Nullità del contratto. 
Le nullità speciali, la nullità rimedio di protezione, le nullità da divieto 

di Adolfo Di Majo *

 


1. Le c.d. nullità speciali. La nullità, rimedio di protezione

A fronte della vera e propria «inflazione» di forme di nullità disseminate a piene mani nelle c.d. leggi «speciali», la dottrina si è posta – e non poteva non porselo – il problema del rapporto tra tali nuove (forme di) nullità e le nullità codicistiche 1. La prima reazione potrebbe essere quella di attestarsi sulla linea di difesa del modello codicistico di nullità ed opporre un fin de non recevoir al dilagare di tali nuove forme, definite «eccezionali» e sicuramente frutto di emergenza e di valutazione di interessi, concreti ed occasionali, per non dire effimeri. L’effimero entra dunque nel sancta sanctorum della nullità. Ma che una siffatta risposta sia insoddisfacente lo vedremo nelle considerazioni che seguono. Compito del giurista non è certo di rifiutare il «nuovo» nell’ostinata difesa del vecchio ma di individuare le linee di «lunga durata» (come dicono gli storici francesi) di un fenomeno, per individuare nuove forme organizzative dell’esistente. Ciò dovrebbe aver luogo nel nostro caso.
In primo luogo, l’interprete è sollecitato a tracciare una c.d. ricognizione di campo in ordine ai fenomeni da ricondurre sotto l’etichetta delle «nullità speciali» 2. Il predicato «speciali» è in funzione probabilmente della fonte di tali nullità, da ravvisare nelle leggi «speciali» extra-codice. Già si tratta di un primo ordine di valutazione, eventualmente discutibile ove si volesse criticare la «centralità» del codice. Già si dice cosa diversa quando si ravvisa nel predicato «speciali» il carattere degli effetti, appunto «speciali», di cui sono corredate le nuove forme di nullità. Il primo è un criterio topografico, il secondo, sostanziale, che guarda al concreto trattamento di cui è capace il negozio nullo 3. Cerca di mediare l’uno e l’altro, quel criterio che guarda alla particolare tipologia di taluni rapporti, per giustificare il diverso trattamento che ne consegue 4.
Ma la tematica delle «nullità speciali» non è tale soltanto sul terreno degli effetti, definiti appunto «speciali» e cioè diversi da quelli comuni. Essa è tale anche sul terreno della nullità-fattispecie. Essa infatti è distante anni luce da quelle forme tradizionali di nullità, che si sono definite «strutturali», perché intrinseche al contratto. Le «cause» e/o i fattori, se così qui possono definirsi, di nullità qui attengono a circostanze o elementi che sono, tutti, «esterni» al con- tratto e che pure sono destinati a reagire sul trattamento di esso. Antesignana ad esempio, sotto questo riguardo è la legislazione di derivazione comunitaria (v. ad esempio, la legislazione antitrust, l. n. 287/1990) la quale, se fa divieto di intese o di accordi tra imprese, collega tale divieto all’effetto (esterno) restrittivo della concorrenza nel mercato (art. 2). In altro ambito (quello delle clausole vessatorie, v. art. 1469 bis c.c.), se si intende proteggere il consumatore, lo si fa alla condizione che sia mancata una trattativa individuale tra i contraenti (sulla clausola in oggetto) e che ciò costituisce il segno di una situazione di abuso. In altro settore, quello della subfornitura, la nullità è predicata con riguardo all’«abuso di dipendenza economica» (art. 9, l. n. 192/1998). La fattispecie dell’abuso è definita nello stesso articolo quale situazione di eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. Ed infine, la protezione del consumatore può anche essere subordinata alla circostanza che il contratto sia stipulato «a distanza» (d.lgs. n. 185/1999).
È evidente che, in tali casi, si attinge a situazioni o circostanze tutte «esterne» al singolo contratto perché proprie di situazioni più complessive in cui si trovano le parti. Si guarda dunque ai «dintorni» del contratto. Il contratto è solo la punta di un iceberg. Le cause o i fattori dunque delle nullità «di protezione» non si lasciano rinchiudere in una determinata fattispecie. Essi sono la negazione della fattispecie.
Ecco dunque che il predicato «speciali», con riguardo a queste forme di nullità finisce coll’andare al di là del singolo effetto «speciale» (e sia esso da individuare nella particolare forma di legittimazione relativa o nel carattere necessariamente parziale della nullità o nell’effetto sostitutivo di altre clausole), per attingere a contenuti che si pongono persino in contrasto con la forma della nullità-fattispecie, perché destinati ad attuarsi in giudizi altamente discrezionali su circostanze «esterne» al contratto.
L’interprete a questo punto potrebbe scoraggiarsi al cospetto di una normazione della nullità che sembra aver rotto ogni rapporto con la nullità codicistica 5. Lo scoraggiamento potrebbe indurre a prendere atto di tale realtà, ed opporre un fin de non recevoir.
Pur tuttavia, criteri di lettura più ravvicinati ed omogenei alla tematica della nullità non sono mancati ed essi possono giustificarsi in ragione della coerenza del dato che scelgono. Certo, si tratta di accettare e/o di prendere atto della «diversità» dell’angolo di visuale, per muovere da tale «diversità» e tentare di ricostruire una forma giuridica coerente.
L’angolo di visuale da cui molti si sono mossi è, si è visto, quello della «protezione» del- l’interesse del singolo contraente, definito meritevole di particolare attenzione. Onde all’interesse generale di una contrattazione seria ed efficiente e collimante con i valori dell’ordinamento, cui tradizionalmente è ancorata la nullità codicistica, e che induce, oltre che a fulminare di nullità contratti od accordi privi del necessario substrato materiale, anche contratti contrari a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume, si è venuto sovrapponendo anche l’interesse del singolo contraente (sia esso il consumatore o il cliente di una banca o di una società di assicurazione), per la cui tutela la tradizionale forma di nullità, nella sua neutralità ed astrattezza, più non sarebbe stata sufficiente (appunto perché neutrale rispetto ai singoli interessi dei contraenti).
Su tale terreno e con questi presupposti si pone la c.d. nullità e/o meglio le nullità «di protezione».
Esse, per definizione, «proteggono» il singolo contraente (consumatore e/o cliente). Si pongono, per così dire, a servizio di esso, nel senso che, sia sul piano delle condizioni di impiego come su quello del modo di operare, si adoperano per fornire «protezione» al singolo interesse 6. Non dovrà allora stupire più di tanto se la nullità qui assume contenuti che hanno riguardo al «significativo squilibrio» che patisce il singolo contraente (art. 1469 bis c.c.), reso visibile e concreto dall’assenza di «negoziato individuale» (art. 1469 ter 4 c.c.), alla situazione «di dipendenza economica» in cui versa la singola impresa di sub-fornitura (art. 9, l. n. 192/1998), e che, sul piano del modo di operare della nullità, l’inefficacia opera solo «a vantaggio» del contraente protetto (art. 1469 quinquies).
Non ci si dovrà stupire altresì se un requisito di forma del contratto, tradizionalmente riferito ad entrambi i contraenti, venga invece riferito solo ad uno di essi (il cliente della banca) (art. 117, d.lgs. n. 385/1993) e che la nullità, così comminata, può essere fatta valere solo dal contraente protetto (art. 127) e che la prescrizione, la cui mancata osservanza induce nullità, sia derogabile solo in senso più favorevole al contraente protetto (art. 127).
Ma, più in generale, dovrà riconoscersi che la forma della nullità «parziale» (art. 1419) è qui quasi «imposta», senza il quid medium della volontà delle parti. E anche questo è un modo per proteggere l’interesse della parte al recupero del contratto in parte qua.
A fronte di tale complessiva situazione normativa, le opzioni dell’interprete sono abbastanza prevedibili. V’è una lettura di tipo tradizionale alla stregua della quale tutto ciò che è diverso e anormale rispetto al quadro tradizionale viene relegato nel campo delle «eccezioni». Il rapporto regola-eccezione è sempre a disposizione degli interpreti. Esso però non può essere soddisfacente per due principali considerazioni: la regola può sempre essere contestata nella sua attualità o vigenza, onde il rapporto regola-eccezione verrebbe a risultare privo di base; le dimensioni quantitative delle c.d. eccezioni possono essere tali da indurre anche ad invertire il rapporto.
In talune recenti teorizzazioni è sembrato che il cordone con lo statuto tradizionale della nullità non dovesse interrompersi proprio in ragione di un nuovo modo di ri-definire la nullità, non in senso organicistico, secondo la logica della fattispecie, ma nel senso effettuale del «trattamento del negozio giuridicamente rilevante» 7.
In tale visuale allargata della nullità potrebbero anche trovare posto le nullità «di protezione». Se l’interesse del contraente è il leit-motiv della fattispecie, il trattamento che ne segue deve essere con ciò coerente. Ma si potrebbe essere sollecitati a meglio puntualizzare in senso sistemico le nullità «di protezione», definendole una forma di nullità alternativa a quella della nullità-sanzione e più vicine alla nullità-rimedio (in favore dell’un contraente).
Una volta che si accoglie la forma della nullità-rimedio, a servizio dell’interesse particolare dell’un contraente, dovrà apparire del tutto coerente che la legittimazione a fare valere la nullità sia solo di esso e che comunque, anche colpita la clausola o parte del contratto, non ne sarà travolto l’intero. Non si tratta allora tanto di diversamente definire gli effetti del negozio rilevante 8 – perché ciò equivarrebbe a dare una lettura meramente formale del fenomeno – ma di scorgere nella nullità un peculiare rimedio di tutela che, proprio perché a servizio di un interesse particolare, su questo è destinato a conformarsi 9.
La nullità-rimedio, per dirla all’anglosassone, è una «cura contro il torto» 10. Essa è indice di flessibilità 11 e, come tale, tende ad adeguarsi all’interesse protetto 12.
Saremmo dunque ancora una volta, e per diversa ragione, distanti da una nullità che costituisce risposta ad una fattispecie intrinsecamente carente e/o sanzione di regole primarie inosservate.


2. Le nullità da divieto

È in primo luogo la normativa riguardante la concorrenza tra imprese a determinare l’emersione di una forma di nullità che si distanzia sensibilmente dalle c.d. nullità «strutturali», accostandosi invece alle c.d. nullità da disvalore o a quelle forme di nullità che taluno ha definito «politiche» 13. Ma anche dalle nullità di disvalore queste forme di nullità tendono a prendere le distanze ratione materiae.
Devesi in ciò riconoscere come le regole concorrenziali si sono venute via via estendendo dal tradizionale approdo codicistico, che ne limita l’ambito di applicazione agli «atti e comportamenti» (materiali), sanzionati in vario modo [dalle tecniche reali a carattere inibitorio e restitutorio (art. 2599 c.c.) a quelle risarcitorie (art. 2600)], a quello della legislazione comunitaria (Trattato di Roma – Maastricht artt. 81-86) e successivamente anche nazionale antitrust (n. 287/1990), le quali invece ne estendono l’ambito agli «accordi ed intese» 14 e cioè ad atti e/o segni che preannunciano comportamenti in fact. L’interprete non può non cogliere il livello più alto di una forma di tutela che finisce con l’abbracciare non più il solo livello per c.d. comportamentale ed esecutivo riferito all’azione di singoli imprenditori bensì quello programmatico e concertato che riguarda il comportamento di imprese o di loro associazioni o gruppi 15.
E così la tutela del gioco della concorrenza, in termini da tenere conto non solo dell’interesse corporativo dei concorrenti ma anche di quello più generale del mercato e di (riflesso di) quello dei consumatori, viene affidato alla tecnica del divieto, nel senso che accordi o decisioni, tali da pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e che hanno per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza, sono fatti oggetto di un esplicito divieto perché «incompatibili con il mercato comune» (art. 81 Trattato di Maastricht). Il divieto è ulteriormente rafforzato dall’effetto di nullità dell’accordo o decisione (art. 81 n. 2). Sensibili alla nullità sono proprio quest’ultimi, segnatamente per il loro contenuto programmatico, e non tanto la «pratica concordata» che corrisponde ad una forma di coordinamento tra imprese 16.
Nella legislazione nazionale antitrust (l. n. 287/1990) si riproduce la stessa situazione: il divieto è corazzato dall’effetto di nullità (art. 2).
Può sempre discutersi in sede di teoria generale se divieto e nullità possano convivere. Solitamente è dalla ratio della disposta nullità che l’interprete deduce che un negozio o contratto è fatto oggetto di un divieto. Così accade esemplarmente per il contratto con causa o motivo illeciti (art. 1343-1345 c.c.).
Ma la ratio è nella reazione all’illiceità del fine perseguito. È in ciò che si annida il fondamento del divieto. La stessa conclusione non potrebbe trarsi per il contratto che sia privo della forma prevista, giacché la regola sulla forma obbligatoria è una regola organizzativa che impone dunque oneri agli interessati e non anche obblighi o doveri corredati da sanzioni.
Nella legislazione comunitaria il percorso si presenta inverso.
È il divieto, espressamente enunciato, che è corredato dell’effetto di nullità ove esso risulti inosservato. La nullità è dunque effetto «interno» al divieto.
La ratio del divieto è nella tutela (del gioco) della concorrenza, messa in pericolo da intese restrittive.
È più che evidente come, nel contesto della normativa comunitaria (ma forse anche in quella nazionale antitrust), la nullità rappresenti una categoria abbastanza insolita, giacché le norme comunitarie fungono in primo luogo da fonte di obblighi per gli Stati membri (art. 10 Trattato) per e i singoli amministrati 17.
Non interessa, almeno direttamente, al legislatore comunitario, che atti e comportamenti siano invalidati, perché contrastanti con l’ordinamento, ma che essi in fact non avvengano. A tal riguardo più soccorrono, e sono utili, rimedi di tipo afflittivo o punitivo che non di tipo dichiarativo e declamatorio, come può essere il rimedio della nullità 18 (v. art.228 Trattato). Ma tant’è. Anche il rimedio della nullità è tra le risorse dell’ordinamento comunitario, specie là dove esso si trova a confrontarsi con enunciati giuridici (quali gli accordi e intese), sensibili per natura ad essere «dichiarati» inefficaci e/o invalidati (esemplare è la inefficacia delle clausole vessatorie, art. 1469 bis c.c.).
Resta dunque che qui la «nullità di pieno diritto», declamata ufficialmente dalla norma comunitaria, trascorre da «conseguenza» originariamente civilistica ad effetto (di diritto) comunitario e di esso resta «arbitro» quest’ultimo. Con ciò potrà anche ottenersi qualche risposta al modo di operare di questa forma di nullità così singolare.
Se dunque potrà apparire, in primo luogo, enfatico e sovrabbondante che la nullità qui si appoggi ad un divieto – potendo, essa, rendere inattuabile che il divieto abbia a risultare inosservato –, potrà osservarsi a contrario che è pur sem- pre il divieto – e la sua area di incidenza – a delimitare il confine della nullità. Il che deriva dal fatto che qui la nullità è servente rispetto al divieto e non l’inverso.
Si spiega allora che la nullità non possa che riguardare i soli e singoli elementi dell’accordo colpiti dal divieto e non l’intero, tranne che gli elementi colpiti siano da esso inseparabili 19. Non dipende invece dal diritto comunitario la disciplina delle ripercussioni che su tutti gli altri elementi dell’accordo potrà avere la disposta nullità. Dette ripercussioni vanno stabilite dal giudice nazionale a norma del diritto del proprio Paese. Tra tali ripercussioni v’è indubbiamente il risarcimento del danno e anche l’obbligo di contrarre 20.
Ma da altri connotati della nullità di diritto comune la legislazione comunitaria non ha inteso discostarsi.
E così è a dire esemplarmente circa l’effetto solo dichiarativo che per definizione la caratterizza. Ciò ha cura di stabilire l’art. 1 del regolamento di applicazione degli artt. 81 e 22 del Trattato (reg. CEE n. 62/17 del 6 febbraio 1982). È potuto infatti sorgere dubbio se la nullità dell’intesa avesse o meno bisogno di una pronuncia della Commissione, come ritenuto da taluni giudici dei Paesi membri 21. Ma ciò si è inteso escludere dal Regolamento, disponendo che non occorre, a tal fine, alcuna «decisione preventiva».
Non è da ritenersi in contrasto con tale assetto la possibilità riconosciuta dallo stesso Trattato che dall’effetto di nullità siano esentati accordi e decisioni ove essi contribuiscano a migliorare la produzione o distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico od economico (così il n. 3 dell’art. 81 del Trattato). Proprio perché, in tal caso, la tutela del gioco concorrenziale ha forma di divieto, è possibile la definizione di esso anche a mezzo di esenzioni. Di esse è sovrana l’autorità comunitaria 22.
Ove invece il legislatore comunitario, ratione materiae, abbia inteso salvaguardare in primo luogo la valutazione discrezionale dell’Autorità comunitaria (in persona della Commissione), come ha luogo nel caso del controllo sulle concentrazioni (art.6 l. n.287/1990), la tecnica è stata diversa. È l’autorità comunitaria a (dover) definire compatibili e/o incompatibili con il mercato comune la singola operazione di concentrazione e, solo all’esito della decisione dell’Autorità, la singola concentrazione potrà avere effetto (v. reg. CEE n. 89/4064). A tale sequenza appaiono inapplicabili le tradizionali categorie civilistiche della nullità e della inefficacia perché, salvo il caso del rinvio alle autorità competenti degli Stati membri (art. 9 reg.), l’intero percorso è qui scandito da decisioni a carattere amministrativo dell’Autorità (v. anche il potere di smembrare o separare imprese concentrate, ex art. 8, n. 4 reg.) avverso le quali vi potrà essere solo il ricorso alla Corte di giustizia (art. 230 Trattato, art. 16 reg. n. 89/4064) 23.
Quali deduzioni possono trarsi da tale assetto? Che la nullità derivante da siffatti divieti è forma di nullità il cui ambito di applicazione è segnato dal divieto medesimo; ma che l’interpretazione di tale ambito non è competenza dell’autorità amm.va (salvo a questa di disporre esenzioni) ma di quella giurisdizionale (sia in sede comunitaria che nazionale), con effetti dunque dichiarativi, il che è ancora il segno della stretta legalità che caratterizza la nullità. La disciplina delle ripercussioni resta quella della nullità di diritto comune. Tanto basta per ritenere che anche in sede di discorso generale sulle nullità si abbia titolo per discutere di questa forma (nuova) di nullità.

(continua)


(*) Queste pagine sono parte di capitolo di un volume collettaneo (A.DiMajo, G.B.Ferri,M.Franzoni, L'invalidità del contratto, Giappichelli editore, Giappichelli editore, Torino, 2002, pp. 456), che è il settimo dei volumi dedicati alla disciplina generale del contratto nel Trattato di diritto privato diretto da Mario Bessone

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