I principi generali e il sistema delle fonti del diritto
di
Guido Alpa
(* )
1. I
principi generali
Ci si chiede se tra le fonti del diritto si possano collocare i principi generali, creati dal legislatore, dalla giurisprudenza, dalla dottrina. Controversa è la loro definizione, la loro identificazione, il loro ruolo.
2.
Definizione
Non
vi è definizione stipulativa universalmente accreditata dai principi. Ogni
autore ne dà la propria definizione. Gli analisti distinguono i principi delle
disposizioni scritte, dai valori, dagli standards, dai concetti, dalle clausole
generali, dalle massime, dai broccardi. A loro volta, ciascuno di questi termini
richiede una precisazione, il chiarimento di un significato che non è sempre
condiviso dalla comunità degli studiosi. Ciò spiega perché l’interprete che
si accinge ad usare un principio non si pone normalmente il problema di fissarne
il significato e il ruolo. E spiega come nasca, come viva e come spesso si
estingua un principio, con l’arrière
pensèe che tutti sappiamo cosa sia, di per sé, è un principio. Questo
giustifica la diffidenza di quanto considerano i principi “scatole vuote”
che l’interprete riempie come meglio gli aggrada, per poter raggiungere lo
scopo che voleva perseguire. D’altra parte, ogni definizione è implicante,
perché racchiude in nuce un pregiudizio, cioè il modo in cui l’interprete
intende il termine da definire, il suo impiego ed il suo contesto: in altri
termini, gli interpreti tradiscono, nell’usare la formula, la loro più o meno
consapevole idea di “diritto”, di “norma”, di “ordinamento”, di
“giustizia”, in definitiva del suo stesso ruolo.
Tre
diverse concezioni di principio, due, in particolare, si contendono il campo:
quella che ritiene il principio una regola generale che si fonda sulle (o si
induce dalle) regole espresse dall’ordinamento; quella che si considera il
principio un prius, metagiuridico o
extra legislativo; se i principi preesistono alle norme, non sono che la
“manifestazione sensibile” del principio.
Si
imputa al principio di essere espresso in formule generiche e imprecise.
Normalmente è così: ma vi sono disposizioni volutamente generiche e imprecise,
quali le clausole generali. E anche le clausole generali, secondo qualcuno, sono
espressione di un principio: ad es., si parla spesso di “principio di buona
fede”.
Va da sé che in un sistema non codificato i principi hanno rilevanza maggiore di quella dispiegata in un sistema codificato: ciò perché non sono confinati al rango di fonte sussidiaria o di tecnica meramente interpretativa, come di solito accade nei sistemi codificati.
3. Identificazione
Siccome
i principi sono menzionati nell’ambito dei criteri di interpretazione e di
applicazione della legge, con questo argomento testuale si potrebbe fondare la
loro natura normativa: i principi sono anch’essi “norme”, ma con
caratteristiche diverse da quelle scritte. Ai principi si assegnano i seguenti
caratteri: sono vaghi ed imprecisi, ma non per questo le disposizioni scritte
sono al contrario sempre precise e nette; comportano l’attivarsi
dell’interprete, ma non per questo le altre disposizioni non richiedono
addizioni o sottrazioni; sono generici, ma non per questo non si rintracciano
nell’ordinamento disposizioni a contenuto altrettanto ampio.
Si
discute se i principi, che si ricavano per via induttiva dalle disposizioni
scritte, siano direttamente applicabili ad una concreta fattispecie.La risposta
positiva discende sia da ragioni testuali (la formula dell’art.12, 2° comma),
sia da ragioni logiche: se sono norme, come tutte le norme sono applicabili
direttamente alle singole fattispecie.
D’altra
parte, se i principi sono ricavati dalle norme attraverso un processo di
generalizzazione e di astrazione successiva, da norma non nasce che norma; ciò,
a maggior ragione, per i principi fondamentali espressi. È questo un canone
gius-positivista. Ma sulla natura normativa dei principi concordano anche i
fautori moderni del gius-naturalismo. Chi ritiene che i principi si fondino
sull’etica e, quindi abbiano origine metagiuridica, ma ispirino e conformino
il diritto e quindi la sua epifania, cioè il complesso delle regole che
compongono l’ordinamento, non può che considerare vincolante l’osservanza
dei principi; altrimenti il giudice che li disconoscesse o addirittura li
violasse, emetterebbe una decisione contraria al diritto naturale.
Sulla
natura normativa dei principi esprimono dubbi invece i gius-realisti; il
principio sarebbe osservato non perché vincolante di per sé, ma perché lo si
ritiene tale nell’immaginario collettivo. Il principio è uno strumento
duttile, che serve a coprire, legittimamente, le operazioni dell’interprete.
L’impersonale
formulazione dell’art. 12, che limiterebbe al giudice il compito di applicare
i principi, si scontra però con un’altra esigenza logica, prima ancora che
pratica: il legislatore non ha elencato i principi che si possono o debbono
applicare. Ci si è chiesti allora se i principi siano una “fonte” del
diritto con caratteristiche simili alla consuetudine; come questa non sarebbero
norme scritte, ma norme richiamate e osservate nella prassi interpretativa e
applicativa. A differenza della consuetudine, che negli ordinamenti moderni non
precede, ma segue la norma scritta ed è essa subordinata, i principi sono però
anteposti (se si vuole superare lo schema rigido dell’art. 12) alle altre
norme perché esse li presuppongono. Tuttavia, mentre la consuetudine è
osservata in quanto ritenuta vincolante (opinio
iuris ac necessitatis), i principi sono osservati perché nel
contemperamento degli interessi, essi offrono la soluzione più consona al
diritto (cioè alla cultura e alla sensibilità dell’interprete).
Ed
ecco la seconda illusione del legislatore: i principi sarebbero un numero
chiuso, circolante entro confini ben definiti. Ciò perché i principi si
desumono dalle norme, e quindi non possono esistere (giuridicamente) se non
hanno fondamento in esse.
Anche
qui il legislatore ha dimenticato, o ha finto di dimenticare, il ruolo
dell’interprete, il quale è abile nel creare i principi e poi
nell’ancorarli alle norme.
I
principi non sono un numero chiuso e quindi non sono inventariabili. È questa
una considerazione antica, che trova ampie conferme nella prassi.
Essi
sono introdotti: dallo stesso legislatore, dal giudice, dallo scienziato del
diritto.
Sono
esempi della prima origine, l’art. 1 della legge sull’aborto, secondo il
quale l’aborto non può essere utilizzato come mezzo di controllo delle
nascite; l’art. 7 della legge sul procedimento amministrativo, secondo il
quale l’amministrazione deve operare con efficacia ed efficienza; le
disposizioni sulla disciplina militare; le disposizioni dello Statuto dei
lavoratori e quelle contenute nella legge sulla parità.
Sono
esempi della seconda origine la gran parte delle sentenze che decidono il caso
applicando il principio: basti pensare all’applicazione del principio pacta
sunt servanda e all’impiego della teoria della presupposizione
all’arricchimento senza causa; alla occupazione acquisitiva; alla tutela del
minore nell’affidamento connesso alla separazione dei coniugi, e a tutti gli
altri casi che sono oggetto di analisi nella seconda parte di questo lavoro.
Lo scienziato del diritto identifica i principi attingendoli dalla prassi giurisprudenziale, dalla politica del diritto seguita dal legislatore, dalla propria elaborazione scientifica, proponendo i principi che organizzano in modo sistematico diverse e sparse norme; ovvero introduce principi nuovi, per adeguare l’ordinamento alle nuove necessità (ad es. tutela del consumatore; tutela del risparmiatore; trasparenza del contratto, ecc.).
4. Classificazione
I
principi si possono ordinare perciò in:
a) principi
in cui si riconosce un valore assoluto. Tra di essi si annoverano l’oggettività,
cioè l’applicazione delle norme secondo standard non arbitrariamente creati
dall’interprete; l’unità dell’ordinamento giuridico, che si intende come
completezza e come unicità; l’eguaglianza;
b) principi
assiologici, ma assoggettabili a qualche dubbio, come pacta sunt servanda; in dubbio
pro reo;
c) principi
corretti da altri principi, come nemo plus
juris, corretto dall’acquisto di buona fede;
d) principi
sussidiari, che si applicano solo quando non vi siano altre vie di soluzione (in
pari causa turpitudinis).
Rudolph
Schlesinger ha sottolineato che i principi si debbono intendere come “poli”
giuridici, da cui l’ordinamento viene attratto; però questa forza attrattiva
cambia da luogo a luogo e da epoca ad epoca; dietro lo stesso schermo
linguistico, sotto la medesima formula, si celano significati diversi; ciò
comporta che i principi non possano considerarsi immutabili e debbono essere
storicizzati.
Questo
assunto è smentito dai giusnaturalisti tradizionali che ritengono immutabili i
principi di diritto naturale: ma mi pare che siano smentiti dagli stessi
giusnaturalisti che hanno ricostruito storicamente le fonti del diritto naturale
e la individuazione dei diritti naturali. In diverso senso, ma coincidente sul
punto sono le conclusioni del grande filosofo contemporaneo di origine ebraica
Leo Strauss.
È
rimasto aperto il problema dei principi di diritto internazionale, cioè dei
principi del diritto delle nazioni civili, come recita la formulazione
dell’art. 58 della Corte delle Nazioni Unite.
Si
è discusso infine sulla possibilità di fare opera di comparazione tra i
principi di ordinamenti diversi.
Da
questo punto di vista, si sono distinti i principi che hanno mero contenuto
formale da quelli che esprimono la struttura socio-politica dell’ordinamento,
come accadeva, negli ordinamenti comunisti, per la collettivizzazione della
proprietà di contro alla tutela della proprietà individuale degli ordinamenti
capitalisti. Questa preoccupazione, espressa fin da allora dai giuristi di
provenienza est-europea, come Peter o Wrobleski, è ora sperata dai fatti.
Qual
è il metodo che si deve seguire nella comparazione dei principi? E a quale
livello di astrattezza o meglio di generalità occorre procedere?
Rudolph
Schlesinger ha
affrontato la questione sul terreno della operatività dei principi,
individuando un nucleo comune di principi in materia di contratti (common
core of contract law). Ed ha seguito il metodo di Roscoe Pound che distingue
tra precetti, standards, concetti ideali, tecniche.
I
principi secondo Montrose si collocano nello spazio ricompreso tra i precetti e
gli standards. Non debbono essere troppo generali, da non poter essere
utilizzati; né esprimere vuote parole, che non trovano nella realtà una
qualche rispondenza. La comparazione non può essere fatta solo con formule, ma
occorre verificare il lavoro dell’interprete e quindi osservare i principi
“all’opera”, così come sono applicati in singole fattispecie.
5. Raccolte
di principi
Negli
anni precedenti si è ravvivato l’interesse per i principi generali: loro
definizione e ruolo, loro rapporto con la norma scritta, loro espressione del
diritto naturale o dei valori universali sono stati i capisaldi delle nuove
ricerche, condotte in molte esperienze nel medesimo torno d’anni (per
l’esperienza italiana v. Alpa,
I principi generali, Milano, 1992; Casi
scelti in tema di principi generali, Genova, 1993; I
principi generali del diritto, Atti del convegno linceo del 27-29 maggio
1991, Roma, 1992; nel versante costituzionale e della filosofia analitica,
rispettivamente Zagrebelsky,
Il diritto mite, Torino, 1992; Guastini,
Le fonti del diritto, Milano, 1992;
per l’esperienza spagnola Arce
y Florez-Valdes, Los principios
generales del derecho y su formulacion constitucional, Madrid, 1990; AA.VV.,
Los principios generales del derecho,
Madrid, 1993; e già Mans
Puigarnau, Los pricipios generales
del derecho, Barcellona, 1979; in Francia, di recente ha dedicato ampio
spazio ai principi Ghestin nel suo Traité,
nell’Introduction).
Raramente
la dottrina gius-filosofica e quella civilistica hanno però riflettuto sul
ruolo della giurisprudenza nella creazione di principi: questa problematica, ad
esempio, è stata del tutto ignorata nel convegno linceo. E anche quando oggetto
di analisi è stato il ruolo della giurisprudenza, le prospettive dalle quali si
sono mossi gli autori risultano variegate. Qualche esempio.
Vi
è chi usa i principi per costruire il sistema. La ricerca più accurata è
offerta da H.
Broom, A Selection of Legal Maxims Classified and Illustrated, 1a
ed., Londra, 1845, 10a
ed., Londra, 1939 (Trisp. Karachi, 1989) che individua le massime, i principi
fondamentali, le regole di diritto più ricorrenti e ne faceva l’impianto di
una ricognizione attenta attraverso i cases
del common law.
Vi
è chi (seguendo il proprio dato normativo) ha identificato i principi generali
con i broccardi romano-medioevali, e si è preoccupato di chiarire il senso e
l’origine del broccardo e di rintracciarne l’applicazione da parte delle
corti attuali: è il caso di F.
Reynoso Barbero, Los principios
generales del derecho con la giurisprudencia del Tribunal Supremo, Madrid,
1989.
Vi
è chi, come Ronald
e Boyer,
(Adages sur le droit français, 3a
ed., Paris), si è preoccupato di identificare e raccogliere in ordine
alfabetico gli “adagi” del diritto romano, del diritto consuetudinario, del
diritto canonico e dei codici vigenti, tenendo conto delle loro radici storiche
e delle loro applicazioni pratiche da parte dei giudici.
Queste
analisi offrono risultati molto importanti, anche nella prospettiva della
comparazione, ma presentano gli “adagi”, i broccardi, le regole, come un
fatto normativo già dato, in qualche modo positum
(della tradizione, della prassi interpretativa, della impaginazione
collettiva dei giuristi); di questo dato il giudice fa applicazione, spesso
senza chiedersi se sia o no confortato dal testo del diritto positivo o se sia extra
legem.
Ma
ciò che qui preme mettere in luce è il ruolo creativo della giurisprudenza
anche nel settore dei principi generali; la prospettiva è rovesciata: oltre ai
broccardi già esistenti, alle massime tramandate, ai principi generali già
noti, occorre chiarire e documentare che la giurisprudenza – con autonoma
elaborazione – ne crea dei nuovi. Per il diritto italiano, è sufficiente
considerare i circa duecento principi utilizzati (anche nelle massime, oltre che
elle motivazioni) in materia di contratti; i principi generali impiegati in
materia di diritto di famiglia e, in tanti altri settori (v. Alpa,
I principi generali. Casi scelti,
cit.).
Tuttavia,
anche a soffermarsi sui principi di antica tradizione, la comparazione delle
tecniche applicative dà buoni frutti.
Un
esempio valga per tutti: l’applicazione del broccardo pacta sunt servanda – cui talvolta si aggiunge rebus sic stantibus. Il broccardo è indagato nella dottrina
italiana quale tecnica che consente la risoluzione del contratto in presenza di
circostanze sopraggiunte che ne sconvolgono l’economia (impossibilità
sopravvenuta) o di circostanze presenti al momento della conclusione che ne
costituiscono la base, ma non si sono realizzate successivamente
(presupposizione): sul punto si rinvia a Bessone,
(Adempimento e rischio contrattuale,
Milano, 1969, rist. inalterata, 1975).
Broom
ne tratta sotto il broccardo modus et
conventio vincunt legem (2 Rep, 75;
Co. Litt. 19) (op. cit., p. 470)
osservando che si è in presenza del principio elementare fondativo del diritto
dei contratti; egli indica i precedenti con cui si è precisato: che i contratti
hanno forza di legge; che le parti sono libere di determinare i propri diritti e
le proprie obbligazioni; che le Corti debbono interpretarli alla luce
dell’intenzione dei contraenti; e ne trae spunti per chiarire le limitazioni
di diritto pubblico e le limitazioni degli effetti alle parti non contraenti (privity
of contract).
Il
temperamento rebus sic stantibus si può
recuperare nella illustrazione del broccardo nemo tenetur ad impossibilia (op.
cit., p. 164).
Anche
nella trattazione del Reynoso Barbero pacta
sunt servanda è separato da rebus sic
stantibus (op. cit., pp. 273;
131); il primo broccardo è correlato con gli artt. 1091, 1252, 1258, 1278
codigo civil (sulla forza vincolante del contratto); il suo impegno – osserva
l’A. – è stato di aiuto per l’accreditarsi della vincolatività del patto
fiduciario, in ordine al quale la giurisprudenza spagnola ha seguito
orientamenti oscillanti e contraddittori; quale applicazione del principio egli
richiama la pronuncia del Tribunale Supremo 31 marzo 1900, in cui si è risolto
il contratto di assicurazione per variazione unilaterale effettuata dalla società
assicuratrice. Al broccardo rebus sic
stantibus dà, invece, rilievo solo processuale (op. cit., p. 131).
Nella
trattazione di Roland e Boyer (op. cit.,
618) si ripercorre la storia del brocardo pacta
sunt servanda, come tratto dalle Decretali di Gregorio IX (I, 35,1) e
lo si pone in relazione con il disposto dell’art. 1134 code civil. Ma le
prospettive aperte sono assai più varie: si parte dal Vangelo di S. Matteo (V,
5,34) sul giuramento per arrivare alla vincolatività del contratto senza
necessità di giuramento, propugnata da S. Tommaso (IIa,
2e, qu. 88 e 110).
Per
venire all’attualità, gli autori considerano le deroghe al principio
effettuate dal legislatore, anche con la legge 31 dicembre 1989 sul
sovrindebitamento, che consente al giudice di modificare le date di scadenza, le
rate, l’ordine di pagamento dei debiti, e con i diversi interventi che
codificano il jus poenitendi del
consumatore (legge 3 gennaio 1972, art. 21; legge 22 dicembre 1973, 23 giugno
1989; 10 gennaio 1978, art. 7; 5 luglio 1985, art. 9; 6 gennaio 1988; 23 giugno
1989).
Quanto
alla trattazione di rebus sic stantibus
si investe direttamente la problematica della sopravvenienza. Ma ciò che si
considera sono i provvedimenti legislativi inerenti agli effetti
dell’inflazione: non vi è traccia della giurisprudenza e del dibattito
dottrinale sull’imprévision (op.
cit., p. 775).
Nella
nostra esperienza, per contro, proprio per questo è l’aspetto ricorrente
nella citazione o applicazione del principio pacta
sunt servanda rebus sic stantibus (v. Casi
scelti in tema di principi generali, op.
cit.).
Si
deve poi segnalare che si stanno consolidando principi generali in ambito
comunitario, anche ad opera della giurisprudenza della Corde di Giustizia (v. Toriello,
I principi generali del diritto comunitario, in Nuova
giur. civ. comm., 1993, II, 1).
(*)
Le pagine qui pubblicate sono una prima parte del contributo dall’autore
offerto ad un volume antologico
(AA.VV. Il diritto giurisprudenziale,a cura di Mario Bessone, Editore
Giappichelli,Torino pp. 296) che si caratterizza per la trattazione dei numerosi
argomenti segnalati dal cirocostanziato indice dell’antologia.
AA.VV.
DIRITTO GIURISPRUDENZIALE
I. Giurisdizione e interpretazione
di Riccardo Guastini
1. Giurisdizione e legislazione
1.1. La funzione giurisdizionale: alla ricerca di una defini-
zione
1.2. La distinzione “materiale” tra legislazione e giurisdizione
1.3. La distinzione “formale” tra legislazione e giurisdizione
1.4. La separazione tra legislazione e giurisdizione
2. La disciplina costituzionale della funzione giurisdizionale
2.1. Giurisdizione e sovranità popolare
2.2. “Giudici” e “legge”
2.3. La soggezione del giudice alla legge
2.4. … e ad essa soltanto
3. Interpretazione e discrezionalità giudiziale
3.1. La nozione di interpretazione
3.2. Tre teorie dell’interpretazione
3.3. Interpretazione dottrinale e interpretazione giudiziale
3.4. La disciplina legale dell’interpretazione
3.5. Interpretazione e diritto giurisprudenziale
II. “Principia”, “regulae”, “principii”
di Maurizio Lupoi
III. L’osservazione del diritto
di Eligio Resta
1. Sistema e sistemi
2. Una grammatica del vedere
3.
It’s foolish to think by a system
4.
Prestazioni classificatorie
5. De arte combinatoria
6. De-finizioni
7. La differenza del diritto
8. Ignoranza e riconoscimento
9. Osservanti e osservatori
10. Il codice dell’uguaglianza
11. Una macchina non banale
12. Il pubblico del diritto
13. Jus-dicere
14. Buona fede e rischio della fiducia
IV. La creatività all’opera. La giurisprudenza e le fonti del diritto
di Guido Alpa
1. Le fonti dell’ordinamento
1.1. Applicabilità delle direttive
2. I principi generali
2.1. Definizione
2.2. Identificazione
2.3. Classificazione
2.4. Raccolte di principi
3. La buona fede
3.1. Premessa
3.2. Applicazione del diritto italiano
3.3. Questioni attuali
4. L’equità
V. Uso ed abuso del diritto processuale costituzionale
di Alessandro Pizzorusso
VI. La Corte di cassazione oggi
di Giuseppe Borrè
VII. Il processo civile e la questione della prova: le prove atipiche
di Michele Taruffo
1. Le prove atipiche
2. Prove atipiche e disciplina legale della prova
3. Prove atipiche e prove tipiche
4. Prove atipiche e libero convincimento del giudice
VIII. La valutazione della prova nel processo penale: dogmatismi antichi
e consapevolezze nuove
di Elvio Fassone
IX. Il diritto pretorio delle società a mezzo secolo dal codice civile
di Floriano d’Alessandro
1. Preambolo
2. Società e personalità giuridica
3. I c.d. diritti individuali dell’azionista
4. La costruzione di minoranze di blocco
5. Le deliberazioni assembleari inesistenti
6. Le deliberazioni prese in danno della minoranza
7. I sindacati azionari
8. L’interesse sociale e il conflitto d’interessi
9. La responsabilità limitata, gli abusi e il superamento della
personalità giuridica
10. I bilanci
11. La circolazione delle azioni
12. (Tentativo di) conclusioni
X. La giurisdizione davanti alla crisi dell’impresa
di Luigi Rovelli
i XI. La giurisprudenza e l’ordinamento sindacale
di Tiziano Treu
XII. Il giudice amministrativo tra tutela giurisdizionale e creazione
giurisprudenziale
di Marco D’Alberti e Alessandro Pajno
1. Il disegno classico: il dominio del Consiglio di Stato
2. Il contesto del disegno classico
3. Il declino del disegno classico: il ruolo giustiziale delle
amministrazioni indipendenti e delle
procedure amministrative
4. Ancora sul declino del modello classico: le nuove attitudini del
legislatore, nazionale e comunitario; la Corte di giustizia delle
Comunità europee; il giudice costituzionale
5. Conclusioni e prospettive
XIII. Diritto dei privati e giustizia stragiudiziale
di Sergio Chiarloni
1. Premessa
2. La diffusione di forme di “autotutela esecutiva”
3. Il movimento per la risoluzione alternativa delle liti
4. Primi sviluppi dei sistemi di giustizia stragiudiziale in Italia
5. Il crescente successo dell’arbitrato