Fondi
pensione e diritti soggettivi.
Portability della posizione previdenziale, discipline di riscatto,
il recesso per giusta causa
a cura di Mario Bessone
1. Quando si guarda ai principi di vertice dell'ordinamento di settore che
regola fondi pensione e prestazioni previdenziali dell'impresa assicurativa
occorre necessariamente muovere da una ricognizione di campo particolarmente
attenta a quanto si è stabilito con le norme del decreto legislativo 47 del
febbraio 2000. Integrando la disciplina del decreto legislativo 124 dell'aprile
1993 mediante prescrizioni che ne sono diventate i nuovi artt. 9 bis e 9 ter, il
decreto legislativo 47 ha infatti operato una riforma di sistema di segno molto
forte. Se continuano ad essere suoi caratteri distintivi tutte le conformazioni
organizzative, le discipline di portafoglio e le funzioni di pubblica vigilanza
già disposte dalla legislazione degli anni Novanta, la previsione di
"piani pensionistici individuali" e il regime che per essi si è
stabilito portano infatti con sé variazioni dello scenario di insieme che sono
davvero cosa di grande rilievo. Naturalmente costituiscono significativa
innovazione già le singole disposizioni di speciale regime delle nuove
"forme pensionistiche". Ma più ancora è significativa innovazione di
sistema l'estensione del loro ambito di operatività.
"Piani pensionisti individuali" possono essere offerti al mercato del
risparmio previdenziale dal fondo pensione aperto (secondo il regime dell' art.
9 bis), così come possono essere offerti dall'impresa assicurativa nella forma
del contratto di assicurazione "sulla vita" (secondo il regime
dell'art. 9 ter). E con riguardo all'ambito dei possibili destinatari della
nuova forma previdenziale non ci sono prescrizioni di limite. L'adesione a piani
pensionistici individuali è infatti consentita anche a quanti non sono titolari
di "redditi di lavoro" (né di "redditi di impresa"). Si
rimuove perciò il vincolo di obbligata connessione tra attività lavorativa e
previdenza pensionistica, di modo che le prestazioni conseguenti alla
sottoscrizione di "piani pensionistici individuali" non saranno
necessariamente
Il principio di libertà che già consentiva di decidere se sottoscrivere un
contratti di adesione ad una "forma" pensionistica
"complementare" dalle disposizioni del decreto legislativo 47 è
infatti integrato dalla libertà di scegliere senza prescrizioni di limite quale
"forma pensionistica" privilegiare. Con le sue disposizioni si è così
finalmente assicurata la dovuta estensione di campo alla libertà di decisione
dei singoli anche quanto.alle possibili alternative di investimento di risparmio
con finalità previdenziale. Per il passato prevaleva una policy di
preferenza per il fondo pensione "chiuso" esistendo norme di limite
all'adesione a fondi pensione aperti. E (quando fosse possibile l'adesione a
fondo pensione "chiuso") norme a valere per gli appartenenti a
qualsiasi settore del mondo del lavoro dipendente. Nel regime espressamente
stabilito dalle disposizioni del decreto legislativo 47 con una nuova
formulazione del secondo comma dell'art. 9 del decreto legislativo 124 ogni
previsione di limite si è finalmente rimossa ,essendo perciò consentita a
tutti libertà di scelta tra fondo pensione chiuso e fondi
Da ciò davvero un decisivo passo nella giusta direzione.Quali sono costi e
benefici delle diverse
2. Presso gli studiosi della materia pensionistica sono di comune impiego
nozioni di rapporto giuridico "contributivo" e di rapporto giuridico
"previdenziale" che si possono impiegare utilmente anche quando si
tratta di organizzare in sistema le normative del decreto legislativo 124. Va
naturalmente considerato il particolare carattere della situazione originata
dalla adesione a fondi pensione, che trova la sua speciale disciplina al già
indicato punto di equilibrio tra "libertà" di soggetti privati e
"vincolo" di norme. E si tratta di una disciplina che in tutte le sue
varianti configura fattispecie di genere complesso. Ma ognuna di queste varianti
appartiene comunque al numero delle fattispecie di contratto e di obbligazioni
pecuniarie (o ad esse accessorie) che in via di prima approssimazione si possono
pur sempre descrivere nei termini congeniali alle tradizionali teorie del
"rapporto giuridico". E ad essere precisi più che parti di un
"rapporto giuridico" fondo pensione e aderenti al fondo pensione sono
parti di un insieme di "rapporti giuridici" suscettibile di numerose
configurazioni. Ma in tutti i casi a caratterizzare questo insieme come già si
diceva sono i costanti punti di interferenza tra autonomia negoziale e
imperatività di norme.
In che misura le regole di disciplina dei fondi pensione circoscrivono lo spazio
aperto alle libere determinazioni di autonomia privata entro i limiti segnati da
un modello prestabilito da norme (e talvolta norme con evidenti caratteri di
inderogabilità) indica con chiarezza già il regime del rapporto giuridico
"contributivo", inteso come tale il rapporto obbligatorio che con la
adesione al fondo pensione si costituisce tra i soggetti tenuti alla
corresponsione dei contributi previdenziali e il fondo che li riceve per
provvedere con essi alla sua attività di gestione finanziaria per finalità
previdenziali. Ad integrare gli elementi della fattispecie concorrono poi gli
eventuali apporti di t.f.r. nella grandezza e con le modalità che sarà bene
ricordare. Disciplinano il rapporto giuridico contributivo le norme dell’art.
8 del decreto legislativo 124, secondo regole di principio e disposizioni
puntuali che (dovendosi segnalare le particolarità di regime dei fondi pensione
"preesistenti" alla nornativa del decreto) per i fondi pensione di
nuova generazione in estrema sintesi possono essere così rappresentate.
Quanto ai soggetti gravati dell’onere di contribuzione "obbligato"
per così dire principale è l’aderente al fondo pensione. E’ perciò il
soggetto destinatario dei futuri trattamenti pensionistici che sarà volta a
volta lavoratore dipendente, lavoratore autonomo, professionista libero, socio
lavoratore di impresa cooperativa l’appartenente al comparto delle prestazioni
d’opera coordinate e continuative che non presentano i caratteri del lavoro
subordinato e adesso anche chi pur non appartenendo al mondo del lavoro
sottoscriva un contratto di adesione al piano pensionistico individuale
dell'art. 9 bis. Secondo quanto stabiliscono (e se così stabiliscono) le fonti
istitutive di fondi pensione negoziali e "chiusi" alle contribuzioni
dovute da lavoratori dipendenti, soci lavoratori di società cooperative e
prestatori d’opera coordinata e continuativa si aggiungono poi le quote di
contribuzione dovute da datori di lavoro, società cooperative e committenti
delle indicate prestazioni d’opera. A stabilire le regole di quantificazione
delle contribuzioni che diventano materia del rapporto giuridico contributivo
provvede in linea generale il secondo comma dell’art. 8 del decreto dove si
rinvia ma non interamente alle libere determinazioni delle singole "fonti
istitutive" della forma pensionistica.
Per il settore del lavoro dipendente privato è stabilito che saranno infatti le
fonti istitutive a determinare "il contributo complessivo da destinare al
fondo pensione". La norma del decreto legislativo tuttavia già ne
prefigura la possibile grandezza indicando come tale una "percentuale"
della "retribuzione assunta a base" della quantificazione del
"trattamento di fine rapporto". Per i lavoratori "dipendenti
della pubblica amministrazione" il quarto comma dell’art. 8 stabilisce
invece che "i contributi ai fondi" devono essere definiti "in
sede di determinazione del trattamento economico" e "secondo procedure
coerenti alla natura del rapporto" sempre "in conformita ai
principi" generali del decreto legislativo 124. A regolare compiutamente il
rapporto giuridico contributivo dei comparti del pubblico impiego provvederà
poi la disciplina degli accordi intercorsi tra l’A.r.a.n e le Confederazioni
sindacali del settore. Quanto a lavoratori autonomi e professionisti liberi
ancora il secondo comma dell’art. 8 del decreto legislativo 124 dispone che
saranno loro stessi a definire in autonomia l’entità delle contribuzioni. Si
precisa tuttavia che se vale principio di sel regulation si tratta di
contribuzioni da commisurare pur sempre ad una percentuale del reddito di
impresa o di lavoro autonomo "dichiarato ai fini Irpef relativo al periodo
d’imposta precedente". Per i "soci lavoratori" di società
cooperative parametro di riferimento sono invece gli imponibili considerati
"ai fini dei contributi previdenziali obbligatori".
Guardando al genere di interrelazione che in questa materia si istituisce tra
vincolo normativo e libertà di determinazione dei soggetti privati, le norme di
regime del rapporto giuridico contributivo devono poi essere considerate nella
prospettiva delle disposizioni che per il mondo del lavoro subordinato integrano
la previsione di versamenti contributivi con previsioni di apporto al fondo
pensione di risorse finanziarie derivate dai capitali che presso gli enti
"datore di lavoro" si trattengono in funzione di prestazioni
differite. Nel caso del lavoro dipendente del settore privato si tratta dei
capitali stimati come "accantonamento figurativo" di quote di t.f.r..
Nel caso delle pubbliche amministrazioni in passato si trattava invece di
capitali trattenuti come "accantonamento reale" di "indennità di
fine servizio". Operava perciò tutt’altro regime sia quanto alla tecnica
di calcolo sia quanto a modalità e risultato finanziario. Regime del tutto
inadeguato alle necessità di un ordinamento delle forme pensionistiche
complementari che per ogni settore del mondo del lavoro deve essere disciplina
razionale nella strumentazione operativa. E comunque regime da uniformare alle
disposizioni del decreto legislativo 124 .
Per i comparti del pubblico impiego si doveva perciò provvedere con
disposizioni di transizione dal regime delle "indennità di fine
servizio" ad un regime sul modello del "trattamento di fine
rapporto" del settore privato, seguendo una linea di percorso normativo già
prefigurato dall’art. 2 della legge 335 dell'agosto 1995 con i risultati
operativi poi resi finalmente possibili dall'approvazione di un decreto
presidenziale del 20 dicembre 1999. Ma la materia è ancora in fase di
tormentata elaborazione Per i lavoratori dipendenti del settore privato
provvedono il secondo e terzo comma dell’art. 8 del decreto legislativo 124.
Quanto ai lavoratori di "prima occupazione" dall’entrata in vigore
del decreto legislativo, e perciò dall’aprile del 1993 vale il regime del
terzo comma dell’art. 8. Ma se questa disposizione stabilisce che per le fonti
istitutive delle forme pensionistiche attivate "su base contrattuale
collettiva" esiste un vincolo di integrale destinazione al fondo pensione
degli accantonamenti annuali di trattamento di fine rapporto maturati in tempi
successivi alla iscrizione del lavoratore al fondo pensione, quanto ai
lavoratori che non sono di "prima occupazione" con il secondo comma
dell’art. 8 del decreto si è invece prevista tutt’altra disciplina, essendo
semplicemente prevista una possibilità di conferimento al fondo pensione di
"quote" degli accantonamenti annuali rimessa alle valutazioni di volta
in volta operate dai soggetti che sono fonte istitutiva della forma
pensionistica complementare.
3. L’accesso alle prestazioni di previdenza complementare è materia regolata
dall’art. 7 del decreto legislativo. E questa disposizione è norma di regime
di un rapporto giuridico a sé, il rapporto giuridico "previdenziale"
caratterizzato dalla evidente specialità dei suoi contenuti che tuttavia
appartengono pur sempre a quanto è oggetto e regola di qualsiasi rapporto
giuridico che configuri obbligazioni e diritti di credito. Rapporto giuridico
previdenziale è infatti semplicemente nozione di utile impiego per indicare con
una formula di estrema sintesi la fattispecie che giuridicamente si configura in
presenza delle circostanze costitutive di una obbligazione del fondo pensione
,giuridicamente obbligato all’adempimento delle prestazioni dovute
all’aderente al fondo o ad altro soggetto c.he ai sensi dell’art. 10 comma 3
ter del decreto legislativo 124 si trovi ad essere titolare di un diritto di
credito immediatamente esigibile. L’obbligazione del fondo è obbligazione
"pecuniaria" nel senso e con gli effetti stabiliti dalle norme del
codice civile ,che a protezione del diritto di credito "previdenziale"
apprestano tutte le garanzie di tutela normalmente offerte ai creditori di una
prestazione giuridicamente dovuta.
Quali circostanze sono costitutive di "obbligazione" e
"credito" la disposizione dell’art. 7 del decreto stabilisce per
rinvio alle discipline degli atti istitutivi del fondo pensione. Una volta di più
opera tuttavia un regime di vincolo normativo che necessariamente conforma a sé
regolamentazione e contenuti del rapporto giuridico previdenziale. La
definizione dei requisiti di accesso alle prestazioni compete pur sempre agli
atti istitutivi del fondo pensione. Ma la norma del decreto legislativo
imperativamente dispone che le prestazioni "per vecchiaia" sono
consentite soltanto al compimento dell’"età pensionabile" qual essa
è secondo le norme di regime del sistema pensionistico obbligatorio. E’ al
tempo stesso stabilito che condizione di esigibilità del credito previdenziale
è una maturata appartenenza alla forma pensionistica complementare che la norma
del decreto quantifica in "un minimo di cinque anni di partecipazione al
fondo pensione".
Con riguardo alle prestazioni pensionistiche "per anzianità" la norma
del decreto legislativo configura la obbligazione del fondo pensione e il
diritto di credito dell’aderente come materia di un rapporto previdenziale che
giuridicamente si attiva soltanto se la cessazione della attività di lavoro
"comportante la partecipazione al fondo pensione" opera in concorso
del requisito di "almeno quindici anni di appartenenza al fondo
stesso". Occorre anche un requisito di età dell’aderente che deve essere
"di non più di dieci anni inferiore a quella prevista per il pensionamento
di vecchiaia nell’ordinamento obbligatorio di appartenenza". Per le forme
pensionistiche individuali dispone l’ art . 2 del decreto legislativo 47 che
se in linea generale conferma il regime dell’art. 7 del decreto legislativo
124 al tempo stesso con riferimento ai "soggetti" non
"titolari" di un "reddito di lavoro" o "di
impresa" stabilisce il requisito dell’"età pensionabile" per
richiamo al ventesimo comma dell’art. 1 della legge 335 dell 'agosto 1995. .
"Nel rispetto di quanto" così è inderogabilmente
"disposto" il sistema delle norme rinvia poi agli atti di privato
regime del fondo pensione per l’ulteriore definizione dei requisiti di accesso
alle prestazioni, lasciando tuttavia residuare rilevanti interrogativi quanto
alla sua complessiva ratio legis, e perciò quanto ai possibili contenuti del
rapporto giuridico previdenziale. Visto che la disposizione dell’art. 7 si
riferisce in modo espresso soltanto alle fattispecie di "vecchiaia" e
di "anzianità", gli interpreti della norma del decreto si sono
infatti domandati se la sua formulazione letterale non dovesse essere intesa
come intenzione legislativa di fare delle indicate fattispecie un numero chiuso,
dovendosi perciò escludere dai poteri di autonomia statutaria del singolo fondo
la previsione di prestazioni di previdenza complementare per il caso di
"inabilità", di "invalidità" o di "premorienza".
Ma sicuramente così non è se soltanto si considera che già il terzo comma
dell’art. 6 del decreto legislativo prefigura prestazioni per invalidità e
premorienza da garantire mediante "apposite convenzioni con imprese
assicurative". E dove non esistano motivazioni davvero forti per una
normativa di vincolo, univoca e complessiva ratio legis della disciplina
del decreto è la naturale estensione dell’ambito dei poteri di autonoma
determinazione dei contenuti di un rapporto previdenziale che è pur sempre e
per definizione materia di privata regolazione di rapporti giuridici tra
soggetti privati. Si spiega perciò la disposizione del quinto comma dell’art.
7 dove poi si si riservano alle "scelte statutarie" e alle scelte
contrattuali "effettuate all’atto della costituzione di ciascun fondo
pensione" le determinazioni da assumere quanto alla entità delle
prestazioni previdenziali limitandosi a prescrivere "criteri di
corrispettività" e "conformità al principio della
capitalizzazione". E non sarà necessario ripetere quanto già si diceva in
positivo apprezzamento di normative che costituiscano spazio aperto ai poteri di
self regulation delle forme previdenziali.
Con riferimento a "corrispettività" e "capitalizzazione"
non serve un lungo discorso per fare chiarezza.Il richiamo dei "criterii di
corrispettività" a suo tempo è stato molto discusso da quanti per essi
non rinvengono riferimenti nelle indicazioni di principio della legge di delega
all’origine del decreto legislativo 124. Ma a veder bene la formulazione delle
disposizioni del decreto deriva sufficiente motivazione già dalla
considerazione che in materia di previdenza privata l’oggetto e le entità
delle prestazioni costitutive del rapporto obbligatorio originano dai contenuti
di un contratto tra fondo pensione e iscritti che per questa sua parte è
semplicemente contratto di scambio. E se il rapporto giuridico
"contributivo" si caratterizza per le prestazioni contributive
contrattualmente dovute dall’iscritto, il rapporto giuridico
"previdenziale" si caratterizza per le prestazioni previdenziali
contrattualmente dovute dal fondo pensione secondo una logica di sistema che
ancora una volta presenta caratteri di lineare chiarezza.
Si opera in un regime di fattispecie a formazione progressiva certamente
particolare ma pur sempre sul modello di contratti "di scambio", e
perciò contratti necessariamente costruiti sul principio di corrispettività
(il "sinallagma" dei giuristi) tra contribuzioni percepite dal fondo e
prestazioni che il fondo a suo tempo deve obbligatoriamente erogare. Quanto al
principio di capitalizzazione con contestuale esclusione di principio di forme
pensionistiche "a ripartizione" si tratta della fondamentale regola di
struttura del sistema pensionistico di fonte privata. In questo senso su
"corrispettività" e "capitalizzazione" altro non sarà il
caso di aggiungere se non una segnalazione dell’importante norma del sesto
comma dell’art. 7 del decreto. Là dove alla lettera b) considera i problemi
di adeguamento delle prestazioni la norma infatti rimette senz’altro alle
fonti costitutive ogni possibile previsione esigendo soltanto il necessario
"rispetto" dell’equilibrio attuariale e finanziario della forma
previdenziale. E considerate le particolari garanzie che sempre si devono al
risparmio investito con finalità previdenziale il principio ha un suo evidente
rilievo.
4. A disciplinare l’adempimento delle obbligazioni del fondo pensione
costituite da prestazioni in forma di rendita provvede l’art. 6 del decreto,
che al suo secondo comma prescrive il ricorso a convenzioni con imprese
assicurative "di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 17 marzo 1995
n. 174". E al riguardo si deve ricordare la integrazione di disciplina
disposta dallo "schema tipo" di "convenzione" per
l’assicurazione delle prestazioni pensionistiche in forma di rendita
vitalizia. Si tratta di uno standard contrattuale approvato dalla Commissione di
vigilanza sui fondi pensione (la Covip) con sua deliberazione del 21 maggio 1998
e successivamente confermato dalla formale intesa sottoscritta con l’Isvap ai
sensi dell’art. 17 del decreto legislativo 124. Oggetto del contratto di
assicurazione di una rendita vitalizia "immediata (...) sulla testa degli
aderenti al fondo pensione", determinazioni del premio di assicurazione e
materia degli obblighi di comunicazione , regime di erogazione della rendita e
eventuale recesso dalla convenzione al riguardo stipulata ne sono regolati in
modo esauriente. Da ciò un ordinamento della materia che il comma secondo bis
dell'art. 6 del decreto legislativo 124 ha integrato con la previsione di una
erogazione delle rendite in via diretta, e perciò da parte del fondo pensione
che a tale attività sia ammesso da un provvedimento di autorizzazione in
competenza alla Covip.
Si tratta tuttavia di una previsione che con ogni probabilità non troverà
riscontri applicativi. E più interessa guardare alle norme di regime ordinario
dovendosi segnalare in modo particolare il terzo comma dell’ art. 6 del
decreto dove si disciplina l’erogazione delle prestazioni previdenziali delle
forme pensionistiche in regime di "prestazione definita" cosi’ come
il caso delle eventuali e "accessorie" prestazioni per "invalidità"
e "premorienza". Per tutto questo ambito di materia sul fondo pensione
grava un ulteriore obbligo di ricorrere alla stipulazione di convenzioni con
imprese assicurative. Considerata la formulazione della norma
"abilitate" allo svolgimento della attività si devono ritenere le
imprese assicurative ad essa abilitate in riferimento a criteri di
"riserva" e di legittimazione ad operare indicati dalle tradizionali
distinzioni di "ramo" assicurativo. E quanto al caso di
"invalidità" e "premorienza" le convenzioni da stipulare
con l’impresa assicurativa devono ancora una volta uniformarsi agli
"schemi tipo" di convenzione che ai sensi dell’art. 17 del decreto
legislativo 124 a suo tempo Covip e Isvap hanno deliberato nella forma
dell’"intesa", con le segnalate deliberazioni del maggio 1998
confermando l’evidente opportunità del ricorso a questa importante modalità
di cooperazione istituzionale.
Gli specialisti della materia insegnano che la disciplina delle prestazioni di
previdenza complementare presenta caratteri tutt’altro che lineari,
consistendo di norme di principio variamente integrate o derogate da norme di
specie spesso lontane dal loro pur necessario coordinamento. E questa (grave)
carenza di una ragionevole organicità di regime si riscontra anche con riguardo
alle prerogative che agli aderenti a fondi pensione competono in ordine alle
modalità di corresponsione delle prestazioni previdenziali. In queste pagine
non è pensabile una circostanziata rassegna delle singole norme di specie,
essendo possibile riservare una certa attenzione soltanto a norme di principio
che per parte loro già offrono ampia materia ad ulteriori riflessioni. E
sicuramente ne offrono le disposizioni di principio del sesto comma dell’art.
7 del decreto legislativo per le forme pensionistiche individuali adesso
integrate dalla normativa del sesto comma del nuovo art. 9 bis.
Alla lettera a) del sesto comma dell’art. 7 si stabilisce che il
"titolare del diritto" alla prestazione pensionistica complementare ha
"facoltà (..) di chiedere" una liquidazione della prestazione in
capitale commisurata al suo valore attuale. Al destinatario della prestazione
previdenziale è perciò conferita una rilevante facoltà di adeguare il
risultato finanziario della partecipazione alla forma complementare a quanto
possano essere le sue personali esigenze. Ma questo soltanto entro una soglia
quantitativa non superiore al cinquanta per cento della prestazione
previdenziale che gli compete. Infatti soltanto entro quel limite di soglia
dell’importo maturato il destinatario della prestazione previdenziale può
esigere la corresponsione di un capitale in luogo della corresponsione di una
rendita periodica. Va poi considerato in che misura l’operatività del
principio è materia rimessa alle determinazioni delle fonti costitutive.
Come si legge alla lettera a) dell’art. 7 le fonti istitutive
"possono" prevedere, e perciò potrebbero anche escludere questa
facoltà di opzione dallo statuto dei diritti dell’iscritto al fondo pensione.
In ogni caso neppure gli atti istitutivi della forma pensionistica potrebbero
spingere al di là del cinquanta per cento del maturato l’importo del maturato
da corrispondersi in conto capitale. E il nuovo art. 9 bis al suo sesto comma
conferma il vincolo di soglia anche per le forme pensionistiche individuali, si
tratti della adesione a fondo pensione aperto o della sottoscrizione di un
contratto di assicurazione sulla vita con le finalità previdenziali dell’art.
9 ter. Ma si deve avvertire che per le forme pensionistiche individuali
l’indicato limite di soglia non vale per il caso che l’importo annuo della
prestazione in forma periodica risulti di un ammontare inferiore al cinquanta
per cento della pensione sociale "di cui" al sesto e settimo comma
dell'’art. 3 della legge 335 dell' agosto 1995.
Va infine considerata la disposizione del secondo comma dell’art. 10 del
decreto legislativo 47 dove si circoscrive l’ambito di operatività delle
misure di incentivazione fiscale all’ambito degli aderenti a fondo pensione
che con riguardo alla maturazione dei requisiti di accesso alla prestazione
pensionistica scelgano di domandare corresponsioni di rendita periodica per un
importo non inferiore "ai due terzi" del capitale maturato. Dovendo
motivare la ratio legis di normative di questo genere si è spesso
osservato che la modalità di liquidazione in forma di rendita sembra essere più
congeniale alla natura e alle finalità della prestazione pensionistica. E nella
relazione illustrativa del decreto legislativo si dice appunto che la previsione
di un regime meno favorevole per le prestazioni in capitale si deve al fine
esplicito di incentivare la richiesta di prestazioni periodiche sotto forma di
rendita. Ma le normative che si sono segnalate difficilmente possono sottrarsi a
motivate obiezioni.
Se infatti si guarda alle disposizioni del decreto legislativo 124 nella
prospettiva delle attribuzioni istituzionali del fondo pensione, la ratio
legis di tali disposizioni visibilmente confligge con il più generale e per
così dire sovraordinato principio di autonomia degli atti istitutivi della
forma pensionistica complementare. Altre e certamente "sovraordinate"
disposizioni del decreto legislativo 124 interpretano il principio di autonomia
nel senso di riservare alla funzione normativa degli atti istitutivi della forma
pensionistica la predisposizione di numerosi contenuti del contratto
dell’aderente con il fondo pensione. Maggior spazio all’autonomia delle
fonti istitutive e delle discipline statutarie o regolamentari dovrebbe perciò
riservarsi anche quanto alle modalità di regolazione del rapporto giuridico
previdenziale che ne deriva consentendo al singolo fondo pensione la possibilità
di stabilire di più elevate soglie di prestazioni in conto capitale.
E a integrazione dei rilievi in ordine alla materia statutarie e regolamentare
altre serie obiezioni sono poi ampiamente motivate anche con riguardo al limite
che ai poteri di autonomia privata si segnano quando si tratta di provvedere
alla individuazione dei contenuti del contratto di partecipazione alla forma
pensionistica,che per questa materia come si diceva è contratto di
"scambio" tra le contribuzioni versate dall’iscritto nel corso del
rapporto giuridico contributivo e le prestazioni al lavoratore dovute in
esecuzione del rapporto giuridico previdenziale. In questo senso autorevole
dottrina ha già rilevato la dubbia compatibilità del limite segnato alle
prestazioni in conto capitale con i caratteri distintivi del contratto
dall’aderente concluso con il fondo pensione. Se in questa materia la logica
negoziale è logica di scambio la disciplina del contratto dovrebbe infatti
poter seguire il criterio della libera regolazione dei suoi contenuti non
diversamente da quanto appunto accade per la generalità dei contratti di
scambio.
Una volta di più rileva poi in modo modo particolare (e motiva un forte
dissenso)la norma di regime tributario Alle disposizioni di disfavore fiscale
per quanti preferiscano ricevere consistenti prestazioni in conto capitale si
deve infatti guardare anche nella prospettiva del limite da esse imposto alle
libertà di opzione dell’aderente al fondo pensione. E’ vero che non ne
risulta in alcun modo pregiudicata la "facoltà" di richiedere la
corresponsione di parte del maturato pensionistico "in capitale". Ma
è chiaro che le libertà di opzione dell’aderente in certa misura non sono più
tali se la disciplina fiscale disincentiva fortemente l’esercizio di una
facoltà pure in astratto sempre possibile. Se infine si guarda al tema delle
modalità di assegnazione del maturato pensionistico in una prospettiva di
analisi davvero attenta alla specialità del settore, sarà il caso di
considerare in tutta la loro significatività le indicazioni offerte dalle
ricognizioni di campo che documentano una diffusa e forte preferenza sociale per
le forme di liquidazione del maturato in conto capitale.E questa è preferenza
che merita davvero maggiore considerazione.
Naturalmente anche altro va considerato e meritano attenzione le osservazioni di
quanti avvertono che un maggior flusso di erogazioni "in conto
capitale" aggiunge difficoltà alla dinamica di gestione finanziaria del
fondo pensione. Ma in materia di risparmio con finalità previdenziale non
esistono logica di sistema o preferenze istituzionali che valgano di più della
capacità delle norme di corrispondere al soggettivo interesse e perciò alle
soggettive preferenze dell’aderente a fondi pensione. E sarà comunque il caso
di considerare molto realisticamente che dalle soggettive preferenze dei suoi
destinatari in decisiva misura dipendono le stesse possibilità di successo del
progetto di politica economica "previdenza privata". Se il suo
regime non corrisponde alle aspettative del lavoratore nulla impedisce infatti
di consegnare risparmio ad altre forme di investimento finanziario egualmente
intese ad assicurare risultati di genere previdenziale (e sono ormai numerose)
.Esistono perciò serie ragioni per ritenere utile un intervento correttivo di
norme che sia in linea di principio sia con la forza dello strumento fiscale
davvero vincolano fondi pensione e aderenti a fondi pensione più di quanto sia
consigliabile.
5. Gli studiosi di diritto previdenziale insegnano in che cosa consiste il
"diritto a pensione" e quali sono le posizioni giuridicamente protette
in via preliminare. Insegnano perciò a riferire lo status soggettivo del
destinatario dei regimi pensionistici ad una fattispecie complessa, che già per
essere costituita da una successione di atti e di eventi temporalmente
differenziati presenta nel senso più volte indicato tutti caratteri di una
fattispecie a formazione progressiva. E un maturato "diritto a
pensione" ne costituisce l’esito finale essendo naturalmente il
principale oggetto delle aspettative dell’aderente alla forma pensionistica.
Ma aspettative meritevoli di tutela e infatti tutelate si concretano anche in
corso di formazione della fattispecie previdenziale. In tempi e modi diversi
(che saranno precisati più avanti) dallo svolgimento del rapporto giuridico
contributivo originano infatti posizioni giuridicamente protette in via
preliminare, che volta a volta configurano diritti ad "anticipazioni",
diritti di "riscatto" e altre prerogative che configurano anch’esse
"diritti" soggettivi immediatamente azionabili. Operano regole e una
complessiva logica di regime pensionistico che sarà il caso di indicare con la
necessaria chiarezza.
Chiarezza è necessaria già quanto ai fattori di possibile variazione
dell’entità delle contribuzioni e dei criteri di calcolo del trattamento
pensionistico complementare. Per un adeguato apprezzamento di questo ordine di
problemi si pensi alle forme pensionistiche complementari del mondo del lavoro
dipendente . E si pensi in modo particolare alle variazioni dell’entità delle
contribuzioni in ipotesi conseguenti a variazioni peggiorative della disciplina
del contratto collettivo < fonte istitutiva > del fondo pensione dovute ad
una riduzione della capacità contributiva del datore di lavoro o ad altro
ancora .A questo riguardo va considerato che non esiste un diritto acquisito dai
lavoratori a che il successivo svolgimento delle contrattazioni collettive non
comporti modificazioni in peius del trattamento retributivo .E allo stesso modo
non esiste un loro diritto alla conservazione del regime pensionistico
complementare originariamente stabilito dalla fonte istitutiva in tempi
successivi in ipotesi assoggetta a variazioni di genere peggiorativo. Da ciò
una precisa e inevitabile distinzione tra aspettative giuridicamente tutelate e
aspettative che invece altro non sono se non aspettative "di fatto" di
per sé sprovviste di una normativa giuridica di protezione.
In presenza di aspettative di così evidente rilievo sociale che tuttavia di per
sè non trovano protezione giuridica sarà necessario ricercare la difesa del
collettivo interesse dei lavoratori su un piano diverso da quello delle garanzie
di genere normativo. E naturalmente non mancano le possibilità di iniziativa e
gli strumenti utili allo scopo. Ma una cosa sono le linee di difesa che si
possono apprestare sul piano del contenzioso sociale tra imprese e
rappresentanze sindacali. Altra cosa le posizioni previdenziali rilevanti in
punto di diritto volta a volta configurate da norme di regolazione giuridica
della nuova previdenza complementare. E in queste pagine ad esse soltanto si
guarda interessando quanto ne deriva in punto di interpretazione di disposizioni
talvolta formulate in modo sommario (e quanto mai imperfette in punto di tecnica
normativa) ma pur sempre espressive di una precisa ratio legis. Se ne
derivano perciò indicazioni per una loro razionale organizzazione in sistema
certamente possibile se alle norme del decreto legislativo ci si riferisce per
quanto significano, senza fare delle norme (come talvolta invece accade) puro e
semplice materiale di lavoro per ipotesi interpretative che alla loro ratio
legis preferiscono le suggestioni di una arbitraria politica del diritto.
Deve infatti prendersi atto della obbligata conclusione che il sistema normativo
non assicura un diritto né una aspettativa giuridicamente tutelata quanto alla
permanenza del regime contributivo originariamente disposto dalla fonte
istitutiva della forma pensionistica . E va allo stesso modo considerato che un
Già si è più volte osservato che contribuzioni e quote di trattamento di fine
rapporto consegnate al fondo pensione altro non sono se non retribuzione
differita in funzione previdenziale .Contribuzioni e quote di fine rapporto
configurano perciò una posizione pensionistica a sé che il "conto
individuale" di ogni singolo aderente al fondo pensione rappresenta nella
sua quantità. E sarà quantità naturalmente determinata dalla grandezza
monetaria di contribuzioni e quote di t.f.r. così come dagli incrementi
eventualmente dovuti alla gestione delle complessive risorse del fondo pensione.
Da ciò una precisa e importante distinzione. Se è vero che la posizione di
portafoglio pensionistico del singolo iscritto al fondo pensione fa parte di una
massa finanziaria di insieme , è chiaro che al tempo stesso ogni
Dalle norme del decreto legislativo in tema di anticipazioni e di riscatto della
posizione previdenziale (e da altre ancora che saranno presto considerate)
risulta poi stabilito in qual misura già in corso di svolgimento del rapporto
giuridico contributivo maturano diritti soggettivamente perfetti. Va considerato
che non si tratta di diritti "incondizionati" perché le stesse norme
del decreto legislativo o disposizioni di rinvio a quanto possono deliberare le
fonti istitutive della forma pensionistica complementare stabiliscono
presupposti e per l’appunto condizioni che ne vincolano la possibile
attivazione. Ma al verificarsi dei dovuti presupposti e avverate le condizioni
volta a volta stabilite per il suo esercizio il diritto sarà nella piena
disponibilità del lavoratore. E senza alcuna possibilità di dubbio lo sarà
anche se l’esercizio del diritto individuale sottrae risorse alla massa o
comporta effetti di affievolimento e talvolta di rottura del vincolo di
solidarietà collettiva. Questo è infatti quanto le norme del decreto
legislativo 124 consentono secondo una ratio legis che merita un
particolare apprezzamento.
Ne risulta infatti smentito con ogni evidenza l’assunto di quanti guardano
alla iniziale libertà di adesione alla forma pensionistica complementare come
materia di opzioni che in sé esauriscono lo spazio aperto alle soggettive
valutazioni dei suoi destinatari. A seguire orientamenti di questo genere si
dovrebbe infatti ritenere che una volta presa la decisione di partecipare alla
forma pensionistica la posizione dell’aderente si configuri come appartenenza
ad una "istituzione" interamente disciplinata da un regime di vincolo,
che si vuole rigoroso e costrittivo nella misura necessaria per garantire che
l’interesse individuale ed egoistico del singolo aderente al fondo pensione
negoziale non prevalga sull’interesse collettivamente condiviso dalla
generalità degli iscritti alla forma pensionistica. E orientamenti dottrinali
di questo genere si devono sia ad una appassionata difesa di valori ideali sia a
rilevanti considerazioni in punto di analisi economica del diritto.
Più indicativa di qualsiasi altra in questo senso è naturalmente la materia
dei trasferimenti e dei riscatti della posizione pensionistica. Se esiste spazio
per l’interesse individuale ed egoistico del singolo che ritenga di attivare
sue facoltà di trasferimento o di riscatto, il fondo pensione di fonte
negoziale risulta infatti esposto alle incognite di un regime normativo che se
non incentiva quanto meno consente di sostituire scelte personali al vincolo di
solidarietà che quanto al mondo del lavoro l’istituzione
Da ciò gli orientamenti dottrinali che militano a favore di una disciplina di
fonte istitutiva e di statuto dei fondi pensione negoziali intesa a
circoscrivere quanto più è possibile lo spazio aperto alle facoltà dei
singoli aderenti alla forma pensionistica e alla portability delle
posizioni previdenziali. Spesso si è perciò suggerita una interpretazione
restrittiva delle disposizioni dell’art. 10 del decreto legislativo che come
si sa stabiliscono per l’appunto il regime delle fattispecie di trasferimento
e di riscatto della posizione pensionistica complementare. Le disposizioni
dell’art. 10 per molta parte sono davvero lontane dalla chiarezza e dalla
coerenza di disegno normativo che occorrono in materie di questo rilievo. E
naturalmente disposizioni normative mal formulate comportano problemi
interpretativi quanto mai complessi .Ma a veder bene anche una normativa così
imperfetta ha un pur sempre una sua univoca ratio legis che si tratta
semplicemente di portare ad evidenza.
6. Si devono distintamente considerare i casi di cessazione dei requisiti di
partecipazione alla forma pensionistica e i casi di trasferimento della
posizione individuale invece possibili pur in permanenza dei requisiti di
partecipazione alla forma pensionistica complementare. Si dovrà poi considerare
la eventualità della morte del lavoratore iscritto al fondo pensione che trova
sua speciale disciplina nel comma terzo ter dell’art. 10 (e per il caso
della adesione ad una "forma pensionistica individuale" nella nuova
disposizione del comma terzo quater). Ma quest’ultima fattispecie e la
sua particolare disciplina di riscatto della posizione previdenziale per la
stessa natura del loro oggetto fanno parte a sé. E per un adeguato
apprezzamento della complessiva ratio legis dell’art. 10 del decreto sarà
utile richiamare per prime le disposizioni regolatrici delle situazioni indicate
dal primo comma della norma,là dove si stabilisce quali "opzioni" lo
statuto del fondo pensione
In una situazione di questo genere possono darsi fattispecie diverse. Possono
infatti darsi casi di trasferimento della posizione previdenziale dal fondo
chiuso di originaria appartenenza ad altro fondo chiuso. Possono invece darsi
casi di suo trasferimento dal fondo chiuso di appartenza a fondo pensione aperto
o di adesione ad una forma pensionistica individuale. Possono infine darsi i
casi di "riscatto della posizione individuale" previsti dalla lettera
c) del primo comma dell’art.10 dovendosi adesso considerare anche quanto
dispone la norma del nuovo comma primo bis. Il trasferimento della
posizione dal fondo chiuso di originaria appartenenza ad altro fondo chiuso è
l’ ipotesi considerata dalla lettera a) del primo comma della norma, che
prefigura appunto il possibile trasferimento al fondo pensione di categoria, di
comparto, di "raggruppamento" o altro ancora
Ne consegue una prima ipotesi di mobilità di posizioni previdenziali che
tuttavia si esaurisce pur sempre all’interno del comparto della previdenza
complementare costituito da fondi pensione negoziali e chiusi. E ancora in
materia di mobilità di posizioni previdenziali conseguente all’accesso del
lavoratore ad una nuova attività va considerata anche la disposizione del
secondo comma dell’art. 10. La norma riguarda il caso di lavoratori già
"aderenti" ad uno dei fondi pensione "di cui all’art. 9 o a una
delle forme pensionistiche individuali di cui agli articoli 9 bis e 9 ter"
del decreto legislativo, e perciò il caso di lavoratori già aderenti ad un
fondo pensione aperto o sottoscrittori di un contratto assicurativo con la
finalità pensionistica dell’art. 9 ter, per essi essendo stabilito che
Va poi considerata la disposizione della lettera b) del primo comma dell’art.
10 che considera invece il possibile trasferimento della posizione previdenziale
da fondo pensione chiuso "ad uno dei fondi di cui all’art. 9" o a
una delle forme pensionistiche individuali dei nuovi artt. 9 bis e 9 ter
del decreto legislativo 124. La disposizione si riferisce perciò ad un
possibile trasferimento della posizione a fondi pensione aperti o alla possibile
sottoscrizione di un contratto di assicurazione con finalità pensionistica, di
modo che in tal caso alla cessazione dei requisiti di partecipazione
all’originaria forma pensionistica "fondo pensione chiuso" conseguirà
un flusso di risparmio previdenziale ad altro settore del sistema previdenziale.
Questa eventualità è pur sempre riferita al caso che
Se è vero che la formulazione dell’art. 10 del decreto legislativo si espone
a numerose obiezioni di imperfetta formulazione, e ingenera problemi
interpretativi (più di quanti in queste pagine sarà possibile considerare) è
perciò anche vero che la sua complessiva ratio legis non si presta ad
equivoci . Sia pure in modo parziale e disorganico la norma del decreto finisce
infatti per riconoscere che in consistente misura la posizione previdenziale di
ogni singolo lavoratore è materia di sue soggettive determinazioni, che sarà
consentito assoggettare ad un regime di vincolo ma non sottrarre per intero alle
decisioni individuali. E ancora per il caso di cessazione dei requisiti di
partecipazione alla forma pensionistica originariamente sottoscritta, si deve
considerare il particolare rilievo delle prerogative assicurate dalla lettera c)
del primo comma dell’art. 10, che integra le previsioni di possibile accesso
ad altro fondo pensione chiuso o ad un fondo pensione aperto con
l’attribuzione di un diritto potestativo al riscatto della posizione
previdenziale.
Ancora una volta si tratta di un "diritto" che saranno le discipline
statutarie a conformare. Il primo comma dell’art. 10 avverte infatti che
l’esercizio delle
Altra è invece (e assai discutibile) la ratio legis della normativa di
disciplina della mobilità delle posizioni previdenziali operante in casi
diversi dal caso di cessazione dei requisiti di partecipazione alla forma
previdenziale. Al riguardo il comma terzo bis dell’art. 10 impegna la
disciplina di statuto a prevedere "per ogni singolo iscritto"
una "facoltà" di trasferimento della posizione pensionistica ad altro
fondo pensione "di cui agli articoli 3 e 9" o alle nuove forme
pensionistiche degli artt. 9 bis e 9 ter che per così dire matura
nel tempo. Più precisamente la norma stabilisce che "limitatamente ai
primi cinque anni di vita" del fondo pensione di originaria adesione tale
facoltà potrà essere esercitata "non prima di cinque anni di permanenza"
presso la forma pensionistica. In tempi successivi al primo quinquennio di
attività del fondo pensione di prima appartenenza quel termine scende alla
soglia dei tre anni . Per il caso di una originaria adesione a
La norma del terzo comma bis dell’art. 10 espressamente considera (e
consente) sia il trasferimento dal fondo chiuso di originaria appartenenza ad
altro fondo pensione chiuso sia il trasferimento dal fondo chiuso di prima
appartenza ad un fondo pensione aperto o alla forma previdenziale offerta da
imprese assicurative mediante i contratti di assicurazione sulla vita
dell’art. 9 ter. Non considera ma neppure esclude la diversa possibilità in
linea di ipotesi eventualmente offerta da una facoltà di riscatto della
posizione previdenziale .L’ipotesi di un riscatto sembra tuttavia preclusa dal
quarto comma dell’art. 7 del decreto legislativo , là dove si dice che si
devono ritenere "non (…) ammessi (..) riscatti diversi da quello di cui
all’art. 10 comma 1 ,lett. c", che come si sa riguarda in via esclusiva
il caso di sopravvenuta mancanza dei requisiti di partecipazione alla forma
pensionistica . E se è così va preso atto di un regime che al puro e semplice
decorso del tempo non attribuisce il valore di una circostanza sufficiente a
motivare ripensamenti quanto alle decisioni assunte in materia di allocazione
del risparmio con finalità previdenziale. Ripensamenti di tal genere non sono
consentiti essendo escluso che le risorse consegnate a fondi pensione possano
essere collocate altrove semplicemente perché con il passare del tempo si sono
maturate altre preferenze di portafoglio. Ma questo è un vincolo alle personali
libertà di ognuno che deve far pensare. E vi è di più perché la norma
dell’art. 10 del decreto legislativo neppure prende in considerazione la
eventualità di circostanze che possano valere da "giusta causa" di
recesso dal contratto di associazione al fondo pensione.
Dal comma terzo bis dell’art. 10 emerge perciò una precisa ratio
legis che a suo tempo già la Covip aveva segnalato osservando che la
normativa del decreto legislativo 124 ha inteso
7. Ne risultano intenzioni di politica del diritto che hanno certamente una loro
consistenza ma si prestano pur sempre a serie obiezioni. Già l’esclusione di
più ampie facoltà di riscatto è misura molto discutibile (e non a caso la
stessa Commissione di vigilanza ha ritenuto più ampie facoltà di riscatto
praticabili nel diverso caso di originaria appartenenza a fondi pensione aperti).
E quanto alla eventualità del recesso se naturalmente non è pensabile una
indiscriminata facoltà di recedere dal contratto di associazione alla forma
pensionistica ,come si preciserà più avanti esistono pur sempre situazioni che
rendono inesigibile la prosecuzione del rapporto associativo. La restrittiva policy
di questa disposizione del decreto legislativo 124 esprime perciò una tendenza
a precludere vie di uscita dal sistema della previdenza complementare che
finisce per essere così vincolante da fare torto ad intenzioni di riscatto o di
recesso talvolta meritevoli di considerazione e di tutela. Né il sacrificio
delle libertà individuali che ne deriva si può giustificare con una
motivazione di politica del diritto a favore di una maggior stabilità e
consistenza del sistema pensionistico complementare.
Nessun valore (e in nessun caso) è infatti sovraordinato ai valori di
adeguatezza delle norme alle legittime aspettive e alle libertà di
amministrazione del risparmio di quanti decidono di investire loro risparmio con
finalità previdenziale. E anche in questo senso va sempre considerato che
l’adesione a fondo pensione è una soltanto delle opportunità a disposizione
di quanti avvertono la esigenza di provvedere ad un investimento di risparmio
con finalità di tal genere. Già oggi sul "mercato" dei
In questo senso andrà seriamente considerato il pericolo che un regime di
vincoli fuori misura, e un eccesso di disposizioni preclusive di facoltà di
riscatto e di recesso sia pure per "giusta causa" finiscano per essere
un fattore di disincentivazione delle propensioni alla forma pensionistica
complementare. Da ciò la evidente necessità di una maggior attenzione al tema
della portability della posizione previdenziale acquisita con la adesione
a fondo pensione, essendo da valutare possibili correttivi delle norme del
decreto legislativo che in ragionevoli proporzioni estendano l’ambito delle
opportunità di trasferimento di posizioni pensionistiche all'interno del
sistema della previdenza complementare. Altri correttivi della disciplina del
decreto legilsativo andranno poi pensati anche quanto alle possibili fattispecie
di trasferimento delle posizioni soggettive all’esterno dello stesso sistema
di previdenza complementare mediante un più flessibile regime delle fattispecie
di recesso e di riscatto, dovendosi una volta di più ricercare un miglior punto
di equilibrio tra libertà individuali di amministrazione del portafoglio
pensionistico e strutturali esigenze di stabilità del sistema della previdenza
complementare.
Naturalmente maggior portabiliy del portafoglio pensionistico non può
significare una incontrollata mobilità di portafoglio congeniale ad altre forme
di allocazione di risorse finanziarie ma invece impensabile per le forme di
risparmio con finalità previdenziali consegnato a fondi pensione. E’ infatti
chiaro che il fondo pensione è necessariamente investitore istituzionale che
deve poter fare ragionevoli previsioni quanto alla grandezza e a tempi dei
flussi monetari che movimentano il patrimonio in sua gestione.E se esistono
comprensibili esigenze dell'investitore di prendere posizione con variazioni del
suo portafoglio previdenziale quando esso non risulti più in linea con la
soglia di rischio e rendimento che gli sembri personalmente preferibile, nel
gran numero dei casi una adeguata organizzazione "multicomparto" del
fondo pensione verosimilmente darà sufficienti risposte alle sue esigenze senza
che occorra progettare decisioni di investimento orientate in altra direzione .
Ma come si preciserà più avanti in una serie non trascurabile di casi un
evoluto sistema di previdenza complementare deve misurarsi anche con situazioni
di maggiore criticità che si devono pur sempre considerare.
Occorre in ogni caso ripetere che assicurare un più ampio spazio alla portability
delle posizioni previdenziali, e non soltanto in situazioni con carattere di
eccezionalità significa accrescere la soglia delle libertà di amministrazione
del risparmio previdenziale, che (sarà ancora il caso di ripetere)
costituiscono valore sovraordinato a qualsiasi altro e una domanda sociale più
forte di quanto non sembri a molti pure così attenti a quanto di nuovo emerge
dallo stesso mondo del lavoro. E una positiva indicazione di tendenza offre
adesso la disciplina stabilita dal nuovo comma terzo quinquies
dell’art. 10, che per le fattispecie di adesione ad una forma pensionistica
individuale assicura facoltà di trasferimento trascorsi tre anni dalla data di
adesione a fondi pensione o dalla data di sottoscrizione del contratto con
l’impresa assicurativa. Altra indicazione utile si deriva dal nuovo
tredicesimo comma dell’art. 13 del decreto legislativo 124 quanto alla
esenzione da oneri fiscali delle operazioni di trasferimento delle posizioni
pensionistiche.
Il discorso della portability delle posizioni previdenziali non può
tuttavia più essere discorso di norme relativamente marginali. Ha un rilievo e
valenze che non consentono più di aggiungerlo al numero dei discorsi rinviati
ad un imprecisato futuro (e dovrà essere discorso nel segno della chiarezza:
con riguardo ai "diritti" del lavoratore dipendente si è talvolta
discusso se in caso di trasferimento della posizione pensionistica complementare
continui a valere o invece si estingua l’obbligazione contributiva
originariamente prevista a carico dell’impresa "datore di lavoro", e
nel silenzio delle norme del decreto legislativo le divergenze di opinioni sono
comprensibili: ma va considerato che l’obbligazione contributiva a suo tempo
assunta dal datore di lavoro avrà sicuramente trovato corrispettivo in una
maggior flessibilità della controparte su altri fronti del contenzioso tra
sindacato e impresa: sembra perciò davvero motivata la conclusione che
l’estinguersi dell’obbligazione contributiva in danno del lavoratore avrebbe
per risultato un
Una stessa ratio legis al difficile punto di equilibrio tra vincoli di
genere normativo e libertà di determinazioni dell’aderente a fondi pensione
caratterizza il regime delle fattispecie di "anticipazione" e di
"riscatto". E’ regime costituito da norme che se poco si prestano
alle eleganti astrazioni del discorso teorico devono tuttavia essere
all’attenzione per la loro rilevanza in punto di tutela di interessi
particolarmente meritevoli di protezione . E sono norme che devono comunque
essere considerate per quanto ne emerge in punto di complessiva logica del
sistema. Si tratti di "anticipazioni" da ricevere in ragione dei
8 Si pensi alla questione delle anticipazioni previste dal quarto comma
dell’art. 7 del decreto legislativo 124, quale risulta dalla sua nuova
formulazione stabilita con la lettera b) dell’ottavo comma dell’art. 58
della legge 144 del 1999. Completato un consistente periodo di accumulazione di
contributi, e più precisamente alla scadenza dell’ottavo anno di
contribuzione l’aderente a fondi pensione matura un "diritto" a
ricevere in conto capitale una "anticipazione dei contributi
accumulati" per provvedere ad eventuali spese sanitarie o all’acquisto
della "prima casa" di abitazione "per sé o per i figli" o
in altre fattispecie ancora che configurano tuttavia un numero chiuso di
situazioni protette. Per espressa disposizione del quarto comma dell’art. 7
del decreto legislativo 124 non sono infatti ammesse "anticipazioni"
in casi diversi da quelli che la norma espressamente indica (e si ricorderà che
per le fattispecie di "forma pensionistica individuale" in luogo del
regime delle anticipazioni vale la disciplina di riscatto indicata dal nuovo
primo comma bis dell’art. 10 del decreto).Ma quando ne esistano i presupposti
le previste "anticipazioni" costituiscono materia di una pretesa che
ha tutta la consistenza rilevata da quanti avvertono che la norma del decreto
configura la anticipazione come "prestazione da conseguire".
Per ogni aderente al fondo pensione la prestazione da conseguire andrà
commisurata alla posizione individuale "di sua pertinenza". Nella
misura che ne sarà determinata l’anticipazione tuttavia costituisce materia
di un diritto di genere per così dire potestativo, anche se la disciplina del
decreto ne assoggetta l’esercizio ad uno speciale regime che non riserva più
spazio alla autonomia delle singole fonti istitutive. Nel regime previgente il
diritto alla anticipazione era infatti azionabile nei limiti stabiliti dalle
fonti istitutive della forma pensionistica e alle condizioni da esse indicate.
Ne risultava perciò stabilito un loro potere normativo anche in materie dove
pure è questione di diritti soggettivi giuridicamente perfetti. Questo non
significava che alle fondi istitutive del fondo pensione fosse consentito
configurare un regime delle anticipazioni che per via di "limiti" e di
"condizioni" finisse per azzerare i contenuti di una aspettativa
giuridicamente protetta, le "anticipazioni" essendo
"diritti" che gli atti fonte istitutiva del fondo pensione potevano
conformare ad una speciale disciplina ma non rimuovere. E anche in questa
materia la Covip aveva assunto suoi orientamenti con una deliberazione del
giugno 1997. Ma la nuova disciplina del quarto comma dell’art. 7 ha
configurato tutt’altro regime delle "anticipazioni".
In presenza delle condizioni di esercizio del diritto e per le finalità
indicate dalla norma del decreto legislativo, le anticipazioni previste dal
quarto comma dell’art. 7 si conseguono ex lege. E il diritto di riceverle (che
è diritto soggettivamente perfetto) vale anche se la disciplina di statuto del
fondo pensione non si fosse ancora formalmente adeguato alle nuove disposizioni
legislative. In questa materia l’autonomia statutaria è in ogni caso ormai
limitata alla determinazione delle modalità di "reintegrazione" della
posizione previdenziale secondo quanto espressamente prevede ancora il quarto
comma dell’art. 7. Una volta confermato che in ogni caso non sono consentite
anticipazioni diverse da quante ne prefigura la norma del decreto legislativo,
la disciplina di statuto dovrà poi uniformarsi alle indicazioni a suo tempo
stabilite dalla Covip per garantire parità di trattamento degli iscritti alla
forma pensionistica, non essendo perciò consentite regole arbitrariamente
"diversificate" di configurazione delle posizioni individuali. E già
la deliberazione del giugno 1997 aveva avvertito che si devono considerare
illegittime disposizioni statutarie eventualmente intese a prefigurare
differenti regimi (e in realtà "discriminazioni") in ragione
dell’appartenenza di singoli iscritti a particolari categorie di associati
(come nel caso che si ritenesse di poter conservare "nei confronti di
alcune collettività" di lavoratori "condizioni di miglior favore
contemplate presso il datore di lavoro di riferimento").
Significativa espressione delle libertà che pur sempre competono all’aderente
a fondi pensione, e in questo senso parte non trascurabile dello
"statuto" dei suoi diritti è poi la disciplina della fattispecie di
possibile riscatto della sua posizione previdenziale. Già si è segnalata la
speciale disposizione del nuovo primo comma bis dell’art. 10 per le
fattispecie di forma pensionistica individuale. Ma più adesso interessa
considerare il "riscatto" che la lettera c) del primo comma
dell’art. 10 del decreto 124 consente, e lo statuto del fondo pensione deve
consentire qualora per l’aderente non esistano più i requisiti di
partecipazione alla forma pensionistica complementare. In tali circostanze come
si avvertito la norma dell’art. 10 prefigura un regime che si caratterizza per
le libertà di scelta riservate alle discrezionali valutazioni dell’iscritto
al fondo pensione, reso così titolare di un diritto di opzione che presenta
tutti i caratteri dei diritti di genere potestativo. La regolamentazione delle
"facoltà" di riscatto della posizione previdenziale sarà ancora una
volta regime "conformato" dalla disciplina che ogni fondo pensione
pensione si assegna secondo principio di autonomia statutaria. Ma deve essere
disciplina statutaria pur sempre e necessariamente rispettosa delle individuali
preferenze dei singoli aderenti alla forma pensionistica.
Infatti sarà la disciplina statutaria del singolo fondo pensione a stabilire
sia le "misure" sia le "modalità" sia infine "i
termini" per l’esercizio della "facoltà" di opzione che
compete ad ogni singolo iscritto. Ma sarà poi la libera determinazione
dell’interessato a scegliere se trasferire la sua posizione previdenziale ad
altro fondo pensione o se dare invece corso alle procedure di riscatto secondo
quanto è per l’appunto previsto dalla lettera c) del primo comma dell’art.
10 del decreto. E con una deliberazione di "orientamenti" in materia
statutaria a suo tempo la Commissione di vigilanza aveva avvertito che
l’importo "oggetto di riscatto" naturalmente va rilevato
dall’ammontare del capitale "maturato sulla posizione individuale"
del lavoratore. Allo scopo di consentire l’esercizio del "diritto"
al riscatto di tale posizione "anche i fondi pensione in regime di
prestazione definita" dovranno quindi rilevare il valore attuale della
prestazione maturata "nel rispetto delle condizioni di equilibrio della
forma pensionistica".
Si opera in un regime che occorre precisare rilevando in qual misura la libertà
di opzione conferita dalla norma del decreto incontra limiti obbligati che per
forza di cose circoscrivono l’ambito delle decisioni possibili. Come si è già
osservato la decisione di trasferire la posizione previdenziale "presso
altro fondo pensione" chiuso è infatti praticabile soltanto in caso di
accesso ad una nuova attività lavorativa. E quindi in presenza di circostanze
che non dipendono esclusivamente dalla volontà dell’interessato Ma
l’esistenza di limiti alle possibili manifestazioni di volontà conseguenti
alla titolarità di uno status previdenziale, e la stessa esistenza di
"modalità" e "termini" di tempo per l’esercizio
dell’opzione consentita dalla norma del decreto non degradano ad altra figura
una "facoltà" di riscatto connotata da tutti i caratteri e tutta la
consistenza normativa del diritto soggettivo giuridicamente perfetto. E sia pure
entro i limiti di azionabilità che si sono indicati ancora una volta si tratta
di un diritto di genere "potestativo".
La fattispecie del primo comma dell’art. 10 si aggiunge così al numero delle
fattispecie dove i poteri di normazione della fonte costitutiva del fondo
pensione si qualificano come poteri di conformazione di un diritto soggettivo
che tuttavia in nessun modo possono rimuovere né pregiudicare. E’ certamente
tale il diritto prefigurato dal nuovo primo comma bis dell’art. 10 a favore di
quanti aderiscono a forme pensionistiche individuali. E se è vero che in linea
generale (e per espressa disposizione del quarto comma dell’art. 7 del
decreto) la fattispecie del riscatto della posizione pensionistica può darsi
soltanto nel caso previsto dalla lettera c) del primo comma dell’art. 10 , va
considerato che nella sua autonomia statutaria il singolo fondo pensione può
pur sempre ampliare l’ambito delle facoltà a disposizione dei suoi iscritti
mediante disposizioni intese a configurare fattispecie di possibile sospensione
delle contribuzioni a suo carico. La Commissione di vigilanza ha considerato
l’eventualità di disposizioni di questo genere. E ha considerato in modo
particolare il caso di una previsione statutaria di sospensione delle
contribuzioni a carico del lavoratore disposta da fondi pensione a contribuzione
bilaterale. In tal caso le discipline statutarie provvederanno a
"recepire" le disposizioni delle fonti istitutive quanto alla
regolamentazione delle contribuzioni a carico del datore di lavoro e della
destinazione delle quote di trattamento di fine rapporto.
Speciale attenzione (e particolare apprezzamento) si deve poi alla disposizione
del comma terzo ter dell’art. 10, che modificato dalla lettera c)
dell'ottavo comma dell'art. 58 della legge 144 del 1999 finalmente stabilisce
una nuova e più sensata disciplina per il caso di morte dell’aderente al
fondo pensione "prima del pensionamento di vecchiaia". Nella sua
originaria formulazione la norma del decreto legislativo prevedeva infatti che
la sua posizione previdenziale fosse "riscattata" dal coniuge
"ovvero dai figli" (o ancora "dai genitori" se "già
viventi a carico" dell’aderente), al tempo stesso tuttavia disponendosi
che in loro mancanza la posizione previdenziale del lavoratore deceduto fosse
"acquisita al fondo pensione". Si configurava così una fattispecie di
possibile acquisizione del capitale maturato al fondo pensione senza considerare
la eventualità di diverse intenzioni del lavoratore naturale
"destinatario" delle prestazioni previdenziali. E perciò naturale
destinatario delle decisioni che riguardano l’impiego della sua ricchezza
pensionistica.
Ne risultava una sconcertante ratio legis quasi che la collettività
degli aderenti al fondo pensione fosse in sè meritevole di un beneficio
patrimoniale, essendo invece trascurabile la possibilità che l’interessato
volesse far valere una diversa volontà di disposizione della sua posizione
previdenziale. A questa discutibile regolazione della fattispecie con la nuova
disciplina del comma terzo ter dell’art. 10 del decreto si
sostituiscono più sensate disposizioni. Si conferma infatti che la posizione
previdenziale del defunto costituisce oggetto di diritti che jure proprio si
acquistano da parte del congiunto o degli altri membri della sua famiglia già
indicati dalla norma del decreto. Ma in loro mancanza valgono le eventuali
disposizioni del lavoratore. La posizione previdenziale sarà acquisita al fondo
pensione soltanto in assenza di sue manifestate volontà che si provveda in
altro modo. Naturalmente era più che giusto assegnare tutto il rilievo
possibile ai desideri e alle volontà del soggetto titolare della posizione
patrimoniale che in caso di sua morte occorre destinare ad altri. E per le forme
pensionistiche individuali vale quanto adesso stabilisce il nuovo terzo comma quater
dell’art. 10.
9. Ad un punto di incerto equilibrio tra discipline di vincolo e libera
disponibilità delle posizioni previdenziali dei singoli aderenti alla forma
pensionistica complementare si pone infine la discussa problematica
dell’ammissibilità di un recesso per "giusta causa". Il recesso dal
contratto di associazione al fondo pensione negoziale è una eventualità che le
norme del decreto legislativo non considerano. Cosa che a molti sembra
senz’altro imporre la conclusione che facoltà di recesso non si danno, quale
che possa essere la ragione e in linguaggio da giuristi la possibile
"causa" di una intenzione di recedere. E a conferma di una conclusione
così drastica si richiama la formulazione dell’art. 10 del decreto. Questa
norma sembra infatti configurare come numero chiuso la serie delle fattispecie
tali da consentire una rimozione del vincolo contrattualmente assunto con la
adesione alla forma pensionistica complementare. Argomentazioni di questo genere
meritano la maggior attenzione ma a veder bene semplificano i termini di una
questione che presenta invece caratteri di maggiore complessità.
Naturalmente la questione di un possibile recesso (quale che ne sia la
"causa") non si pone se non in forma marginale per le vicende
previdenziali che possano diventare problema in una fase di tempo successiva
alle scadenze indicate dall’art. 10. Una volta decorso il periodo di
appartenenza al fondo pensione stabilito da tale norma l’interesse a recedere
dal contratto associativo molto spesso sarà infatti utilmente soddisfatto
semplicemente con l’esercizio del diritto di trasferimento della posizione
previdenziale. All’ iscritto deluso dalla sua originaria adesione ad un fondo
pensione chiuso già il "riscatto" della posizione previdenziale
consentirà di trasferire la sua ricchezza pensionistica ad altro fondo
pensione. Fondo pensione "chiuso" o fondo pensione aperto secondo
quanto sarà considerato preferibile. E se è vero che l’alternativa offerta
dalla norma del decreto opera pur sempre all’interno del sistema della
previdenza complementare sembra ragionevole ritenere che nel gran numero dei
casi l’interessato ne deriverà un risultato in linea con le sue aspettative
di una miglior allocazione del risparmio previdenziale.
Più problematico è invece il caso dell’interesse ad un recesso
dall’associazione (dal contratto di associazione) al fondo pensione che
l’iscritto avverta e desideri attivare prima delle scadenze temporali
dell’art. 10. E’ vero che la norma dell’art. 10 del decreto legislativo
124 opera come norma di chiusura quanto a fattispecie di trasferimento e di
riscatto della posizione pensionistica complementare. Ma va considerato che i
problemi di possibile recesso dal contratto associativo si pongono in termini di
tutt’altro genere e con evidenti caratteri di specialità. E là dove esista
una "giusta causa" di recesso non sembra davvero accettabile la
conclusione che si tratterà semplicemente di attendere il decorso del tempo
necessario per provvedere al riscatto della posizione pensionistica. Cosa che
naturalmente l’interessato può decidere di fare ma ovviamente non può essere
la risposta dell’ordinamento del settore ad una domanda di tutela di posizioni
soggettive in ipotesi giuridicamente rilevanti come materia di diritti. Occorre
perciò altro genere di valutazioni necessariamente intese ad accertare se nel
silenzio delle norme del decreto legislativo un diritto di recesso sia
configurato o invece escluso da altre norme di regime della previdenza
complementare o da più generali principi dell’ordinamento.
Indicazioni in questo senso utili non offrono i possibili richiami al principio
codicistico della ammissibilità del recesso nelle fattispecie di contratti di
durata senza indicazione di un termine, perché non è questo il caso del
contratto di associazione al fondo pensione che origina un rapporto giuridico
contributivo variamente assoggettato ai termini dell’art. 7 del decreto
legislativo 124. E va da sé che le vicende originate dal rapporto giuridico
previdenziale sono anch’esse vicende a termine, essendo in ogni caso vicende
estranee all’ordine di problemi che si considerano i quando si discute di un
possibile interesse all’abbandono della forma pensionistica in una fase che è
ancora la fase del rapporto giuridico contributivo. Occorre perciò orientare in
altra direzione le considerazioni davvero utili per fare chiarezza con argomenti
di diritto positivo. E a veder bene indicazioni sicuramente utili sono offerte
da principi che per la materia dei contratti valgono su scala generale.
Sono i principi che operano là dove si determinano modificazioni delle
condizioni contrattuali così rilevanti da configurare la facoltà di recesso
dagli studiosi del diritto civile indicata come materia di un recesso "per
modificazione dei presupposti" del contratto. E se è vero che la
disciplina civilistica delle associazioni non lo prevede in modo espresso (altro
essendo il regime generale dell’art. 24 del codice civile), si ricorderà che
in via di interpretazione della complessiva ratio legis della loro
disciplina "facoltà" di recesso all’associato pur sempre si
riconoscono appunto quando "modificazioni rilevanti" della disciplina
statutaria rimuovono "i presupposti" dell’assunzione del vincolo
associativo. Non si può infatti ragionevolmente ritenere che il consenso
prestato con la adesione al contratto associativo operi con la forza di un
vincolo assolutamente incondizionato.
Se questi sono i principi che necessariamente regolano la materia non sarà
perciò il silenzio delle norme del decreto legislativo 124 a precludere un
motivato esercizio delle facoltà di recesso là dove ne esista una "giusta
causa". E da più parti in linea generale si è indicata come tale la
mancata osservanza dei doveri di informazione che impegnano il fondo pensione a
garantire trasparenza delle sue attività. Altra "giusta causa" di
recesso sembrano configurare le possibili violazioni dei diritti amministrativi
e di voto che competono ad ogni iscritto. Si devono infine considerare le già
indicate "modificazioni rilevanti" della disciplina statutaria. Il
verificarsi di altre ipotesi è davvero improbabile ma quest’ultima eventualità
merita invece una certa attenzione. Sarà tuttavia opportuno fare chiarezza sul
possibile ambito di operatività di una ragionevole nozione di "giusta
causa" di recesso altrimenti esposta al rischio di equivoci che sempre
caratterizza l’impiego di "clausole generali" a contenuto
pericolosamente indeterminato.
Già si diceva che nel numero delle posizioni soggettive giuridicamente protette
non va ricompreso un inesistente "diritto al regime" previdenziale,
quasi che all’autonomia statutaria fossero precluse le variazioni di
disciplina invece sicuramente consentite ogni volta che occorra adeguare il
regime della forma pensionistica a nuove norme di regolazione del settore o ad
orientamenti prescrittivi della Commissione di vigilanza o infine a quanto
comunque occorre per conformare gli assetti amministrativi e operativi del fondo
pensione a sopravvenienti necessità. Perciò non si possono considerare
"giusta causa" di recesso le variazioni che fossero apportate
all’organizzazione di uffici e di service amministrativo o ancora agli
indirizzi e alla strumentazione negoziale della gestione del portafoglio
finanziario del fondo. In casi di tal genere infatti non esistono aspettative
meritevoli di tutela e ragionevoli pretese ma semmai intenzioni di abuso del
diritto di recesso. Altre vicende possono invece originare motivate iniziative
di dissociazione dalla forma pensionistica.
Una cosa sono infatti le modificazioni di regime naturalmente conseguenti allo
svolgimento delle funzioni che in via esclusiva competono agli amministratori
della forma pensionistica (e in certa misura ad eventuali deliberazioni
assembleari), altra cosa i presupposti dell’originario consenso
dall’aderente manifestato con la sua adesione al contratto di associazione al
fondo pensione. E perciò l’insieme dei fattori da considerare materia di una
"presupposizione" all’origine del vincolo negoziale. Materia a
presupposti e presupposizioni che possono essere rilevanti in punto di giusta
causa del recesso offrono perciò certamente le discipline di statuto e per
relationem i contenuti del contratto associativo che configurano il fondo
pensione come forma previdenziale a contribuzione definita o invece a
prestazione definita. Altri presupposti e rilevanti presupposizioni comportano
quanto è essenziale nel regime di regolazione e di erogazione delle prestazioni
o quant’altro sia così determinante condizione del consenso manifestato con
l’adesione alla forma pensionistica da legittimare l’esercizio di una facoltà
di dissociazione in caso di contrarie sopravvenienze.
Da ciò la consistenza di un diritto al recesso dalla forma pensionistica per
"giusta causa" che in questo senso appartiene con ogni evidenza alla
complessiva ratio legis del decreto legislativo 124. Diritto al recesso
che esiste soltanto nel limitato numero di fattispecie che in via di prima
approssimazione si sono segnalate. Ma si tratta pur sempre di un diritto
soggettivo per così dire "perfetto" e nei casi ammessi immediatamente
azionabile. Originaria libertà di adesione e sopravvenute facoltà di recesso
corrispondono infatti ad una medesima esigenza di assicurare che quanto alla
previdenza complementare esista per tutti spazio aperto alle valutazioni che
ognuno per sé deve pur sempre essere legittimato a fare quando si tratta di
organizzare al meglio un portafoglio finanziario con finalità pensionistica. E
più che da una astratta elaborazione di modelli teorici naturalmente in questa
materia si attendono contributi di chiarezza dalle valutazioni che
istituzionalmente competono alla Covip. Se questioni di possibile recesso ha già
dovuto considerare in speciali fattispecie di trasformazione di fondi pensione
preesistenti in questa materia la Commissione di vigilanza tuttavia non ha
ancora maturato un suo complessivo orientamento.