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diretto dall'avv. A. Sirotti Gaudenzi


Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza del 6 dicembre 1999 n. 2046 sulla portata ed i limiti del diritto di accesso ai documenti amministrativi di un’Azienda speciale (nella fattispecie l’ARIN) da parte di un Consigliere Comunale (nella fattispecie
del Comune di Napoli)

 

 

 

La massima:

1)Il diritto di accesso di un Consigliere Comunale è esercitabile anche agli atti di diritto privato posti in essere dal Comune, non esistendo alcuna deroga alla generale operatività dei principi di trasparenza ed imparzialità ex art. 97 Cost..

2) Tale diritto si esercita non solo nei confronti dell’azienda speciale, ente strumentale dell’ente locale, ma anche per tutte quelle figure soggettive che provvedono alla gestione di un servizio pubblico, sulla base di un collegamento istituzionale realizzato tramite disposizione di legge o provvedimento amministrativo.

3) Il Consiglio di Stato definisce anche la nuova nozione di atto amministrativo, che conosce nella più recente normativa un significativo processo di "erosione", a favore di sistemi di gestione dell’attività amministrativa che, per un verso, si avvalgono di modelli convenzionali e/o di assetti nominativi di spiccata origine privatistica e che, per altro verso, affidano vasti settori di azione a figure soggettive di indubbia matrice privatistica.

4) L’attuazione del diritto di accesso, è necessariamente subordinata ad un collegamento effettivo tra l’attività in questione e la cura del pubblico interesse e che tale attività esprima, in concreto, siffatto collegamento unitamente alla condizione di prevalenza dell’interesse pubblico.

5) L’indicazione di un interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti è superflua rispetto a chi eserciti il diritto di accesso nella veste formale di componente l’organo cui è istituzionalmente rimessa la vigilanza sull’azienda speciale. L’unica condizione, necessaria e sufficiente a fondare la legittimazione del consigliere comunale, è l’esternazione della propria qualifica, da cui discende l’autonoma correlazione alle funzioni ed ai limiti del mandato consiliare, insieme alla precisazione degli atti per cui si chiede l’accesso.

6) Il consigliere comunale ha diritto di prendere visione dei provvedimenti e dei relativi atti preparatori del Comune, rientrando tale attività nel controllo sull’amministrazione dell’ente da parte dei componenti del consiglio comunale, organo politico-amministrativo dell’ente stesso.

7) Il consigliere, che eserciti tale diritto, non è tenuto a specificare i motivi della richiesta, né gli organi burocratici dell’ente hanno titolo per richiederli, perché, in caso contrario, questi ultimi sarebbero arbitri di stabilire l’estensione del controllo sul loro operato. (a cura di Andrea Ciccone).

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale,
Quinta Sezione ha pronunciato la seguente

decisione sul ricorso in appello nr.536/99, proposto da:
Azienda Risorse Idriche di Napoli (ARIN), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Enrico Soprano, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio di quest’ultimo, via degli Avignonesi, n.5,

CONTRO

Pietro CAFASSO, non costituito

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Campania, sezione quinta, n.3469/98, del 17.11.1998;
Visto l’atto di appello con i relativi allegati;
Vista la memoria difensiva prodotta dall’appellante;
Visti gli atti tutti della causa;
Vista la decisione interlocutoria n.330/99;
Visto l’art.25 della legge n.241/1990;
All’udienza in camera di consiglio del 2 luglio 1999, relatore il consigliere Fabio Cintioli, udito L’avv. Enrico Soprano;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

FATTO

La sentenza appellata ha accolto il ricorso proposto dal dott. Pietro Cafasso, consigliere comunale del Comune di Napoli, avente per oggetto il diniego, opposto dall’Azienda Risorse Idriche di Napoli (in appreso, più semplicemente, "Arin"), al diritto di accesso ai seguenti atti: "atti e documenti relativi al bando di concorso di recente o prossima emanazione, per l’assunzione di personale nell’azienda".
L’Arin ha proposto appello, con il quale ha chiesto la riforma integrale della sentenza impugnata e la conferma della legittimità dell’atto con cui si è denegato l’accesso ai documenti richiesti dal Cafasso.
L’appellato non si è costituito.
La Sezione ha pronunciato sentenza interlocutoria n.330/1999, a seguito della quale sono stati acquisiti al giudizio gli atti richiesti.
La causa è stata discussa nell’udienza in camera di consiglio del 2 luglio 1999.

DIRITTO

1 L’appellante censura la sentenza impugnata, affermando che nel caso di specie di diritto di accesso non può essere legittimamente esercitato per carenza dei relativi presupposti normativi.
I motivi dell’appello possono così riassumersi:
a) Il diritto di accesso riguarda solo l’attività pubblicistica dell’Amministrazione, poiché esclusivamente in questa materia assolve la sua funzione di contrappeso in favore dell’amministrato nei confronti del soggetto pubblico, che gode di posizione di supremazia derivante dall’esercizio della funzione autoritativa. Il diritto di accesso non potrebbe, pertanto, validamente attuarsi nei riguardi di documenti collegati ad un’attività interamente assorbita nell’azione privatistica dell’ente. Entro quest’ambito sarebbe certamente compreso, secondo l’appellante, il bando di gara per la selezione concorsuale del personale dell’azienda.
b) Il diritto di accesso non è esercitabile nei riguardi dell’Arin, la quale è dotata di personalità giuridica ed autonomia imprenditoriale, soggiace all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese, operando al pari di qualsiasi altro imprenditore privato. Difetterebbe, in breve, anche il requisito soggettivo richiesto dalla legge in capo al destinatario della domanda di accesso.
c) Anche sulla base di un’analisi più approfondita circa le competenze dell’azienda ed i riflessi in ordine alla cura concreta di pubblici, interessi, deve rimarcarsi che l’attività cui si riferiscono i documenti richiesti non pertiene al momento organizzativo vero e proprio, ma estrinseca l’esercizio di un potere del tutto analogo a quello di altro imprenditore privato: si tratta, invero, della fase relativa all’instaurazione del rapporto di pubblico impiego.
d) Il singolo consigliere comunale non è personalmente legittimato a formulare la richiesta di accesso nei termini in cui ha proceduto l’appellato, perché manca l’enunciazione dell’interesse giuridicamente rilevante, personale e concreto cui è subordinato il felice esito della domanda di accesso.
e) La richiesta di accesso del consigliere comunale non può eccedere l’ambito ristretto dei poteri di vigilanza del consiglio comunale sulle aziende speciali. Tali poteri sono circoscritti ad alcuni aspetti dell’azione di queste aziende, a norma dell’art.23 della legge n.142/1990, e possono riguardare solo i seguenti atti: il piano programma, comprendente un contratto di servizio che disciplina i rapporti tra ente locale ed azienda speciale; i bilanci di previsione pluriennale ed annuale; il conto consuntivo; il bilancio di esercizio.
f) La domanda, infine, è in contrasto con l’art.16 del regolamento comunale per l’esercizio del diritto di accesso ai documenti, ai sensi del quale "non sono soggetti all’accesso gli atti aziendali che non hanno natura amministrativa, ed in particolare: a) gli atti relativi alla costituzione, allo svolgimento ed alla cessazione del rapporto di lavoro del personale dipendente…".
2 L’appello è infondato.
In primo luogo il diritto di accesso è esercitabile anche per gli atti di diritto privato.
Si è, invero, riconosciuto che l’attività amministrativa, soggetta all’applicazione dei principi di imparzialità e buon andamento, è configurabile non solo quando l’Amministrazione esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando essa persegue le proprie finalità istituzionali e provvede alla cura concreta di pubblici interessi mediante un’attività sottoposta alla disciplina dei rapporti tra privati (in questo senso Cons. Stato, Ad. Plen., 22 aprile 1999, n.4).
Si è precisato, in particolare, che sia la ratio sia il tenore testuale dell’art.22 della legge 7.8.1990, n.241, depongono nel senso di attrarre anche la c.d. attività di diritto privato nell’attività di amministrazione (in senso proprio) degli interessi della collettività e confermano che non si è introdotta alcuna deroga alla generale operatività dei principi di trasparenza ed imparzialità ex art.97 Cost., né si è garantita alcuna "zona franca" per l’attività che viene disciplinata da norme di diritto privato.
E’ infondato anche il motivo d’appello che, al fine di negare l’esercizio del diritto di accesso, argomenta dalle condizioni di autonomia e strumentalità e dalla natura giuridica dell’azienda speciale, destinata ad operare, in condizioni di autonomia, secondo modelli identici a quelli degli imprenditori privati.
Ai sensi dell’art.23 della legge 7.8.1990, n.241, "il diritto di accesso di cui all’articolo 22 si esercita nei confronti delle amministrazioni dello Stato, ivi compresi le aziende autonome, gli enti pubblici ed i concessionari di pubblici servizi". L’art.31, comma 5, della legge 8.6.1990, n.142, stabilisce, altresì, che "i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato".
Le aziende speciali, dunque, nella loro qualità di enti strumentali dell’ente locale, sono espressamente comprese tra i soggetti cui si estende il diritto di accesso; ciò, peraltro, è coerente con quell’impostazione che addirittura annovera nell’espressione "concessionari di pubblici servizi" tutte quelle figure soggettive che provvedono alla gestione di un servizio pubblico, sulla base di un collegamento istituzionale realizzato tramite disposizione di legge o provvedimento amministrativo (anche per questa affermazione si rinvia al citato Cons. Stato, Ad. Plen., n.4 del 1999).
In breve, atteso che il diritto di accesso è strumentale al valore della trasparenza dell’azione a tutela dei pubblici interessi e che l’ambito applicativo di siffatto valore si estende anche al modello privatistico, ove concretamente adottato per l’esercizio di attività di interesse pubblico, il diritto di accesso deve accompagnarsi ad ogni forma di gestione amministrativa: la cura del pubblico interesse, anche se realizzata tramite l’azione di figure soggettive private, non perde l’intrinseca qualità di attività di amministrazione pubblica e soggiace al potere di accesso riconosciuto agli interessati alle condizioni di legge. Del resto, l’estensione del diritto di accesso all’attività disciplinata da norme di diritto privato ed all’azione di soggetti formalmente privati è resa necessaria dalla parallela evoluzione della stessa nozione classica di atto amministrativo, che conosce nella più recente normativa un significativo processo di "erosione", a favore di sistemi di gestione dell’attività amministrativa che, per un verso, si avvalgono di modelli convenzionali e/o di assetti nominativi di spiccata origine privatistica e che, per altro verso, affidano vasti settori di azione a figure soggettive di indubbia matrice privatistica (a parte la configurazione privatistica del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’amministrazione pubblica, si pensi agli "accordi amministrativi", di cui agli artt.11 e 15 della legge n.241/1990, ai soggetti chiamati alla gestione di pubblici servizi dall’art.22, legge n.142/1990, al fenomeno della c.d. privatizzazione degli enti pubblici ed alla fattispecie di origine comunitaria dell’organismo di diritto pubblico" ed ai suoi riflessi nell’ordinamento interno; si pensi, infine, alle conseguenze che il legislatore ne ha tratto nel delineare la nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi, ex art.33, d.lgs. n.80/1998).
Rimane da accertare se, in fatto, l’oggetto della richiesta di accesso sia davvero pertinente a quel settore di attività dell’azienda che concerne la gestione di pubblici interessi.
La giurisprudenza citata ha chiarito, al riguardo, che la qualità soggettiva dell’ente cui si rivolge la richiesta di accesso non è da sola sufficiente a fondare la pretesa dell’interessato. In breve, il fatto che l’Arin sia un ente pubblico economico, strumentale al Comune di Napoli ed istituzionalmente incaricato della gestione di un servizio pubblico non è sufficiente a qualificare, tout court, come collegata all’interesse pubblico l’attività cui si connette la domanda di accesso. L’accertamento di siffatto collegamento è tuttavia, indispensabile per riconoscere l’esercizio di tale diritto.
Orbene, nel caso di specie l’attività relativa alla selezione del personale da assumere tramite concorso non costituisce né attività per la quale una disposizione di legge interna od una norma comunitaria impongano l’adozione di un modello procedimentale per la formalizzazione delle determinazioni, né attività direttamente connessa all’organizzazione e/o erogazione del pubblico servizio. Perché, ciononostante, possa affermarsi l’attuazione del diritto di accesso, è necessario accertare un collegamento effettivo tra l’attività in questione e la cura del pubblico interesse e che tale attività esprima, in concreto, siffatto collegamento unitamente alla condizione di prevalenza dell’interesse pubblico.
La selezione dei dipendenti è strumentale alla prestazione del servizio pubblico e la serietà ed efficienza delle relative procedure garantisce la formazione di personale professionalmente qualificato e, per questo aspetto, assicura elevati "standards" qualitativi nell’erogazione del servizio. L’adozione di una procedura concorsuale per la selezione si traduce in un vincolo che l’ente stesso si impone a garanzia della correttezza delle sue scelte, ma si riflette comunque all’esterno della sua sfera soggettiva: essa coinvolge l’interesse dei partecipanti al corretto e trasparente svolgimento della gara ed impegna l’ente pubblico economico al rispetto dei valori di trasparenza ed imparzialità, che paiono immanenti ad una procedura del tipo di quella che l’azienda intende attivare.
Non deve, infine, trascurarsi che le modalità prescelte per la selezione del personale possono incidere sugli assetti del mercato del lavoro in ambito locale, sicchè, maturando le determinazioni all’interno dell’apparato dell’ente, l’esercizio del diritto di accesso ben può garantire, oltre a quello della trasparenza, i suoi obiettivi partecipatavi (anche a favore di formazioni associative e sindacali) e di deflazione del contenzioso.
L’esercizio del diritto di accesso, invero, è pur sempre strumentale alla tutela di "situazioni giuridicamente rilevanti", a prescindere dalla forma di tutela e dall’autorità davanti a cui la tutela (v. Cass., Sez. Un., 6 febbraio 1998, n.1274, secondo cui appartengono alla cognizione del giudice ordinario le controversie relative al rapporto di lavoro del personale delle aziende, anche se inerenti alla fase precedente la costituzione del suddetto rapporto mediante concorso, posto che la discrezionalità che contrassegna la scelta della fase concorsuale non è espressione di una potestà pubblica di autorganizzazione, ma configura esercizio di un’attività privatistica dell’imprenditore, ovvero prestazione procedimentale dovuta dall’imprenditore medesimo nell’ambito del rapporto obbligatorio attinente al concorso e perciò sindacabile dal giudice ordinario sia sotto il profilo del rispetto delle norme regolamentari e delle disposizioni collettive, che sotto il profilo dell’osservanza del principio generale di correttezza di cui all’art.1175 c.c.).
Queste considerazioni, dunque, sono sufficienti ad attrarre l’attività cui è riferita la domanda di accesso nell’ambito di quelle che presentano un collegamento con un interesse pubblico prevalente e che sono soggette all’applicazione degli artt. 22 e seguenti della legge n.241/1990 (in senso conforme, si cita ancora una volta Cons. Stato, Ad. Plen., n.4 del 1999, che ha riconosciuto la fondatezza di una richiesta di accesso agli atti di un procedimento indetto della Ferrovie dello Stato s.p.a. per il conferimento di promozioni ai propri dipendenti.)
Ad ulteriore conforto della soluzione proposta, si sottolinea che il modello procedimentale prescelto dall’azienda speciale per la selezione del personale esprime l’esercizio di un potere unilaterale di valutazione e di scelta dei dipendenti appartenente all’ente. La stessa utilizzazione di un modello concorsuale, verosimilmente inteso a garantire la par condicio tra i partecipanti, si risolve in una formula di regolamentazione del potere, con la conseguenza che il soggetto che lo esercita è tenuto a rispettare la sequenza procedimentale e le regole fissate nel bando di gara. La circostanza che siffatto potere compete ad un soggetto che opera secondo regole privatistiche e che esso stesso sia strumentale alla costituzione di un rapporto di diritto privato non elimina la correlazione necessaria con il pubblico interesse che l’ente istituzionalmente è tenuto a perseguire. Anche per tale ragione deve riconoscersi l’attuazione del diritto di accesso nell’ipotesi di cui si discute.
3 La legittimazione alla richiesta di accesso da parte di un consigliere comunale non trova, nonostante le affermazioni dell’appellante, alcun particolare ostacolo nella citata disposizione dell’art.23 della legge n.142/1990; piuttosto, l’art.31, comma 5, della stessa legge n.142 stabilisce che i consiglieri comunali possono ottenere dalle aziende tutte le notizie e le informazioni in loro possesso che si rivelino utili all’espletamento del proprio mandato.
L’unico limite oggettivo è quello dell’espletamento del mandato consiliare: si tratta, a ben vedere, di un ambito molto vasto, soprattutto per la ragione che, ai sensi del predetto art.23, legge n.142/1990, compete all’ente locale una funzione di vigilanza sull’attività dell’azienda come ente strumentale.
Sul piano oggettivo, dunque, la domanda di accesso al bando di concorso per l’assunzione di personale, di imminente pubblicazione, può essere legittimamente formulata dal consigliere comunale nei confronti dell’azienda speciale.
Rimane da considerare l’obiezione secondo cui l’esercizio del diritto di accesso dev’essere strumentale alla tutela si situazioni giuridicamente rilevanti e dev’essere esercitato da chi è portatore di un interesse personale e concreto (v. art.23 legge n.241/1990 e 2 d.P.R. 27.6.1992, n.352). Nella specie, la richiesta di accesso non sarebbe, secondo l’appellante, assistita da alcuna specificazione circa l’interesse personale di chi l’ha inoltrata.
Anche questo motivo d’appello è infondato, in quanto la legittimazione del richiedente trae origine dalla stessa qualifica rivestita e dalla citata previsione di cui all’art.31, legge n.142/1990, che riconosce il diritto ad ottenere tutte le notizie ed informazioni utili all’espletamento del mandato.
In breve, l’indicazione di un interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti è superflua rispetto a chi eserciti il diritto di accesso nella veste formale di componente l’organo cui è istituzionalmente rimessa la vigilanza sull’azienda speciale. L’unica condizione, necessaria e sufficiente a fondare la legittimazione del consigliere comunale, è l’esternazione della propria qualifica, da cui discende l’autonomia correlazione alle funzioni ed ai limiti del mandato consiliare, insieme alla precisazione degli atti per cui si chiede l’accesso. Tale condizione è stata pienamente soddisfatta nel caso di specie, dal momento che la stessa domanda inoltrata all’Arin è stata redatta su carta intestata alla dodicesima Commissione Consiliare del Comune di Napoli.
Né può obiettarsi che per questa via l’ambito di legittimazione del consigliere comunale non viene adeguatamente ritagliato, estendendosi a dismisura, giacché in primo luogo l’estensione di tale sua facoltà è direttamente stabilita dalla legge, con la disposizione di cui al predetto art.31, ed in secondo luogo l’ampliamento a suo favore dei tradizionali confini di esercizio del diritto è una conseguenza necessaria della funzione istituzionale di vigilanza attribuitagli (in senso conforme, v. Cons. Stato, sez. V, 7 maggio 1996, n.528, secondo cui la funzione, in virtù della quale il consigliere comunale ha diritto di prendere visione dei provvedimenti e dei relativi atti preparatori del Comune, consiste nel controllo sull’amministrazione dell’ente da parte dei componenti del consiglio comunale, organo politico-amministrativo dell’ente stesso, di talchè il consigliere, che eserciti tale diritto, non è tenuto a specificare i motivi della richiesta, né gli organi burocratici dell’ente hanno titolo per richiederli, perché, in caso contrario, questi ultimi sarebbero arbitri di stabilire l’estensione del controllo sul loro operato; analogamente, Cons. stato, sez. V, 8 settembre 1994, n.876, secondo cui il diritto del consigliere comunale di ottenere tutte le notizie e le informazioni in possesso degli uffici comunali "utili all’espletamento del proprio mandato", previsto dall’art.31 comma 5 della 1. 8 giugno 1990 n.142, fornisce una veste particolarmente qualificata all’interesse all’accesso del titolare di tale "munus" pubblico, che legittima l’interessato all’esame ed all’estrazione di copia dei documenti che contengono le predette notizie ed informazioni).
4 Da ultimo, si prende in esame la norma di cui all’art.16 del regolamento comunale sulla disciplina del diritto d’accesso, che ne vieta l’estensione agli "atti relativi alla costituzione, allo svolgimento ed alla cessazione del rapporto di lavoro del personale dipendente".
Tale regolamento non è stato oggetto di impugnazione da parte del ricorrente in primo grado, sicché da esso dovrebbe trarsi, secondo l’appellante, un ostacolo all’accoglimento della domanda di accesso.
La disposizione on oggetto, tuttavia, va interpretata in coerenza con la portata del diritto di accesso, quale fissata dalle fonti sovraordinate di cui alla legge n.241/1990 ed al d.P.R. n.352/1992 e quale concretamente valutata alla stregua dei principi più sopra richiamati. Per "atti relativi alla costituzione del rapporto di impiego" devono intendersi solo quegli atti che riguardano, in fatto, l’assunzione del dipendende e, tra essi, principalmente il contratto di lavoro. La fase della selezione concorsuale resta invece estranea alla preclusione regolamentare, poiché essa esprime valutazioni e coinvolge interessi che esorbitano il singolo rapporto di lavoro ed incidono in materia più penetrante sull’interesse pubblico che istituzionalmente si collega all’espletamento del servizio aziendale. Del resto, l’idea di una "separazione" della fase concorsuale da quella che ha inizio con l’assunzione del dipendente dell’Amministrazione non è affatto estranea all’ordinamento, che all’art.68 del d.gs. 3.2.1993, n.29, riserva alla giurisdizione del giudice amministrativo proprio le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione di dipendenti, mostrando così di riconoscere in esse un profilo pubblicistico preminente rispetto al regime del singolo rapporto di impiego privatizzato.
Quest’ultima considerazione, si precisa, vale solo ai fini dell’interpretazione della norma regolamentare in funzione del diritto di accesso, senza incidere sul regime di giurisdizione degli atti posti in essere dalle aziende speciali.
Tanto basta per rigettare l’appello.
Poiché l’appellato non si è costituito, non v’è luogo a provvedere sulle spese del secondo grado di giudizio.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione, rigetta l’appello.
Dichiara non luogo a provvedere sulle spese del giudizio di secondo grado.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2 luglio 1999, con l’intervento dei signori:

Giovanni Paleologo Presidente

Anselmo Di Napoli Consigliere

Marcello Borioni Consigliere

Marco Lipari Consigliere

Cintioli Fabio Consigliere relatore-estensore

 

 

Diritto degli Enti Locali
pagina a cura del dott. Andrea Ciccone

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