LA LEGGE 89/2001: BREVI RIFLESSIONI SULLA RIFORMA

APPENDICE DI AGGIORNAMENTO AL VOLUME
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I RICORSI ALLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO -
Guida pratica alla tutela dei diritti umani in Europa
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di Andrea Sirotti Gaudenzi (Maggioli editore, 2001)



Il 18 aprile 2001 è entrata in vigore la legge n. 89 del 24 marzo 2001 (la c.d. legge Pinto[1]), destinata ad influenzare in maniera radicale la disciplina dei ricorsi alla Corte europea dei Diritti dell'Uomo presentati contro lo Stato italiano per denunciare l'eccessiva durata dei processi nazionali[2].

L'art. 2 della legge stabilisce il diritto ad un'equa riparazione per chi abbia subito un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa della violazione dell'art. 6, par. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali in relazione al mancato rispetto del termine ragionevole dei processi nazionali[3].
Pertanto, sulla base delle disposizioni della novella, invece di proporre ricorso ai giudici di Strasburgo, sarà possibile presentare un'istanza ad hoc alla Corte d'appello che dovrà decidere in camera di consiglio ai sensi dell'art. 737 e ss. c.p.c. nel termine di quattro mesi dalla data del deposito del ricorso, disponendo un decreto immediatamente esecutivo ed impugnabile in Cassazione.

Lo stesso art. 2 della legge 89/2001 indica gli elementi che l'Autorità Giudiziaria nazionale dovrà considerare al fine di accertare la violazione:

1)           la complessità del caso,

2)           il comportamento delle parti,

3)           il comportamento del giudice del procedimento,

4)           il comportamento di ogni altra autorità chiamata a concorrere o a comunque contribuire alla definizione del procedimento.

Inoltre, viene stabilito il criterio in base al quale il giudice deve determinare la riparazione. Tale operazione dovrà essere realizzata a norma dell'articolo 2056 del codice civile, osservando le disposizioni seguenti:

a)           rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole;

b)           il danno non patrimoniale è riparato, oltre che con il pagamento di una somma di denaro, anche attraverso adeguate forme di pubblicità della dichiarazione dell'avvenuta violazione.


Il procedimento viene disciplinato dall'art. 3 della novella. Innanzitutto, è necessario presentare un ricorso, la cui forma -fondamentalmente- ricalca quella dei ricorsi trasmessi fino a questo momento alla Corte di Strasburgo, anche se la presentazione dell'istanza non è gratuita, nè esente da bolli..
La competenza spetta alla Corte di appello "del distretto in cui ha sede il giudice competente ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale a giudicare nei procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto è concluso o estinto relativamente ai gradi di merito ovvero pende il procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata".

Il ricorso dev'essere depositato nella cancelleria della Corte di appello, sottoscritto da un difensore munito di procura speciale e contenente gli elementi di cui all'articolo 125 c.p.c.

L'istanza viene proposta nei confronti:

1)           del Ministro della giustizia quando si tratta di procedimenti del giudice ordinario,

2)           del Ministro della difesa quando si tratta di procedimenti del giudice militare,

3)           del Ministro delle finanze quando si tratta di procedimenti del giudice tributario;

4)            del Presidente del Consiglio dei ministri in tutti gli altri casi.


Anche se la legge nazionale non dispone alcunchè sul punto, sarà opportuno inserire nell'istanza alcuni degli elementi richiesti per la presentazione del ricorso alla Corte di Strasburgo. In particolare, tra le varie indicazioni, è consigliabile introdurre nello schema del ricorso:

1.     l'esposizione dei fatti, con riferimento al processo di cui si lamenta l'eccessiva durata;

2.     l'elenco delle udienze, accompagnate da una sintesi dell'attività processuale svolta;

3.     l'indicazione delle condizioni di proponibilità;

4.     l'indicazione della competenza territoriale della Corte d'appello individuata sulla base di quanto disposto dall'art. 11 cp.p.;

5.     l'esposizione relativa all'art. 35, paragrafo 1 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo;

6.     il riferimento  alle condizioni indicate dall'art.  6 della legge  24/03/2001 n. 89 (norma transitoria)


Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione della camera di consiglio, è notificato, a cura del ricorrente, all'amministrazione convenuta, presso l'Avvocatura dello Stato. Tra la data della notificazione e quella della camera di consiglio deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni.

Inoltre, viene disposto che "le parti hanno facoltà di richiedere che la Corte disponga l'acquisizione in tutto o in parte degli atti e dei documenti del procedimento in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all'articolo 2 ed hanno diritto, unitamente ai loro difensori, di essere sentite in camera di consiglio se compaiono. Sono ammessi il deposito di memorie e la produzione di documenti sino a cinque giorni prima della data in cui è fissata la camera di consiglio, ovvero sino al termine che è a tale scopo assegnato dalla corte a seguito di relativa istanza delle parti".



La Corte d'appello deve pronunciare, entro quattro mesi dal deposito del ricorso, decreto impugnabile per cassazione. Il decreto è immediatamente esecutivo.

Infine, il comma 7 dell'art. 2 dispone che l'erogazione degli indennizzi agli aventi diritto avviene, nei limiti delle risorse disponibili, a decorrere dal 1º gennaio 2002.

L'art. 4 della legge (Termine e condizioni di proponibilità) dispone che la domanda di riparazione può essere proposta:

1)           durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata;
ovvero
2)           a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il medesimo procedimento, è divenuta definitiva.


Ai sensi dell'art. 5, il decreto di accoglimento della domanda (che -come anticipato- è immediatamente esecutivo ed impugnabile in Cassazione[4]) è comunicato a cura della cancelleria:

1)           alle parti

2)           al procuratore generale della Corte dei conti, ai fini dell'eventuale avvio del procedimento di responsabilità

3)           ai titolari dell'azione disciplinare dei dipendenti pubblici comunque interessati dal procedimento.

Oggetto di feroci critiche è stata la scelta di predisporre una norma transitoria, indicata dall'art. 6 della legge n.89/2001, la quale stabilisce che nel termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, chi "abbia già tempestivamente presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848" potrà presentare il ricorso alla Corte d'appello "qualora non sia intervenuta una decisione sulla ricevibilità da parte della predetta Corte europea. In tal caso, il ricorso alla corte d'appello deve contenere l'indicazione della data di presentazione del ricorso alla predetta Corte europea".
A questo proposito, comunque, appare opportuno ricordare che la Corte di Strasburgo dev'essere considerata un organo sussidiario alle procedure di protezione negli Stati membri e che, in caso di dubbio sull'efficacia di un ricorso interno, l'istanza alla Corte dovrebbe essere tentato.

La riforma è stata oggetto di pesanti critiche. In particolari, numerosi giuristi hanno rilevato l'incostituzionalità delle nuove norme per contrarietà all'art. 111 della Carta costituzionale.

E' stato fatto notare che difficilmente un giudice interno può sostituirsi ad un organismo sovranazionale nell'adozione di rimedi efficaci volti a condannare le disfunzioni giudiziarie del "Caso Italia". Peraltro, la riforma ha proposto un rimedio decisamente più macchinoso rispetto ai classici ricorsi alla Corte di Strasburgo. Inoltre, la procedura non è gratuita ed è necessaria l'assistenza di un difensore.
Forti perplessità vengono mosse anche alla scelta di indicare il termine di quattro mesi per la definizione della doglianza, che è stato ritenuto del tutto inadeguato e impossibile da rispettare[5].
Non appena è entrata in vigore la riforma, la Cancelleria della Corte dei Diritti dell'Uomo si è affrettata ad inviare comunicazioni invitando i ricorrenti che si fossero trovati nelle condizioni indicate dall'art. 6 a proporre ricorso alla competente Corte d'appello. Eppure, ci si chiede quale sia il mezzo esperibile nel caso in cui tale ricorso non venga definito nel termine indicato dalla legge. In tale situazione sarebbe possibile presentare ricorso ai giudici di Strasburgo per l'eccessiva lentezza della procedura ideata appositamente per risolvere il problema della durata dei processi italiani?

Infine, si deve rilevare che uno dei settori più deboli dell'intera riforma è rappresentato dalla disciplina delle disposizioni finanziarie, dato che -per far fronte agli oneri derivanti dalla novella- vengono stanziati solo 12.705 milioni a decorrere dall'anno 2002[6]. Se si considera che la Corte europea di Strasburgo ha sempre condannato lo Stato italiano a corrispondere risarcimenti pari a circa 20/30 milioni per ogni violazione dell'art. 6, par. 1 della Convenzione, è chiaro che l'importo stanziato nella legge è pressochè irrisorio a fronte del numero elevatissimo di ricorsi provenienti dal nostro Paese (nell'anno 2000 i ricorsi pendenti davanti alla Corte di Strasburgo contro lo Stato italiano erano circa 10.000)[7].





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[1] La legge, intitolata "Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile" è consultabile nella pagina Web:
www.dirittoeuropeo.it/legge89-2001.html.

[2] L'Art. 1 della novella, riformando la disciplina della pronuncia in camera di consiglio, dispone:
1. L'articolo 375 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 375. - (Pronuncia in camera di consiglio) - La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio quando riconosce di dover:
1) dichiarare l'inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto;

2)ordinare l'integrazione del contraddittorio o disporre che sia eseguita la notificazione dell'impugnazione a norma dell'articolo 332;

3) dichiarare l'estinzione del processo per avvenuta rinuncia a norma dell'articolo 390;

4) pronunciare in ordine all'estinzione del processo in ogni altro caso;

5) pronunciare sulle istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione.

La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia sentenza in camera di consiglio quando il ricorso principale e quello incidentale eventualmente proposto sono manifestamente fondati e vanno, pertanto, accolti entrambi, o quando riconosce di dover pronunciare il rigetto di entrambi per mancanza dei motivi previsti nell'articolo 360 o per manifesta infondatezza degli stessi, nonché quando un ricorso va accolto per essere manifestamente fondato e l'altro va rigettato per mancanza dei motivi previsti nell'articolo 360 o per manifesta infondatezza degli stessi.
La Corte, se ritiene che non ricorrano le ipotesi di cui al primo e al secondo comma, rinvia la causa alla pubblica udienza.
Le conclusioni del pubblico ministero, almeno venti giorni prima dell'adunanza della Corte in camera di consiglio, sono notificate agli avvocati delle parti, che hanno facoltà di presentare memorie entro il termine di cui all'articolo 378 e di essere sentiti, se compaiono, nei casi previsti al primo comma, numeri 1), 4) e 5), limitatamente al regolamento di giurisdizione, e al secondo comma».

[3] E' evidente che non tutte le violazioni della Convenzione europea, ma solo le violazioni del proncipio del termine ragionevole dovranno essere definite secondo il nuovo procedimento indicato dalla c.d. Legge Pinto.

[4] Sul punto, si vaedano le critiche sollevate da M. Cicala nel sito Giustizia e Carità (
www.giustiziacarita.it).

[5]Alla data del 31 dicembre 2001 risultavano pendenti oltre 116.000 ricorsi davanti alle Corti di appello nazionali (i dati sono consultabili su Il Sole 24 Ore del 25 giugno 2001, pag. 18). A questi ricorsi si aggiungeranno le istanze presentate ai sensi della nuova legge Pinto.

[6] L'art. 7 (Disposizioni finanziarie) stabilisce:

1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in lire 12.705 milioni a decorrere dall'anno 2002, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2001-2003, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l'anno 2001, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

2. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

[7] Cfr. C. Nordio, Anche l'imparzialità è messa a dura prova, su Il Sole 24Ore del 25 giugno 2001, pag. 18.

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