UNA PRIMA RIFLESSIONE SULLA SENTENZA 497 DELLA CORTE COSTITUZIONALE IN TEMA DI AMMISSIONE DI UN DIFENSORE SCELTO NEL LIBERO FORO NEI PROCEDIMENTI DISCIPLINARI INNANZI AL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
di Orazio Dente Gattola
Con la sentenza n. 497 del 2000 la Corte Costituzionale ha finalmente messo mano alla riforma dellarcaico e, per troppi versi, assurdo procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati.
Già nel 1994 la Corte, come ella stessa ricorda nella motivazione, la questione venne al suo esame per essere ritenuta irrilevante dal momento che in quella occasione il magistrato nei cui confronti era stata elevata lincolpazione si era limitato a prospettare limpossibilità di trovare un difensore tra i colleghi e a chiedere, conseguentemente, di essere autorizzato a sceglierlo nellambito del libero foro.
Non è questa la sede per criticare quella decisione che tuttora non mi trova daccordo.
Ciò che rileva in questa sede è il fatto che finalmente si sia riconosciuta la possibilità di ricorrere allassistenza nel corso di un procedimento disciplinare ad un avvocato e non ad un magistrato.
Non è un caso che il primo passo per la modernizzazione del procedimento disciplinare sia venuto dalla Corte Costituzionale.
Ancora una volta un passo in avanti è venuto dalla Corte che si è resa conto di una delle tante incongruenze che costellano la procedura in sede disciplinare e che per la gran parte risale ad epoca antecedente alla Costituzione. Essa presenta anche notevoli bizzarrie come quella che vede leventuale impugnazione della decisione della sezione disciplinare trattata dalle Sezioni Unite Civili secondo, però, il codice di procedura penale "in quanto applicabile".
A quali istituti processuali occorra rifarsi nellipotesi in cui il codice di rito penale non sia applicabile questo nessuno lo ha mai spiegato.
Né va dimenticato come in quasi tutte le legislature dellItalia repubblicana siano stati presentati disegni o progetti di legge diretti alla cd. tipizzazione degli illeciti disciplinari che ancor oggi manca e che vede il magistrato esposto proprio per lindeterminatezza dellart. 18 dellordinamento giudiziario al pericolo di una sottoposizione alla repressione e come, sistematicamente, essi non siano mai andati più in là dellesame in aula.
Correttamente la Corte individua il punto nodale dellintera questione nel fatto che un avvocato e, dunque, un libero professionista è senzaltro meno condizionato nellespletamento del mandato difensivo del magistrato difensore che, quanto meno sul piano teorico, è esposto a possibili condizionamenti da parte dello stesso Consiglio proprio perché esterno rispetto al sistema.
Unultima considerazione si impone: alla luce della sentenza che qui di seguito si riporta appare molto più vicino il momento, preannunciato nei lavori della bicamerale, di una separazione della componente disciplinare dal resto del Consiglio Superiore della Magistratura che è unaltra delle tante anomalie del sistema.
Orazio Dente Gattola
Il testo della sentenza
n. 497/2000
pubblicato sul sito di
Magistratura Indipendente
SENTENZA N. 497
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare MIRABELLI Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO Giudice
- Massimo VARI "
- Cesare RUPERTO "
- Riccardo CHIEPPA "
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dellarticolo 34, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura), promossi con tre ordinanze emesse il 18 febbraio 2000 dal Consiglio superiore della magistratura, sezione disciplinare, rispettivamente iscritte ai nn. 153, 154 e 155 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dellanno 2000.
Visto latto di costituzione del magistrato incolpato, nonché latto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nelludienza pubblica del 26 settembre 2000 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;
udito lAvvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. Nel corso di tre procedimenti disciplinari a carico dello stesso magistrato, il Consiglio superiore della magistratura, sezione disciplinare, ha sollevato, con tre identiche ordinanze emesse tutte il 18 febbraio 2000, questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dellarticolo 34, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura), "nella parte in cui esclude che il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare possa farsi assistere, per la propria difesa, da un avvocato del libero Foro".
Nelle ordinanze di rimessione si premette che lincolpato ha dichiarato di non volersi avvalere della difesa di un magistrato, intendendo farsi assistere da un libero professionista, sicché, non potendo, in questa situazione, procedersi alla nomina di un difensore dufficio, non gli resterebbe che ricorrere allautodifesa.
Secondo la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, la questione sarebbe quindi rilevante e non sarebbe ancora stata portata al vaglio di questa Corte, in quanto con la sentenza n. 220 del 1994 è stata dichiarata inammissibile analoga questione per difetto di rilevanza nel giudizio nel cui ambito il problema era stato sollevato, e, con la successiva sentenza n. 119 del 1995, è stato affrontato il diverso problema dellautodifesa del magistrato nel procedimento disciplinare.
Ad avviso del remittente, lart. 24, secondo comma, della Costituzione, delineerebbe una nozione ampia del diritto di difesa, che si estenderebbe anche alla garanzia dellassistenza tecnica. Alla luce di questa interpretazione, sarebbe del tutto naturale fare riferimento allo strumento specificamente preposto a tale scopo, e cioè, in primo luogo, alla difesa assicurata da un avvocato. In tale contesto, tenuto anche conto deIlart. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, che garantisce il diritto alla scelta di un difensore, potrebbe fondatamente dubitarsi che il divieto posto dallart. 34, secondo comma, del regio decreto legislativo. n. 511 del 1946 norma che rifletterebbe un assetto precostituzionale sia compatibile con il pieno esercizio del diritto di difesa costituzionalmente sancito.
La sezione disciplinare pur ricordando che, secondo la giurisprudenza costituzionale, lart. 24 della Costituzione non preclude che la disciplina legislativa del diritto di difesa si conformi alle speciali caratteristiche dei singoli procedimenti e che "lintera vicenda disciplinare riflette il propriurn dellordine giudiziario" (sentenza
n.220 del 1994) - osserva che la peculiarità del procedimento disciplinare a carico dei magistrati non esclude che, nel suo ambito, lesercizio del diritto di difesa debba esplicarsi con la stessa ampiezza riconosciuta dallordinamento in altri settori della giurisdizione.
Il remittente rileva ancora che, se è vero che le norme del codice di procedura penale si applicano al procedimento disciplinare solo in via integrativa per effetto degli artt. 32 e 34 del regio decreto legislativo n. 511 del 1946 (sentenza n. 119 del 1995), non sarebbe in ogni caso ragionevole una limitazione del diritto di difesa tale da escludere che lincolpato, nel suo libero diritto di scelta, possa avvalersi, ove lo ritenga più opportuno, dellassistenza di un libero professionista.
In questa prospettiva la disposizione censurata sarebbe in contrasto non solo con lart. 24, ma anche con lart. 3 della Costituzione, in quanto introdurrebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto al modo in cui può esplicarsi in sede giurisdizionale il diritto di difesa di ogni cittadino.
2. - Nel giudizio relativo ad una delle ordinanze di rimessione (RO. n. 153 del 2000) si è costituito, a mezzo del suo difensore munito di procura speciale, il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare e ha chiesto che la questione venga accolta.
Ad ulteriore conforto dellinesistenza di un interesse, più o meno pubblico, che precluda ai magistrati incolpati la difesa col ricorso allassistenza di un avvocato libero professionista, la parte privata ricorda che, in virtù della modifica apportata allart. 6 della legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), dallart. 1 della legge 12 aprile 1990, n. 74 (Modifica alle norme sul sistema elettorale e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), davanti alla sezione disciplinare il dibattito si svolge in pubblica udienza. Conseguentemente, a suo avviso, non si potrebbe neppure sostenere che esistano esigenze di "segretezza" della procedura disciplinare, tali da giustificare la scelta, operata dal legislatore del 1946, di precludere al magistrato la facoltà di farsi assistere da un avvocato del libero Foro.
3. - Nei giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dallAvvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata "inammissibile e comunque infondata".
LAvvocatura ritiene che, con la sentenza n. 119 del 1995, questa Corte sia già pervenuta alla conclusione che lattuale disciplina della difesa del magistrato nel procedimento disciplinare (le cui peculiarità e finalità non consentirebbero la comparazione con il processo penale) dia adeguata attuazione allart. 24 della Costituzione. Il magistrato incolpato potrebbe, infatti, scegliere tra autodifesa e difesa da parte di un collega e la sezione disciplinare potrebbe nominargli dufficio un magistrato difensore quando, pur avendo scelto di farsi assistere da un collega, non sia riuscito a reperirne uno.
LAvvocatura rileva che la disciplina delle garanzie difensive apparterrebbe alla discrezionalità del legislatore, al quale soltanto spetterebbe valutare le speciali caratteristiche dei singoli procedimenti. In proposito richiama la giurisprudenza dì questa Corte, secondo la quale, pur sussistendo una matrice comune nel procedimento a carico dei dipendenti pubblici e in quello a carico dei magistrati, dovendosi in entrambi i casi assicurare linteresse pubblico al buon andamento e allimparzialità delle funzioni statali da bilanciarsi con i diritti dei singoli, per i magistrati i due termini del bilanciamento assumono una connotazione ulteriore: da un lato, linteresse pubblico in gioco riguarda il corretto svolgimento della funzione giurisdizionale (assistito dalla speciale garanzia di indipendenza e autonomia); dallaltro, la tutela del singolo va commisurata alla salvaguardia del dovere di imparzialità e della connessa esigenza di credibilità collegata allesercizio della funzione giurisdizionale (sentenza n. 119 del 1995).
Secondo la difesa dello Stato, proprio le particolari caratteristiche del procedimento disciplinare in esame escluderebbero altresì la violazione dellart. 3 della Costituzione. Il principio di eguaglianza non sarebbe, infatti, applicabile quando si tratti di situazioni che, pur derivando da basi comuni, differiscano tra loro per aspetti particolari, ma quando vi sia omogeneità di situazioni da regolare legislativamente in modo uniforme e coerente. Conseguentemente, la discrezionalità del legislatore nel regolamentare due distinte fattispecie troverebbe lunico limite nella razionalità della diversa disciplina, razionalità che, nel caso in esame, non potrebbe essere negata, attese le peculiarità degli interessi coinvolti nel procedimento disciplinare a carico dei magistrati.
Considerato in diritto
1. La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con tre identiche ordinanze in pari data, dubita, in riferimento agli articoli 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dellarticolo 34, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura), "nella parte in cui esclude che il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare possa farsi assistere, per la propria difesa, da un avvocato del libero Foro".
Ad avviso del remittente, la disposizione censurata, che rifletterebbe un assetto precostituzionale, non sarebbe compatibile con lart. 24, secondo comma, della Costituzione, il quale delineerebbe una nozione ampia del diritto di difesa, che si estenderebbe alla garanzia dellassistenza tecnica, sicché, anche alla luce dellart. 6 della convenzione dei diritti delluomo, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, sarebbe del tutto naturale fare riferimento allo strumento specificamente preposto a tale scopo, e cioè alla difesa assicurata da un avvocato.
La sezione disciplinare rileva inoltre che le peculiarità del procedimento disciplinare a carico dei magistrati non escluderebbero che, nel suo ambito, lesercizio del diritto di difesa debba esplicarsi con la stessa ampiezza riconosciuta dallordinamento in altri settori della giurisdizione. In questa prospettiva, il divieto contenuto nellart. 34, secondo comma, del regio decreto legislativo n. 511 del 1946 si porrebbe in contrasto anche con lart. 3 della Costituzione, per la irragionevole limitazione del diritto di difesa e per la ingiustificata disparità di trattamento rispetto al modo in cui può esplicarsi in sede giurisdizionale il diritto di difesa di ogni cittadino.
2. - I giudizi vanno riuniti in considerazione dellidentità delle questioni proposte con le tre ordinanze di rimessione.
3. - Il tema della difesa del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare ègià venuto, nei medesimi termini, allattenzione di questa Corte, che però non ha potuto affrontarlo nel merito. Nella fattispecie a cui si riferiva la sentenza n. 220 del 1994 si trattava di un incolpato che aveva optato per la difesa da parte di un magistrato, non riuscendo tuttavia a reperire un collega disposto ad assisterlo; sicché la questione di legittimità costituzionale dellart. 34 del regio decreto legislativo n. 511 del 1946, nella parte in cui non consente la nomina dì un difensore del libero Foro, era, in quel caso, irrilevante ed è stata perciò dichiarata inammissibile. Nella vicenda dalla quale prende le mosse lattuale giudizio di costituzionalità si tratta, invece, di un magistrato che, incolpato in tre distinti procedimenti disciplinari, ha dichiarato di non volersi avvalere della difesa di un collega ma di quella di un libero professionista. La questione èpertanto indubbiamente rilevante e deve essere scrutinata nel merito.
4. - La questione è fondata.
Le ragioni che hanno indotto il legislatore a configurare il procedimento disciplinare per i magistrati secondo paradigmi di carattere giurisdizionale sono state più volte esaminate da questa Corte: da un lato lopportunità che linteresse pubblico al regolare e corretto svolgimento delle funzioni giudiziarie e lo stesso prestigio dellordine giudiziario siano tutelati nelle forme più confacenti alla posizione costituzionale della magistratura e al suo statuto di indipendenza; dallaltro lesigenza che alla persona del magistrato raggiunto da incolpazione disciplinare sia riconosciuto quellinsieme di garanzie che solo la giurisdizione può assicurare (cfr. sentenze nn. 71 del 1995, 289 del 1992 e 145 del 1976).
Ora, riconoscere al magistrato la facoltà di farsi assistere da un difensore del libero Foro, anziché imporgli, quale opzione esclusiva, un difensore "interno" appartenente allordine giudiziario, significa trarre alle loro naturali conseguenze le finalità di rango costituzionale sottese alla giurisdizionalizzazione della responsabilità disciplinare.
5. - La premessa teorica dalla quale occorre procedere è che il regolare e corretto svolgimento delle funzioni giudiziarie e il prestigio della magistratura investono il momento della concretizzazione dellordinamento attraverso la giurisdizione, vale a dire lapplicazione imparziale e indipendente della legge. Si tratta perciò di beni i quali, affidati alle cure del Consiglio superiore della magistratura, non riguardano soltanto lordine giudiziario, riduttivamente inteso come corporazione professionale, ma appartengono alla generalità dei soggetti e, come del resto la stessa indipendenza della magistratura, costituiscono presidio dei diritti dei cittadini.
Allinquadramento concettuale della responsabilità disciplinare secondo logiche corrispondenti allautentico significato che lindipendenza della magistratura assume nel sistema costituzionale (come garanzia dei diritti e delle libertà dei cittadini), si èpervenuti attraverso un ampio dibattito, che ha visto impegnata anche la magistratura in molte delle sue componenti e che ha propiziato labbandono di schemi obsoleti, ereditati dalla legislazione anteriore e ancora attivi dopo lentrata in vigore della Costituzione, imperniati sullidea, che rimandava ad antichi pregiudizi corporativi, secondo cui la miglior tutela del prestigio dellordine giudiziario era racchiusa nel carattere di riservatezza del procedimento disciplinare. Il punto di arrivo di un tale percorso, politico-istituzionale e culturale ad un tempo, è individuabile nella regola della pubblicità delle udienze disciplinari, anticipata in via di prassi nella giurisprudenza ispirata ai principi risultanti dallart. 6 della convenzione europea dei diritti delluomo, e formalizzata, oggi, nellart. 1 della legge 12 aprile 1990, n. 74. In tale regola si manifesta con un massimo di evidenza il totale rovesciamento di quei vecchi schemi ricostruttivi ed emerge nitidamente la stretta correlazione tra la nozione di prestigio dellordine giudiziario e la credibilità dellesercizio delle funzioni giudiziarie presso la pubblica opinione, intesa ovviamente in senso pluralistico nel suo articolarsi in modi di vedere non necessariamente uniformi. Una nozione, quindi, che postula non la segretezza del procedimento disciplinare ma la trasparenza, valore portante di ogni sistema autenticamente democratico, i cui caratteri sono destinati a riflettersi sulla stessa difesa del magistrato, che non può, a sua volta, non conformarsi alla funzione propria della responsabilità disciplinare e alla sua vocazione a oltrepassare la ristretta cerchia di un corpo professionale organizzato.
Nel mutato contesto che si è venuto dischiudendo, segnato da una crescente consapevolezza dellineliminabile compenetrazione dei principi costituzionali sulla magistratura con quelli di pubblicità e trasparenza delle funzioni pubbliche, la regola contenuta nella citata legge sulle guarentigie, secondo cui lincolpato può farsi assistere da un collega, permane, né è rinvenibile alcuna ragione per la quale essa debba venire rimossa. Tuttavia tale regola dismette la sua originaria caratterizzazione corporativa ed assume una ratio diversa, che può essere così esplicitata: la scelta dellincolpato cade su un collega non in quanto appartenente ad una presunta corporazione di soggetti interessati alla tutela del prestigio dellordine giudiziario, ma in quanto ritenuto in possesso dellidoneità tecnica per assumere una siffatta difesa. Se però la validità della scelta legislativa deve essere misurata sul piano dellidoneità tecnica del difensore, allora restano prive di qualunque fondamento giustificativo la limitazione ai soli magistrati della sfera dei soggetti legittimati a svolgere lufficio difensivo e la conseguente esclusione degli avvocati del libero Foro, ai quali, a causa del loro specifico statuto professionale, lattitudine a difendere non può essere disconosciuta.
6. - Tutto ciò appare evidente se si assume a criterio di valutazione linteresse pubblico al corretto e regolare svolgimento delle funzioni giurisdizionali e al prestigio dellordine giudiziario. Se poi ci sì colloca nella prospettiva della persona incolpata e del suo diritto di difesa, è egualmente chiaro che la pienezza della tutela giurisdizionale non può trovare in tale interesse pubblico un controvalore con il quale debba essere bilanciata. Al contrario, tale tutela è anche funzionale alla migliore e più efficace realizzazione di quellinteresse. Il massimo di incisività delle garanzie accordate al magistrato sottoposto a procedimento disciplinare, infatti, non può che convertirsi in una altrettanto incisiva tutela del prestigio dellordine giudiziario e del corretto e regolare svolgimento delle funzioni giudiziarie. Ebbene, proprio dal punto di vista del singolo incolpato, il procedimento di cui è questione, come tutti i procedimenti disciplinari potenzialmente incidenti sullo status professionale, tocca la posizione del soggetto nella vita lavorativa e coinvolge quindi beni della persona che già richiedono, di per sé, le garanzie più efficaci. Ma con riferimento ai magistrati lesigenza di una massima espansione delle garanzie difensive si fa, se possibile, ancora più stringente, poiché nel patrimonio di beni compresi nel loro status professionale vi è anche quello dellindipendenza, la quale, se appartiene alla magistratura nel suo complesso, si puntualizza pure nel singolo magistrato, qualificandone la posizione sia allinterno che allesterno: nei confronti degli altri magistrati, di ogni altro potere dello Stato e dello stesso Consiglio superiore della magistratura. E anzi, questo, uno dei punti nevralgici dellinsieme dei rapporti che fanno capo al magistrato incolpato: davanti alla sezione disciplinare, tanto più se sì tiene conto della mancata tipizzazione legislativa degli illeciti, il diritto di difesa, a partire dalla prima delle facoltà che esso racchiude, quella della scelta del difensore, deve essere configurato in modo che nello stesso incolpato e nella pubblica opinione in nessun caso possa ingenerarsi il sospetto, anche il più remoto, che il procedimento disciplinare si trasformi in uno strumento per reprimere convincimenti sgraditi o per condizionare lesercizio indipendente delle funzioni giudiziarie.
Vi è quindi stretta correlazione tra lindipendenza del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare e la facoltà di scelta del difensore da lui ritenuto più adatto, sicché limitare questultima facoltà significa in definitiva menomare in parte anche il valore dellindipendenza. Spetterà semmai al magistrato, in relazione alla singola vicenda disciplinare, decidere se sia più conveniente lassistenza di un collega ovvero quella di un difensore esterno, che potrebbe essere reputato più efficiente anche eventualmente in considerazione della sua posizione di estraneità allordine giudiziario e del suo non essere soggetto ad alcuno dei poteri del Consiglio superiore della magistratura.
7. - A riprova dellincongruenza della disciplina può ulteriormente osservarsi che, permanendo il censurato art. 34, secondo conima, del regio decreto legislativo n. 511 del 1946, lincolpato deve obbligatoriamente servirsi di un avvocato iscritto allalbo speciale per il patrocinio innanzi alle magistrature superiori nelleventuale successivo giudizio davanti alle sezioni unite della Cassazione, e che, in caso di accoglimento del suo ricorso con rinvio alla sezione disciplinare, egli dovrebbe necessariamente tornare
allautodifesa o allassistenza di un collega, con un dispendio di energie difensive del quale non è ravvisabile alcun fondamento giustificativo.
Se dunque si ha riguardo allinsieme dei profili connessi alla questione di costituzionalità, la conclusione è che, nel procedimento davanti alla sezione disciplinare, la difesa del magistrato deve potersi dispiegare nella sua pienezza, la quale non può dirsi raggiunta se al magistrato è negata la possibilità di avvalersi dellapporto difensivo di un avvocato del libero Foro.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara lillegittimità costituzionale dellarticolo 34, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura), nella parte in cui esclude che il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare possa farsi assistere da un avvocato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 13 novembre 2000.
F:to:
Cesare MIRABELLI, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in cancelleria il 16 novembre 2000.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA