Lutilizzatore di programmi per elaboratori non acquista un prodotto ma, più semplicemente, ottiene la facoltà di utilizzare il software così comè, senza nessuna garanzia, salvo espressi patti in tal senso: questa in estrema sintesi- la conclusione cui è giunto il Giudice di Pace di Schio, avvocato Mario Castelli, in una sentenza emessa in data 28 maggio 2001 (consultabile nel sito www.vaglio.org).
Nella pronunzia sono stati toccati vari
punti, tra i quali il tema della protezione del software,
quello qualificazione giuridica della licenza
relativa ai programmi per elaboratore, nonchè il problema del Millennium
Bug.
Nel maggio del 2000, unazienda
aveva citato a giudizio una software house per ottenere il
risarcimento dei danni provocati su alcuni programmi dal Millennium
Bug, il terribile Baco del Millennio che secondo
le indicazioni dei tecnici più catastrofici- avrebbe cancellato
il progresso tecnologico, riportando luomo ad uno stato
pressoché primitivo.
Fortunatamente, le
previsioni di queste improvvisate Cassandre di fine millennio non
furono rispettate, anche se il Millennium Bug provocò
alcuni problemi anche nel nostro Paese.
Nella caso trattato del
Giudice di Pace di Schio lattore rilevava di aver acquistato
nel 1996 dalla software house in licenza duso due
programmi per computer (relativi alla gestione di pratiche auto e
di patenti).
Tale rapporto non risultava
regolato da particolari accordi risultanti per iscritto, né le
parti avevano indicato strumenti di prova alternativi, atti a
fornire elementi di convincimento sul contenuto di eventuali
patti contrattuali, ancorché orali. Improvvisamente, a decorrere
dal I gennaio 2000, i programmi, dopo aver regolarmente
funzionato per anni, cessarono di funzionare a causa del c.d. Millennium
Bug.
Pertanto, lattore
chiedeva la risoluzione del contratto per inadempimento della
controparte, nonché il risarcimento dei danni subiti.
A fronte di tale richiesta,
lazienda convenuta chiedeva che la domanda venisse
respinta. Peraltro, la software house non solo non
contestava il mancato funzionamento dei programmi a causa del Millenniun
Bug, ma addirittura- riconosceva la necessità di
alcuni aggiornamenti dei programmi (messi a disposizione dellutilizzatore
che, però, li aveva rifiutati).
La legge sul diritto dautore
(L. n. 633/41) modificata, in attuazione della normativa
comunitaria, dal D. Lgs. n. 518/1992 (nonchè dal D. Lgs. n.
685/1994), ha esteso ai programmi per elaboratore come
opere letterarie la protezione assicurata alle opere
dellingegno di carattere creativo (art. 1, l.d.a.).
E
solo il caso di ricordare che, fin dalla prima metà degli anni
ottanta, la dottrina dominante aveva riconosciuto la possibilità
di estendere al software i principi in tema di diritto
d'autore, salve talune isolate voci che sostenevano come fosse
possibile il ricorso alle norme in tema di brevetto, nonostante
il divieto di brevettabilità dei programmi per elaboratori
"in quanto tali" indicato dalla Convenzione di Monaco
del 5 ottobre 1973.
Il 15 luglio 1983, il
Tribunale di Torino ritenne applicabile ad alcuni videogiochi la
disciplina dettata per le opere cinematografiche. Secondo
linterpretazione dei giudici torinesi, non dovevano
ritenersi opere cinematografiche solo i film, ma anche le altre
forme di rappresentazione indipendentemente dalla tecnica
utilizzata e dalla forma despressione.
Nonostante questa
impostazione, l'anno successivo il tribunale di Monza sconfessò
le conclusioni cui era giunto l'organo giudicante del capoluogo
piemontese. Infatti, con sentenza 12 dicembre 1984, il tribunale
lombardo sostenne che il "videogame" consistente in un
programma elettronico non fosse tutelato dalle norme sul diritto
d'autore in quanto non poteva essere accostato all'opera
cinematografica (ai sensi degli artt. 1 e 2, l. 22 aprile 1941,
n. 633) o al progetto di lavoro d'ingegneria contemplato all'art.
99 l.d.a. In particolare, nella pronunzia de qua, l'organo
giudicante ritenne l''elencazione prevista dagli art. 1 e 2 della
l.d.a. delle opere dell'ingegno di carattere creativo
suscettibili di protezione in base alla normativa sul diritto
d'autore (opere che appartengono alla letteratura, alla musica,
alle arti figurative, all'architettura, al teatro, alla
cinematografia) avesse carattere tassativo.
Dopo vari anni
caratterizzati da orientamenti giurisprudenziali diametralmente
opposti tra loro, il legislatore nazionale ha riconosciuto
espressamente in capo allautore di un software (vale
a dire il programmatore) sia la summa di diritti afferenti
al diritto morale dautore, sia i vari diritti di
utilizzazione economica dellopera.
A questo proposito risultano
particolarmente interessanti le affermazioni del Giudice di Pace
di Schio, che ha qualificato il diritto dautore sul software
una privativa sui generis, diretta a riservare al
titolare non soltanto la riproduzione ma, ancor prima, lutilizzo
stesso del programma, consentendogli così di escludere qualsiasi
possibilità di uso da parte di altri se non espressamente
autorizzati. Peraltro, la licenza duso di
programmi per elaboratore è stata qualificata dal giudice
veneto come atto negoziale unilaterale, con cui il produttore del
software concede allutente ancorché a titolo
oneroso, il diritto (non esclusivo) di utilizzare un determinato
programma su uno o più elaboratori elettronici, anche se nella
prassi- è normale che la licenza duso sia elemento di un
rapporto giuridico più complesso (di natura contrattuale),
in cui le parti definiscono le condizioni, i contenuti ed i
limiti della facoltà di utilizzo del software, nonché leventuale
corrispettivo della licenza, le reciproche responsabilità e
garanzie, ma ciò non trasforma la qualificazione giuridica della
licenza da atto unilaterale a contratto.
Senza entrare nel dettaglio
della distinzione tra licenza di software (con la quale si
concede il godimento personale del programma per un periodo
determinato) e licenza duso di software (grazie alla
quale lutilizzatore del programma diviene titolare dei
diritti di utilizzazione del programma), si deve rilevare che la
decisione del Giudice di Pace di Schio ha il merito di inserirsi
a pieno titolo nellambito del dibattito giuridico sulla
natura delle licenze relative ai programmi per elaboratori.
Con riferimento al caso in
esame, lAutorità Giudiziaria ha innanzitutto escluso la
configurabilità di una cessione della proprietà (o, rectius,
dei diritti esclusivi di utilizzazione economica) del software,
innanzi tutto perché non risulta esser stato questo il
risultato giuridico voluto dalle parti (il programmatore
convenuto ha liberamente continuato a disporre del software,
fornendolo dietro corrispettivo a terzi) ed infine perché, in
secondo luogo, per siffatta cessione sarebbe stata necessaria la
forma scritta, sia pure ad probationem (art. 110 l.d.a.).
Inoltre, per il giudice
veneto non si potrebbe parlare di cessione di titolarità del software,
dato che unipotetica volontà di trasferimento del
programma non pare compatibile con le circostanze della
vicenda come emerse dalle rispettive narrative in atti, da cui si
evince che non ci fu consegna del codice sorgente dei programmi e
che invece fu soltanto compiuta linstallazione delleseguibile
sul computer di parte attrice, alla quale peraltro non fu
consegnato alcun supporto magnetico contenente copia del software.
In mancanza di una
disciplina legislativa del fenomeno, il Giudice di Pace ha
cercato di riassumere le diverse scuole di pensiero che
riconducono il fenomeno ora allo schema del contratto di
locazione, ora quello del contratto di compravendita.
In
ogni caso, si presentano notevoli difficoltà nel ricondurre il
caso de quo entro i confini della locazione e della
compravendita
Infatti,
non è possibile riferirsi allo schema della locazione, perché
il rapporto in esame è stato istantaneo e la facoltà di
utilizzo concessa senza limiti di durata, a fronte di un
corrispettivo pagato in unica soluzione; inoltre, le parti non
avevano stabilito alcun obbligo di restituzione del bene alla
conclusione del rapporto.
Nello
stesso modo, non pare convincente lo schema della vendita,
che male si attaglia ai diritti di proprietà intellettuale come
tali e, comunque, non potendo tecnicamente parlarsi di trasferimento
di un diritto.
Inoltre, nel caso considerato, non è
configurabile la traditio di un supporto
materiale del programma, che invece fu installato sul computer di
proprietà dellattore direttamente dal convenuto. A tal
proposito, il Giudice di Pace ha chiarito che il pagamento
di una somma di danaro, impropriamente qualificata come
corrispettivo, deve considerarsi evento negoziale del tutto
eventuale e di certo non caratterizzante della fattispecie,
essendo possibile ed assai frequente nella pratica il rilascio di
licenza di utilizzo a titolo gratuito: che la licenza duso
segua ad un esborso da parte dellutilizzatore o meno, non
cambia la natura dellatto di concessione compiuto dal
titolare del diritto dautore.
Pertanto, il giudice è
giunto alla conclusione che è proprio lo schema
contrattuale in sé stesso che male si conforma alla fattispecie
oggetto del presente giudizio. Infatti, il puro e
semplice atto di concessione in uso di un programma per
elaboratore, sia pure a titolo oneroso e non gratuito, non
determina di per sé solo il sorgere di un rapporto contrattuale
tra titolare del diritto di proprietà intellettuale
(licenziante) ed utilizzatore (licenziatario). Quando la licenza
è fatta a titolo oneroso, la somma corrisposta deve intendersi
non quale corrispettivo della facoltà concessa ma quale
remunerazione dellattività creativa dellautore.
Proprio per questo motivo, in assenza di
espressa pattuizione e di disciplina legale in tal senso, non
potranno essere vantate particolari garanzie di funzionamento o
di qualità del programma da parte del licenziatario, purché
questo risulti funzionante e funzionale: il software,
infatti, a differenza delle opere letterarie ed artistiche, non
è destinato a suscitare sentimenti di godimento estetico in chi
ne usufruisce, ma è diretto a realizzare il fine pratico che un
elaboratore possa eseguire determinate istruzioni.
Tra laltro, è stato evidenziato che il buon funzionamento
di un programma non dipende esclusivamente dalla bontà dellopera
di programmazione compiuta dal suo autore, ma anche da altri
fattori esterni, come
linterazione con altri software presenti su una
determinata macchina (per esempio, il sistema operativo), l
e caratteristiche hardware della macchina stessa.
Pertanto, lutilizzatore non acquista un prodotto ma,
più semplicemente, ottiene la facoltà di utilizzare il software
così comè, senza nessuna garanzia, salvo espressi
patti in tal senso, che questo corrisponda alle sue aspettative o
sia esente da imperfezioni o difetti".
Sulla base di queste
indicazioni, il Giudice di Pace di Schio ha ritenuto che i
problemi di funzionamento dei programmi in occasione del
passaggio allanno 2000 non sono espressione di un vizio del
software o di una mancanza di qualità ovvero anche di un
inadempimento da parte del programmatore (il quale tra laltro
aveva messo a disposizione dellutilizzatore una
serie di aggiornamenti del proprio software, che non
sono stati ritenuti economicamente interessanti dallattore).
Inoltre, lAutorità Giudiziaria ha
sottolineato che non vi era alcuna obbligazione in merito alla
garanzia di funzionamento temporalmente illimitata in capo al
produttore del software nascente dalla volontà delle
parti o imposta dalla legge.
In particolare, è stato rilevato che il software
per le sue caratteristiche non può essere valutato se non allo
stato della tecnica e delle conoscenze medie ed è indubbio che,
allepoca del rilascio dei programmi oggetto della presente
lite (1996), il problema del c.d. Milliennium Bug era ben
lungi dallesser stato studiato nei suoi aspetti pratici e
tecnici, venuti alla ribalta soltanto un paio di anni dopo, con
clamore e preoccupazioni apocalittiche, per lo più smentite dai
fatti allinizio dellanno 2000, allorché non si è
verificata nessuna delle catastrofi informatiche prefigurate.
IL TESTO DELLA SENTENZA E' CONSULTABILE SUL SITO VAGLIO.ORG