LA RESPONSABILITA’ DEL "PRODUTTORE" DI SOFTWARE NEL CASO DI
MALFUNZIONAMENTO CAUSATO DAL “MILLENIUM BUG”


BREVI NOTE SULLA SENTENZA DEL
GIUDICE DI PACE DI SCHIO DEL 28 MAGGIO 2001
(
consultabile sul sito dello Stuido legale Vaglio e Zanon)

di Andrea Sirotti Gaudenzi

 

-tratto da Italia Oggi del 2 luglio 2001-

 

Lutilizzatore di programmi per elaboratori non acquista un prodotto ma, più semplicemente, ottiene la facoltà di utilizzare il software così com’è, senza nessuna garanzia, salvo espressi patti in tal senso: questa –in estrema sintesi- la conclusione cui è giunto il Giudice di Pace di Schio, avvocato Mario Castelli, in una sentenza emessa in data 28 maggio 2001 (consultabile nel sito www.vaglio.org). 

Nella pronunzia sono stati toccati vari punti, tra i quali il tema della protezione del software, quello qualificazione giuridica della “licenza” relativa ai programmi per elaboratore, nonchè il problema del Millennium Bug.
Nel maggio del 2000, un’azienda aveva citato a giudizio una software house per ottenere il risarcimento dei danni provocati su alcuni programmi dal Millennium Bug, il terribile “Baco del Millennio” che –secondo le indicazioni dei tecnici più catastrofici- avrebbe cancellato il progresso tecnologico, riportando l’uomo ad uno stato pressoché primitivo.
Fortunatamente, le previsioni di queste improvvisate Cassandre di fine millennio non furono rispettate, anche se il Millennium Bug provocò alcuni problemi anche nel nostro Paese.
Nella caso trattato del Giudice di Pace di Schio l’attore rilevava di aver “acquistato” nel 1996 dalla software house in licenza d’uso due programmi per computer (relativi alla gestione di pratiche auto e di patenti).

Tale rapporto non risultava regolato da particolari accordi risultanti per iscritto, né le parti avevano indicato strumenti di prova alternativi, atti a fornire elementi di convincimento sul contenuto di eventuali patti contrattuali, ancorché orali. Improvvisamente, a decorrere dal I gennaio 2000, i programmi, dopo aver regolarmente funzionato per anni, cessarono di funzionare a causa del c.d. Millennium Bug.
Pertanto, l’attore chiedeva la risoluzione del contratto per inadempimento della controparte, nonché il risarcimento dei danni subiti.

A fronte di tale richiesta, l’azienda convenuta chiedeva che la domanda venisse respinta. Peraltro, la software house non solo non contestava il mancato funzionamento dei programmi a causa del Millenniun Bug, ma –addirittura- riconosceva la necessità di alcuni aggiornamenti dei programmi (messi a disposizione dell’utilizzatore che, però, li aveva rifiutati).
La legge sul diritto d’autore (L. n.  633/41) modificata, in attuazione della normativa comunitaria, dal D. Lgs. n. 518/1992 (nonchè dal D. Lgs. n. 685/1994), ha esteso ai “programmi per elaboratore come opere letterarie” la protezione assicurata alle “opere dell’ingegno di carattere creativo” (art. 1, l.d.a.).

E’ solo il caso di ricordare che, fin dalla prima metà degli anni ottanta, la dottrina dominante aveva riconosciuto la possibilità di estendere al software i principi in tema di diritto d'autore, salve talune isolate voci che sostenevano come fosse possibile il ricorso alle norme in tema di brevetto, nonostante il divieto di brevettabilità dei programmi per elaboratori "in quanto tali" indicato dalla Convenzione di Monaco del 5 ottobre 1973.
Il 15 luglio 1983, il Tribunale di Torino ritenne applicabile ad alcuni videogiochi la disciplina dettata per le opere cinematografiche. Secondo l’interpretazione dei giudici torinesi, non dovevano ritenersi opere cinematografiche solo i film, ma anche le altre forme di rappresentazione indipendentemente dalla tecnica utilizzata e dalla forma d’espressione.
Nonostante questa impostazione, l'anno successivo il tribunale di Monza sconfessò le conclusioni cui era giunto l'organo giudicante del capoluogo piemontese. Infatti, con sentenza 12 dicembre 1984, il tribunale lombardo sostenne che il "videogame" consistente in un programma elettronico non fosse tutelato dalle norme sul diritto d'autore in quanto non poteva essere accostato all'opera cinematografica (ai sensi degli artt. 1 e 2, l. 22 aprile 1941, n. 633) o al progetto di lavoro d'ingegneria contemplato all'art. 99 l.d.a. In particolare, nella pronunzia de qua, l'organo giudicante ritenne l''elencazione prevista dagli art. 1 e 2 della l.d.a. delle opere dell'ingegno di carattere creativo suscettibili di protezione in base alla normativa sul diritto d'autore (opere che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all'architettura, al teatro, alla cinematografia) avesse carattere tassativo.
Dopo vari anni caratterizzati da orientamenti giurisprudenziali diametralmente opposti tra loro, il legislatore nazionale ha riconosciuto espressamente in capo all’autore di un software (vale a dire il programmatore) sia la summa di diritti afferenti al diritto morale d’autore, sia i vari diritti di utilizzazione economica dell’opera.
A questo proposito risultano particolarmente interessanti le affermazioni del Giudice di Pace di Schio, che ha qualificato il diritto d’autore sul software “una privativa sui generis, diretta a riservare al titolare non soltanto la riproduzione ma, ancor prima, l’utilizzo stesso del programma, consentendogli così di escludere qualsiasi possibilità di uso da parte di altri se non espressamente autorizzati”. Peraltro, la “licenza d’uso di programmi per elaboratore” è stata qualificata dal giudice veneto come atto negoziale unilaterale, con cui il produttore del software concede all’utente ancorché a titolo oneroso, il diritto (non esclusivo) di utilizzare un determinato programma su uno o più elaboratori elettronici, anche se –nella prassi- è normale che la licenza d’uso sia elemento di un rapporto giuridico più complesso (di natura contrattuale), “in cui le parti definiscono le condizioni, i contenuti ed i limiti della facoltà di utilizzo del software, nonché l’eventuale corrispettivo della licenza, le reciproche responsabilità e garanzie, ma ciò non trasforma la qualificazione giuridica della licenza da atto unilaterale a contratto”.
Senza entrare nel dettaglio della distinzione tra licenza di software (con la quale si concede il godimento personale del programma per un periodo determinato) e licenza d’uso di software (grazie alla quale l’utilizzatore del programma diviene titolare dei diritti di utilizzazione del programma), si deve rilevare che la decisione del Giudice di Pace di Schio ha il merito di inserirsi a pieno titolo nell’ambito del dibattito giuridico sulla natura delle licenze relative ai programmi per elaboratori.

Con riferimento al caso in esame, l’Autorità Giudiziaria ha innanzitutto escluso la configurabilità di una cessione della proprietà (o, rectius, dei diritti esclusivi di utilizzazione economica) del software, “innanzi tutto perché non risulta esser stato questo il risultato giuridico voluto dalle parti (il programmatore convenuto ha liberamente continuato a disporre del software, fornendolo dietro corrispettivo a terzi) ed infine perché, in secondo luogo, per siffatta cessione sarebbe stata necessaria la forma scritta, sia pure ad probationem (art. 110 l.d.a.)”.
Inoltre, per il giudice veneto non si potrebbe parlare di cessione di titolarità del software, dato che un’ipotetica volontà di trasferimento del programma “non pare compatibile con le circostanze della vicenda come emerse dalle rispettive narrative in atti, da cui si evince che non ci fu consegna del codice sorgente dei programmi e che invece fu soltanto compiuta l’installazione dell’eseguibile sul computer di parte attrice, alla quale peraltro non fu consegnato alcun supporto magnetico contenente copia del software”.
In mancanza di una disciplina legislativa del fenomeno, il Giudice di Pace ha cercato di riassumere le diverse scuole di pensiero che riconducono il fenomeno ora allo schema del contratto di locazione, ora quello del contratto di compravendita.

In ogni caso, si presentano notevoli difficoltà nel ricondurre il caso de quo entro i confini della locazione e della compravendita…

Infatti, non è possibile riferirsi allo schema della locazione, perché il rapporto in esame è stato istantaneo e la facoltà di utilizzo concessa senza limiti di durata, a fronte di un corrispettivo pagato in unica soluzione; inoltre, le parti non avevano stabilito alcun obbligo di restituzione del bene alla conclusione del rapporto.

Nello stesso modo, “non pare convincente lo schema della vendita, che male si attaglia ai diritti di proprietà intellettuale come tali e, comunque, non potendo tecnicamente parlarsi di trasferimento di un diritto”.

Inoltre, nel caso considerato, non è configurabile la “traditio” di un  supporto materiale del programma, che invece fu installato sul computer di proprietà dell’attore direttamente dal convenuto. A tal proposito, il Giudice di Pace ha chiarito che “il pagamento di una somma di danaro, impropriamente qualificata come corrispettivo, deve considerarsi evento negoziale del tutto eventuale e di certo non caratterizzante della fattispecie, essendo possibile ed assai frequente nella pratica il rilascio di licenza di utilizzo a titolo gratuito: che la licenza d’uso segua ad un esborso da parte dell’utilizzatore o meno, non cambia la natura dell’atto di concessione compiuto dal titolare del diritto d’autore”.
Pertanto, il giudice è giunto alla conclusione che “è proprio lo schema contrattuale in sé stesso che male si conforma alla fattispecie oggetto del presente giudizio”. Infatti, “il puro e semplice atto di concessione in uso di un programma per elaboratore, sia pure a titolo oneroso e non gratuito, non determina di per sé solo il sorgere di un rapporto contrattuale tra titolare del diritto di proprietà intellettuale (licenziante) ed utilizzatore (licenziatario). Quando la licenza è fatta a titolo oneroso, la somma corrisposta deve intendersi non quale corrispettivo della facoltà concessa ma quale remunerazione dell’attività creativa dell’autore”.

Proprio per questo motivo, in assenza di espressa pattuizione e di disciplina legale in tal senso, non potranno essere vantate particolari garanzie di funzionamento o di qualità del programma da parte del licenziatario, purché questo risulti funzionante e funzionale: “il software, infatti, a differenza delle opere letterarie ed artistiche, non è destinato a suscitare sentimenti di godimento estetico in chi ne usufruisce, ma è diretto a realizzare il fine pratico che un elaboratore possa eseguire determinate istruzioni.”
Tra l’altro, è stato evidenziato che il buon funzionamento di un programma non dipende esclusivamente dalla bontà dell’opera di programmazione compiuta dal suo autore, ma anche da altri fattori esterni, come
l’interazione con altri software presenti su una determinata macchina (per esempio, il sistema operativo), l
e caratteristiche hardware della macchina stessa.
Pertanto, “l’utilizzatore non acquista un prodotto ma, più semplicemente, ottiene la facoltà di utilizzare il software così com’è, senza nessuna garanzia, salvo espressi patti in tal senso, che questo corrisponda alle sue aspettative o sia esente da imperfezioni o difetti".

Sulla base di queste indicazioni, il Giudice di Pace di Schio ha ritenuto che i problemi di funzionamento dei programmi in occasione del passaggio all’anno 2000 non sono espressione di un vizio del software o di una mancanza di qualità ovvero anche di un inadempimento da parte del programmatore (il quale – tra l’altro – aveva messo a disposizione dell’utilizzatore una serie di  aggiornamenti del proprio software, che non sono stati ritenuti economicamente interessanti dall’attore).

Inoltre, l’Autorità Giudiziaria ha sottolineato che non vi era alcuna obbligazione in merito alla garanzia di funzionamento temporalmente illimitata in capo al produttore del software nascente dalla volontà delle parti o imposta dalla legge.
In particolare, è stato rilevato che “il software per le sue caratteristiche non può essere valutato se non allo stato della tecnica e delle conoscenze medie ed è indubbio che, all’epoca del rilascio dei programmi oggetto della presente lite (1996), il problema del c.d. Milliennium Bug era ben lungi dall’esser stato studiato nei suoi aspetti pratici e tecnici, venuti alla ribalta soltanto un paio di anni dopo, con clamore e preoccupazioni apocalittiche, per lo più smentite dai fatti all’inizio dell’anno 2000, allorché non si è verificata nessuna delle catastrofi informatiche prefigurate.”


IL TESTO DELLA SENTENZA E' CONSULTABILE SUL SITO VAGLIO.ORG


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