazione definita.
Secondo il regime stabilito dalle norme del decreto legislativo 124 (e più precisamente per disposizione del terzo comma dell’art. 6 del decreto) si tratti di fondi pensione chiusi o di fondi pensione aperti la sua attivazione comporta infatti necessariamente gestione di risorse da parte di imprese assicurative che operano con le modalità e la tecnica della assicurazione. Nel caso del fondo pensione chiuso a ciò si provvederà mediante le apposite convenzioni stipulate dai suoi amministratori con imprese assicurative secondo la normativa dell’art. 6 del decreto. Nel caso del fondo pensione aperto saranno invece le imprese "promotrici" ad offrire al mercato del risparmio previdenziale forme pensionistiche complementari a prestazione definita provvedendo alla costituzione di fondi aperti che si caratterizzano per questo genere di programma pensionistico. Ma in tutti i casi comunque non si darà "prestazione definita" se non per via di imprese assicurative e di attività di assicurazione nel senso stretto del termine.
E questa variante del sistema è di segno così forte da confermare con ogni evidenza che l’universo della previdenza complementare non è davvero insieme unitario se non nella comune finalità pensionistica dei suoi apparati e dei suoi strumenti, che poi quella finalità perseguono in forme di gestione della ricchezza pensionistica lontane da qualsiasi uniformità di regole.Consegnare risparmio previdenziale al fondo pensione secondo regime di contribuzione definita significa consegnare in una misura conosciuta e certa quantità di moneta per una gestione di risparmio non diversa da altre forme di gestione di portafoglio finanziario se non per la finalità pensionistica. E la obbligazione del fondo pensione a contribuzione definita è pura e semplice obbligazione di mezzi. Accettando l'adesione di lavoratori autonomi o di professionisti liberi il fondo pensione a prestazione definita per quanto possano variare le entità delle contribuzioni dovute si vincola comunque ad una obbligazione di risultato che si persegue mediante la attività tipica dell’assicuratore e mediante contratti di assicurazione in senso tecnico.
Ne conseguono tuuti i caratteri di specialità di una forma pensionistica che fa parte a sé. E con ogni evidenza la necessità di un suo speciale regime da precisare con disposizioni di circostanziata chiarezza mentre invece la sua regolazione giuridica continua ad essere gravemente incerta e comunque lacunosa, perchè il decreto legislativo 124 circoscrive i suoi contenuti normativi entro l’ambito segnato da isolate e reticenti disposizioni comunque molto lontane da un coerente disegno di insieme. Ne risulta un puntuale riferimento alle convenzioni con imprese assicurative da stipulare in osservanza del terzo comma dell’art. 6 del decreto. Saranno i contratti di assicurazione che nell’interesse dei suoi iscritti e a loro favore il fondo pensione sottoscrive impiegando come premio contrattuale dovuto all’assicuratore il flusso dei contributi versati dagli aderenti alla forma pensionistica,c he nella loro posizione di terzi estranei al contratto tuttavia ne derivano un diritto di credito previdenziale quanto alla prestazione di rendita (o per una parte in conto capitale) che a suo tempo l’impresa assicurativa dovrà corrispondere in quantità già all’origine definite. E nel caso del fondo pensione aperto che l’impresa assicuratrice promuova di sua iniziativa la stessa adesione al fondo costituirà l’indicato rapporto di genere assicurativo.
Ancora il terzo comma dell’art. 6 avverte che per il fondo a prestazion definita non si darà corso ai contratti di allocazione delle risorse finanziarie presso una banca depositaria che invece sono elemento costitutivo delle fattispecie di previdenza complementare 
"a contribuzione definita" Né questa norma né altre tuttavia aggiungono quanto pure occorreva per garantire completezza e certezze di regime ad una forma pensionistica che più di ogni altra ha stringente necessità di una disciplina a misura della sua specialità e della rilevanza degli interessi in gioco. Non si sono stabilite regole quanto alle modalità di variazione dell’obbligo contributivo degli iscritti. Non si sono configurate normative di riferimento per le attività di gestione finanziaria delle imprese assicurative. E come si preciserà più avanti le norme del decreto legislativo per questa parte sono così lacunose da ingenerare le maggiori incertezze anche quando si è trattato di accertare quali imprese assicurative sono autorizzate allo svolgimento della attività.


4. Tutto questo doveva inevitabilmente determinare una pesante situazione di disagio con l'immediata conseguenza di un mancato avvio ad operatività dei fondi pensione a prestazione definita che ancora oggi sono soltanto ipotesi e progetto da precisare .E le norme del decreto sono così imperfette da non consentire una attivazione del comparto in assenza di un provvedimento regolatore con i mezzi dell’intervento legislativo o quanto meno nelle forme della interpretazione autentica delle disposizioni che fossero ritenute utili allo scopo. Perciò a suo tempo la Covip ha segnalato il problema alle autorità di governo essendo escluso che ad un organismo amministrativo fosse consentito di operare in supplenza delle autorità istituzionalmente legittimate a provvedere agli indispensabili completamenti della disciplina di settore. Non si trattava infatti (e a tutt’oggi non si tratta) di far semplicemente uso degli ordinari strumenti dell’interpretazione di norme, esistendo intere parti della disciplina dove occorreva (e ancora occorre) provvedere piuttosto ad una integrazione del sistema normativo. E una integrazione del sistema per misura e per oggetto davvero lontana dall’orizzonte istituzionale di una Commissione di vigilanza che ha soltanto poteri di normazione secondaria del settore.
Inadeguatezza e lacune del decreto legislativo 124 emergono con particolare evidenza se si considerano le disposizioni di regime delle attività di gestione delle risorse del fondo pensione. Disposizioni che formalmente non distinguono ma tutte pensate sul modello del fondo pensione a contribuzione definita senza che ne risulti una indicazione univoca quanto al regime da applicare nel diverso caso del fondo a prestazione definita. Da ciò i più gravi tra i punti di caduta di un assetto normativo dove in questo senso visibilmente si ignora la specialità di una gestione di portafoglio che pure imperativamente si assegna ad imprese assicurative e ad esse soltanto. E questa inderogabile riserva di attività è disposta con una norma di assoluta indeterminatezza, che di per sé non consentiva di stabilire a quale dei diversi "rami" di impresa assicurativa si devono riservare le attività del comparto a prestazione definita.
Dalla disposizione del terzo comma dell’art. 6 del decreto legislativo 124, infatti, risulta stabilito soltanto che come nel caso delle "eventuali prestazioni per invalidità e premorienza", così anche nel caso delle "forme pensionistiche in regime di prestazione definita" si rende necessario l'operare di imprese assicurative. E se quanto al delle imprese assicurative nella sua originaria formulazione la disciplina del decreto abilitava all'attività indifferentemente le imprese assicurative di ramo primo, di ramo quinto e di ramo sesto , la nuova formulazione che la norma del decreto ha ricevuto dalle disposizioni dalla legge 335 dell'agosto 1995 invece non dice e non lascia facilmente intendere quali sono le imprese assicurative abilitate alle attività del comparto della previdenza complementare a prestazione definita. Ne dovevano inevitabilmente conseguire le controversie interpretative che sarà utile ricordare.
Per parte sua l'Autorità di vigilanza sul settore assicurativo aveva privilegiato argomenti ad avviso dell’Isvap determinanti per ritenere che la gestione delle risorse dei fondi pensione a prestazione definita appartenga all’ambito di operatività delle imprese autorizzate alll’esercizio delle attività di assicurazione "sulla durata della vita umana" . All’Isvap era perciò sembrato di dover interpretare la normativa del decreto legislativo 124 nel senso che provvedere alla gestione dei fondi a prestazione definita compete alle imprese assicurative di ramo primo. Ne doveva conseguire con ogni evidenza una contrapposizione di orientamenti difficilmente superabile. Ad avviso della Commissione di vigilanza sui fondi pensione altra era infatti l’interpretazione delle norme da considerare preferibile.
Nel silenzio del terzo comma dell’art. 6 la Covip aveva ritenuto di dover muovere dal riferimento della lettera b del primo comma della norma alle imprese assicurative  "di ramo sesto". E considerato che esse soltanto sono abilitate alla gestione delle risorse di fondi pensione a contribuzione definita, si era da ciò derivata una complessiva e generale ratio legis del decreto legislativo non ravvisandosi elementi di valutazione decisivi per ritenere che intenzione del legislatore fosse disporre diversamente per le fattispecie a prestazione definita. Si è perciò argomentato secondo principio di analogia osservandosi inoltre che la disposizione di vigilanza del quarto comma dell’art. 6 del decreto legislativo 124 con ogni evidenza si riferisce soltanto alle imprese assicurative "di ramo sesto"  indicate dalla lettera b del primo comma della norma.
Con queste motivazioni la Covip si è quindi orientata ad interpretare la reticente disciplina del decreto legislativo nel senso che anche per le forme pensionistiche a prestazione definita operi una riserva di attività a favore delle imprese assicurative di ramo sesto.In autorevoli ambienti ministeriali si era infine delineato un orientamento ancora diverso ritenendosi che in materia di forme pensionistiche a prestazione definita non vi sia alcuna riserva di attività, esistendo invece spazio aperto all’operare di imprese assicurative quale che possa essere dal primo al sesto il loro ramo professionale di appartenenza. Da ciò ulteriori fattori di contrapposizione tra divergenti valutazioni della ratio legis e comunque del contenuto normativo delle disposizioni da applicare. Formalmente richiesta di una interpretazione autentica da parte della Covip la autorità di governo in una situazione di evidente incertezza aveva a sua volta richiesto una opinione al Consiglio di Stato.
Opinione che doveva consentire finalmente di fare chiarezza. Con il parere reso dalla sua seconda sezione nella adunanza del 29 settembre 1999 il Consiglio di Stato si è infatti espresso nel senso che le attività in materia di fondi pensione a prestazione definita devono ritenersi riservate alle imprese assicurative di cui alla Tabella A dell'Allegato I del decreto legislativo 174 del 17 marzo 1995 emanato in attuazione della direttiva comunitaria in materia di "assicurazione diretta sulla vita". E perciò in considerazione delle classificazioni di ramo ritenersi per stretta conseguenza attività riservate alle imprese assicurative di ramo sesto, essendo la gestione dei fondi pensione a prestazione definita per sua natura "gestione" caratteristica di imprese assicurative che come appunto le imprese di ramo sesto tipicamente provvedono a "operazioni di gestione di fondi collettivi costituiti per l'erogazione di prestiti in caso di morte, in caso di vita o in caso di cessazione o riduzione dell'attività lavorativa".
Ad avviso del Consiglio di Stato "forme a prestazione definita" e d’altra parte "forme a contribuzione definita" non sono caratterizzate da una differenza di alea e degli altri elementi costitutivi della fattispecie tali da giustificare un diverso regime di modo che "in via analogica si dovrà applicare alle forme pensionistiche in regime di prestazione definita la stessa limitazione" e la riserva di attività"espressamente stabilita per le forme pensionistiche in regime di contribuzione definita" . Ad avviso del Consiglio di Stato la complessiva disciplina del decreto legislativo impegnava perciò appunto a "restringere" l’ambito "delle imprese assicuratrici" abilitate alla gestione dei fondi pensione a prestazione definita
"a quelle sole del ramo sesto". Ne risulta confermato l’orientamento a suo tempo espresso dalla Commissione di vigilanza. E quel che più interessa ne risulta una indicazione determinante per l’avvio ad operatività di possibili iniziative di fondo pensione a prestazione definita, essendo tuttavia ancora insoluti gli altri problemi di suo regime che a tutt'oggi non consentono di attivare come sarebbe invece necessario anche questo comparto di previdenza complementare.
In queste pagine non è possibile l'esauriente analisi della normativa che sarebbe invece necessario svolgere guardando all'intera serie delle fattispecie di amministrazione finanziaria di forme pensionistiche . Sia pure in via breve sarà tuttavia il caso di segnalare quanto comunque emerge con evidenza già da un sommario confronto di regime tra amministrazione finanziaria del fondo pensione che assegni le sue risorse ad una impresa di financial industry per la gestione di una forma previdenziale
"a contribuzione definita"  e la diversa fattispecie della amministrazione di patrimonio che fosse organizzata sul modello della forma "a prestazione definita" mediante una convenzione con l'impresa assicurativa sul modello del terzo comma dell'art.6 del decreto legislativo 124. Già in questa limitata prospettiva di analisi sarà infatti chiaro in qual misura esistono punti di incertezza (per l'assenza di una univoca ratio legis e) per la inadeguatezza di contenuti delle normative del decreto. Che sia così emerge con ogni evidenza da una serie di disposizioni che conviene leggere nella loro naturale successione.


5. Per espressa indicazione del comma quarto ter dell’art. 6 del decreto i fondi pensione sono "titolari (...) delle disponibilità" conferite in gestione che presso l’impresa "gestore" costituiscono "patrimonio separato e autonomo" da contabilizzare a valori correnti. E dalla medesima norma il fondo pensione è legittimato a proporre la domanda di rivendicazione "di cui all'articolo 103 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267". Ancora al fondo pensione competono per disposizione della lettera c) del comma quarto bis dell’art. 6 i diritti di voto inerenti ai valori mobiliari nei quali risultano investite le sue disponibilità . Si consideri poi la disciplina delle linee di indirizzo della lettera a) del comma quarto bis dell’art. 6 e il regime delineato dal comma quarto quinqiues della medesima norma.Si consideri infine nel loro contesto la serie delle disposizioni stabilite dal decreto del ministeriale del tesoro 703 del novembre 1996 quanto al regime delle attività finanziarie, delle soglie di limite degli investimenti, dei criteri di gestione del portafoglio,delle operazioni vietate e delle possibili situazioni di conflitto di interesse.
E’ un intero sistema di norme che visibilmente pensate senza la dovuta attenzione ad altre fattispecie disciplinano invece secondo sicura logica di insieme il complesso rapporto che intercorre tra fondo pensione a contribuzione definita e imprese "gestore". Ma di ognuna di esse a veder bene è quanto mai incerta la applicabilità al particolare caso del fondo a prestazione definita. E autorevoli specialisti della materia si sono espressi nel senso di una drastica esclusione della loro applicabilità anche a tale forma previdenziale, considerando la prestazione definita nulla di diverso da una "prestazione di garanzie assicurative" che ha per oggetto obbligazioni di risultato, e non invece una attività di "gestione del patrimonio" nel senso proprio del termine (cosa che sembra appunto escludere una uniformità di regime).
Con varietà di argomenti altri tuttavia dissentono e portano obiezioni ad un orientamento interpretativo che disapprovano come interpretatio abrogans di disposizioni a loro opinione necessariamente estese alla generalità delle forme pensionistiche complementari. E in questo senso si sono a suo tempo espressi anche autorevoli ambienti ministeriali insistendo molto su considerazioni di genere sistematico. Si è osservato che nelle intenzioni del legislatore della previdenza complementare le norme del decreto legislativo 124 dovevano costituire un regime unitario. E da questa constatazione si è derivato il convincimento che se si possono ritenere consentite varianti di regime sono invece impensabili e contra legem interpretazioni dell’insieme normativo che sottraggano la forma pensionistica a prestazione definita all’applicazione della maggior parte delle disposizioni del decreto.
Anche se la formale "titolarità" dei valori e delle disponibilità del fondo pensione a prestazione definita compete all’impresa assicurativa (cosa non discutibile) si è perciò sostenuto che esiste pur sempre sostanziale autonomia e separatezza di un patrimonio da considerare in ogni caso appartenenza e spettanza del fondo pensione. E dal confermato principio di separazione tra patrimonio dell’impresa assicurativa "gestore" e separato patrimonio del fondo pensione si deriva anche per la forma pensionistica a prestazione definita l’applicabilità delle disposizioni del decreto legislativo 124 che stabiliscono contabilizzazione delle risorse a costo storico, legittimazione del fondo pensione all’esercizio dell’azione di rivendicazione, attribuzione al fondo pensione dei diritti amministrativi e segnatamente dei diritto di voto conseguenti alla presenza nel portafoglio pensionistico di partecipazioni azionarie.
Quanto poi a composizione del portafoglio pensionistico, criteri e oggetto (e naturalmente anche limiti) della possibile asset allocation, regole di trasparenza delle situazioni di conflitto di interesse e più in generale l’intera serie delle materie riguardate dal comma quarto quinquies dell’art. 6 del decreto legislativo 124, si è ancora e autorevolmente sostenuto trattarsi di regole senz'altro applicabili anche all'impresa assicurativa e alle forme pensionistiche "a prestazione definita", osservandosi che provvedendo all’ulteriore disciplina della materia il decreto del Ministro del tesoro non ha operato alcuna distinzione tra forma previdenziale a contribuzione definita e forme (a contribuzione variabile ma) a prestazione definita. E con particolare riguardo all’asset allocation si è infine ricordato che nella sua parte di premessa il decreto del tesoro del novembre 1996 si riferisce all’esigenza di individuare le attività nelle quali si possono investire risorse del fondo pensione indipendentemente dal regime o dal modello gestionale prescelto.
Da tutto questo altre argomentazioni di evidente rilievo ma davvero non la certezza di orientamenti e di regime che anche in materia di fondi a prestazione definita è invece assolutamente necessaria. A suo tempo la Covip ha perciò interpretato bene il suo ruolo istituzionale segnalando alle autorità di governo la necessità (che è ormai urgente necessità) di interventi finalmente capaci di mettere ordine e fare chiarezza. E qualsiasi passo in questa direzione deve ancora una volta muovere dalla considerazione che in decisiva misura la forma pensionistica "a prestazione definita" consiste in una prestazione di garanzie assicurative che ha per oggetto obbligazioni di risultato (e non è invece una ordinaria attività di gestione di patrimonio), essendo perciò ben motivato l'assunto di quanti per la forma "a prestazione definita" in linea di principio escludono l'applicazione di numerose disposizioni dell’art. 6 del decreto legislativo 124 , in modo particolare ritenendosi escluso che all’impresa assicurativa possano applicarsi sia le lettere a, b e c del comma quarto bis sia le prescrizioni del comma quarto ter della norma del decreto
Quanto alla previsione della lettera a si argomenta nel senso che se linee di indirizzo del fondo pensione possono valere per attività di gestione della forma pensionistica a contribuzione definita nel caso della forma a prestazione definita si concretano attività assicurative ma non gestioni suscettibili di ricevere indicazioni gestorie, essendo perciò in radice esclusa la possibilità stessa di deliberate all'interno del fondo pensione. E ancora il rilievo che una cosa è "gestione" ma altra cosa la prestazione assicurativa sembra motivare la inapplicabilità di quanto la lettera b del quarto comma dell’art. 6 stabilisce in tema di recesso dalla convenzione e di "restituzione delle attività finanziarie". Allo stesso modo si argomenta con riguardo alla rilevante problematica dell'esercizio dei diritti di voto.
Se come regola generale la lettera c del quarto comma dell’art. 6 riserva al fondo pensione i diritti di voto conseguenti alla titolarità dei valori mobiliari "nei quali risultano investite le disponibilità del fondo", si obietta che nel caso della prestazione definita non si ritrovano disponibilità del fondo ma soltanto disponibilità patrimoniali dell’impresa, che formandosi per flusso di contributi versati dal fondo pensione come "premio" assicurativo immediatamente diventano disponibilità finanziaria e valori nella giuridica "titolarità" dell’assicuratore, perciò stesso legittimato all’esercizio dei diritti di voto eventualmente conseguenti alla presenza nel suo portafoglio di partecipazioni azionarie. Egualmente drastica la esclusione di qualsiasi possibilità di applicazione delle disposizioni del quarto comma ter della norma del decreto.
Una volta di più sostenendosi che una cosa sono le attività di gestione finanziaria dei fondi pensione
"a contribuzione definita" e tutt’altra altra cosa le attività di genere assicurativo svolte dall’impresa in esecuzione di convenzioni stipulate con fondi pensione "a prestazione definita", per stretta conseguenza alle forme pensionistiche di quest’ultimo genere non si ritengono infatti applicabili normative che configurano i valori e le disponibilità indicati dalla norma del decreto come "separato e autonomo" patrimonio da considerare pur sempre nella giuridica titolarità del fondo pensione. Né si ritengono applicabili le già segnalate disposizioni che ne prescrivono la contabilizzazione a valori correnti. Né secondo questa logica di sistema si possono ritenere operative disposizioni che legittimano il fondo pensione all’azione di rivendicazione dell’art. 103 della legge fallimentare.
Nel caso delle forme pensionistiche a prestazione definita per l’indicato orientamento interpretativo i "valori" e le disponibilità che si indicano nella norma dell’art. 6 non possono che essere di proprietà dell’impresa assicurativa a copertura di riserve tecniche. E quanto ai loro criteri di valutazione come si sa gli "attivi" posti a copertura di riserve tecniche si contabilizzano a costo storico. Quanto infine alla materia delle procedure concorsuali da applicare non sarebbe la disciplina della legge fallimentare altra essendo la normativa di regime delle situazioni di insolvenza.Per le ragioni che si sono indicate le situazioni di eventuale insolvenza dovrebbero infatti essere riferite alla disciplina di liquidazione coatta amministrativa delle imprese assicurative. E non sarà più il caso di aggiungere esempi di fattispecie emblematiche.
Già i problemi di ordinamento della forma pensionistica che si sono segnalati documentano a sufficienza la necessità di interventi integrativi (e per molta parte correttivi) di una normativa decisamente imperfetta. Per l'intero mondo del lavoro autonomo e delle libere professioni la forma costituisce una interessante alternativa ad altre possibili forme di investimento di risparmio con finalità pensionistica. Spesso si dice che l’alternativa offerta a lavoratori autonomi e a professionisti liberi dalla forma a prestazione definita è sconsigliabile per il suo rischio di eccessiva onerosità e comunque sconsigliabile in una fase storica di mercati finanziari molto "volatili". E si sono segnalate indagini in prospettiva di comparazione che su scala anche geograficamente molto ampia sembrano documentare un andamento recessivo delle forme di previdenza complementare a prestazione definita.
Altre analisi di consistente contenuto offrono tuttavia indicazioni di diverso segno e comunque cosa sicura è che a investitori di risparmio previdenziale e imprese legittimate ad operare chiarezza e razionalità di regime sono giuridicamente dovute mentre invece il mondo del lavoro autonomo e delle libere professioni deve a tutt'oggi segnare al passivo la mancata operatività di forme pensionistiche "a prestazione definita". Gli interventi regolatori che sono necessari per precostituire condizioni di operatività non possono continuare ad essere rinviati ad un imprecisato futuro. Occorrono normative con caratteri di indispensabile completezza. E questo significa delineare in modo puntuale e coerente il sistema delle regole che variamente riguardano regime del patrimonio del fondo pensione e titolarità dei diritti di voto,disciplina delle attività di investimento e precisazione delle loro soglie quantitative, criteri di gestione, situazioni di conflitto di interesse e quant’altro si è indicato come materia ancora in attesa di certezze applicative.


(*) Prof. Mario Bessone. Ordinario di istituzioni di diritto privato nell'Università Sapienza di Roma


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