Fondi pensione e diritti soggettivi. 
Portability della posizione previdenziale, discipline di riscatto, 
il recesso per giusta causa


a cura di Mario Bessone


1. Quando si guarda ai principi di vertice dell'ordinamento di settore che regola fondi pensione e prestazioni previdenziali dell'impresa assicurativa occorre necessariamente muovere da una ricognizione di campo particolarmente attenta a quanto si è stabilito con le norme del decreto legislativo 47 del febbraio 2000. Integrando la disciplina del decreto legislativo 124 dell'aprile 1993 mediante prescrizioni che ne sono diventate i nuovi artt. 9 bis e 9 ter, il decreto legislativo 47 ha infatti operato una riforma di sistema di segno molto forte. Se continuano ad essere suoi caratteri distintivi tutte le conformazioni organizzative, le discipline di portafoglio e le funzioni di pubblica vigilanza già disposte dalla legislazione degli anni Novanta, la previsione di "piani pensionistici individuali" e il regime che per essi si è stabilito portano infatti con sé variazioni dello scenario di insieme che sono davvero cosa di grande rilievo. Naturalmente costituiscono significativa innovazione già le singole disposizioni di speciale regime delle nuove "forme pensionistiche". Ma più ancora è significativa innovazione di sistema l'estensione del loro ambito di operatività.
"Piani pensionisti individuali" possono essere offerti al mercato del risparmio previdenziale dal fondo pensione aperto (secondo il regime dell' art. 9 bis), così come possono essere offerti dall'impresa assicurativa nella forma del contratto di assicurazione "sulla vita" (secondo il regime dell'art. 9 ter). E con riguardo all'ambito dei possibili destinatari della nuova forma previdenziale non ci sono prescrizioni di limite. L'adesione a piani pensionistici individuali è infatti consentita anche a quanti non sono titolari di "redditi di lavoro" (né di "redditi di impresa"). Si rimuove perciò il vincolo di obbligata connessione tra attività lavorativa e previdenza pensionistica, di modo che le prestazioni conseguenti alla sottoscrizione di "piani pensionistici individuali" non saranno necessariamente a prestazioni del sistema pensionistico pubblico. E non occorre lungo discorso per segnalare tutto il rilievo di una normativa intesa a garantire protezione previdenziale anche a quanti per il passato ne erano inevitabilmente esclusi. Ma la riforma operata con il decreto legislativo del febbraio 2000 è di segno davvero molto forte anche per ciò che ne risulta stabilito con riferimento al mondo del lavoro.
Il principio di libertà che già consentiva di decidere se sottoscrivere un contratti di adesione ad una "forma" pensionistica "complementare" dalle disposizioni del decreto legislativo 47 è infatti integrato dalla libertà di scegliere senza prescrizioni di limite quale "forma pensionistica" privilegiare. Con le sue disposizioni si è così finalmente assicurata la dovuta estensione di campo alla libertà di decisione dei singoli anche quanto.alle possibili alternative di investimento di risparmio con finalità previdenziale. Per il passato prevaleva una policy di preferenza per il fondo pensione "chiuso" esistendo norme di limite all'adesione a fondi pensione aperti. E (quando fosse possibile l'adesione a fondo pensione "chiuso") norme a valere per gli appartenenti a qualsiasi settore del mondo del lavoro dipendente. Nel regime espressamente stabilito dalle disposizioni del decreto legislativo 47 con una nuova formulazione del secondo comma dell'art. 9 del decreto legislativo 124 ogni previsione di limite si è finalmente rimossa ,essendo perciò consentita a tutti libertà di scelta tra fondo pensione chiuso e fondi così come è consentita l'alternativa offerta dal piano pensionistico individuale dell'impresa assicurativa.
Da ciò davvero un decisivo passo nella giusta direzione.Quali sono costi e benefici delle diverse dicono con sufficiente chiarezza le norme del decreto legislativo 124.Quali sono le particolarità dei nuovi piani pensionistici si legge nelle disposizioni degli artt. 9 bis e 9 ter .E che ognuno possa poi decidere liberamente come regolarsi e che cosa scegliere è precisamente quello che un evoluto ordinamento della materia deve consentire.Quanto poi alla multiforme trama di di diritti e obbligazioni che conseguono alla sottoscrizione di contratti di adesione, se esistono come si sa numerose discipline a carattere speciale (che in queste pagine non saranno considerate)al tempo stesso valgono norme di generale applicazione inevitabilmente situate ad un difficile punto di equilibrio tra regimi di vincolo e libertà negoziali dell'aderente alla forma pensionistica.Ne conseguono altre basic rules che altrove si sono considerate in più ampia prospettiva di analisi dovendosi grande attenzione anche ai piani pensionistici dell'impresa assicurativa. Ma anche a considerare soltanto la forma previdenziale è pur sempre possibile una segnalazione di principi al vertice del sistema che indicano almeno le grandi linee di un più multiforme ordinamento di materia.


2. Presso gli studiosi della materia pensionistica sono di comune impiego nozioni di rapporto giuridico "contributivo" e di rapporto giuridico "previdenziale" che si possono impiegare utilmente anche quando si tratta di organizzare in sistema le normative del decreto legislativo 124. Va naturalmente considerato il particolare carattere della situazione originata dalla adesione a fondi pensione, che trova la sua speciale disciplina al già indicato punto di equilibrio tra "libertà" di soggetti privati e "vincolo" di norme. E si tratta di una disciplina che in tutte le sue varianti configura fattispecie di genere complesso. Ma ognuna di queste varianti appartiene comunque al numero delle fattispecie di contratto e di obbligazioni pecuniarie (o ad esse accessorie) che in via di prima approssimazione si possono pur sempre descrivere nei termini congeniali alle tradizionali teorie del "rapporto giuridico". E ad essere precisi più che parti di un "rapporto giuridico" fondo pensione e aderenti al fondo pensione sono parti di un insieme di "rapporti giuridici" suscettibile di numerose configurazioni. Ma in tutti i casi a caratterizzare questo insieme come già si diceva sono i costanti punti di interferenza tra autonomia negoziale e imperatività di norme.
In che misura le regole di disciplina dei fondi pensione circoscrivono lo spazio aperto alle libere determinazioni di autonomia privata entro i limiti segnati da un modello prestabilito da norme (e talvolta norme con evidenti caratteri di inderogabilità) indica con chiarezza già il regime del rapporto giuridico "contributivo", inteso come tale il rapporto obbligatorio che con la adesione al fondo pensione si costituisce tra i soggetti tenuti alla corresponsione dei contributi previdenziali e il fondo che li riceve per provvedere con essi alla sua attività di gestione finanziaria per finalità previdenziali. Ad integrare gli elementi della fattispecie concorrono poi gli eventuali apporti di t.f.r. nella grandezza e con le modalità che sarà bene ricordare. Disciplinano il rapporto giuridico contributivo le norme dell’art. 8 del decreto legislativo 124, secondo regole di principio e disposizioni puntuali che (dovendosi segnalare le particolarità di regime dei fondi pensione "preesistenti" alla nornativa del decreto) per i fondi pensione di nuova generazione in estrema sintesi possono essere così rappresentate.
Quanto ai soggetti gravati dell’onere di contribuzione "obbligato" per così dire principale è l’aderente al fondo pensione. E’ perciò il soggetto destinatario dei futuri trattamenti pensionistici che sarà volta a volta lavoratore dipendente, lavoratore autonomo, professionista libero, socio lavoratore di impresa cooperativa l’appartenente al comparto delle prestazioni d’opera coordinate e continuative che non presentano i caratteri del lavoro subordinato e adesso anche chi pur non appartenendo al mondo del lavoro sottoscriva un contratto di adesione al piano pensionistico individuale dell'art. 9 bis. Secondo quanto stabiliscono (e se così stabiliscono) le fonti istitutive di fondi pensione negoziali e "chiusi" alle contribuzioni dovute da lavoratori dipendenti, soci lavoratori di società cooperative e prestatori d’opera coordinata e continuativa si aggiungono poi le quote di contribuzione dovute da datori di lavoro, società cooperative e committenti delle indicate prestazioni d’opera. A stabilire le regole di quantificazione delle contribuzioni che diventano materia del rapporto giuridico contributivo provvede in linea generale il secondo comma dell’art. 8 del decreto dove si rinvia ma non interamente alle libere determinazioni delle singole "fonti istitutive" della forma pensionistica.
Per il settore del lavoro dipendente privato è stabilito che saranno infatti le fonti istitutive a determinare "il contributo complessivo da destinare al fondo pensione". La norma del decreto legislativo tuttavia già ne prefigura la possibile grandezza indicando come tale una "percentuale" della "retribuzione assunta a base" della quantificazione del "trattamento di fine rapporto". Per i lavoratori "dipendenti della pubblica amministrazione" il quarto comma dell’art. 8 stabilisce invece che "i contributi ai fondi" devono essere definiti "in sede di determinazione del trattamento economico" e "secondo procedure coerenti alla natura del rapporto" sempre "in conformita ai principi" generali del decreto legislativo 124. A regolare compiutamente il rapporto giuridico contributivo dei comparti del pubblico impiego provvederà poi la disciplina degli accordi intercorsi tra l’A.r.a.n e le Confederazioni sindacali del settore. Quanto a lavoratori autonomi e professionisti liberi ancora il secondo comma dell’art. 8 del decreto legislativo 124 dispone che saranno loro stessi a definire in autonomia l’entità delle contribuzioni. Si precisa tuttavia che se vale principio di sel regulation si tratta di contribuzioni da commisurare pur sempre ad una percentuale del reddito di impresa o di lavoro autonomo "dichiarato ai fini Irpef relativo al periodo d’imposta precedente". Per i "soci lavoratori" di società cooperative parametro di riferimento sono invece gli imponibili considerati "ai fini dei contributi previdenziali obbligatori".
Guardando al genere di interrelazione che in questa materia si istituisce tra vincolo normativo e libertà di determinazione dei soggetti privati, le norme di regime del rapporto giuridico contributivo devono poi essere considerate nella prospettiva delle disposizioni che per il mondo del lavoro subordinato integrano la previsione di versamenti contributivi con previsioni di apporto al fondo pensione di risorse finanziarie derivate dai capitali che presso gli enti "datore di lavoro" si trattengono in funzione di prestazioni differite. Nel caso del lavoro dipendente del settore privato si tratta dei capitali stimati come "accantonamento figurativo" di quote di t.f.r.. Nel caso delle pubbliche amministrazioni in passato si trattava invece di capitali trattenuti come "accantonamento reale" di "indennità di fine servizio". Operava perciò tutt’altro regime sia quanto alla tecnica di calcolo sia quanto a modalità e risultato finanziario. Regime del tutto inadeguato alle necessità di un ordinamento delle forme pensionistiche complementari che per ogni settore del mondo del lavoro deve essere disciplina razionale nella strumentazione operativa. E comunque regime da uniformare alle disposizioni del decreto legislativo 124 .
Per i comparti del pubblico impiego si doveva perciò provvedere con disposizioni di transizione dal regime delle "indennità di fine servizio" ad un regime sul modello del "trattamento di fine rapporto" del settore privato, seguendo una linea di percorso normativo già prefigurato dall’art. 2 della legge 335 dell'agosto 1995 con i risultati operativi poi resi finalmente possibili dall'approvazione di un decreto presidenziale del 20 dicembre 1999. Ma la materia è ancora in fase di tormentata elaborazione Per i lavoratori dipendenti del settore privato provvedono il secondo e terzo comma dell’art. 8 del decreto legislativo 124. Quanto ai lavoratori di "prima occupazione" dall’entrata in vigore del decreto legislativo, e perciò dall’aprile del 1993 vale il regime del terzo comma dell’art. 8. Ma se questa disposizione stabilisce che per le fonti istitutive delle forme pensionistiche attivate "su base contrattuale collettiva" esiste un vincolo di integrale destinazione al fondo pensione degli accantonamenti annuali di trattamento di fine rapporto maturati in tempi successivi alla iscrizione del lavoratore al fondo pensione, quanto ai lavoratori che non sono di "prima occupazione" con il secondo comma dell’art. 8 del decreto si è invece prevista tutt’altra disciplina, essendo semplicemente prevista una possibilità di conferimento al fondo pensione di "quote" degli accantonamenti annuali rimessa alle valutazioni di volta in volta operate dai soggetti che sono fonte istitutiva della forma pensionistica complementare.


3. L’accesso alle prestazioni di previdenza complementare è materia regolata dall’art. 7 del decreto legislativo. E questa disposizione è norma di regime di un rapporto giuridico a sé, il rapporto giuridico "previdenziale" caratterizzato dalla evidente specialità dei suoi contenuti che tuttavia appartengono pur sempre a quanto è oggetto e regola di qualsiasi rapporto giuridico che configuri obbligazioni e diritti di credito. Rapporto giuridico previdenziale è infatti semplicemente nozione di utile impiego per indicare con una formula di estrema sintesi la fattispecie che giuridicamente si configura in presenza delle circostanze costitutive di una obbligazione del fondo pensione ,giuridicamente obbligato all’adempimento delle prestazioni dovute all’aderente al fondo o ad altro soggetto c.he ai sensi dell’art. 10 comma 3 ter del decreto legislativo 124 si trovi ad essere titolare di un diritto di credito immediatamente esigibile. L’obbligazione del fondo è obbligazione "pecuniaria" nel senso e con gli effetti stabiliti dalle norme del codice civile ,che a protezione del diritto di credito "previdenziale" apprestano tutte le garanzie di tutela normalmente offerte ai creditori di una prestazione giuridicamente dovuta.
Quali circostanze sono costitutive di "obbligazione" e "credito" la disposizione dell’art. 7 del decreto stabilisce per rinvio alle discipline degli atti istitutivi del fondo pensione. Una volta di più opera tuttavia un regime di vincolo normativo che necessariamente conforma a sé regolamentazione e contenuti del rapporto giuridico previdenziale. La definizione dei requisiti di accesso alle prestazioni compete pur sempre agli atti istitutivi del fondo pensione. Ma la norma del decreto legislativo imperativamente dispone che le prestazioni "per vecchiaia" sono consentite soltanto al compimento dell’"età pensionabile" qual essa è secondo le norme di regime del sistema pensionistico obbligatorio. E’ al tempo stesso stabilito che condizione di esigibilità del credito previdenziale è una maturata appartenenza alla forma pensionistica complementare che la norma del decreto quantifica in "un minimo di cinque anni di partecipazione al fondo pensione".
Con riguardo alle prestazioni pensionistiche "per anzianità" la norma del decreto legislativo configura la obbligazione del fondo pensione e il diritto di credito dell’aderente come materia di un rapporto previdenziale che giuridicamente si attiva soltanto se la cessazione della attività di lavoro "comportante la partecipazione al fondo pensione" opera in concorso del requisito di "almeno quindici anni di appartenenza al fondo stesso". Occorre anche un requisito di età dell’aderente che deve essere "di non più di dieci anni inferiore a quella prevista per il pensionamento di vecchiaia nell’ordinamento obbligatorio di appartenenza". Per le forme pensionistiche individuali dispone l’ art . 2 del decreto legislativo 47 che se in linea generale conferma il regime dell’art. 7 del decreto legislativo 124 al tempo stesso con riferimento ai "soggetti" non "titolari" di un "reddito di lavoro" o "di impresa" stabilisce il requisito dell’"età pensionabile" per richiamo al ventesimo comma dell’art. 1 della legge 335 dell 'agosto 1995. .
"Nel rispetto di quanto" così è inderogabilmente "disposto" il sistema delle norme rinvia poi agli atti di privato regime del fondo pensione per l’ulteriore definizione dei requisiti di accesso alle prestazioni, lasciando tuttavia residuare rilevanti interrogativi quanto alla sua complessiva ratio legis, e perciò quanto ai possibili contenuti del rapporto giuridico previdenziale. Visto che la disposizione dell’art. 7 si riferisce in modo espresso soltanto alle fattispecie di "vecchiaia" e di "anzianità", gli interpreti della norma del decreto si sono infatti domandati se la sua formulazione letterale non dovesse essere intesa come intenzione legislativa di fare delle indicate fattispecie un numero chiuso, dovendosi perciò escludere dai poteri di autonomia statutaria del singolo fondo la previsione di prestazioni di previdenza complementare per il caso di "inabilità", di "invalidità" o di "premorienza".
Ma sicuramente così non è se soltanto si considera che già il terzo comma dell’art. 6 del decreto legislativo prefigura prestazioni per invalidità e premorienza da garantire mediante "apposite convenzioni con imprese assicurative". E dove non esistano motivazioni davvero forti per una normativa di vincolo, univoca e complessiva ratio legis della disciplina del decreto è la naturale estensione dell’ambito dei poteri di autonoma determinazione dei contenuti di un rapporto previdenziale che è pur sempre e per definizione materia di privata regolazione di rapporti giuridici tra soggetti privati. Si spiega perciò la disposizione del quinto comma dell’art. 7 dove poi si si riservano alle "scelte statutarie" e alle scelte contrattuali "effettuate all’atto della costituzione di ciascun fondo pensione" le determinazioni da assumere quanto alla entità delle prestazioni previdenziali limitandosi a prescrivere "criteri di corrispettività" e "conformità al principio della capitalizzazione". E non sarà necessario ripetere quanto già si diceva in positivo apprezzamento di normative che costituiscano spazio aperto ai poteri di self regulation delle forme previdenziali.
Con riferimento a "corrispettività" e "capitalizzazione" non serve un lungo discorso per fare chiarezza.Il richiamo dei "criterii di corrispettività" a suo tempo è stato molto discusso da quanti per essi non rinvengono riferimenti nelle indicazioni di principio della legge di delega all’origine del decreto legislativo 124. Ma a veder bene la formulazione delle disposizioni del decreto deriva sufficiente motivazione già dalla considerazione che in materia di previdenza privata l’oggetto e le entità delle prestazioni costitutive del rapporto obbligatorio originano dai contenuti di un contratto tra fondo pensione e iscritti che per questa sua parte è semplicemente contratto di scambio. E se il rapporto giuridico "contributivo" si caratterizza per le prestazioni contributive contrattualmente dovute dall’iscritto, il rapporto giuridico "previdenziale" si caratterizza per le prestazioni previdenziali contrattualmente dovute dal fondo pensione secondo una logica di sistema che ancora una volta presenta caratteri di lineare chiarezza.
Si opera in un regime di fattispecie a formazione progressiva certamente particolare ma pur sempre sul modello di contratti "di scambio", e perciò contratti necessariamente costruiti sul principio di corrispettività (il "sinallagma" dei giuristi) tra contribuzioni percepite dal fondo e prestazioni che il fondo a suo tempo deve obbligatoriamente erogare. Quanto al principio di capitalizzazione con contestuale esclusione di principio di forme pensionistiche "a ripartizione" si tratta della fondamentale regola di struttura del sistema pensionistico di fonte privata. In questo senso su "corrispettività" e "capitalizzazione" altro non sarà il caso di aggiungere se non una segnalazione dell’importante norma del sesto comma dell’art. 7 del decreto. Là dove alla lettera b) considera i problemi di adeguamento delle prestazioni la norma infatti rimette senz’altro alle fonti costitutive ogni possibile previsione esigendo soltanto il necessario "rispetto" dell’equilibrio attuariale e finanziario della forma previdenziale. E considerate le particolari garanzie che sempre si devono al risparmio investito con finalità previdenziale il principio ha un suo evidente rilievo.


4. A disciplinare l’adempimento delle obbligazioni del fondo pensione costituite da prestazioni in forma di rendita provvede l’art. 6 del decreto, che al suo secondo comma prescrive il ricorso a convenzioni con imprese assicurative "di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 174". E al riguardo si deve ricordare la integrazione di disciplina disposta dallo "schema tipo" di "convenzione" per l’assicurazione delle prestazioni pensionistiche in forma di rendita vitalizia. Si tratta di uno standard contrattuale approvato dalla Commissione di vigilanza sui fondi pensione (la Covip) con sua deliberazione del 21 maggio 1998 e successivamente confermato dalla formale intesa sottoscritta con l’Isvap ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo 124. Oggetto del contratto di assicurazione di una rendita vitalizia "immediata (...) sulla testa degli aderenti al fondo pensione", determinazioni del premio di assicurazione e materia degli obblighi di comunicazione , regime di erogazione della rendita e eventuale recesso dalla convenzione al riguardo stipulata ne sono regolati in modo esauriente. Da ciò un ordinamento della materia che il comma secondo bis dell'art. 6 del decreto legislativo 124 ha integrato con la previsione di una erogazione delle rendite in via diretta, e perciò da parte del fondo pensione che a tale attività sia ammesso da un provvedimento di autorizzazione in competenza alla Covip.
Si tratta tuttavia di una previsione che con ogni probabilità non troverà riscontri applicativi. E più interessa guardare alle norme di regime ordinario dovendosi segnalare in modo particolare il terzo comma dell’ art. 6 del decreto dove si disciplina l’erogazione delle prestazioni previdenziali delle forme pensionistiche in regime di "prestazione definita" cosi’ come il caso delle eventuali e "accessorie" prestazioni per "invalidità" e "premorienza". Per tutto questo ambito di materia sul fondo pensione grava un ulteriore obbligo di ricorrere alla stipulazione di convenzioni con imprese assicurative. Considerata la formulazione della norma "abilitate" allo svolgimento della attività si devono ritenere le imprese assicurative ad essa abilitate in riferimento a criteri di "riserva" e di legittimazione ad operare indicati dalle tradizionali distinzioni di "ramo" assicurativo. E quanto al caso di "invalidità" e "premorienza" le convenzioni da stipulare con l’impresa assicurativa devono ancora una volta uniformarsi agli "schemi tipo" di convenzione che ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo 124 a suo tempo Covip e Isvap hanno deliberato nella forma dell’"intesa", con le segnalate deliberazioni del maggio 1998 confermando l’evidente opportunità del ricorso a questa importante modalità di cooperazione istituzionale.
Gli specialisti della materia insegnano che la disciplina delle prestazioni di previdenza complementare presenta caratteri tutt’altro che lineari, consistendo di norme di principio variamente integrate o derogate da norme di specie spesso lontane dal loro pur necessario coordinamento. E questa (grave) carenza di una ragionevole organicità di regime si riscontra anche con riguardo alle prerogative che agli aderenti a fondi pensione competono in ordine alle modalità di corresponsione delle prestazioni previdenziali. In queste pagine non è pensabile una circostanziata rassegna delle singole norme di specie, essendo possibile riservare una certa attenzione soltanto a norme di principio che per parte loro già offrono ampia materia ad ulteriori riflessioni. E sicuramente ne offrono le disposizioni di principio del sesto comma dell’art. 7 del decreto legislativo per le forme pensionistiche individuali adesso integrate dalla normativa del sesto comma del nuovo art. 9 bis.
Alla lettera a) del sesto comma dell’art. 7 si stabilisce che il "titolare del diritto" alla prestazione pensionistica complementare ha "facoltà (..) di chiedere" una liquidazione della prestazione in capitale commisurata al suo valore attuale. Al destinatario della prestazione previdenziale è perciò conferita una rilevante facoltà di adeguare il risultato finanziario della partecipazione alla forma complementare a quanto possano essere le sue personali esigenze. Ma questo soltanto entro una soglia quantitativa non superiore al cinquanta per cento della prestazione previdenziale che gli compete. Infatti soltanto entro quel limite di soglia dell’importo maturato il destinatario della prestazione previdenziale può esigere la corresponsione di un capitale in luogo della corresponsione di una rendita periodica. Va poi considerato in che misura l’operatività del principio è materia rimessa alle determinazioni delle fonti costitutive.
Come si legge alla lettera a) dell’art. 7 le fonti istitutive "possono" prevedere, e perciò potrebbero anche escludere questa facoltà di opzione dallo statuto dei diritti dell’iscritto al fondo pensione. In ogni caso neppure gli atti istitutivi della forma pensionistica potrebbero spingere al di là del cinquanta per cento del maturato l’importo del maturato da corrispondersi in conto capitale. E il nuovo art. 9 bis al suo sesto comma conferma il vincolo di soglia anche per le forme pensionistiche individuali, si tratti della adesione a fondo pensione aperto o della sottoscrizione di un contratto di assicurazione sulla vita con le finalità previdenziali dell’art. 9 ter. Ma si deve avvertire che per le forme pensionistiche individuali l’indicato limite di soglia non vale per il caso che l’importo annuo della prestazione in forma periodica risulti di un ammontare inferiore al cinquanta per cento della pensione sociale "di cui" al sesto e settimo comma dell'’art. 3 della legge 335 dell' agosto 1995.
Va infine considerata la disposizione del secondo comma dell’art. 10 del decreto legislativo 47 dove si circoscrive l’ambito di operatività delle misure di incentivazione fiscale all’ambito degli aderenti a fondo pensione che con riguardo alla maturazione dei requisiti di accesso alla prestazione pensionistica scelgano di domandare corresponsioni di rendita periodica per un importo non inferiore "ai due terzi" del capitale maturato. Dovendo motivare la ratio legis di normative di questo genere si è spesso osservato che la modalità di liquidazione in forma di rendita sembra essere più congeniale alla natura e alle finalità della prestazione pensionistica. E nella relazione illustrativa del decreto legislativo si dice appunto che la previsione di un regime meno favorevole per le prestazioni in capitale si deve al fine esplicito di incentivare la richiesta di prestazioni periodiche sotto forma di rendita. Ma le normative che si sono segnalate difficilmente possono sottrarsi a motivate obiezioni.
Se infatti si guarda alle disposizioni del decreto legislativo 124 nella prospettiva delle attribuzioni istituzionali del fondo pensione, la ratio legis di tali disposizioni visibilmente confligge con il più generale e per così dire sovraordinato principio di autonomia degli atti istitutivi della forma pensionistica complementare. Altre e certamente "sovraordinate" disposizioni del decreto legislativo 124 interpretano il principio di autonomia nel senso di riservare alla funzione normativa degli atti istitutivi della forma pensionistica la predisposizione di numerosi contenuti del contratto dell’aderente con il fondo pensione. Maggior spazio all’autonomia delle fonti istitutive e delle discipline statutarie o regolamentari dovrebbe perciò riservarsi anche quanto alle modalità di regolazione del rapporto giuridico previdenziale che ne deriva consentendo al singolo fondo pensione la possibilità di stabilire di più elevate soglie di prestazioni in conto capitale.
E a integrazione dei rilievi in ordine alla materia statutarie e regolamentare altre serie obiezioni sono poi ampiamente motivate anche con riguardo al limite che ai poteri di autonomia privata si segnano quando si tratta di provvedere alla individuazione dei contenuti del contratto di partecipazione alla forma pensionistica,che per questa materia come si diceva è contratto di "scambio" tra le contribuzioni versate dall’iscritto nel corso del rapporto giuridico contributivo e le prestazioni al lavoratore dovute in esecuzione del rapporto giuridico previdenziale. In questo senso autorevole dottrina ha già rilevato la dubbia compatibilità del limite segnato alle prestazioni in conto capitale con i caratteri distintivi del contratto dall’aderente concluso con il fondo pensione. Se in questa materia la logica negoziale è logica di scambio la disciplina del contratto dovrebbe infatti poter seguire il criterio della libera regolazione dei suoi contenuti non diversamente da quanto appunto accade per la generalità dei contratti di scambio.
Una volta di più rileva poi in modo modo particolare (e motiva un forte dissenso)la norma di regime tributario Alle disposizioni di disfavore fiscale per quanti preferiscano ricevere consistenti prestazioni in conto capitale si deve infatti guardare anche nella prospettiva del limite da esse imposto alle libertà di opzione dell’aderente al fondo pensione. E’ vero che non ne risulta in alcun modo pregiudicata la "facoltà" di richiedere la corresponsione di parte del maturato pensionistico "in capitale". Ma è chiaro che le libertà di opzione dell’aderente in certa misura non sono più tali se la disciplina fiscale disincentiva fortemente l’esercizio di una facoltà pure in astratto sempre possibile. Se infine si guarda al tema delle modalità di assegnazione del maturato pensionistico in una prospettiva di analisi davvero attenta alla specialità del settore, sarà il caso di considerare in tutta la loro significatività le indicazioni offerte dalle ricognizioni di campo che documentano una diffusa e forte preferenza sociale per le forme di liquidazione del maturato in conto capitale.E questa è preferenza che merita davvero maggiore considerazione.
Naturalmente anche altro va considerato e meritano attenzione le osservazioni di quanti avvertono che un maggior flusso di erogazioni "in conto capitale" aggiunge difficoltà alla dinamica di gestione finanziaria del fondo pensione. Ma in materia di risparmio con finalità previdenziale non esistono logica di sistema o preferenze istituzionali che valgano di più della capacità delle norme di corrispondere al soggettivo interesse e perciò alle soggettive preferenze dell’aderente a fondi pensione. E sarà comunque il caso di considerare molto realisticamente che dalle soggettive preferenze dei suoi destinatari in decisiva misura dipendono le stesse possibilità di successo del progetto di politica economica "previdenza privata".  Se il suo regime non corrisponde alle aspettative del lavoratore nulla impedisce infatti di consegnare risparmio ad altre forme di investimento finanziario egualmente intese ad assicurare risultati di genere previdenziale (e sono ormai numerose) .Esistono perciò serie ragioni per ritenere utile un intervento correttivo di norme che sia in linea di principio sia con la forza dello strumento fiscale davvero vincolano fondi pensione e aderenti a fondi pensione più di quanto sia consigliabile.


5. Gli studiosi di diritto previdenziale insegnano in che cosa consiste il "diritto a pensione" e quali sono le posizioni giuridicamente protette in via preliminare. Insegnano perciò a riferire lo status soggettivo del destinatario dei regimi pensionistici ad una fattispecie complessa, che già per essere costituita da una successione di atti e di eventi temporalmente differenziati presenta nel senso più volte indicato tutti caratteri di una fattispecie a formazione progressiva. E un maturato "diritto a pensione" ne costituisce l’esito finale essendo naturalmente il principale oggetto delle aspettative dell’aderente alla forma pensionistica. Ma aspettative meritevoli di tutela e infatti tutelate si concretano anche in corso di formazione della fattispecie previdenziale. In tempi e modi diversi (che saranno precisati più avanti) dallo svolgimento del rapporto giuridico contributivo originano infatti posizioni giuridicamente protette in via preliminare, che volta a volta configurano diritti ad "anticipazioni", diritti di "riscatto" e altre prerogative che configurano anch’esse "diritti" soggettivi immediatamente azionabili. Operano regole e una complessiva logica di regime pensionistico che sarà il caso di indicare con la necessaria chiarezza.
Chiarezza è necessaria già quanto ai fattori di possibile variazione dell’entità delle contribuzioni e dei criteri di calcolo del trattamento pensionistico complementare. Per un adeguato apprezzamento di questo ordine di problemi si pensi alle forme pensionistiche complementari del mondo del lavoro dipendente . E si pensi in modo particolare alle variazioni dell’entità delle contribuzioni in ipotesi conseguenti a variazioni peggiorative della disciplina del contratto collettivo < fonte istitutiva > del fondo pensione dovute ad una riduzione della capacità contributiva del datore di lavoro o ad altro ancora .A questo riguardo va considerato che non esiste un diritto acquisito dai lavoratori a che il successivo svolgimento delle contrattazioni collettive non comporti modificazioni in peius del trattamento retributivo .E allo stesso modo non esiste un loro diritto alla conservazione del regime pensionistico complementare originariamente stabilito dalla fonte istitutiva in tempi successivi in ipotesi assoggetta a variazioni di genere peggiorativo. Da ciò una precisa e inevitabile distinzione tra aspettative giuridicamente tutelate e aspettative che invece altro non sono se non aspettative "di fatto" di per sé sprovviste di una normativa giuridica di protezione.
In presenza di aspettative di così evidente rilievo sociale che tuttavia di per sè non trovano protezione giuridica sarà necessario ricercare la difesa del collettivo interesse dei lavoratori su un piano diverso da quello delle garanzie di genere normativo. E naturalmente non mancano le possibilità di iniziativa e gli strumenti utili allo scopo. Ma una cosa sono le linee di difesa che si possono apprestare sul piano del contenzioso sociale tra imprese e rappresentanze sindacali. Altra cosa le posizioni previdenziali rilevanti in punto di diritto volta a volta configurate da norme di regolazione giuridica della nuova previdenza complementare. E in queste pagine ad esse soltanto si guarda interessando quanto ne deriva in punto di interpretazione di disposizioni talvolta formulate in modo sommario (e quanto mai imperfette in punto di tecnica normativa) ma pur sempre espressive di una precisa ratio legis. Se ne derivano perciò indicazioni per una loro razionale organizzazione in sistema certamente possibile se alle norme del decreto legislativo ci si riferisce per quanto significano, senza fare delle norme (come talvolta invece accade) puro e semplice materiale di lavoro per ipotesi interpretative che alla loro ratio legis preferiscono le suggestioni di una arbitraria politica del diritto.
Deve infatti prendersi atto della obbligata conclusione che il sistema normativo non assicura un diritto né una aspettativa giuridicamente tutelata quanto alla permanenza del regime contributivo originariamente disposto dalla fonte istitutiva della forma pensionistica . E va allo stesso modo considerato che un si concreta soltanto al verificarsi delle circostanze che trasformano il rapporto giuridico contributivo in rapporto giuridico previdenziale secondo le previsioni dell’art. 7 del decreto legislativo 124. Ma come insegnano i più autorevoli specialisti della materia esistono tuttavia pur sempre posizioni soggettive giuridicamente tutelate in via preliminare. Si tratta di posizioni di tali da configurare diritti soggettivamente perfetti che qualificano in modo particolare lo status giuridico di ogni lavoratore iscritto ad una forma pensionistica complementare. E con ogni evidenza questi diritti derivano la loro identità dalla natura stessa delle contribuzioni e delle quote di trattamento di fine rapporto andate a costituire la posizione previdenziale del lavoratore che ha provveduto all’adempimento delle obbligazioni conseguenti alla sua adesione al fondo pensione.
Già si è più volte osservato che contribuzioni e quote di trattamento di fine rapporto consegnate al fondo pensione altro non sono se non retribuzione differita in funzione previdenziale .Contribuzioni e quote di fine rapporto configurano perciò una posizione pensionistica a sé che il "conto individuale" di ogni singolo aderente al fondo pensione rappresenta nella sua quantità. E sarà quantità naturalmente determinata dalla grandezza monetaria di contribuzioni e quote di t.f.r. così come dagli incrementi eventualmente dovuti alla gestione delle complessive risorse del fondo pensione. Da ciò una precisa e importante distinzione. Se è vero che la posizione di portafoglio pensionistico del singolo iscritto al fondo pensione fa parte di una massa finanziaria di insieme , è chiaro che al tempo stesso ogni fa come già si diceva parte a sé. Costituisce infatti oggetto di diritti del singolo lavoratore che ne è titolare e che perciò quanto ad essi è legittimato ad esercitare i relativi poteri di disposizione. Al riguardo le norme del decreto legislativo 124 davvero non si prestano ad interpretazioni divergenti.
Dalle norme del decreto legislativo in tema di anticipazioni e di riscatto della posizione previdenziale (e da altre ancora che saranno presto considerate) risulta poi stabilito in qual misura già in corso di svolgimento del rapporto giuridico contributivo maturano diritti soggettivamente perfetti. Va considerato che non si tratta di diritti "incondizionati" perché le stesse norme del decreto legislativo o disposizioni di rinvio a quanto possono deliberare le fonti istitutive della forma pensionistica complementare stabiliscono presupposti e per l’appunto condizioni che ne vincolano la possibile attivazione. Ma al verificarsi dei dovuti presupposti e avverate le condizioni volta a volta stabilite per il suo esercizio il diritto sarà nella piena disponibilità del lavoratore. E senza alcuna possibilità di dubbio lo sarà anche se l’esercizio del diritto individuale sottrae risorse alla massa o comporta effetti di affievolimento e talvolta di rottura del vincolo di solidarietà collettiva. Questo è infatti quanto le norme del decreto legislativo 124 consentono secondo una ratio legis che merita un particolare apprezzamento.
Ne risulta infatti smentito con ogni evidenza l’assunto di quanti guardano alla iniziale libertà di adesione alla forma pensionistica complementare come materia di opzioni che in sé esauriscono lo spazio aperto alle soggettive valutazioni dei suoi destinatari. A seguire orientamenti di questo genere si dovrebbe infatti ritenere che una volta presa la decisione di partecipare alla forma pensionistica la posizione dell’aderente si configuri come appartenenza ad una "istituzione" interamente disciplinata da un regime di vincolo, che si vuole rigoroso e costrittivo nella misura necessaria per garantire che l’interesse individuale ed egoistico del singolo aderente al fondo pensione negoziale non prevalga sull’interesse collettivamente condiviso dalla generalità degli iscritti alla forma pensionistica. E orientamenti dottrinali di questo genere si devono sia ad una appassionata difesa di valori ideali sia a rilevanti considerazioni in punto di analisi economica del diritto.
Più indicativa di qualsiasi altra in questo senso è naturalmente la materia dei trasferimenti e dei riscatti della posizione pensionistica. Se esiste spazio per l’interesse individuale ed egoistico del singolo che ritenga di attivare sue facoltà di trasferimento o di riscatto, il fondo pensione di fonte negoziale risulta infatti esposto alle incognite di un regime normativo che se non incentiva quanto meno consente di sostituire scelte personali al vincolo di solidarietà che quanto al mondo del lavoro l’istituzione sente come suo valore costitutivo. Al rischio di perdita di un valore ideale si aggiunge poi il rischio di una perdita finanziaria considerato che trasferimenti e riscatti sottraggono risorse alla complessiva massa patrimoniale del fondo pensione. E in tema di rischio sono seriamente da considerare i fattori di instabilità della forma pensionistica correlati ad un flusso di trasferimenti e di riscatti che non fosse trascurabile fenomeno di scarsa consistenza monetaria.
Da ciò gli orientamenti dottrinali che militano a favore di una disciplina di fonte istitutiva e di statuto dei fondi pensione negoziali intesa a circoscrivere quanto più è possibile lo spazio aperto alle facoltà dei singoli aderenti alla forma pensionistica e alla portability delle posizioni previdenziali. Spesso si è perciò suggerita una interpretazione restrittiva delle disposizioni dell’art. 10 del decreto legislativo che come si sa stabiliscono per l’appunto il regime delle fattispecie di trasferimento e di riscatto della posizione pensionistica complementare. Le disposizioni dell’art. 10 per molta parte sono davvero lontane dalla chiarezza e dalla coerenza di disegno normativo che occorrono in materie di questo rilievo. E naturalmente disposizioni normative mal formulate comportano problemi interpretativi quanto mai complessi .Ma a veder bene anche una normativa così imperfetta ha un pur sempre una sua univoca ratio legis che si tratta semplicemente di portare ad evidenza.


6. Si devono distintamente considerare i casi di cessazione dei requisiti di partecipazione alla forma pensionistica e i casi di trasferimento della posizione individuale invece possibili pur in permanenza dei requisiti di partecipazione alla forma pensionistica complementare. Si dovrà poi considerare la eventualità della morte del lavoratore iscritto al fondo pensione che trova sua speciale disciplina nel comma terzo ter dell’art. 10 (e per il caso della adesione ad una "forma pensionistica individuale" nella nuova disposizione del comma terzo quater). Ma quest’ultima fattispecie e la sua particolare disciplina di riscatto della posizione previdenziale per la stessa natura del loro oggetto fanno parte a sé. E per un adeguato apprezzamento della complessiva ratio legis dell’art. 10 del decreto sarà utile richiamare per prime le disposizioni regolatrici delle situazioni indicate dal primo comma della norma,là dove si stabilisce quali "opzioni" lo statuto del fondo pensione consentire quando in vita dell’aderente al fondo pensione alla forma pensionistica complementare originariamente sottoscritta.
In una situazione di questo genere possono darsi fattispecie diverse. Possono infatti darsi casi di trasferimento della posizione previdenziale dal fondo chiuso di originaria appartenenza ad altro fondo chiuso. Possono invece darsi casi di suo trasferimento dal fondo chiuso di appartenza a fondo pensione aperto o di adesione ad una forma pensionistica individuale. Possono infine darsi i casi di "riscatto della posizione individuale" previsti dalla lettera c) del primo comma dell’art.10 dovendosi adesso considerare anche quanto dispone la norma del nuovo comma primo bis. Il trasferimento della posizione dal fondo chiuso di originaria appartenenza ad altro fondo chiuso è l’ ipotesi considerata dalla lettera a) del primo comma della norma, che prefigura appunto il possibile trasferimento al fondo pensione di categoria, di comparto, di "raggruppamento" o altro ancora sua "nuova attività di lavoro".
Ne consegue una prima ipotesi di mobilità di posizioni previdenziali che tuttavia si esaurisce pur sempre all’interno del comparto della previdenza complementare costituito da fondi pensione negoziali e chiusi. E ancora in materia di mobilità di posizioni previdenziali conseguente all’accesso del lavoratore ad una nuova attività va considerata anche la disposizione del secondo comma dell’art. 10. La norma riguarda il caso di lavoratori già "aderenti" ad uno dei fondi pensione "di cui all’art. 9 o a una delle forme pensionistiche individuali di cui agli articoli 9 bis e 9 ter" del decreto legislativo, e perciò il caso di lavoratori già aderenti ad un fondo pensione aperto o sottoscrittori di un contratto assicurativo con la finalità pensionistica dell’art. 9 ter, per essi essendo stabilito che trasferire la loro posizione pensionistica complementare al fondo pensione reso disponibile dall’accesso alla nuova attività di lavoro. E naturalmente risultato della mobilità delle posizioni previdenziali in casi di tal genere sarà un flusso di adesioni e di risparmio previdenziale che dall’esterno del settore "fondi pensione chiusi" ne incrementa la consistenza finanziaria e la stessa rappresentatività sociale.
Va poi considerata la disposizione della lettera b) del primo comma dell’art. 10 che considera invece il possibile trasferimento della posizione previdenziale da fondo pensione chiuso "ad uno dei fondi di cui all’art. 9" o a una delle forme pensionistiche individuali dei nuovi artt. 9 bis e 9 ter del decreto legislativo 124. La disposizione si riferisce perciò ad un possibile trasferimento della posizione a fondi pensione aperti o alla possibile sottoscrizione di un contratto di assicurazione con finalità pensionistica, di modo che in tal caso alla cessazione dei requisiti di partecipazione all’originaria forma pensionistica "fondo pensione chiuso" conseguirà un flusso di risparmio previdenziale ad altro settore del sistema previdenziale. Questa eventualità è pur sempre riferita al caso che all’originaria forma pensionistica ma non è assoggettata ad ulteriori condizioni. E questo significa che è nella libera disponibilità del singolo decidere l’adesione a fondi pensione aperti o a forme pensionistiche individuali anche là dove il suo accesso ad una nuova attività di lavoro potrebbe consentire l’adesione al fondo pensione chiuso della "categoria", del "comparto" o del "raggruppamento" o comunque attivato per la comunità di lavoro di sua nuova appartenenza.
Se è vero che la formulazione dell’art. 10 del decreto legislativo si espone a numerose obiezioni di imperfetta formulazione, e ingenera problemi interpretativi (più di quanti in queste pagine sarà possibile considerare) è perciò anche vero che la sua complessiva ratio legis non si presta ad equivoci . Sia pure in modo parziale e disorganico la norma del decreto finisce infatti per riconoscere che in consistente misura la posizione previdenziale di ogni singolo lavoratore è materia di sue soggettive determinazioni, che sarà consentito assoggettare ad un regime di vincolo ma non sottrarre per intero alle decisioni individuali. E ancora per il caso di cessazione dei requisiti di partecipazione alla forma pensionistica originariamente sottoscritta, si deve considerare il particolare rilievo delle prerogative assicurate dalla lettera c) del primo comma dell’art. 10, che integra le previsioni di possibile accesso ad altro fondo pensione chiuso o ad un fondo pensione aperto con l’attribuzione di un diritto potestativo al riscatto della posizione previdenziale.
Ancora una volta si tratta di un "diritto" che saranno le discipline statutarie a conformare. Il primo comma dell’art. 10 avverte infatti che l’esercizio delle prefigurate dalla normativa del decreto è in tutti i casi diritto azionabile nella misura, con le modalità e nei termini che usando dei suoi poteri di autonomia nella regolazione della fattispecie lo statuto del fondo pensione organizzerà in regime della singola forma pensionistica. All’autonomia statutaria competono quindi rilevanti poteri di conformazione delle posizioni soggettive non essendo escluse disposizioni statutarie eventualmente intese a circoscrivere l’ambito di operatività dei soggettivi diritti degli iscritti al fondo pensione. Questi sono tuttavia pur sempre diritti soggettivi perfetti che lo statuto del fondo deve riconoscere, essendo perciò giuridicamente nulle eventuali disposizioni di statuto intese a disconoscerli . E a garanzia di doverosa tutela degli aderenti interessati al trasferimento o al riscatto della loro posizione previdenziale, il terzo comma dell’art. 10 imperativamente dispone che il fondo pensione dovrà provvedere a quanto occorra per dare esecuzione alla richiesta formulata entro sei mesi dall’esercizio del diritto ad un trasferimento o ad un riscatto che per il fondo pensione è ormai soltanto materia di adempimenti dovuti. E un medesimo vincolo di adempimenti la norma stabilisce anche "a carico (…) delle forme pensionistiche individuali di cui agli articoli 9 bis e 9 ter".
Altra è invece (e assai discutibile) la ratio legis della normativa di disciplina della mobilità delle posizioni previdenziali operante in casi diversi dal caso di cessazione dei requisiti di partecipazione alla forma previdenziale. Al riguardo il comma terzo bis dell’art. 10 impegna la disciplina di statuto a prevedere "per ogni singolo iscritto"  una "facoltà" di trasferimento della posizione pensionistica ad altro fondo pensione "di cui agli articoli 3 e 9" o alle nuove forme pensionistiche degli artt. 9 bis e 9 ter che per così dire matura nel tempo. Più precisamente la norma stabilisce che "limitatamente ai primi cinque anni di vita" del fondo pensione di originaria adesione tale facoltà potrà essere esercitata "non prima di cinque anni di permanenza" presso la forma pensionistica. In tempi successivi al primo quinquennio di attività del fondo pensione di prima appartenenza quel termine scende alla soglia dei tre anni . Per il caso di una originaria adesione a il nuovo comma terzo quinquies dell’art. 10 prefigura altro e più aperto regime che sarà considerato più avanti . Ma in tutti i casi la portability accordata è semplicemente e soltanto facoltà di trasferimento ad altra forma pensionistica complementare.
La norma del terzo comma bis dell’art. 10 espressamente considera (e consente) sia il trasferimento dal fondo chiuso di originaria appartenenza ad altro fondo pensione chiuso sia il trasferimento dal fondo chiuso di prima appartenza ad un fondo pensione aperto o alla forma previdenziale offerta da imprese assicurative mediante i contratti di assicurazione sulla vita dell’art. 9 ter. Non considera ma neppure esclude la diversa possibilità in linea di ipotesi eventualmente offerta da una facoltà di riscatto della posizione previdenziale .L’ipotesi di un riscatto sembra tuttavia preclusa dal quarto comma dell’art. 7 del decreto legislativo , là dove si dice che si devono ritenere "non (…) ammessi (..) riscatti diversi da quello di cui all’art. 10 comma 1 ,lett. c", che come si sa riguarda in via esclusiva il caso di sopravvenuta mancanza dei requisiti di partecipazione alla forma pensionistica . E se è così va preso atto di un regime che al puro e semplice decorso del tempo non attribuisce il valore di una circostanza sufficiente a motivare ripensamenti quanto alle decisioni assunte in materia di allocazione del risparmio con finalità previdenziale. Ripensamenti di tal genere non sono consentiti essendo escluso che le risorse consegnate a fondi pensione possano essere collocate altrove semplicemente perché con il passare del tempo si sono maturate altre preferenze di portafoglio. Ma questo è un vincolo alle personali libertà di ognuno che deve far pensare. E vi è di più perché la norma dell’art. 10 del decreto legislativo neppure prende in considerazione la eventualità di circostanze che possano valere da "giusta causa" di recesso dal contratto di associazione al fondo pensione.
Dal comma terzo bis dell’art. 10 emerge perciò una precisa ratio legis che a suo tempo già la Covip aveva segnalato osservando che la normativa del decreto legislativo 124 ha inteso . Al legislatore della previdenza complementare sembrava infatti doverosa una certa ad uscire dal fondo negoziale di appartenza in forza di una decisione individuale che come ha rilevato la Commissione .Ma al legislatore è sembrato anche di dover prescrivere un regime di "continuità nella costruzione della posizione pensionistica complementare", di modo che per disposizione del comma terzo bis dell’art. 10 "all’uscita dal fondo si accompagna l’effetto del trasferimento" in luogo di una facoltà di riscatto che avrebbe per conseguenza una indesiderata . Si è infine perseguita una finalità di garanzia della "stabilità della base associativa di ciascun fondo", sia pure "ristretta nell’ambito di limiti temporali" decisamente contenuti .


7. Ne risultano intenzioni di politica del diritto che hanno certamente una loro consistenza ma si prestano pur sempre a serie obiezioni. Già l’esclusione di più ampie facoltà di riscatto è misura molto discutibile (e non a caso la stessa Commissione di vigilanza ha ritenuto più ampie facoltà di riscatto praticabili nel diverso caso di originaria appartenenza a fondi pensione aperti). E quanto alla eventualità del recesso se naturalmente non è pensabile una indiscriminata facoltà di recedere dal contratto di associazione alla forma pensionistica ,come si preciserà più avanti esistono pur sempre situazioni che rendono inesigibile la prosecuzione del rapporto associativo. La restrittiva policy di questa disposizione del decreto legislativo 124 esprime perciò una tendenza a precludere vie di uscita dal sistema della previdenza complementare che finisce per essere così vincolante da fare torto ad intenzioni di riscatto o di recesso talvolta meritevoli di considerazione e di tutela. Né il sacrificio delle libertà individuali che ne deriva si può giustificare con una motivazione di politica del diritto a favore di una maggior stabilità e consistenza del sistema pensionistico complementare.
Nessun valore (e in nessun caso) è infatti sovraordinato ai valori di adeguatezza delle norme alle legittime aspettive e alle libertà di amministrazione del risparmio di quanti decidono di investire loro risparmio con finalità previdenziale. E anche in questo senso va sempre considerato che l’adesione a fondo pensione è una soltanto delle opportunità a disposizione di quanti avvertono la esigenza di provvedere ad un investimento di risparmio con finalità di tal genere. Già oggi sul "mercato" dei finanziari come si sa è ampia (e crescente) la offerta di alternative alla adesione a fondi pensione. Da ciò una forte (e crescente) concorrenza di mercato, e per stretta conseguenza una competizione che il fondo pensione ha possibilità di affrontare in modo vincente soltanto se il suo regime si segnala per una regolamentazione capace di corrispondere più di altre opportunità di investimento previdenziale alle aspettative dei possibili aderenti a forme pensionistiche complementari. Ma una regolamentazione di questo genere non può essere più di tanto normativa di vincolo e di divieti.
In questo senso andrà seriamente considerato il pericolo che un regime di vincoli fuori misura, e un eccesso di disposizioni preclusive di facoltà di riscatto e di recesso sia pure per "giusta causa" finiscano per essere un fattore di disincentivazione delle propensioni alla forma pensionistica complementare. Da ciò la evidente necessità di una maggior attenzione al tema della portability della posizione previdenziale acquisita con la adesione a fondo pensione, essendo da valutare possibili correttivi delle norme del decreto legislativo che in ragionevoli proporzioni estendano l’ambito delle opportunità di trasferimento di posizioni pensionistiche all'interno del sistema della previdenza complementare. Altri correttivi della disciplina del decreto legilsativo andranno poi pensati anche quanto alle possibili fattispecie di trasferimento delle posizioni soggettive all’esterno dello stesso sistema di previdenza complementare mediante un più flessibile regime delle fattispecie di recesso e di riscatto, dovendosi una volta di più ricercare un miglior punto di equilibrio tra libertà individuali di amministrazione del portafoglio pensionistico e strutturali esigenze di stabilità del sistema della previdenza complementare.
Naturalmente maggior portabiliy del portafoglio pensionistico non può significare una incontrollata mobilità di portafoglio congeniale ad altre forme di allocazione di risorse finanziarie ma invece impensabile per le forme di risparmio con finalità previdenziali consegnato a fondi pensione. E’ infatti chiaro che il fondo pensione è necessariamente investitore istituzionale che deve poter fare ragionevoli previsioni quanto alla grandezza e a tempi dei flussi monetari che movimentano il patrimonio in sua gestione.E se esistono comprensibili esigenze dell'investitore di prendere posizione con variazioni del suo portafoglio previdenziale quando esso non risulti più in linea con la soglia di rischio e rendimento che gli sembri personalmente preferibile, nel gran numero dei casi una adeguata organizzazione "multicomparto" del fondo pensione verosimilmente darà sufficienti risposte alle sue esigenze senza che occorra progettare decisioni di investimento orientate in altra direzione . Ma come si preciserà più avanti in una serie non trascurabile di casi un evoluto sistema di previdenza complementare deve misurarsi anche con situazioni di maggiore criticità che si devono pur sempre considerare.
Occorre in ogni caso ripetere che assicurare un più ampio spazio alla portability delle posizioni previdenziali, e non soltanto in situazioni con carattere di eccezionalità significa accrescere la soglia delle libertà di amministrazione del risparmio previdenziale, che (sarà ancora il caso di ripetere) costituiscono valore sovraordinato a qualsiasi altro e una domanda sociale più forte di quanto non sembri a molti pure così attenti a quanto di nuovo emerge dallo stesso mondo del lavoro. E una positiva indicazione di tendenza offre adesso la disciplina stabilita dal nuovo comma terzo quinquies dell’art. 10, che per le fattispecie di adesione ad una forma pensionistica individuale assicura facoltà di trasferimento trascorsi tre anni dalla data di adesione a fondi pensione o dalla data di sottoscrizione del contratto con l’impresa assicurativa. Altra indicazione utile si deriva dal nuovo tredicesimo comma dell’art. 13 del decreto legislativo 124 quanto alla esenzione da oneri fiscali delle operazioni di trasferimento delle posizioni pensionistiche.
Il discorso della portability delle posizioni previdenziali non può tuttavia più essere discorso di norme relativamente marginali. Ha un rilievo e valenze che non consentono più di aggiungerlo al numero dei discorsi rinviati ad un imprecisato futuro (e dovrà essere discorso nel segno della chiarezza: con riguardo ai "diritti" del lavoratore dipendente si è talvolta discusso se in caso di trasferimento della posizione pensionistica complementare continui a valere o invece si estingua l’obbligazione contributiva originariamente prevista a carico dell’impresa "datore di lavoro", e nel silenzio delle norme del decreto legislativo le divergenze di opinioni sono comprensibili: ma va considerato che l’obbligazione contributiva a suo tempo assunta dal datore di lavoro avrà sicuramente trovato corrispettivo in una maggior flessibilità della controparte su altri fronti del contenzioso tra sindacato e impresa: sembra perciò davvero motivata la conclusione che l’estinguersi dell’obbligazione contributiva in danno del lavoratore avrebbe per risultato un senza causa dell’impresa datore di lavoro che sarà davvero il caso di evitare).
Una stessa ratio legis al difficile punto di equilibrio tra vincoli di genere normativo e libertà di determinazioni dell’aderente a fondi pensione caratterizza il regime delle fattispecie di "anticipazione" e di "riscatto". E’ regime costituito da norme che se poco si prestano alle eleganti astrazioni del discorso teorico devono tuttavia essere all’attenzione per la loro rilevanza in punto di tutela di interessi particolarmente meritevoli di protezione . E sono norme che devono comunque essere considerate per quanto ne emerge in punto di complessiva logica del sistema. Si tratti di "anticipazioni" da ricevere in ragione dei presso il fondo pensione o del regime del possibile "riscatto" della posizione previdenziale, la regolazione di fattispecie pur molto diverse tra loro restituisce infatti con chiarezza l’immagine di una disciplina informata ad una medesima ratio legis. In queste materie le norme del decreto legislativo 124 sono disposizioni di genere imperativo e stabiliscono una serie di principi non derogabili,che se talvolta segnano limiti stringenti all’autonomia normativa delle "fonti istitutive" del fondo pensione,altra volta sostituiscono ad essa un regime di vincolo che precostituisce i contenuti e le condizioni di esercizio dei diritti degli aderenti alla forma pensionistica. Ma soltanto nella misura consentita in presenza di aspettative che a veder bene configurano diritti soggettivi giuridicamente perfetti.


8 Si pensi alla questione delle anticipazioni previste dal quarto comma dell’art. 7 del decreto legislativo 124, quale risulta dalla sua nuova formulazione stabilita con la lettera b) dell’ottavo comma dell’art. 58 della legge 144 del 1999. Completato un consistente periodo di accumulazione di contributi, e più precisamente alla scadenza dell’ottavo anno di contribuzione l’aderente a fondi pensione matura un "diritto" a ricevere in conto capitale una "anticipazione dei contributi accumulati" per provvedere ad eventuali spese sanitarie o all’acquisto della "prima casa" di abitazione "per sé o per i figli" o in altre fattispecie ancora che configurano tuttavia un numero chiuso di situazioni protette. Per espressa disposizione del quarto comma dell’art. 7 del decreto legislativo 124 non sono infatti ammesse "anticipazioni" in casi diversi da quelli che la norma espressamente indica (e si ricorderà che per le fattispecie di "forma pensionistica individuale" in luogo del regime delle anticipazioni vale la disciplina di riscatto indicata dal nuovo primo comma bis dell’art. 10 del decreto).Ma quando ne esistano i presupposti le previste "anticipazioni" costituiscono materia di una pretesa che ha tutta la consistenza rilevata da quanti avvertono che la norma del decreto configura la anticipazione come "prestazione da conseguire".
Per ogni aderente al fondo pensione la prestazione da conseguire andrà commisurata alla posizione individuale "di sua pertinenza". Nella misura che ne sarà determinata l’anticipazione tuttavia costituisce materia di un diritto di genere per così dire potestativo, anche se la disciplina del decreto ne assoggetta l’esercizio ad uno speciale regime che non riserva più spazio alla autonomia delle singole fonti istitutive. Nel regime previgente il diritto alla anticipazione era infatti azionabile nei limiti stabiliti dalle fonti istitutive della forma pensionistica e alle condizioni da esse indicate. Ne risultava perciò stabilito un loro potere normativo anche in materie dove pure è questione di diritti soggettivi giuridicamente perfetti. Questo non significava che alle fondi istitutive del fondo pensione fosse consentito configurare un regime delle anticipazioni che per via di "limiti" e di "condizioni" finisse per azzerare i contenuti di una aspettativa giuridicamente protetta, le "anticipazioni" essendo "diritti" che gli atti fonte istitutiva del fondo pensione potevano conformare ad una speciale disciplina ma non rimuovere. E anche in questa materia la Covip aveva assunto suoi orientamenti con una deliberazione del giugno 1997. Ma la nuova disciplina del quarto comma dell’art. 7 ha configurato tutt’altro regime delle "anticipazioni".
In presenza delle condizioni di esercizio del diritto e per le finalità indicate dalla norma del decreto legislativo, le anticipazioni previste dal quarto comma dell’art. 7 si conseguono ex lege. E il diritto di riceverle (che è diritto soggettivamente perfetto) vale anche se la disciplina di statuto del fondo pensione non si fosse ancora formalmente adeguato alle nuove disposizioni legislative. In questa materia l’autonomia statutaria è in ogni caso ormai limitata alla determinazione delle modalità di "reintegrazione" della posizione previdenziale secondo quanto espressamente prevede ancora il quarto comma dell’art. 7. Una volta confermato che in ogni caso non sono consentite anticipazioni diverse da quante ne prefigura la norma del decreto legislativo, la disciplina di statuto dovrà poi uniformarsi alle indicazioni a suo tempo stabilite dalla Covip per garantire parità di trattamento degli iscritti alla forma pensionistica, non essendo perciò consentite regole arbitrariamente "diversificate" di configurazione delle posizioni individuali. E già la deliberazione del giugno 1997 aveva avvertito che si devono considerare illegittime disposizioni statutarie eventualmente intese a prefigurare differenti regimi (e in realtà "discriminazioni") in ragione dell’appartenenza di singoli iscritti a particolari categorie di associati (come nel caso che si ritenesse di poter conservare "nei confronti di alcune collettività" di lavoratori "condizioni di miglior favore contemplate presso il datore di lavoro di riferimento").
Significativa espressione delle libertà che pur sempre competono all’aderente a fondi pensione, e in questo senso parte non trascurabile dello "statuto" dei suoi diritti è poi la disciplina della fattispecie di possibile riscatto della sua posizione previdenziale. Già si è segnalata la speciale disposizione del nuovo primo comma bis dell’art. 10 per le fattispecie di forma pensionistica individuale. Ma più adesso interessa considerare il "riscatto" che la lettera c) del primo comma dell’art. 10 del decreto 124 consente, e lo statuto del fondo pensione deve consentire qualora per l’aderente non esistano più i requisiti di partecipazione alla forma pensionistica complementare. In tali circostanze come si avvertito la norma dell’art. 10 prefigura un regime che si caratterizza per le libertà di scelta riservate alle discrezionali valutazioni dell’iscritto al fondo pensione, reso così titolare di un diritto di opzione che presenta tutti i caratteri dei diritti di genere potestativo. La regolamentazione delle "facoltà" di riscatto della posizione previdenziale sarà ancora una volta regime "conformato" dalla disciplina che ogni fondo pensione pensione si assegna secondo principio di autonomia statutaria. Ma deve essere disciplina statutaria pur sempre e necessariamente rispettosa delle individuali preferenze dei singoli aderenti alla forma pensionistica.
Infatti sarà la disciplina statutaria del singolo fondo pensione a stabilire sia le "misure" sia le "modalità" sia infine "i termini" per l’esercizio della "facoltà" di opzione che compete ad ogni singolo iscritto. Ma sarà poi la libera determinazione dell’interessato a scegliere se trasferire la sua posizione previdenziale ad altro fondo pensione o se dare invece corso alle procedure di riscatto secondo quanto è per l’appunto previsto dalla lettera c) del primo comma dell’art. 10 del decreto. E con una deliberazione di "orientamenti" in materia statutaria a suo tempo la Commissione di vigilanza aveva avvertito che l’importo "oggetto di riscatto" naturalmente va rilevato dall’ammontare del capitale "maturato sulla posizione individuale" del lavoratore. Allo scopo di consentire l’esercizio del "diritto" al riscatto di tale posizione "anche i fondi pensione in regime di prestazione definita" dovranno quindi rilevare il valore attuale della prestazione maturata "nel rispetto delle condizioni di equilibrio della forma pensionistica".
Si opera in un regime che occorre precisare rilevando in qual misura la libertà di opzione conferita dalla norma del decreto incontra limiti obbligati che per forza di cose circoscrivono l’ambito delle decisioni possibili. Come si è già osservato la decisione di trasferire la posizione previdenziale "presso altro fondo pensione" chiuso è infatti praticabile soltanto in caso di accesso ad una nuova attività lavorativa. E quindi in presenza di circostanze che non dipendono esclusivamente dalla volontà dell’interessato Ma l’esistenza di limiti alle possibili manifestazioni di volontà conseguenti alla titolarità di uno status previdenziale, e la stessa esistenza di "modalità" e "termini" di tempo per l’esercizio dell’opzione consentita dalla norma del decreto non degradano ad altra figura una "facoltà" di riscatto connotata da tutti i caratteri e tutta la consistenza normativa del diritto soggettivo giuridicamente perfetto. E sia pure entro i limiti di azionabilità che si sono indicati ancora una volta si tratta di un diritto di genere "potestativo".
La fattispecie del primo comma dell’art. 10 si aggiunge così al numero delle fattispecie dove i poteri di normazione della fonte costitutiva del fondo pensione si qualificano come poteri di conformazione di un diritto soggettivo che tuttavia in nessun modo possono rimuovere né pregiudicare. E’ certamente tale il diritto prefigurato dal nuovo primo comma bis dell’art. 10 a favore di quanti aderiscono a forme pensionistiche individuali. E se è vero che in linea generale (e per espressa disposizione del quarto comma dell’art. 7 del decreto) la fattispecie del riscatto della posizione pensionistica può darsi soltanto nel caso previsto dalla lettera c) del primo comma dell’art. 10 , va considerato che nella sua autonomia statutaria il singolo fondo pensione può pur sempre ampliare l’ambito delle facoltà a disposizione dei suoi iscritti mediante disposizioni intese a configurare fattispecie di possibile sospensione delle contribuzioni a suo carico. La Commissione di vigilanza ha considerato l’eventualità di disposizioni di questo genere. E ha considerato in modo particolare il caso di una previsione statutaria di sospensione delle contribuzioni a carico del lavoratore disposta da fondi pensione a contribuzione bilaterale. In tal caso le discipline statutarie provvederanno a "recepire" le disposizioni delle fonti istitutive quanto alla regolamentazione delle contribuzioni a carico del datore di lavoro e della destinazione delle quote di trattamento di fine rapporto.
Speciale attenzione (e particolare apprezzamento) si deve poi alla disposizione del comma terzo ter dell’art. 10, che modificato dalla lettera c) dell'ottavo comma dell'art. 58 della legge 144 del 1999 finalmente stabilisce una nuova e più sensata disciplina per il caso di morte dell’aderente al fondo pensione "prima del pensionamento di vecchiaia". Nella sua originaria formulazione la norma del decreto legislativo prevedeva infatti che la sua posizione previdenziale fosse "riscattata" dal coniuge "ovvero dai figli" (o ancora "dai genitori" se "già viventi a carico" dell’aderente), al tempo stesso tuttavia disponendosi che in loro mancanza la posizione previdenziale del lavoratore deceduto fosse "acquisita al fondo pensione". Si configurava così una fattispecie di possibile acquisizione del capitale maturato al fondo pensione senza considerare la eventualità di diverse intenzioni del lavoratore naturale "destinatario" delle prestazioni previdenziali. E perciò naturale destinatario delle decisioni che riguardano l’impiego della sua ricchezza pensionistica.
Ne risultava una sconcertante ratio legis quasi che la collettività degli aderenti al fondo pensione fosse in sè meritevole di un beneficio patrimoniale, essendo invece trascurabile la possibilità che l’interessato volesse far valere una diversa volontà di disposizione della sua posizione previdenziale. A questa discutibile regolazione della fattispecie con la nuova disciplina del comma terzo ter dell’art. 10 del decreto si sostituiscono più sensate disposizioni. Si conferma infatti che la posizione previdenziale del defunto costituisce oggetto di diritti che jure proprio si acquistano da parte del congiunto o degli altri membri della sua famiglia già indicati dalla norma del decreto. Ma in loro mancanza valgono le eventuali disposizioni del lavoratore. La posizione previdenziale sarà acquisita al fondo pensione soltanto in assenza di sue manifestate volontà che si provveda in altro modo. Naturalmente era più che giusto assegnare tutto il rilievo possibile ai desideri e alle volontà del soggetto titolare della posizione patrimoniale che in caso di sua morte occorre destinare ad altri. E per le forme pensionistiche individuali vale quanto adesso stabilisce il nuovo terzo comma quater dell’art. 10.


9. Ad un punto di incerto equilibrio tra discipline di vincolo e libera disponibilità delle posizioni previdenziali dei singoli aderenti alla forma pensionistica complementare si pone infine la discussa problematica dell’ammissibilità di un recesso per "giusta causa". Il recesso dal contratto di associazione al fondo pensione negoziale è una eventualità che le norme del decreto legislativo non considerano. Cosa che a molti sembra senz’altro imporre la conclusione che facoltà di recesso non si danno, quale che possa essere la ragione e in linguaggio da giuristi la possibile "causa" di una intenzione di recedere. E a conferma di una conclusione così drastica si richiama la formulazione dell’art. 10 del decreto. Questa norma sembra infatti configurare come numero chiuso la serie delle fattispecie tali da consentire una rimozione del vincolo contrattualmente assunto con la adesione alla forma pensionistica complementare. Argomentazioni di questo genere meritano la maggior attenzione ma a veder bene semplificano i termini di una questione che presenta invece caratteri di maggiore complessità.
Naturalmente la questione di un possibile recesso (quale che ne sia la "causa") non si pone se non in forma marginale per le vicende previdenziali che possano diventare problema in una fase di tempo successiva alle scadenze indicate dall’art. 10. Una volta decorso il periodo di appartenenza al fondo pensione stabilito da tale norma l’interesse a recedere dal contratto associativo molto spesso sarà infatti utilmente soddisfatto semplicemente con l’esercizio del diritto di trasferimento della posizione previdenziale. All’ iscritto deluso dalla sua originaria adesione ad un fondo pensione chiuso già il "riscatto" della posizione previdenziale consentirà di trasferire la sua ricchezza pensionistica ad altro fondo pensione. Fondo pensione "chiuso" o fondo pensione aperto secondo quanto sarà considerato preferibile. E se è vero che l’alternativa offerta dalla norma del decreto opera pur sempre all’interno del sistema della previdenza complementare sembra ragionevole ritenere che nel gran numero dei casi l’interessato ne deriverà un risultato in linea con le sue aspettative di una miglior allocazione del risparmio previdenziale.
Più problematico è invece il caso dell’interesse ad un recesso dall’associazione (dal contratto di associazione) al fondo pensione che l’iscritto avverta e desideri attivare prima delle scadenze temporali dell’art. 10. E’ vero che la norma dell’art. 10 del decreto legislativo 124 opera come norma di chiusura quanto a fattispecie di trasferimento e di riscatto della posizione pensionistica complementare. Ma va considerato che i problemi di possibile recesso dal contratto associativo si pongono in termini di tutt’altro genere e con evidenti caratteri di specialità. E là dove esista una "giusta causa" di recesso non sembra davvero accettabile la conclusione che si tratterà semplicemente di attendere il decorso del tempo necessario per provvedere al riscatto della posizione pensionistica. Cosa che naturalmente l’interessato può decidere di fare ma ovviamente non può essere la risposta dell’ordinamento del settore ad una domanda di tutela di posizioni soggettive in ipotesi giuridicamente rilevanti come materia di diritti. Occorre perciò altro genere di valutazioni necessariamente intese ad accertare se nel silenzio delle norme del decreto legislativo un diritto di recesso sia configurato o invece escluso da altre norme di regime della previdenza complementare o da più generali principi dell’ordinamento.
Indicazioni in questo senso utili non offrono i possibili richiami al principio codicistico della ammissibilità del recesso nelle fattispecie di contratti di durata senza indicazione di un termine, perché non è questo il caso del contratto di associazione al fondo pensione che origina un rapporto giuridico contributivo variamente assoggettato ai termini dell’art. 7 del decreto legislativo 124. E va da sé che le vicende originate dal rapporto giuridico previdenziale sono anch’esse vicende a termine, essendo in ogni caso vicende estranee all’ordine di problemi che si considerano i quando si discute di un possibile interesse all’abbandono della forma pensionistica in una fase che è ancora la fase del rapporto giuridico contributivo. Occorre perciò orientare in altra direzione le considerazioni davvero utili per fare chiarezza con argomenti di diritto positivo. E a veder bene indicazioni sicuramente utili sono offerte da principi che per la materia dei contratti valgono su scala generale.
Sono i principi che operano là dove si determinano modificazioni delle condizioni contrattuali così rilevanti da configurare la facoltà di recesso dagli studiosi del diritto civile indicata come materia di un recesso "per modificazione dei presupposti" del contratto. E se è vero che la disciplina civilistica delle associazioni non lo prevede in modo espresso (altro essendo il regime generale dell’art. 24 del codice civile), si ricorderà che in via di interpretazione della complessiva ratio legis della loro disciplina "facoltà" di recesso all’associato pur sempre si riconoscono appunto quando "modificazioni rilevanti" della disciplina statutaria rimuovono "i presupposti" dell’assunzione del vincolo associativo. Non si può infatti ragionevolmente ritenere che il consenso prestato con la adesione al contratto associativo operi con la forza di un vincolo assolutamente incondizionato.
Se questi sono i principi che necessariamente regolano la materia non sarà perciò il silenzio delle norme del decreto legislativo 124 a precludere un motivato esercizio delle facoltà di recesso là dove ne esista una "giusta causa". E da più parti in linea generale si è indicata come tale la mancata osservanza dei doveri di informazione che impegnano il fondo pensione a garantire trasparenza delle sue attività. Altra "giusta causa" di recesso sembrano configurare le possibili violazioni dei diritti amministrativi e di voto che competono ad ogni iscritto. Si devono infine considerare le già indicate "modificazioni rilevanti" della disciplina statutaria. Il verificarsi di altre ipotesi è davvero improbabile ma quest’ultima eventualità merita invece una certa attenzione. Sarà tuttavia opportuno fare chiarezza sul possibile ambito di operatività di una ragionevole nozione di "giusta causa" di recesso altrimenti esposta al rischio di equivoci che sempre caratterizza l’impiego di "clausole generali" a contenuto pericolosamente indeterminato.
Già si diceva che nel numero delle posizioni soggettive giuridicamente protette non va ricompreso un inesistente "diritto al regime" previdenziale, quasi che all’autonomia statutaria fossero precluse le variazioni di disciplina invece sicuramente consentite ogni volta che occorra adeguare il regime della forma pensionistica a nuove norme di regolazione del settore o ad orientamenti prescrittivi della Commissione di vigilanza o infine a quanto comunque occorre per conformare gli assetti amministrativi e operativi del fondo pensione a sopravvenienti necessità. Perciò non si possono considerare "giusta causa" di recesso le variazioni che fossero apportate all’organizzazione di uffici e di service amministrativo o ancora agli indirizzi e alla strumentazione negoziale della gestione del portafoglio finanziario del fondo. In casi di tal genere infatti non esistono aspettative meritevoli di tutela e ragionevoli pretese ma semmai intenzioni di abuso del diritto di recesso. Altre vicende possono invece originare motivate iniziative di dissociazione dalla forma pensionistica.
Una cosa sono infatti le modificazioni di regime naturalmente conseguenti allo svolgimento delle funzioni che in via esclusiva competono agli amministratori della forma pensionistica (e in certa misura ad eventuali deliberazioni assembleari), altra cosa i presupposti dell’originario consenso dall’aderente manifestato con la sua adesione al contratto di associazione al fondo pensione. E perciò l’insieme dei fattori da considerare materia di una "presupposizione" all’origine del vincolo negoziale. Materia a presupposti e presupposizioni che possono essere rilevanti in punto di giusta causa del recesso offrono perciò certamente le discipline di statuto e per relationem i contenuti del contratto associativo che configurano il fondo pensione come forma previdenziale a contribuzione definita o invece a prestazione definita. Altri presupposti e rilevanti presupposizioni comportano quanto è essenziale nel regime di regolazione e di erogazione delle prestazioni o quant’altro sia così determinante condizione del consenso manifestato con l’adesione alla forma pensionistica da legittimare l’esercizio di una facoltà di dissociazione in caso di contrarie sopravvenienze.
Da ciò la consistenza di un diritto al recesso dalla forma pensionistica per "giusta causa" che in questo senso appartiene con ogni evidenza alla complessiva ratio legis del decreto legislativo 124. Diritto al recesso che esiste soltanto nel limitato numero di fattispecie che in via di prima approssimazione si sono segnalate. Ma si tratta pur sempre di un diritto soggettivo per così dire "perfetto" e nei casi ammessi immediatamente azionabile. Originaria libertà di adesione e sopravvenute facoltà di recesso corrispondono infatti ad una medesima esigenza di assicurare che quanto alla previdenza complementare esista per tutti spazio aperto alle valutazioni che ognuno per sé deve pur sempre essere legittimato a fare quando si tratta di organizzare al meglio un portafoglio finanziario con finalità pensionistica. E più che da una astratta elaborazione di modelli teorici naturalmente in questa materia si attendono contributi di chiarezza dalle valutazioni che istituzionalmente competono alla Covip. Se questioni di possibile recesso ha già dovuto considerare in speciali fattispecie di trasformazione di fondi pensione preesistenti in questa materia la Commissione di vigilanza tuttavia non ha ancora maturato un suo complessivo orientamento.



(*) Prof. Mario Bessone. Ordinario di istituzioni di diritto privato nell'Università Sapienza di Roma.

 

Torna alla Home Page